N. 144 ORDINANZA 10 - 14 maggio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Patrocinio  a  spese  dello  Stato  - Istanza di
  ammissione  al beneficio - Indicazione del codice fiscale a pena di
  inammissibilita'  - Obbligo valevole anche per l'imputato straniero
  irregolarmente  presente  sul  territorio  dello  Stato  -  Assunta
  lesione  del diritto di difesa, delle norme internazionali a tutela
  del  diritto  di  difesa,  disparita'  di  trattamento  rispetto al
  procedimento  amministrativo  di  espulsione,  «eccesso  di  potere
  legislativo  per  irragionevolezza»  - Manifesta infondatezza della
  questione.
- D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 79.
- Costituzione, artt. 3, 10 e 24.
(GU n.20 del 19-5-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:  Valerio ONIDA, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero
Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni Maria
FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo
MADDALENA, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo 79 del
d.P.R.   30 maggio  2002,  n. 115  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative  e  regolamentari  in  materia  di  spese  di giustizia),
promosso  con  ordinanza del 15 luglio 2003 dal Tribunale di Roma nel
procedimento penale a carico di Rimbu Juliano, iscritta al n. 897 del
registro  ordinanze  2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 45, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 aprile 2004 il giudice
relatore Alfonso Quaranta;
    Ritenuto  che  il  Tribunale di Roma in composizione monocratica,
con   ordinanza   del  15 luglio  2003,  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale - per contrasto con gli articoli 3, 10 e
24  della  Costituzione  -  dell'art. 79  del  d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia  di  spese di giustizia), «nella parte in cui prevede, a pena
di inammissibilita' della domanda di ammissione al patrocinio dei non
abbienti,  l'indicazione  del  codice  fiscale, anche nel caso in cui
l'istante   sia   cittadino  straniero  irregolarmente  presente  sul
territorio dello Stato»;
        che  il  rimettente  -  nel  premettere  di essere chiamato a
giudicare,  con  rito  direttissimo,  della responsabilita' penale di
imputato  straniero,  tratto  in  arresto  per  il  reato ex art. 13,
comma 13, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle  disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione e
norme  sulla  condizione dello straniero) - evidenzia che il predetto
imputato,  «cittadino  romeno  irregolarmente presente sul territorio
dello  Stato»,  ha  «chiesto  l'ammissione  al  gratuito  patrocinio,
depositando istanza priva dell'indicazione del codice fiscale»;
        che  il giudice a quo, quanto alla rilevanza della questione,
deduce  che  «l'applicazione  letterale» dell'articolo impugnato - il
quale,   facendo  carico  ai  cittadini  di  Stati  non  appartenenti
all'Unione europea di «corredare» (per i redditi prodotti all'estero)
l'istanza  di  ammissione  al beneficio de quo con una certificazione
dell'autorita'  consolare,  denoterebbe che il legislatore «non abbia
inteso  rinunciare  alla  presentazione  da  parte dello straniero di
tutti  gli  altri  elementi  enumerati  nelle lettere di cui al comma
primo»,  ivi  compreso quello di cui alla lettera b), cioe' a dire il
codice  fiscale  dell'interessato  e  dei  componenti la sua famiglia
anagrafica   -  non  lascerebbe  spazio  «a  diverse  interpretazioni
costituzionalmente   compatibili»,   con  conseguente  necessita'  di
reiezione dell'istanza proposta dall'imputato;
        che  secondo  il  Tribunale di Roma la norma impugnata, cosi'
interpretata,   sarebbe   costituzionalmente  illegittima,  violando,
innanzitutto,  l'art. 24 della Costituzione, giacche' - come chiarito
dalla  stessa  giurisprudenza costituzionale (si richiamano sul punto
le  sentenze  n. 194  del  1992  e n. 492 del 1991) - la «garanzia di
accesso  alla  giustizia  ai  non  abbienti»  costituisce un «diritto
inviolabile», riconosciuto all'«uomo in quanto tale»;
        che  la  disposizione  censurata,  inoltre,  si  porrebbe «in
contrasto  con  due  carte  fondamentali  dei  diritti  umani,  cosi'
violando  indirettamente l'art. 10 della Costituzione», giacche', nel
subordinare  all'indicazione  del  codice  fiscale  la  fruizione del
beneficio dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato anche per
i   soggetti   introdottisi   irregolarmente   nel  territorio  della
Repubblica  (non in grado di adempiere a tale onere), essa violerebbe
il diritto previsto in favore di «ogni accusato» - dall'art. 6, terzo
comma,  lettera c), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo  e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre
1950,  resa  esecutiva  con la legge 4 agosto 1955, n. 848 - a «poter
essere   assistito   gratuitamente   da   un  avvocato  di  ufficio»,
pregiudicando  altresi' il diritto dell'imputato «a vedersi assegnato
un  difensore  d'ufficio gratuitamente, qualora non abbia i mezzi per
pagarlo»,  contemplato  dall'art. 14,  terzo  comma,  lettera d), del
Patto  internazionale  relativo  ai  diritti  civili e politici, reso
esecutivo dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881;
        che  ricorrerebbe  - secondo il Tribunale di Roma - anche una
duplice  violazione dell'art. 3 della Costituzione, giacche' sotto un
primo   profilo  -  individuandosi  quale  tertium  comparationis  la
disciplina prevista dall'art. 142 del medesimo d.P.R. n. 115 del 2002
per   «l'ammissione  al  gratuito  patrocinio»  dello  straniero  nel
procedimento amministrativo di espulsione - sussisterebbe una «palese
disparita'  di  trattamento»  rispetto  all'ipotesi in cui questi sia
sottoposto  a  procedimento penale, in quanto, mentre «allo straniero
irregolare  e'  assicurata una difesa tecnica a spese dello Stato per
difendersi  da un provvedimento che, se confermato, ne provocherebbe,
al  massimo,  la  definitiva  espulsione  dallo  Stato», nel processo
penale,  in  cui «gli interessi in gioco sono molto piu' consistenti»
(venendo  in  rilievo una sanzione che potrebbe portare l'interessato
ad  essere  privato anche della liberta' personale), al medesimo «non
e' assicurato analogo trattamento»;
        che,  sempre  con riferimento al parametro da ultimo evocato,
il  rimettente  individua  quale  «ultimo motivo di illegittimita» un
preteso    vizio    di    «eccesso    di   potere   legislativo   per
irragionevolezza»;
        che  -  sempre a dire del Tribunale di Roma - la disposizione
impugnata,  se  prescrive  per  il  cittadino  -  e  per lo straniero
«regolarmente  presente»  nel  territorio  nazionale (giacche' il suo
«titolo  di  soggiorno  si  basa necessariamente sull'esistenza di un
reddito prodotto in Italia») - un adempimento funzionale al controllo
circa la veridicita' di quanto dagli stessi autocertificato in ordine
alla  sussistenza  delle  condizioni  reddituali  per l'ammissione al
beneficio  de  quo, pone invece a carico dello «straniero irregolare»
un   «mero   adempimento   burocratico   privo  di  giustificazione»,
considerato  che  costui  non  e' «legittimato a richiedere il codice
fiscale»  (essendone  il  rilascio  subordinato  all'esistenza  di un
valido  titolo  di  soggiorno in Italia), sicche' il mancato possesso
dello  stesso  non  sarebbe  «imputabile  allo  straniero  ma  ad una
impossibilita' giuridica di carattere oggettivo»;
        che,  infine,  secondo il rimettente l'omessa indicazione del
codice fiscale non pregiudicherebbe l'esigenza di evitare «ammissioni
prive   di  controllo»,  considerato  che  restano  ferme  tanto  «la
necessita' della certificazione consolare di cui all'art. 79, secondo
comma»   del   d.P.R.   n. 115   del  2002  (ovvero  «della  relativa
autocertificazione ex art. 94» del medesimo testo di legge), quanto -
soprattutto  -  la  possibilita'  per  il  magistrato  di  respingere
l'istanza   qualora   vi   siano  fondati  motivi  per  ritenere  che
l'interessato  non  versi  nelle  condizioni idonee a giustificare il
riconoscimento del beneficio;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  il  rigetto della questione sul presupposto che la
norma  impugnata  -  nel prescrivere «l'obbligo di indicare il codice
fiscale  nella  domanda  di gratuito patrocinio» - sia «razionalmente
giustificata  dalla  necessita'  di  consentire  il  controllo  della
sussistenza   dei  requisiti  di  carattere  economico  ai  quali  e'
subordinata   l'ammissione   del   beneficio»,  presentandosi  dunque
«strettamente  collegata  a quelle dell'art. 96, secondo comma, e 98,
secondo   e   terzo   comma,   dello   stesso   t.u.,  che  prevedono
rispettivamente  la  potesta' di rigettare o di revocare l'istanza di
gratuito  patrocinio  qualora  il  reddito  del  richiedente  risulti
superiore ai limiti prescritti»;
        che  secondo  la  difesa  dello  Stato,  ponendosi  il codice
fiscale  come  «strumento  per  verificare le capacita' reddituali di
colui  che esercita un'attivita' economica regolare» (attivita' che -
quanto  agli  stranieri  - «costituisce a propria volta la condizione
necessaria  per  ottenere  un  permesso  di soggiorno ed uscire dalla
condizione  di  irregolarita'  o  clandestinita»),  potrebbe apparire
«effettivamente  ingiusta ed irrazionale una norma che impedisca allo
straniero  non  in regola con le disposizioni sul soggiorno di fruire
dell'istituto  del  gratuito  patrocinio»,  essendo il codice fiscale
«concesso  ai  soli  stranieri  in  possesso  di  un valido titolo di
soggiorno»;
        che,       tuttavia,      la      prospettata      situazione
d'incostituzionalita'  -  secondo l'Avvocatura dello Stato - potrebbe
essere,     in     realta',    «agevolmente    superata    attraverso
un'interpretazione  adeguatrice,  che tenga conto del complesso delle
disposizioni  che  regolano gli obblighi di indicazione del numero di
codice fiscale»;
        che,  infatti,  dovrebbe  attribuirsi  peculiare rilievo - in
tale prospettiva - all'art. 6, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre
1973,  n. 605  (Disposizioni  relative  all'anagrafe  tributaria e al
codice  fiscale  dei  contribuenti),  norma secondo cui «l'obbligo di
indicazione  del  numero di codice fiscale dei soggetti non residenti
nel  territorio  dello  Stato,  cui  tale  codice  non  risulti  gia'
attribuito,  si intende adempiuto con la sola indicazione dei dati di
cui  all'articolo 4,  con l'eccezione del domicilio fiscale, in luogo
del  quale  va  indicato il domicilio o la sede legale all'estero» (e
dunque  -  sottolinea  l'Avvocatura - «con l'indicazione del cognome,
del nome, del luogo e data di nascita, e del domicilio all'estero»);
        che  la  disposizione  teste' menzionata - conclude la difesa
dello  Stato  - presenta «carattere generale», risultando «certamente
applicabile  a  tutti  i  casi  in cui sia prevista l'indicazione del
codice  fiscale,  e quindi anche nel caso di presentazione di istanza
di  ammissione al gratuito patrocinio», di talche' sarebbe proprio la
possibilita'  di  una  interpretazione logico-sistematica della norma
impugnata  a fugare il dubbio di legittimita' costituzionale al quale
conduce l'interpretazione meramente letterale della stessa.
    Considerato  che  il  Tribunale di Roma dubita della legittimita'
costituzionale  -  per  contrasto  con  gli articoli 3, 10 e 24 della
Costituzione  - dell'art. 79 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo
unico  delle  disposizioni  legislative e regolamentari in materia di
spese  di  giustizia),  «nella  parte  in  cui  prevede,  a  pena  di
inammissibilita'  della  domanda  di ammissione al patrocinio dei non
abbienti,  l'indicazione  del  codice  fiscale, anche nel caso in cui
l'istante   sia   cittadino  straniero  irregolarmente  presente  sul
territorio dello Stato»;
        che   il   rimettente   -  il  quale  muove  dal  presupposto
dell'impossibilita'  di un indirizzo interpretativo diverso da quello
che esige la declaratoria di inammissibilita' dell'istanza diretta ad
ottenere  il  beneficio  del  patrocinio  a  spese dello Stato, anche
nell'ipotesi  in  cui, per ragioni oggettive, l'interessato non possa
provvedere all'indicazione del codice fiscale - omette di svolgere la
verifica  dell'esistenza  di  una  interpretazione  comunque idonea a
ricondurre   la   norma  impugnata  a  conformita'  con  i  parametri
costituzionali richiamati nell'ordinanza di rimessione;
        che,  in  sede  di disciplina dei casi in cui e' obbligatoria
l'indicazione  del  codice  fiscale,  il  testo  dell'art. 6, secondo
comma,  del  d.P.R.  29 settembre 1973, n. 605 (Disposizioni relative
all'anagrafe  tributaria  e  al  codice  fiscale  dei  contribuenti),
prevede  espressamente  che  «l'obbligo  di indicazione del numero di
codice fiscale dei soggetti non residenti nel territorio dello Stato,
cui  tale  codice non risulti attribuito, si intende adempiuto con la
sola  indicazione dei dati di cui all'art. 4» - dello stesso d.P.R. -
«con  l'eccezione  del  domicilio  fiscale,  in  luogo  del  quale va
indicato il domicilio o sede legale all'estero»;
        che il richiamato art. 4, primo comma, lettera a), del d.P.R.
n. 605  del  1973  richiede,  ai fini dell'attribuzione del numero di
codice fiscale delle persone fisiche, esclusivamente i seguenti dati:
cognome, nome, luogo e data di nascita, sesso e domicilio fiscale;
        che,  alla  stregua  della  normativa  suddetta, agli effetti
dell'ammissibilita'  dell'istanza diretta ad ottenere il beneficio in
questione,  nulla  appare  escludere la possibilita' che lo straniero
extracomunitario,  in  luogo  dell'indicazione  del  codice  fiscale,
fornisca  i dati di cui all'art. 4 citato, oltre al proprio domicilio
all'estero;
        che  nella  specie  e'  mancata  da parte del rimettente ogni
valutazione   della   suindicata   normativa,   il  cui  esame  -  in
applicazione  del  criterio  ermeneutico logico-sistematico - avrebbe
potuto  consentire  di  pervenire,  nel giudizio a quo, a conclusioni
diverse      dalla     inammissibilita'     dell'istanza     avanzata
dall'interessato,  con cio' superando il denunciato contrasto con gli
evocati parametri costituzionali (cfr. sentenza n. 1 del 2000).
    Visti  gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 79 del d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia  di  spese  di  giustizia),  sollevata,  in  riferimento agli
articoli 3,  10  e  24 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta il 10 maggio 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                       Il redattore: Quaranta
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 14 maggio 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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