N. 430 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 2004

Ordinanza  emessa  il  10  marzo  2004  dal  Consiglio  di  giustizia
amministrativa  per  la  Regione  Sicilia  sul  ricorso  proposto  da
Battiato Alfio contro comune di Acireale ed altri

Giustizia  amministrativa  -  Consiglio  di  giustizia amministrativa
  della Regione siciliana - Composizione e funzionamento - Componenti
  laici  della  Sezione  giurisdizionale  - Designazione da parte del
  Presidente  della Regione siciliana - Possibilita' di permanenza in
  carica  per  un  sessennio  dalla data del giuramento - Conseguente
  permanenza  di  una composizione mista di magistrati laici e togati
  in  sede  giurisdizionale  - Contrasto con lo Statuto regionale che
  non  prevede una sezione specializzata del giudice speciale ne' una
  composizione  collegiale  diversa da quella ordinaria delle Sezioni
  del  Consiglio  di  Stato  - Violazione dei principi costituzionali
  sulla funzione giurisdizionale in assenza di deroghe per la Regione
  Siciliana  con  norme  di  rango  costituzionale  -  Ingiustificata
  differenziazione  dell'organo  giudicante  e  dell'esercizio  della
  giurisdizione su una parte del territorio nazionale - Incidenza sul
  diritto di difesa e sul principio di tutela giurisdizionale.
- D.Lgs.  24 dicembre 2003, n. 373, artt. 4, primo comma, lett. d), e
  secondo  comma,  6,  secondo  comma,  limitatamente  alle parole «e
  all'articolo 4, comma 1, lett. d)», nonche', in parte qua, art. 15,
  primo  e secondo comma, limitatamente alla possibile permanenza dei
  membri  laici  della  Sezione  giurisdizionale e, derivatamente, in
  parte qua, decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 354, art. 6.
- Costituzione, artt. 3, 24, primo comma, 108, primo e secondo comma,
  113, secondo comma; Statuto Regione siciliana, art. 23.
Subordinatamente  - Giustizia amministrativa - Consiglio di giustizia
  amministrativa   della   Regione   siciliana   -   Composizione   e
  funzionamento  -  Componenti  laici della Sezione giurisdizionale -
  Designazione  da  parte  del  Presidente  della Regione siciliana -
  Possibilita'  di  permanenza  in carica per un sessennio dalla data
  del  giuramento  - Conseguente permanenza di una composizione mista
  di  magistrati  laici e togati - Contrasto con lo Statuto regionale
  che  non prevede una sezione specializzata del giudice speciale ne'
  una  composizione  collegiale  diversa  da  quella  ordinaria delle
  sezioni  del  Consiglio  di  Stato  da  localizzare  in  Sicilia  -
  Ingiustificata   diversa   disciplina  rispetto  alla  composizione
  dell'Alta  Corte  nonche'  a  quella  delle sezioni della Corte dei
  conti  per  la  Regione  siciliana  e  del  Tribunale  regionale di
  giustizia amministrativa della Regione Trentino Alto-Adige.
- D.Lgs.  24 dicembre 2003, n. 373, artt. 4, primo comma, lett. d), e
  secondo  comma,  6,  secondo  comma,  limitatamente  alle parole «e
  all'articolo 4, comma 1, lett. d)», nonche', in parte qua, art. 15,
  primo  e secondo comma, limitatamente alla possibile permanenza dei
  membri  laici  della  Sezione  giurisdizionale e, derivatamente, in
  parte qua, decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 354, art. 6.
- Statuto  Regione siciliana, art. 23 in relazione all'art. 24, primo
  comma e all'art. 23, terzo comma, del medesimo Statuto e del d.lgs.
  6 maggio  1948,  n. 655 e agli artt. 90 e 91, secondo comma, d.P.R.
  31 agosto 1972, n. 670.
In subordine:  Giustizia  amministrativa  -  Consiglio  di  giustizia
  amministrativa   della   Regione   siciliana   -   Composizione   e
  funzionamento  -  Componenti  laici della Sezione giurisdizionale -
  Possibilita'  di  permanenza  in carica per un sessennio dalla data
  del  giuramento  - Conseguente permanenza di una composizione mista
  di  magistrati  laici e togati - Contrasto con lo Statuto regionale
  che  non prevede una sezione specializzata del giudice speciale ne'
  una  composizione  collegiale  diversa  da  quella  ordinaria delle
  sezioni  del  Consiglio  di  Stato  da  localizzare  nella  Regione
  siciliana  -  Violazione  del  divieto  di  istituzione  di giudici
  speciali   nonche'   del   divieto   di   istituzione   di  sezioni
  specializzate nell'ambito dei giudici speciali.
- D.Lgs.  24 dicembre 2003, n. 373, artt. 4, primo comma, lett. d), e
  secondo  comma,  6,  secondo  comma,  limitatamente  alle parole «e
  all'articolo 4, comma 1, lett. d)», nonche', in parte qua, art. 15,
  primo  e secondo comma, limitatamente alla possibile permanenza dei
  membri  laici  della  Sezione  giurisdizionale e, derivatamente, in
  parte  qua,  decreto-legge  24 dicembre 2003, n. 354, convertito in
  legge 26 febbraio 2004, n. 45.
- Costituzione,  artt. 102,  secondo  comma,  e  108, primo e secondo
  comma; Statuto Regione siciliana, art. 23, primo comma.
In subordine:  Giustizia  amministrativa  -  Consiglio  di  giustizia
  amministrativa   della   Regione   siciliana   -   Composizione   e
  funzionamento  -  Componenti  laici della Sezione giurisdizionale -
  Designazione  da  parte  del  Presidente  della Regione siciliana -
  Possibilita'  di  permanenza  in carica per un sessennio dalla data
  del  giuramento  - Conseguente permanenza di una composizione mista
  di  magistrati  laici e togati - Contrasto con lo Statuto regionale
  che  non prevede una sezione specializzata del giudice speciale ne'
  una  composizione  collegiale  diversa  da  quella  ordinaria delle
  sezioni  del  Consiglio  di  Stato  da  localizzare  nella  Regione
  siciliana - Violazione del divieto di revisione della giurisdizione
  del Consiglio di Stato.
- D.Lgs.  24 dicembre 2003, n. 373, artt. 4, primo comma, lett. d), e
  secondo  comma,  6,  secondo  comma,  limitatamente  alle parole «e
  all'articolo 4  comma 1, lett. d)», nonche', in parte qua, art. 15,
  primo  e secondo comma, limitatamente alla possibile permanenza dei
  membri  laici  della  Sezione  giurisdizionale e, derivatamente, in
  parte qua, decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 354, art. 6.
- Costituzione,   VI   disposizione   transitoria;   Statuto  Regione
  siciliana, art. 23, primo comma.
In subordine:  Giustizia  amministrativa  -  Consiglio  di  giustizia
  amministrativa   della   Regione   siciliana   -   Composizione   e
  funzionamento  -  Componenti  laici della Sezione giurisdizionale -
  Designazione  da  parte  del  Presidente  della Regione siciliana -
  Possibilita'  di  permanenza  in carica per un sessennio dalla data
  del  giuramento  - Conseguente permanenza di una composizione mista
  di  magistrati  laici e togati - Contrasto con lo Statuto regionale
  che  non prevede una sezione specializzata del giudice speciale ne'
  una  composizione  collegiale  diversa  da  quella  ordinaria delle
  sezioni  del  Consiglio  di  Stato  da  localizzare  nella  Regione
  siciliana  - Violazione delle norme costituzionali sull'uniformita'
  dell'esercizio  della  giurisdizione  e  dell'organizzazione  della
  giustizia sul territorio nazionale.
- D.Lgs.  24 dicembre 2003, n. 373, artt. 4, primo comma, lett. d), e
  secondo  comma,  6,  secondo  comma  limitatamente  alle  parole «e
  all'articolo 4, comma 1, lett. d)», nonche', in parte qua, art. 15,
  primo  e secondo comma, limitatamente alla possibile permanenza dei
  membri  laici  della  Sezione  giurisdizionale e, derivatamente, in
  parte qua, decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 354, art. 6.
- Costituzione, artt. 5, 117, primo comma, secondo comma, lett. l), e
  120,  secondo  comma;  Statuto  Regione  siciliana,  art. 14, primo
  comma.
(GU n.1001 del 3-6-2004 )
              IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

    Ha  pronunciato  la  presente ordinanza nelle Camere di consiglio
del 9 e del 10 marzo 2004.
    Visti  gli  art. 21 u.c., e l'art. 23-bis, comma 3, della legge 6
dicembre 1971, n. 1034;
    Visto l'appello proposto da Battiato Alfio rappresentato e difeso
dall'avv.  Giuseppe  Sciacca  con  domicilio  eletto  in Palermo, via
Salinas n. 56, presso l'avv. Luca Di Carlo;
    Contro  il  comune  di  Acireale rappresentato e difeso dall'avv.
Agata  Senfett  con  domicilio eletto in Palermo, via Filippo Cordova
n. 76   presso  il  Consiglio  di  Giustizia  amministrativa;  e  nei
confronti  di  Basile Michele rappresentato e difeso dall'avv. Andrea
Scuderi  con  domicilio  eletto  in Palermo, via Domenico Trentacoste
n. 89  presso l'avv. Pietro Allotta; Spoto Sebastiano rappresentato e
difeso  dall'avv. Andrea Scuderi con domicilio eletto in Palermo, via
Domenico   Trentacoste   n. 89  presso  l'avv.  Pietro  Allotta;  per
l'annullamento  dell'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale
Sicilia  -  Catania:  sezione  I,  n. 1645/2003,  resa  tra le parti,
concernente:  revoca  autorizzazione per cambio destinazione d'uso da
fabbricato rurale a pizzeria;
    Visti gli atti e documenti depositati con l'appello;
    Vista  l'ordinanza di rigetto della domanda cautelare proposta in
primo grado;
    Visto  l'atto di costituzione in giudizio di: Comune di Acireale,
Basile Michele, Spoto Sebastiano;
    Udito il relatore Presidente Riccardo Virgilio e uditi, altresi',
per  la  parte  appellante  l'avvocato  Venerando  Gambino, su delega
dell'avvocato Giuseppe Sciacca e l'avvocato Andrea Scuderi per Basile
Michele e per Spoto Sebastiano;

                              F a t t o

    In  prime  cure  il  sig.  Battiato  Alfio ha proposto ricorso al
Tribunale  amministrativo  regionale  Sicilia  -  Sezione staccata di
Catania   per  l'annullamento,  previa  sospensiva,  della  ordinanza
dirigenziale  -  settore urbanistica del Comune di Acireale n. 30 del
1°  agosto  2003,  notificata il 6 agosto 2003, con cui gli era stata
revocata  l'autorizzazione  dirigenziale  n. 41  del 24 febbraio 2003
(avente  ad  oggetto  l'esecuzione di cambio di destinazione d'uso da
fabbricato rurale a pizzeria) ed era stato ordinato il ripristino dei
luoghi, e di ogni altro atto presupposto, coevo e successivo.
    Deduceva i seguenti motivi:
        1) eccesso di potere per sviamento della causa tipica;
        2)  eccesso di potere per travisamento dei fatti - errore nei
presupposti fattuali;
        3)  eccesso  di  potere  per mancata o comunque insufficiente
motivazione sull'interesse pubblico;
        4)  eccesso di potere per contraddittorieta' tra parte motiva
e  parte  dispositiva e comunque tra parti motive, presa di posizione
della  p.a. su questioni ad essa estranee ed errori su presupposti di
diritto;
        5) eccesso di potere per sviamento dall'interesse pubblico;
        6) eccesso di potere per illogicita';
        7)  violazione di legge - violazione dell'art. 6, comma 1, v.
e.,  della  legge nazionale 7 agosto 1990, n. 241 ovvero dell'art. 6,
comma 2, della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10;
        8)  eccesso  di  potere per irragionevolezza e, comunque, per
contraddittoria   od   illogica   o  insufficiente  motivazione,  con
riferimento all'ordine di ripristino dei luoghi;
        9) violazione di legge - violazione dell'art. 11, comma 2 del
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
    Nel  relativo  procedimento,  si  costituivano,  opponendosi alle
richieste  avversarie,  il  Comune  di Acireale e i controinteressati
sig.  ri Michele Basile e Sebastiano Spoto, i quali ultimi avanzavano
anche ricorso incidentale.
    In  seguito  alla  discussione  nella  Camera  di Consiglio del 7
ottobre 2003, il Tribunale amministrativo regionale Sicilia - Sezione
staccata di Catania con l'ordinanza impugnata rigettava la domanda di
sospensione.
    Il  sig. Battiato ha percio' proposto appello assumendo che detta
ordinanza,  oltre  ad essere del tutto carente di motivazione (atteso
che  la  formula  di stile e di carenza fumus boni juris non potrebbe
rappresentare   una   motivazione),   in   ogni   caso,  non  avrebbe
attenzionato e valutato adeguatamente i motivi di gravame.
    Conseguentemente,  l'appellante  chiede  che  questo Consiglio in
accoglimento  dell'appello  e  in  riforma totale o comunque parziale
della  ordinanza  n. 1645/2003,  resa  inter  partes nel procedimento
iscritto  al  n. 3079/R.G.  addi'  7  ottobre  2003,  depositata il 9
ottobre  2003, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia -
Sezione  staccata  di  Catania,  prima  Sezione, adunato in Camera di
Consiglio,    voglia    sospendere   la   esecuzione   dell'ordinanza
dirigenziale  -  settore  urbanistica Comune di Acireale n. 30 del 1°
agosto  2003,  notificata il 6 agosto 2003, con cui e' stata revocata
l'autorizzazione  dirigenziale  n. 41 del 24 febbraio 2003 (avente ad
oggetto  l'esecuzione  di  cambio di destinazione d'uso da fabbricato
rurale  a  pizzeria) ed e' stato ordinato il ripristino dei luoghi, e
di ogni altro atto presupposto, coevo e successivo. Cio' per i motivi
tutti  e  per le ragioni tutte a sostegno della domanda di sospensiva
di  cui  al  ricorso  pendente  davanti  al  Tribunale amministrativo
regionale  -  Sezione  staccata  di  Catania,  sopra riportati, a cui
l'appellante rimanda e nei quali integralmente insiste.
    Si  e'  costituito  il  Comune di Acireale con memoria 28 gennaio
2004  con la quale ha puntualmente confutato l'appello e concluso per
la  sua  reielezione  e  la  conferma  della  ordinanza del Tribunale
amministrativo regionale
    Si  sono altresi' costituiti i controinteressati sig. ri Basile e
Spoto  i  quali  hanno  a  loro  volta,  confutato  l'appello e hanno
concluso  nei  medesimi  termini  del Comune di Acireale chiedendo la
conferma della ordinanza del Tribunale amministrativo regionale
    Con  successiva  memoria del 12 febbraio 2004 i controinteressati
hanno   altresi'   sollevato   talune   questioni   di   legittimita'
costituzionale concernenti la composizione del Collegio.

                            D i r i t t o

    Il   Collegio  chiamato  a  decidere  sull'appello  cautelare  in
epigrafe  ritiene  innanzitutto  di  dover affrontare taluni dubbi di
costituzionalita'   concernenti  la  composizione  del  Consiglio  di
giustizia  amministrativa  per  la Regione siciliana come risulta dal
d.lgs.  n. 373/2003 sollevati dalla difesa dei controinteressati sig.
ri Spoto e Basile nella memoria del 12 febbraio 2004 come segue:
        A)  illegittimita' costituzionale, degli articoli 1, 2, 4, 5,
6,  7,  8, 9, 10, 11, 12, 13 e 15 del decreto legislativo 24 dicembre
2003,  n. 373,  per  violazione  degli  articoli 23, primo comma e 43
dello  Statuto siciliano nonche' degli articoli 102 commi 1 e 2 e 108
comma 1 della Costituzione e del primo comma della sesta disposizione
transitoria della Costituzione.
    L'art.  23  dello  Statuto regionale, secondo cui «... gli organi
giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per
gli  affari  concernenti  la  Regione...»,  prevede  l'istituzione in
Sicilia di sezioni staccate delle giurisdizioni centrali, non gia' di
organi giurisdizionali speciali.
    Il decreto legislativo n. 373/2003 al contrario, allo stesso modo
dell'abrogato decreto n. 654/1948 modificato ed integrato dal decreto
n. 204/1978,  eccede  la  delega  conferita  al  legislatore delegato
dall'art.  43  dello  Statuto  (che  e' semplicemente, quella di dare
attuazione alle norme statutarie).
    Esso infatti non si limita a dettare norme attuative dell'art. 23
dello  statuto  disciplinando  l'organizzazione  degli  uffici  ed il
trasferimento  di personale al fine di consentire l'istituzione ed il
funzionamento  di  una  Sezione  siciliana  del  Consiglio  di Stato,
modificando bensi' la struttura ordinaria dell'organo giurisdizionale
e prevedendone una particolare composizione.
    Da  cio'  discenderebbe  il  possibile  contrasto  tanto  con  le
disposizioni  statutarie  sopra  citate,  quanto con l'art. 108 della
Costituzione  nel  quale  si  prevede  che «le norme sull'ordinamento
giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge...».
    Orbene,  guardando  al  caso concreto ed essendo evidente come il
vincolo  della  «riserva  di  legge»  introdotto con l'art. 108 della
Costituzione tenda ad evitare che la composizione ed il funzionamento
degli  organi  giurisdizionali siano definiti in contrasto o comunque
in  assenza  d'una  specifica  manifestazione di volonta' legislativa
primaria che ne garantisca l'indipendenza ed imparzialita', il dubbio
di legittimita' costituzionale appare fondato.
    Il  decreto legislativo n. 373/2003 invero non ha valore di legge
primaria, ne' puo' trarre con riferimento alle peculiari modalita' di
composizione    e    funzionamento    dell'organo    giurisdizionale,
legittimazione  alcuna  da una norma delegante; trattandosi solamente
di  un  atto  emanato  in relazione alle determinazioni assunte dalla
Commissione paritetica prevista dall'art. 43 dello Statuto siciliano,
idoneo  ad  innovare l'ordinamento anche in contrasto con le norme di
legge  ordinarie,  nella  sola  ipotesi in cui cio' sia espressamente
previsto dalla norma statutaria della cui attuazione si tratti.
    Al  contrario,  come  si e' appena detto, l'art. 23 dello Statuto
regionale  si  limita  a  prevedere  che  nella  Regione siciliana si
istituisca,  al pari degli altri organi giurisdizionali centrali, una
semplice  «sezione»  del  Consiglio  di  Stato (senza indicare alcuna
peculiare modalita' di composizione e funzionamento della stessa).
    Il  dubbio di legittimita' costituzionale peraltro permane, anche
ove  si  volesse qualificare il Consiglio di giustizia amministrativa
come Sezione specializzata del Consiglio di Stato.
    Cio',  non  solo perche' l'art. 23 dello Statuto siciliano non fa
riferimento, neppure implicito, all'istituzione in Sicilia di sezioni
specializzate del Consiglio di Stato (limitandosi a prevedere sezioni
staccate).
    Ma anche perche', lo stesso art. 102 della Costituzione e' chiaro
nel   prevedere   che  le  Sezioni  specializzate  vengano  istituite
solamente  presso  gli  organi  della giustizia ordinaria e non della
giustizia  amministrativa  ed in relazione a determinate materie (non
gia',   con  riferimento  ad  una  vera  e  propria  attribuzione  di
competenza territoriale).
        B)  Illegittimita' costituzionale dell'art. 4 e derivatamente
degli  articoli  6,  commi  3,  4  e  5  e  7 commi 1 e 2 del decreto
legislativo  24  dicembre 2003, n. 373, per violazione degli articoli
3, 24, 101 comma 2, 108, comma 2, 111, comma 2 della Costituzione.
    Il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  si pone altresi' in
relazione  all'art.  4  del  decreto legislativo n. 373/2003, laddove
manca  l'espressa previsione dell'incompatibilita' tra le funzioni di
componente  laico  del  Consiglio  e lo svolgimento della professione
legale   (cio'   che  rischierebbe  di  tradursi  in  un  difetto  di
imparzialita'  del giudice ed in una sostanziale disuguaglianza delle
parti rispetto al potere giudicante, vulnerando i diritti di azione e
difesa costituzionalmente affermati e garantiti).
    Sul  punto  invero,  l'art. 4 del decreto legislativo n. 373/2003
prevede   che  «...  la  Sezione  giurisdizionale  del  Consiglio  di
giustizia   amministrativa  e  composta  da:  a)  il  presidente  del
Consiglio  di  giustizia  amministrativa,  che  la  presiede;  b)  il
presidente   assegnato   alla  Sezione  giurisdizionale;  c)  quattro
consiglieri di Stato; d) quattro componenti in possesso dei requisiti
di  cui all'art. 106, terzo comma, della Costituzione per la nomina a
consigliere  di  Cassazione  ovvero  di cui all'art. 19, primo comma,
numero 2), della legge 27 aprile 1982, n. 186. Il collegio giudicante
e'  composto  da  uno  del  due  presidenti  della  Sezione,  da  due
consiglieri  di  Stato  e da due dei membri indicati nella lettera d)
del  comma  1.  In  sede  giurisdizionale  il  Consiglio di giustizia
amministrativa  esercita  le funzioni di giudice di appello contro le
pronunce del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia...».
    Orbene,  il  richiamo  contenuto  nell'art. 4, all'art. 106 della
Costituzione  ed  all'art.  19  dell'Ordinamento  della giurisdizione
amministrativa,  concerne  esclusivamente i requisiti previsti per la
nomina  dei giudici non togati presso la Corte di cassazione e presso
il  Consiglio  di Stato, non gia' le cause d'incompatibilita' per gli
stessi  previste (ed in particolare il divieto di svolgere durante il
mandato  la  professione  legale,  che  e' espressamente contenuto in
ulteriori  disposizioni,  che  dall'art.  4  del  decreto legislativo
n. 373/2003 non vengono al contrario richiamate).
    La questione merita, per la sua rilevanza, un sicuro e definitivo
approfondimento, in relazione al quale va' osservato come:
        a)  Un primo elemento di perplessita', deriva dal fatto che i
requisiti  per  la  nomina  quale  Consigliere «laico» della Corte di
cassazione   previsti   dall'art.   106  della  Costituzione  vengano
ulteriormente   definiti   e   precisati   dall'art.  2  della  legge
n. 303/1998, che ne costituisce attuazione e nel quale soltanto viene
fatto  riferimento al vincolo di incompatibilita' fra tale funzione e
la  permanente  iscrizione  agli albi professionali forensi ovvero ai
ruoli della docenza universitaria pubblica.
    Sicche',  laddove  il  richiamo contenuto nell'art. 4 del decreto
legislativo  n. 373/2003  dovesse  interpretarsi  siccome  statico  e
limitato  ai  soli  requisiti  indicati  dalla  norma costituzionale,
rimarrebbe  esclusa l'applicazione del vincolo di incompatibilita' di
cui si discute.
        b)  Il  profilo  e'  ancor  piu'  rilevante,  in relazione al
richiamo  contenuto  nell'art.  4 del decreto legislativo all'art. 19
della   legge   n. 186/1982  recante  l'ordinamento  della  giustizia
amministrativa  poiche' tale disposizione, limitandosi ad individuare
i  requisiti  per  la  nomina  a consigliere «laico» del Consiglio di
Stato,   non   fa   alcun  riferimento  alle  cennate  condizioni  di
incompatibilita'.
    Il  regime  delle  incompatibilita',  che  vengono  espressamente
definite  come tali e non classificate quali requisiti per la nomina,
trova   invece   la   propria  disciplina  all'art.  28  della  legge
n. 186/1982   (del   quale,   nell'art.  4  del  decreto  legislativo
n. 373/2003 non si fa menzione alcuna).
    Il  dubbio  interpretativo che discende dalla lacunosita' di tali
disposizioni peraltro, rischia di permanere anche facendo riferimento
alla  disciplina  transitoria  prevista  dall'art.  15  dello  stesso
decreto  n. 373/2003  che  prevede  la  rimozione  di alcune cause di
incompatibilita'  ma  limitatamente  ai  membri  laici attualmente in
carica;  la  lacunosita'  del testo nominativo invero, considerata la
rilevanza  fondamentale  del principio dell'imparzialita' dei giudici
nel  nostro ordinamento costituzionale, va' invero definitivamente ed
incontrovertibilmente  superata con riferimento anche ai membri laici
diversi  da  quelli  attualmente  in carica e che vengono nominati in
futuro  mediante  una  espressa  norma di legge ovvero una autorevole
interpretazione secundum costitutionem.
    Con  l'ulteriore  rilievo che, laddove sussistessero i profili di
illegittimita'  costituzionale appena rilevati, da essi discenderebbe
l'illegittimita' costituzionale derivata degli articoli 6, commi 3, 4
e 5 e 7, commi 1 e 2, i quali la presuppongono.
        C)  illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 3, 4 e 5
e  derivatamente degli articoli 7, commi 1 e 2, e 15, commi 1 e 2 del
decreto  legislativo  24  dicembre 2003, n. 373, per violazione degli
articoli  3,  24,  27, 100, 101, 108 comma 2, 111, comma 2, ovvero in
subordine per violazione degli articoli 24, 103, comma 1, e 113 della
Costituzione.
    Un  ulteriore  profilo  di  perplessita', con riguardo alle norme
costituzionali  appena calendate, discende dalla previsione contenuta
all'art.  6 del decreto legislativo in esame secondo cui i componenti
«laici»  del Consiglio di giustizia, alla scadenza del sessennio, non
possono  essere  confermati  e «cessano dalla carica e dall'esercizio
delle funzioni».
    La  norma  invero,  evidentemente  posta  al  fine  di  escludere
qualunque    ipotesi   di   prorogatio   attraverso   la   previsione
dell'immediata decadenza delle funzioni rimane lacunosa rispetto alla
ipotesi  -  che  le  recenti  esperienze indicano come tutt'altro che
teorica  -  in  cui  alla  data  di  cessazione  delle  funzioni  dei
componenti  in  carica non sia stato gia' compiutamente e formalmente
definito il procedimento relativo alla loro sostituzione.
    In   tal   caso   invero,   l'unica  conseguenza  paradossalmente
desumibile dal testo normativo in esame sarebbe quella della paralisi
temporanea,    ovvero   addirittura   definitiva,   delle   attivita'
dell'organo giurisdizionale!
    Siffatta conseguenza, vulnererebbe in modo intollerabile principi
costituzionali  fondamentali  quali  quelli  dell'effettivita'  della
tutela giurisdizionale e del buon andamento delle attivita' pubbliche
(la  cui  applicazione,  va  intesa anche con riguardo al corretto ed
efficace funzionamento degli organi giurisdizionali).
    Orbene,  rispetto  a  sifatta paradossale conseguenza, l'evidente
lacunosita' della norma richiede, allo scopo di evitare il riproporsi
di  inammissibili situazioni di paralisi dell'organo giurisdizionale,
un'intervento    integrativo    di    natura    legislativa    ovvero
interpretativa,  che  ne renda legittimo il funzionamento con la sola
partecipazione  dei componenti togati sino a quando l'amministrazione
regionale non abbia provveduto alla sostituzione dei componenti laici
ormai decaduti (in tal modo sanzionando l'inadempimento dell'onere di
nomina  del  quale l'amministrazione regionale medesima e' investita,
ed  evitando  che tale inadempimento si converta in una inammissibile
lesione dei diritti costituzionali dei cittadini).
    Va'  infine osservato, quanto alla rilevanza rispetto all'odierno
giudizio,   come   tutti   i   profili   appena   dedotti   attengano
all'accertamento  della costituzionalita' della nomina dei componenti
laici   del   Consiglio  di  giustizia  ed  al  conseguente  corretto
funzionamento dello stesso.
    Sicche'  vale  il  principio secondo cui «... la rilevanza appare
incontestabile  dal momento che trattasi precisamente di accertare la
costituzionalita'  della normativa vigente per la nomina di parte dei
componenti   del   Consiglio  di  giustizia  amministrativa  in  sede
giurisdizionale,   questione   che   incide  in  modo  diretto  sulla
giurisdizione dell'organo o quanto meno sull'esercizio della medesima
(cosi'  in  punto  di  rilevanza Corte costituzionale, n. 25/1976 che
ritiene  costituzionalmente  illegittima la riconferma dei componenti
laici).
    Al  riguardo il Collegio osserva che tali questioni, rilevanti ai
fini   dell'esercizio  della  giurisdizione  e  preliminari  ad  ogni
decisione  in rito e in merito, non appaiono manifestamente infondate
per quanto di seguito verra' esposto.
    1.  -  Lo  Statuto  speciale della Regione siciliana, per ragioni
storiche, in parte legate al secondo conflitto mondiale, e' anteriore
alla proclamazione della Repubblica ed alla Costituzione repubblicana
in  quanto  e'  stato approvato nel 1946 con r.d.lgs. 15 maggio 1946,
n. 455,  e  con  la  espressa  riserva,  contenuta  nel secondo comma
dell'articolo  unico,  di essere sottoposto all'Assemblea costituente
per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato.
    Come e' noto, tale coordinamento non vi e' stato.
    Invero,  la  Costituzione  repubblicana e' stata pubblicata il 27
dicembre  1947  ed  e'  entrata in vigore il 10 gennaio 1948 ai sensi
della  XVIII  disposizione  transitoria  e lo statuto siciliano venne
convertito  in  legge  costituzionale con l'art. 1, primo comma della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed e' entrato in vigore,
ai sensi dell'art. 2 della legge anzidetta, il 10 marzo 1948.
    Il  coordinamento  con la Costituzione non avvenne ne' in sede di
Assemblea costituente e neppure in epoca successiva. Il secondo comma
dell'art.  1  della  legge  costituzionale n. 2/1948 prevedeva bensi'
modifiche   allo  Statuto,  modifiche  che  avrebbero  dovuto  essere
effettuate  entro  un  biennio  con  legge ordinaria, d'intesa con la
Regione,  ma,  come  e'  noto,  l'Alta Corte per la Regione siciliana
dichiara   incostituzionale   tale   disposizione  con  decisione  10
settembre  1948,  n. 4. Pertanto, lo statuto siciliano e' rimasto nel
testo  originario  ed  il  mancato  coordinamento  e'  stato  sovente
sottolineato    dalla   dottrina   e   dalla   giurisprudenza   anche
costituzionale   (v.   Corte  cost.  nn. 38/1957,  6/1970,  115/1972,
113/1993 e, da ultimo n. 314/2003).
    Per  quello  che concerne la questione in oggetto l'art. 23 dello
Statuto    siciliano    prevede   semplicemente   che   «gli   organi
giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni del
Consiglio di Stato e della Corte dei conti per gli affari concernenti
la  Regione»  e  che  «Le  sezioni svolgeranno, altresi' le funzioni,
rispettivamente,   consultive,   e   di  controllo  amministrativo  e
contabile.».
    Il  decentramento non ha mai avuto attuazione per quanto concerne
le  sezioni  civili  e  penali  della  Cassazione, la quale ha sempre
respinto  le  questioni di costituzionalita' in relazione all'art. 25
Cost., argomentando con la natura meramente programmatica della norma
statutaria  (v.  Cass.  12  settembre  1991,  n. 9534;  8 aprile 1992
n. 4270). Non sono state decentrate neppure la Commissione tributaria
centrale e il Tribunale superiore delle acque pubbliche.
    Il  decentramento  e'  stato  invece  attuato per il Consiglio di
Stato  e  la  Corte  dei  conti con i coevi decreti legislativi del 6
maggio 1948 rispettivamente n. 654 e n. 655.
    Questo  Consiglio  con  ordinanza  n. 185/2003  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale, 1ª serie speciale n. 28 del 16 luglio 2003 e con
ordinanza    n. 303/2003    ha    sollevato   talune   questioni   di
costituzionalita'  del  d.lgs.  n. 654/1948  sotto  vari  profili  in
rapporto  a  numerose  disposizioni  sia  dello statuto siciliano sia
della Costituzione.
    Nelle more del giudizio innanzi alla Corte costituzionale e stato
emanato  il  d.lgs.  n. 373/2003  il  quale,  come  recita l'art. 14,
sostituisce  integralmente  il  d.lgs.  n. 645/1948  ed il decreto di
modifica dello stesso, e cioe' il d.P.R. n. 204/1978.
    Non  pochi  interrogativi  posti  nelle  anzidette ordinanze sono
stati  superati  dalle  nuove disposizioni. In particolare, e' venuto
meno  un  gruppo  di  questioni concernenti la supposta violazione di
principi  costituzionali  sia  in  tema  di  delega  legislativa  sia
dell'art.  43  dello  statuto  siciliano,  e  cio'  poiche' il d.lgs.
n. 654/1948  sarebbe  stato  emanato  in  base  a  norme  di delega a
contenuto indeterminato e comunque prescindendo dall'intervento della
commissione paritetica di cui all'art. 43 dello statuto siciliano. Un
altro   gruppo   di   censure   concerneva  altri  supposti  vizi  di
costituzionalita' dell'art. 2 del d.lgs. n. 654/1948 (come sostituito
dal d.P.R. n. 204/1978) in relazione a taluni principi costituzionali
per   non   essere   assicurata   ai   membri   laici  della  sezione
giurisdizionale  del  Consiglio  di  giustizia  amministrativa per la
Regione   siciliana   sufficienti   garanzie  di  indipendenza  e  di
imparzialita'  e  per  non  essere  previsto  un  termine per la loro
designazione nonche' meccanismi sostitutivi.
    Anche   tali   interrogativi   sono  stati  superati  dal  d.lgs.
n. 373/2003  e, in particolare, dalle previsioni degli articoli 6 e 7
che  hanno esteso ai membri laici il regime giuridico e disciplinare,
nonche'  il  trattamento  economico dei togati e ne hanno previsto la
cessazione automatica al termine del sessennio di nomina.
    Peraltro,   ad   avviso   del   Collegio,  e  come  rilevato  dai
controinteressati,  il  d.lgs. n. 373/2003 non ha eliminato un dubbio
di  costituzionalita',  gia' adombrato nelle ordinanze nn. 185/2003 e
303/2003,  e concernente, in particolare, la possibilita' che in sede
di  norme  di  attuazione  dell'art.  23  dello statuto siciliano sia
possibile  prevedere  una  composizione  mista  di laici e togati del
Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per la Regione siciliana in
sede giurisdizionale.
    Pertanto,  gli  articoli  4,  primo  comma  e  secondo comma, e 6
secondo  comma  del d.lgs. n. 373/2003 lasciano inalterati gli stessi
dubbi  di  costituzionalita'  che  erano  stati  gia'  evidenziati in
precedenza  nelle  citate  ordinanze  n. 185/2003  e  n. 303/2003  in
relazione  all'art.  2  del  d.lgs.  n. 654/1948  come sostituito dal
d.P.R. n. 204/1978.
    2.  - Al riguardo, si premette in via generale che anche le leggi
costituzionali  (come ad esempio gli statuti speciali regionali) sono
soggette  al sindacato di legittimita' costituzionale (v. Corte cost.
n. 38/1957    sull'Alta    Corte    siciliana   e   n. 6/1970   sulla
responsabilita'  penale  avanti  all'Alta  Corte del Presidente della
Regione).
    A  fortiori sono denunciabili per incostituzionalita' le norme di
attuazione  degli  statuti delle regioni a statuto speciale le quali,
sotto  questo  profilo,  sono state ritenute sullo stesso piano delle
leggi  statali (Corte cost. 14 luglio 1956, nn. 14, 15, 16; 16 luglio
1956, n. 20; 19 luglio 1956, n. 22; 26 gennaio 1957, n. 15; 18 maggio
1959,  n. 30,  etc.)  e  cio'  ancorche' le norme di attuazione degli
statuti  speciali si ritiene operino ad un livello superiore a quello
della  legge  statale (Corte cost. 18 maggio 1959, n. 30, Corte cost.
n. 13/1974).
    Per  quanto poi concerne la natura ed il contenuto delle norme di
attuazione,   va   rilevato   che   la   giurisprudenza  della  Corte
costituzionale  (dec.  n. 20/1956  cit.) ha precisato come queste non
siano  da  qualificare alla stregua di norme di mera esecuzione dello
statuto  regionale,  come  se  si  trattasse  di semplici regolamenti
esecutivi.  Al  contrario,  esse  possono  contenere  norme primarie,
ancorche' di «attuazione» degli statuti, e quindi rivestono carattere
legislativo.
    Da  tale  carattere  discende la necessita' che il loro contenuto
non  sia  in  contrasto  ne'  con  la  Costituzione, e neppure con lo
statuto  speciale,  ma  debbono,  semmai,  essere  «in  aderenza»  al
medesimo.
    Il concetto di «aderenza» puo' essere poi sottoposto al controllo
della Corte costituzionale proprio con riferimento al contenuto delle
norme  di attuazione e cioe' verificando se le stesse siano contrarie
o meno allo statuto.
    Al di la' delle ipotesi di norme di attuazione contra statutum la
Corte costituzionale (sempre nella citata decisione n. 20/1956) si e'
posta  il  problema  delle norme di attuazione praeter legem, o anche
apparentemente secundum legem, risolvendolo testualmente come segue.
    «Se poi le norme di attuazione siano praeter legem, nel senso che
abbiano  integrato  le disposizioni statutarie od abbiano aggiunto ad
esse  qualche cosa che le medesime non contenevano, bisogna vedere se
queste  integrazioni  od  aggiunte  concordino  innanzi  tutto con le
disposizioni  statutarie  e con fondamentale principio dell'autonomia
della regione, e se inoltre sia giustificata la loro emanazione dalla
finalita'  dell'attuazione  dello statuto. Laddove, infine, si tratti
di  norme  secundum  legem,  e' ovvio che se esse, nel loro effettivo
contenuto e nella loro portata, mantengano questo carattere, non e' a
parlarsi  di  illegittimita' costituzionale, ma sarebbe pur sempre da
dichiararsene  la illegittimita' nel caso che esse, sotto l'apparenza
di  norme secundum legem, sostanzialmente non avessero tal carattere,
ponendosi  in  contrasto con le disposizioni statutarie e non essendo
dettate dalla necessita' di dare attuazione a queste disposizioni.».
    Questo insegnamento e' stato mantenuto fermo fino ad ora e, sullo
specifico  punto,  la  decisione  n. 20/1956  e'  stata costantemente
richiamata  dalla  successiva  giurisprudenza  costituzionale  (v. da
ultimo Corte cost. n. 353/2001).
    3.  -  Orbene,  se si esaminano a confronto le disposizioni dello
Statuto   siciliano   e   le   norme  di  attuazione  in  materia  di
giurisdizione  amministrativa  relativamente  alla composizione mista
del  Collegio  si  evince come queste ultime siano di segno contrario
rispetto alle previsioni statutarie e comunque non in aderenza con la
lettera e con lo spirito delle previsioni statutarie stesse.
    L'art.   23,   primo  comma  dello  statuto,  infatti  stabilisce
semplicemente  che  «gli  organi  giurisdizionali centrali avranno in
Sicilia   le   rispettive  sezioni  per  gli  affari  concernenti  la
regione.».
    Nello  statuto  non  e'  contenuto  alcun  accenno, come tutta la
dottrina   costituzionalistica   dell'epoca   non   ha   mancato   di
sottolineare,  alla composizione dei Collegi giudicanti e neppure per
i Collegi chiamati a decidere in sede consultiva e di controllo (art.
23, secondo comma).
    Gli  articoli  4  e  6  del  d.lgs. n. 373/2003 non si limitano a
dettare  norme  attuative  o  che  comunque costituiscano la logica e
naturale  espansione  del  principio  statutario (decentramento degli
uffici  e  trasferimento  di  personale per consentire la presenza in
loco   di  sezioni  delle  giurisdizioni  superiori  per  gli  affani
regionali),   ma   modificano   la  struttura  ordinaria  dell'organo
giurisdizionale  introducendo  un  principio  del tutto estraneo allo
statuto e contrario, come verra' in seguito chiarito, a precise norme
e principi di rango costituzionale.
    D'altra   parte   e   del  tutto  evidente  che  la  composizione
dell'organo  giurisdizionale  in modo diverso dall'ordinario non puo'
essere  considerata, nel silenzio dello statuto al riguardo, come una
necessaria integrazione e specificazione della norma statutaria.
    La  citata  decisione  della  Corte  n. 20  del  1956, e' precisa
nell'affermare  che  la  legittimita'  costituzionale  delle norme di
attuazione e' subordinata alla sussistenza di due requisiti.
    Innanzitutto  occorre  la  concordanza  tra norme di attuazione e
statuti  (e  nella specie ictu oculi tale concordanza non esiste); in
secondo  luogo  le  norme  di  attuazione debbono essere giustificate
dalla finalita' di dare attuazione allo statuto.
    Neppure tale ultimo requisito sussiste nella specie.
    A proposito di quest'ultimo la Corte ha affermato che «l'esigenza
delle  norme  di  attuazione  si  manifesta  nel bisogno di dar vita,
nell'ambito   delle   ben   definite   autonomie  regionali,  ad  una
organizzazione  dei pubblici uffici e delle pubbliche funzioni che si
armonizzi    con    l'organizzazione    dello    Stato    nell'unita'
dell'ordinamento  giuridico» (dec. nn. 14/1962, 30/1968, 136/1969) ed
ha  ribadito tale convincimento anche nella decisione 12 luglio 1984,
n. 212,  nella  quale  ha  anche  precisato  che  «le finalita' della
attuazione  vanno  accertate nel contesto delle autonomie regionali e
nei principi costituzionali».
    Nella  citata  decisione  n. 212/1984 la Corte, nel dichiarare la
illegittimita'   costituzionale  della  istituzione  di  una  sezione
giurisdizionale  e  delle  Sezioni  unite  della  Corte  dei conti in
Sardegna,  ha  argomentato  con  il fatto che ne' dalla lettera dello
statuto  regionale,  ne' dal suo spirito, ne' dalle sue finalita' era
in  alcun  modo ricavabile che si fosse inteso prevedere, neppure per
implicito, Sezioni di organi centrali neppure nei limiti degli affari
concernenti  la  regione  e cio' a differenza di quanto stabilito per
altre  regioni, richiamando appunto l'art. 23 dello statuto siciliano
e l'art. 90 dello statuto del Trentino-Alto Adige.
    Al  riguardo  tuttavia  non  puo' non sottolinearsi la differenza
fondamentale  tra  lo  statuto  siciliano  e quello del Trentino-Alto
Adige  i  quali,  ai  fini  in  esame, non possono porsi sullo stesso
piano.
    Infatti,  mentre  lo  statuto  siciliano  si  limita  alla pura e
semplice  localizzazione in Sicilia delle sezioni delle giurisdizioni
superiori,  lo  Statuto  del  Trentino-Alto  Adige  e' di ben diverso
contenuto.
    Innanzitutto,   l'art.   90   del   Testo   Unico   delle   leggi
costituzionali  di  cui  al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, istituisce
espressamente  il  T.R.G.A.  e  rinvia  espressamente  alle  norme di
attuazione  per  il  suo  ordinamento. Inoltre, il successivo art. 91
disciplina    espressamente    la    composizione    della    sezione
giurisdizionale  per  la provincia di Bolzano del T.R.G.A. cosi' come
prevede  espressamente  che  la  meta'  dei  componenti la Sezione e'
nominata  dal  Consiglio  provinciale  di  Bolzano  (art. 91, secondo
comma).
    Le  norme  di  attuazione  dello  statuto  del Trentino (d.P.R. 6
aprile  1984,  n. 426)  di  conseguenza, essendo a cio' espressamente
delegate  dallo  statuto,  disciplinano  le  modalita'  di scelta dei
magistrati cosiddetti laici, individuando le categorie tra cui questi
debbono  essere  scelti, il ruolo in cui debbono essere collocati, le
garanzie  che  li  assistono,  lo  stato  giuridico  e il trattamento
economico  (articoli  2,  4,  5,  d.P.R.  6  aprile 1984, n. 426). In
proposito,  nella  decisione  n. 137/1998  la Corte costituzionale ha
espressamente rilevato come la specialita' del T.R.G.A. risieda nella
delega   contenuta   nell'art.  90  dello  statuto  speciale  da  cui
legittimamente  discendono  le  norme  di  attuazione adottate con lo
speciale procedimento della commissione paritetica.
    Anche   il   d.lgs.   n. 373/2003  di  attuazione  dello  statuto
siciliano,  contiene, agli articoli 4 e 6, norme di contenuto analogo
alle  norme  di  attuazione  dello  statuto  del  Trentino, ma con la
fondamentale  differenza  che  lo  statuto  siciliano  ne' prevede la
istituzione  di  un  organo  speciale  giurisdizionale a composizione
mista   e  neppure  ne  delega  il  suo  ordinamento  alle  norme  di
attuazione.  Nessun  accenno - ripetesi - ne' esplicito ne' implicito
e'  contenuto  nello  statuto  siciliano  circa  la istituzione di un
organo   giurisdizionale  a  composizione  speciale  per  la  Regione
siciliana  e  neppure  circa  la  necessita'  che  parte del Collegio
giudicante   sia  costituito  da  magistrati  laici  di  designazione
regionale.
    Ne' potrebbe sostenersi che la presenza in Collegio di magistrati
laici  di  designazione  regionale  costituisca  la logica e naturale
conseguenza,  se  non  della  lettera,  almeno  dello spirito e delle
finalita' autonomistiche dello statuto siciliano.
    Un conto infatti e la localizzazione di una funzione, un altro e'
la  organizzazione della funzione. Sono due aspetti del tutto diversi
che  il  legislatore  costituzionale puo' disciplinare diversamente a
seconda  dei  casi  cosi'  come dimostra lo statuto del Trentino-Alto
Adige  (istituzione  espressa  dell'organo  speciale, delega espressa
alle  norme  di  attuazione,  localizzazione  e previsione di giudici
laici),  quello  della  Valle  d'Aosta  (limitata  competenza per gli
uffici  di  conciliazione),  quello  della  Regione  Sardegna  e  del
Friuli-Venezia  Giulia  (nessuna  disposizione sulla giurisdizione) e
della  Sicilia  (solo localizzazione degli organi ordinari). La Corte
costituzionale - come verra' meglio chiarito in prosieguo - ha sempre
rifiutato   qualsiasi  esegesi  finalistica  anche  delle  competenze
normative   statutarie   primarie,  sottolineando  la  necessita'  di
attenersi   al   tenore   letterale   degli   statuti   (Corte  cost.
nn. 124/1957, 66/1961, 46/1962, 66/1964, 115/1972).
    4. - D'altra parte, la riprova che le deroghe alla organizzazione
giurisdizionale  nazionale  sono  e  debbono  essere  contenute negli
statuti si rinviene nello stesso statuto siciliano.
    Innanzitutto   va   osservato   che   quando  si  e'  voluta  una
composizione mista, lo statuto siciliano lo ha espressamente sancito,
come  risulta  dal  confronto  dell'art. 23 con l'art. 24 primo comma
secondo  cui  i  membri  dell'Alta Corte dovevano essere nominati «in
pari   numero   dalle  assemblee  legislative  dello  Stato  e  della
Regione.».
    Peraltro,  un  ulteriore  argomento si ricava dal testuale tenore
dello  stesso  art.  23.  Invero, l'art. 23 terzo comma dello Statuto
siciliano si da' carico di precisare che i magistrati della Corte dei
conti  sono  nominati  «d'accordo  dai  Governi  dello  Stato e della
regione».
    Il  legislatore  costituzionale  ha  talmente avvertito l'effetto
derogatorio  al  normale  e  limitato  assetto  organizzatorio  della
designazione  del giudice contabile togato, da ritenere necessaria la
specificazione nello statuto.
    Orbene,  di  fronte  a tale espressa specificazione dello statuto
per  una  delle  magistrature  superiori,  non  si vede come si possa
sostenere  che  invece  l'assoluto  silenzio dello stesso legislatore
circa  le altre possa essere interpretato come una implicita delega a
disciplinare,  in  sede di attuazione, la nomina, la composizione, la
stessa  struttura  del  giudice  amministrativo in una organizzazione
giurisdizionale del tutto difforme da quella ordinaria.
    La  Corte  costituzionale  ha  affermato  chiaramente  che, anche
laddove  gli statuti prevedano in via generica la emanazione di norme
di  attuazione,  sarebbe  illogico ritenere che queste ultime debbano
essere emanate per tutte le materie statutarie perche' in tal modo si
perverrebbe  «all'assurdo  di  giudicare che esse sono state previste
anche  in  caso  in cui il testo statutario avesse avuto in se' piena
completezza  e non avesse reclamato integrazioni o specificazioni. In
tale  ipotesi  le norme di attuazione non potrebbero mai emanarsi per
mancanza di oggetto» (Corte cost. 10 luglio 1969, n. 136).
    5.  - Neppure potrebbe sostenersi, sotto altro profilo, che nella
previsione  statutaria  siciliana,  limitata alla localizzazione, sia
implicita la disciplina della organizzazione giurisdizionale.
    Al  riguardo  la  Corte costituzionale ha sempre affermato che in
materia di ordinamento giudiziario esiste, ex articolo 108 Cost., una
riserva   di   legge  statale  (Corte  cost.  n. 4/1956,  n. 76/1995,
n. 134/1998, n. 86/1999).
    E'  stato anche affermato che il disegno del costituente e' stato
«di  procedere  bensi'  per  determinate  materie ad un decentramento
l'istituzionale  nel  campo  legislativo  ed  amministrativo a favore
dell'ente regione, ma di escludere dal decentramento tutto il settore
giudiziario  e  di  sottrarlo,  quindi,  a qualsiasi competenza delle
regioni,  anche  di  quelle  a statuto speciale dettando cosi' uno di
quei    principi   dell'ordinamento   giuridico   dello   Stato   che
costituiscano  limite  insuperabile  all'attivita'  legislativa delle
regioni» (Corte cost. n. 4/1956, v. anche Corte cost. n. 43/1982).
    In  questa  ottica  appare  oltremodo  significativa la decisione
n. 150/1993   in   cui  si  trattava  di  stabilire  la  legittimita'
costituzionale della legge statale n. 374/1991 istitutiva del giudice
di  pace  asseritamente  lesiva  delle  competenze  statutarie  della
Regione  Valle  d'Aosta  disciplinanti la istituzione degli uffici di
conciliazione (art. 41, legge cost. n. 4/1948).
    In  quella  occasione  la Corte ha affermato «il Titolo VII dello
statuto di autonomia della Valle d'Aosta, rubricato come «Ordinamento
degli uffici di conciliazione», prevede nella sua unica norma (l'art.
41) determinate attribuzioni, di natura amministrativa, in favore del
presidente  della  giunta,  nonche' della giunta stessa, attribuzioni
concernenti  sia  l'istituzione degli uffici di conciliazione (che e'
disposta  con  decreto  del  Presidente della Giunta deliberazione di
questa);  Sia  la  nomina,  la  decadenza,  la  revoca  e la dispensa
dall'ufficio  del  giudice  conciliatori  e  viceconciliatori (che e'
disposta  dal  presidente  della  giunta in virtu' di delegazione del
Presidente della Repubblica); sia, infine, l'esercizio delle funzioni
di  cancelliere  e  di  usciere  (che  e'  autorizzato  anch'essa dal
presidente della giunta).
    Orbene, il significato limitativo espresso dal tenore testuale in
della  previsione  statutaria  riferentesi esclusivamente - sia nella
rubrica del titolo, sia nella formulazione della sua unica norma - al
giudice  conciliatore  ed al suo ufficio, e non al «giudice onorario»
in generale, trova conforto non solo nella considerazione che la piu'
ampia figura, appunto, del «giudice onorario» - ricomprendente in se'
quella   del   «giudice   conciliatore»   gia'   all'epoca  esistente
nell'ordinamento  giudiziario  -  non  poteva  non essere presente al
legislatore  costituente,  essendo  la Carta costituzionale (che tale
figura «generale» conosce ed ammette: art. 106, secondo comma, Cost.)
antecedente,  sia  pure  di poco, allo statuto di autonomia, ma trova
conferma anche in altre vane e concorrenti ragioni.
    La  norma  statutaria,  per  il  suo contenuto precettivo, incide
sull'ordinamento giudiziario e sullo status di un giudice dell'ordine
giudiziario.
    Sotto  il primo profilo (incidenza sull'ordinamento giudiziario),
va  innanzi  tutto ribadito che in tale materia c'e' riserva di legge
(art.  108  Cost.)  e  questa  Corte ha gia' piu' volte puntualizzato
trattarsi  di riserva di legge statale, con conseguente esclusione di
qualsivoglia interferenza della normativa regionale (sent. n. 767 del
1988,  sent.  n. 43  del  1982,  sent. n. 81 del 1976, sent. n. 4 del
1956).  Deve  quindi ripetersi che alla legge statale «compete in via
esclusiva  disciplinare  in  modo  uniforme  per  l'intero territorio
nazionale  e nei confronti di tutti (art. 3 Cost.) i mezzi e le forme
di  tutela,  giurisdizionale  dei diritti e degli interessi legittimi
(articoli  24,  primo  comma,  e  113  Cost.)»  (Sent n. 81 del 1976,
citata).  Tale  riserva  abbraccia  sia  la  disciplina  degli organi
giurisdizionali,  sia  la  normativa processuale, anch'essa riservata
esclusivamente  alla  legge  statale  (sent.  n. 505  del 1991, sent.
n. 489 del 1991).
    Come  la legge processuale (secondo il disegno costituzionale del
nostro   ordinamento),   cosi'   anche   la  normativa  degli  organi
giurisdizionali  non  puo' che essere uniforme su tutto il territorio
nazionale,   dovendo   a  tutt'essere  garantiti  pari  condizioni  e
strumenti  nel  momento  di  accesso  alla  fruizione  della funzione
giurisdizionale,  il  cui  esercizio  e'  imprescindibilmente neutro,
perche'  insensibile  alla localizzazione in questa o quella regione,
oltre che neutrale, perche' svolto in posizione di terzieta' rispetto
ai poteri dello Stato, non escluso il potere esecutivo delle regioni.
    Pertanto   le   attribuzioni  regionali  in  materia  di  giudice
conciliatore,  in  quanto  incidenti in materia soggetta a riserva di
legge statale, hanno carattere di specialita' sicche' l'art. 41 della
legge  cost.  n. 4  del  1948  (statuto)  si  pone come deroga a tali
principi,  consentita  soltanto  dal rango costituzionale della norma
stessa;   deroga   doppiamente   eccezionale   perche'  contempla  un
interferenza  regionale  in materia di esclusiva competenza statale e
perche'  tale interferenza nell'ordinamento giudiziario si realizza a
livello  non  gia'  di legge regionale, bensi' esclusivamente di atti
dell'esecutivo.  Tale  connotazione  di  eccezionalita'  non puo' che
confinare  la  norma  statutaria  nel ristretto ambito del suo tenore
letterale sicche' in Valle d'Aosta e' solo il «giudice conciliatore e
non anche il «giudice onorario» ex art. 106, secondo comma, Cost., ad
essere  in  qualche  misura  diverso  dal  giudice  conciliatore  sul
restante territorio del Paese.
    Il  rilevato  carattere  derogatorio  si appalesa poi ancora piu'
marcato  se  si  considera il contenuto della norma statutaria, che -
seppur  su  delegazione del Presidente della Repubblica - prevede una
serie di provvedimenti di competenza dell'esecutivo della regione che
incidono   in   radice   sullo   status   di   giudice  conciliatore,
condizionandone  la  nomina,  la  decadenza, la revoca e la dispensa.
Anche sotto questo secondo profilo giova richiamare la giurisprudenza
di  questa  Corte  che  ha  evidenziato  come  la riserva di legge in
materia   di   ordinamento   giudiziario   e'   posta   «a   garanzia
dell'indipendenza   della   magistratura»  (sent.  n. 72  del  1991);
indipendenza  che  costituisce  valore  centrale  per  uno  stato  di
diritto,  sicche'  l'eventuale  difetto  di presidi a sua difesa puo'
rifondare  in  vizio  di  incostituzionalita'  (sent. n. 6 del 1970);
indipendenza  che  e'  assicurata in generale, ma anche con specifico
riferimento  al  giudice  onorario,  dalle  competenze  del Consiglio
superiore della magistratura, sicche' anche per la nomina del giudici
di  pace e' in generale prevista la previa deliberazione dello stesso
(art. 4 della legge n. 374 del 1991).
    Quindi,  anche  sotto  questo  profilo  dell'esigenza di garanzia
dell'independenza  del giudice, la previsione, contenuta nell'art. 41
della legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4 (statuto Valle d'Aosta), del
potere (seppur delegato) del presidente della giunta di dichiarare la
decadenza  e  la  dispensa del giudice conciliatore, e soprattutto il
potere  di revocarne la nomina, denuncia il suo carattere singolare e
del   tutto   eccezionale,   nella   specie   consentito   dal  rango
costituzionale della norma stessa.».
    Il  principio  ricavabile  dalla anzidetta decisione sembra molto
chiaro:   innanzitutto   nel   senso   che  la  deroga  alla  riserva
costituzionale  di  legge  statale  in  materia  di  giurisdizione e'
consentita  solo  se  espressamente prevista da una norma speciale di
pari  rango  costituzionale  e, in secondo luogo, che le disposizioni
degli  statuti  speciali  in materia di giurisdizione hanno carattere
eccezionale e che quindi, come si esprime la Corte «tale connotazione
di  eccezionalita' non puo' che confinare la norma statutaria nel suo
ristretto  ambito  del  tenore  letterarie.».  In  sostanza  la Corte
ribadisce  per  le norme di attuazione il divieto generale di esegesi
finalistica  delle competenze statutarie di cui alle citate decisioni
nn.   124/1957,   66/1961,   46/1962,  66/1964,  115/1972.  Non  meno
importante,  ai  fini  che  qui  interessano, e la affermazione della
necessaria  uniformita',  su  tutto  il  territorio  nazionale  della
«normativa   degli  organi  giudiziari»  che  viene  ricondotta  alla
necessita'  di  garantire  a  tutti  i  cittadini  pari  condizioni e
strumenti  di  accesso  alla  funzione  giurisdizionale  di cui viene
affermato  il  carattere neutro ed insensibile alle localizzazioni in
una  piuttosto  che  in  altra  regione.  Non  puo' non rilevarsi, in
proposito,  la  stringente  analogia  di tali affermazioni con quelle
concernenti  la  attuale  tematica dei limiti alle potesta' normative
regionali derivanti dalle cosiddette materie trasversali (Corte cost.
nn. 282/2002,  407/2002,  536/2002,  88/2003, 303/2003) e cio' per la
tutela di esigenze unitarie ed infrazionabili.
    6.  -  Se  cio'  e' esatto, se ne deve concludere che le norme di
attuazione  dello  statuto  siciliano  di cui agli articoli 4 e 6 del
d.lgs.   n. 373/2003   hanno   introdotto   in  Sicilia  un  istituto
eccezionale,  quale  la possibilita' di nomina di magistrati laici, e
hanno  disciplinato  il  loro  status (ed anche, ex art. 8 quello dei
togati)  in  modo  diverso  da quello ordinario e cio' al di fuori di
qualsiasi  previsione  statutaria,  in una materia costituzionalmente
riservata  alla disciplina statale necessariamente uniforme sul punto
-  come verra' chiarito in prosieguo - e pertanto derogabile solo per
espressa   previsione   di   norma   equordinata  e  cioe'  di  rango
costituzionale.
    Tale  natura  non  e'  riconosciuta  -  ripetesi  - alle norme di
attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale.
    Con  riferimento al d.lgs. n. 654/1948 (corrispondente per natura
al  d.lgs.  n. 373/2003) la Corte costituzionale ha affermato «che il
predetto  decreto  legislativo  ha  valore di legge ordinaria» (Corte
cost. n. 61/1975).
    Inoltre,  piu' in generale, la Corte ha affermato che le norme di
azione  degli  statuti  speciali «hanno dunque valore di legge, e per
alcuni   statuti,   come  per  quello  sardo,  e'  prevista  la  loro
compilazione da parte di una commissione paritetica e occorre sentire
il parere di alcuni organi regionali. Sia per ragioni formali che per
ragioni  sostanziali  esse  si  pongono  dunque su un piano diverso e
superiore  rispetto  alle  leggi  da  emanare  nelle  materie da esse
regolate;  ma  non per questo si puo' ad esse attribuire il carattere
di leggi costituzionali.». (v. Corte cost. n. 30/1959 cit.).
    E'  stato  infatti  osservato  «esse sono, per definizione, norme
dettate  per  d'attuazione di norme costituzionali. Se esse risultano
conformi   alla   norma   costituzionale  (secundum  legem),  nessuna
questione  puo'  essere sollevata; ma se, al contrario, si dimostrano
in  contrasto  con  la  norma  costituzionale, della quale dovrebbero
rendere  possibile l'attuazione (contra legem), non si comprende come
e  perche'  potrebbero  sottrarsi  ad una pronuncia di illegittimita'
costituzionale.  Piu'  delicati possono essere i casi, nei quali, pur
non prospettando un manifesto contrasto, la norma di attuazione ponga
un  precetto  nuovo, non contenuto neppure implicitamente nella norma
costituzionale  (praeter  legem):  casi che mal si prestano ad essere
classificati preventivamente in via generale e che possono richiedere
piuttosto  decisioni  di  specie. E' chiaro, comunque, che ai fini di
tali  decisioni  non  si potra' prescindere dal criterio fondamentale
stabilito dallo stesso costituente (art. 2 della legge costituzionale
9 febbraio  1948,  n. 1) che ha affidato alla Corte costituzionale il
compito  di  garantire  che  non  avvengano  invasioni nella sfera di
competenza  assegnata  alla  regione  dalla  Costituzione.  A meno di
attribuire  alle  norme  di  attuazione natura ed efficacia di vere e
proprie  norme  costituzionali  (il  che,  in  verita'  non  e' stato
sostenuto   neppure   dall'Avvocatura   generale   dello  Stato),  la
competenza   della   Corte   ad  esaminarle  e  a  pronunciare  sulla
legittimita'  costituzionale di esse non puo' essere posta in dubbio»
(v. Corte cost. n. 14/1956).
    In  relazione  alla  necessita'  che  in materia di giurisdizione
occorra  una  deroga  espressa  di  rango  costituzionale,  va  anche
ricordato,  che  la riserva dell'art. 108 della Costituzione concerne
«la  disciplina  di  tutto  quanto  concerne  l'amministrazione della
giustizia,  sia  riguardo alla istituzione del giudici, che alle loro
funzioni ed alle modalita' del correlativo esercizio» (v. Corte cost.
n. 4/1956).
    Tale  principio e' stato sempre tenuto fermo dalla giurisprudenza
della  Corte  che  ne  ha  fatto rigorosa applicazione numerose volte
anche  in  Sicilia  sino al punto di affermare la incostituzionalita'
anche  di  norme  soltanto  meramente  riproduttive  della disciplina
nazionale  (v.  Corte cost. nn. 154/1995, 115/1972), nonche' di norme
che  anche  soltanto  in  via indiretta interferivano con l'esercizio
della funzione giurisdizionale (Corte cost. n. 94/1995). In proposito
va  altresi'  ricordato  che  - come gia' osservato - alle censure di
costituzionalita'  riguardo  alla  giurisdizione  non si e' sottratto
neppure  lo  stesso  statuto  siciliano  di cui sono stati dichiarati
incostituzionali  gli  articoli  26  e  27 sulla giurisdizione penale
dell'Alta Corte (Corte cost. n. 6/1970).
    Premesso  poi  che  la  funzione  delle  norme  di attuazione, in
Sicilia,  come  nelle  altre regioni a statuto speciale, consiste nel
rendere  possibile  il  trasferimento  alle  regioni delle funzioni e
degli uffici nelle materie di competenza (v. Corte cost. nn. 17/1961,
14/1962,   180/1980),  va  poi  sottolineato  che  la  giurisprudenza
costituzionale  ha  riconosciuto  che,  nella specie, l'art. 23 dello
statuto siciliano, a differenza dello statuto del Trentino-Alto Adige
non  contiene, in materia di composizione dei Collegi e di status dei
magistrati,  ne'  una  delega  alle  norme  di  attuazione, ne' alcun
accenno  alla  possibilita'  di  nomina  regionale  di  giudici laici
«poiche'  esso  stabilisce  soltanto  che  gli organi giurisdizionali
centrali   debbano  avere  in  Sicilia  le  Sezioni  per  gli  affari
concernenti  la regione» (Corte cost. n. 189/1992) ed inoltre «l'art.
23   del   r.d.l.   15   maggio  1946,  n. 455  attiene  soltanto  al
decentramento  degli  organi  giurisdizionali centrali per gli affari
concernenti la regione» (Corte cost. n. 61/1975).
    Se  tutto  cio'  e' esatto, l'art. 4, primo comma, lettera d), il
successivo  secondo  comma,  nonche' l'art. 6 del d.lgs. n. 373/2003,
laddove  prevedono  la presenza e la designazione di laici regionali,
solo  apparentemente  rivestono  il carattere di norme di attuazione,
ma, in realta', rientrano in quella categoria individuata dalla Corte
costituzionale nelle decisioni n. 14/1956 e n. 20/1956 e suscettibili
di   essere   censurate   in   sede   di   giudizio   incidentale  di
costituzionalita'.
    Si  tratta  di  norme  che,  sotto  l'apparenza di norme secundum
legem,  in  realta',  in  primo luogo contrastano con le disposizioni
statutarie  e,  comunque,  non  sono dettate dalla necessita' di dare
attuazione a queste disposizioni.
    Cio'   si   evince   con   chiarezza   poiche'   il   legislatore
costituzionale  aveva  limitato  -  ripetesi - la autonomia regionale
alla  sola localizzazione in Sicilia degli organi delle giurisdizioni
superiori, cosi' come evidenziato dal tenore letterale dell'art. 23 e
come  riconosciuto  nelle citate decisioni della Corte costituzionale
n. 189/1992 e n. 61/1975.
    7.  -  Il  decreto  legislativo n. 373/2003 appare quindi «contra
statutum»  poiche',  al  pari  del  d.lgs. n. 654/1948, istituisce in
Sicilia  «Un organo di giustizia amministrativa caratterizzato da una
propria  fisionomia e struttura» (Corte cost. n. 25/1976), diverso da
quello  ordinario, perche' composto anche con giudici laici di nomina
regionale.  Esso quindi ha ampliato enormemente la sfera di autonomia
regionale,  ma cio' ha fatto vulnerando non solo la lettera, quanto e
soprattutto  lo spirito della disposizione costituzionale statutaria,
che  limitava la autonomia regionale ad solo ambito della presenza in
Sicilia   di  sezioni  delle  magistrature  superiori,  senza  alcuna
intenzione  di  alterarne  la  struttura  e le funzioni (v. in questo
senso  l'ordinanza  6  marzo  1975 con cui l'adunanza plenaria rimise
alla  Corte costituzionale la questione su cui poi intervenne la dec.
n. 25/1976).
    L'incostituzionale ampliamento dell'autonomia regionale, dapprima
operato  con  le norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 654/1948, e,
attualmente,  con  gli  articoli  4 e 6 del d.lgs. n. 373/2003, le ha
portate  di  conseguenza  a  collidere  con i principi costituzionali
sanciti dall'art. 108 per quanto concerne la riserva di legge statale
la amministrazione della giustizia e, in particolare, sulla nomina di
magistrati laici.
    A  dimostrazione poi che la materia disciplinata dagli articoli 4
e  6 del d.lgs. n. 373/2003 rientra nella riserva di legge statale in
materia  di  giurisdizione  e  sufficiente  rammentare l'insegnamento
della  Corte  costituzionale  nelle  decisioni  585/1989,  224/1999 e
25/1976.
    Nella prima, che si riferiva alla Regione Trentino-Alto Adige, si
e'  affermato che, salvo il principio della proporzionale etnica, che
non  veniva  peraltro  messo  in  discussione,  spettava  allo  Stato
stabilire  le  variazioni  qualitative  e  quantitative  della pianta
organica   dei   magistrati  addetti  agli  uffici  giudiziari  della
provincia di Bolzano.
    Nella  seconda,  con  riferimento  alla  regione  Sicilia,  si e'
affermato  che anche la disciplina degli incarichi extraistituzionali
a  magistrati del Consiglio di Stato e della Corte dei conti operanti
in  Sicilia  rientra  nella  competenza  esclusiva  statale in quanto
attinente  al  loro  stato  giuridico.  Ancora  piu' significativa la
affermazione   contenuta  nella  decisione  n. 25/1976  in  cui,  con
espresso  riferimento  alla nomina dei componenti laici del Consiglio
di  giustizia  amministrativa  per  la  regione  siciliana,  la Corte
costituzionale  ha  rilevato che trattasi di «questione che incide in
modo   diretto   sulla  giurisdizione  dell'organo  o,  quanto  meno,
sull'esercizio della medesima.».
    Se  cio'  e'  esatto,  sembra evidente che con gli articoli 4 e 6
delle  norme  di attuazione dinanzi citate si sia invasa una sfera di
competenza riservata al legislatore statale.
    8.  - Peraltro, quando anche le disposizioni degli articoli 4 e 6
del  d.lgs. n. 373/2003 volessero qualificarsi non gia' contra legem,
ma e' semplicemente praeter legem, le conclusioni non muterebbero.
    La  legittimita'  costituzionale  delle norme di attuazione degli
statuti  speciali  praeter  legem e' infatti subordinata - ripetesi -
alla  duplice  condizione  del  dovere concordare con le disposizioni
statutarie  e con il principio dell'autonomia regionale e dell'essere
giustificate dalla finalita' di dare attuazione allo statuto.
    Nessuna di queste condizioni e ravvisabile nella nomina regionale
di  giudici laici presso il Consiglio di giustizia amministrativa per
la regione siciliana.
    Tale  previsione non concorda affatto con lo statuto (Corte cost.
n. 189/1992  e  n. 61/1975  cit.) e neppure concorda con il principio
dell'autonomia  regionale in quanto, in difetto di apposita deroga di
rango  costituzionale,  la  norma di attuazione non puo' impingere su
altri   principi   costituzionali   non  conferenti  con  l'autonomia
regionale  (Corte  cost.  n. 150/1993).  La  Corte  costituzionale in
proposito  ha  sempre affermato che «la capacita' additiva si esprime
pur  sempre  nell'ambito  dello  spirito  dello  statuto  e delle sue
finalita'  e  -  come  s'e' pure rilevato - nel rispetto dei principi
costituzionali» (Corte cost. nn. 212/1984, 213/1998).
    La  nomina dei giudici laici di designazione regionale neppure e'
giustificata dalla necessita' di dare attuazione allo statuto.
    Tale   necessita',   com'e'  costante  insegnamento  della  Corte
costituzionale,  si  concreta  nel trasferimento di funzioni e uffici
(Corte  cost. nn. 17/1961, 14/1962, 30/1968, 180/1980) al fine di dar
vita  «nell'ambito  delle  ben  definite  autonomie  regionali ad una
organizzazione  degli  uffici  e  delle  pubbliche  funzioni  che  si
armonizzi    con    l'organizzazione    dello    Stato    nell'unita'
dell'ordinamento amministrativo generale.». (Corte cost. nn. 14/1962,
213/1998 cit.).
    Orbene,  ai  fini  del  mero  trasferimento  di  una  sezione del
Consiglio  di  Stato in Sicilia - poiche' tale e' l'oggetto dell'art.
23  dello  statuto siciliano (Corte cost. n. 189/1992 e n. 61/1975) -
non si vede perche' era necessario cambiare la composizione ordinaria
della  sezione  con l'introduzione nel collegio giudicante di giudici
laici  di  designazione  regionale. E' stato infatti affermato che la
norma  di  attuazione, intanto puo' porsi in funzione di integrazione
dello   statuto  «sempreche'  sia  giustificata  da  un  rapporto  di
strumentalita'  logica  rispetto  all'attuazione  di disposizioni del
medesimo»  (Corte  cost.  n. 260/1990).  Diversamente,  ove  il testo
statutario  sia  completo,  le norme di attuazione sarebbero prive di
oggetto (Corte cost. n. 136/1969 cit.).
    Sotto altro profilo neppure potrebbe sostenersi che lo Stato e la
regione,   in  sede  di  commissione  paritetica,  possano  d'accordo
attribuire  alla  norma  statutaria  una  portata  maggiore di quella
risultante dal tenore letterale della stessa.
    In  altri  termini,  non  e' possibile che in sede di commissione
paritetica  lo  Stato  autorizzi  una limitazione dei suoi poteri, in
assenza  di  qualsiasi  previsione  statutaria,  ed  al  di la' delle
finalita',  tipiche delle norme di attuazione (decentramento), specie
poi  se  rapportate  alla  chiara  previsione statutaria nel medesimo
senso.
    Va infatti considerato che a tale abdicazione corrisponderebbe un
parallelo  ampliamento  dei  poteri regionali e, quindi, in sostanza,
una surrettizia modifica dello statuto speciale
    Gli  statuti  speciali,  poi, sono norme costituzionali (art. 11,
primo  comma  Cost.) approvati e modificabili secondo il procedimento
speciale  di  cui  all'art.  138 Cost. (v. per la Sicilia art. 41-ter
dello  statuto  aggiunto  dall'art. 1,  legge  cost. 31 gennaio 2001,
n. 2).
    Non   sarebbe   quindi   ammissibile   che  una  fonte  di  rango
subordinato,  quale  le  norme  di attuazione, potesse modificare una
normativa di rango costituzionale.
    Neppure  sembrerebbe  possibile  sostenere  che  un nuovo assetto
costituzionale  equiordinato  (art.  114,  primo  comma)  i vari enti
possano  esercitare qualsiasi potere loro attribuito purche' in forma
di  collaborazione  e  cioe' anche prescindendo dalla ripartizione di
competenze  normative  di  cui  all'art.  117.  In effetti una simile
possibilita'  non  e' prevista neppure negli ordinamenti propriamente
federali ed a Costituzione flessibile.
    Il  nuovo  Titolo  V  prevede  in molti casi l'intesa tra Stato e
regioni,  ma,  nessuno  di  essi,  neppure in forza della clausola di
maggior  favore,  di  cui  all'art.  10  della legge cost. n. 3/2001,
potrebbe   sovrapporsi   o   comunque   modificare  il  regime  e  le
caratteristiche  del  sistema di cooperazione tipico del procedimento
delle  norme  di  attuazione  dello  statuto  speciale  siciliano  in
subiecta materia.
    L'art.  116  ultimo  comma,  l'art. 117 quinto comma e l'art. 118
terzo  comma  della Costituzione riguardano infatti materie diverse e
presuppongono comunque la preesistenza di una legge ad hoc.
    Neppure sarebbe ipotizzabile una intesa Stato-regione ex art. 118
primo comma. Invero, ai sensi di tale disposizione l'intesa tra Stato
e  regioni  puo'  solo  concorrere a spostare verso l'alto, e cio' in
vista  di  esigenze  unitarie,  funzioni  amministrative  tipicamente
locali.   Tale   principio   e'  stato  esteso  dalla  giurisprudenza
costituzionale  anche alla funzione piu' propriamente legislativa, ma
solo  a  condizione che quest'ultima avesse ad oggetto esclusivamente
la   organizzazione   e   regolassero   di   queste  stesse  funzioni
amministrative   assunte  dallo  Stato  in  forza  del  principio  di
sussidiarieta'.  La  deroga  al  riparto delle competenze legislative
sarebbe  quindi  piu'  apparente che reale, presentandosi invece come
una   logica   conseguenza  del  nuovo  principio  costituzionale  di
sussidiarieta'.  Peraltro,  ove  non  ricorrano  i  presupposti della
sussidiarieta'  e non venga previsto un procedimento di coordinamento
orizzontale   riprenderebbe   vigore  quanto  alla  distribuzione  di
competenze legislative il principio di «rigidita' della Costituzione»
(Corte cost. n. 303/2003, v. anche Corte cost. n. 376/2003).
    Nulla di tutto cio' e' ravvisabile nella fattispecie in esame.
    Innanzitutto  non  sembra  previsto dall'art. 118 primo comma che
l'attrazione  di  competenza  venga  spostata  a  favore  del livello
inferiore.
    In   secondo   luogo  difetta  il  presupposto  fondamentale  del
principio  di  sussidiarieta'  e  cioe'  l'esigenza  di assicurare un
esercizio  unitario  della  funzione  giurisdizionale amministrativa,
esercizio la cui unitarieta' verrebbe anzi pregiudicata.
    In  terzo luogo ha materia de qua (composizione dei collegi stato
giuridico  dei  giudici)  sotto  nessun  profilo  puo'  essere  fatta
rientrare  nella categoria delle funzioni aniministrative, ma rientra
invece  nella  funzione  giurisdizionale  (Corte  cost.  n. 25/1976 e
n. 224/1999 cit.).
    In  conclusione,  quindi, il procedimento (e i limiti intrinseci)
afferenti   la   adozione   delle  norme  di  attuazione  tramite  le
commissioni paritetiche, continuano ad applicarsi anche nelle ipotesi
in  cui  fosse  invocabile  (ma  non e' questo il caso) la cosiddetta
clausola  di  maggior  favore (v. in questo senso testualmente l'art.
11, secondo e terzo comma della legge 5 giugno 2003, n. 131).
    A   cio'   deve   aggiungersi  anche  l'ulteriore  considerazione
(ripetutamente esaminata nei precedenti punti 5, 6, 7) secondo cui le
deroghe   al  principio  del  regime  uniforme  della  organizzazione
giurisdizionale  su  tutto  il  territorio nazionale debbono comunque
essere  contenute in norme di rango costituzionale e che il carattere
eccezionale  di  tale  deroga  non  consente  di  superare  il tenore
letterale della norma statutaria (Corte cost. n. 150/1993 cit.).
    D'altra  parte neppure potrebbe ritenersi che la riserva di legge
statale  possa  essere  intesa in senso solamente formale e non anche
sostanziale. In altri termini non e' possibile sostenere che, ai fini
in  esame,  sia  sufficiente  la adozione di una legge da parte dello
Stato  il  quale,  assolto  cosi'  l'onere  della  riserva  di legge,
potrebbe ad libitum dettare composizioni degli organi giurisdizionali
differenti da regione a regione.
    Una  simile  esegesi  sarebbe  insostenibile  poiche' contraria a
specifici  principi  costituzionali  ed alla costante interpretazione
fornitane dalla Corte costituzionale.
    Invero,   se   si   affermasse   il  principio,  dianzi  soltanto
ipotizzato,  che  nella materia de qua sia ammissibile una riserva di
legge  in senso soltanto formale, quale ulteriore corollario dovrebbe
anche  ammettersi  che  il  legislatore statale potrebbe incidere non
solo  sulla  struttura  dei  Collegi, disciplinandoli diversamente da
regione  a  regione,  ma  potrebbe  differenziare a livello regionale
anche  la  struttura  dei processi (civile, penale, amministrativo) e
cio', non solo in relazione alle regioni a statuto speciale, ma anche
con riferimento alle regioni a statuto ordinario.
    Verrebbero pregiudicati cosi' i canoni costituzionali di cui agli
articoli  3,  24  primo  comma,  113 primo comma, 102 primo e secondo
comma,    108   primo   comma   della   Costituzione   differenziando
irragionevolmente  l'esercizio  della giurisdizione in funzione della
residenza e violando cosi' i principi di uguaglianza (art. 3) e della
parita'  di tutela dei diritti ed interessi legittimi (art. 24, primo
comma,  art.  113,  primo  comma).  Piu'  in generale, verrebbe anche
vulnerato  il principio dell'unita' dell'ordinamento giuridico il cui
valore,  gia'  riconosciuto  in  passato  in  forza dell'art. 5 della
Costituzione,  e'  attualmente  ribadito,  a  livello costituzionale,
anche  dall'art.  120  secondo comma nel testo introdotto dalla Legge
costituzionale  n. 3/2001.  La Corte costituzionale ha infatti sempre
affermato  che  «le modalita' di esercizio del fondamentale principio
della  tutela  giurisdizionale  non  possono  essere  diverse  in una
regione  rispetto  al  restante  territorio  nazionale»  (Corte cost.
n. 113/1993)  e  che esiste una «esigenza di uniformita' di tutela in
ordine  a  situazioni  soggettive  di  identica  natura» (Corte cost.
n. 42/1991).
    In altri termini va riconosciuto che la unitarieta' della materia
giurisdizionale  non puo' non ricomprendere tutti i suoi aspetti, ivi
compresi  quelli  concernenti  il  reclutamento, la nomina e lo stato
giuridico  dei giudici (Corte cost. nn. 224/1999, 25/1976 cit.), che,
ovviamente, devono restare identici su tutto il territorio nazionale.
Sotto  questo  profilo,  pertanto,  la normativa statale non potrebbe
introdurre  differenziazioni  a  livello regionale senza incorrere in
censure  e vizi di costituzionalita'. L'unica deroga, come piu' volte
sottolineato,  e'  ammessa  solo  in base ad una disposizione di pari
rango  costituzionale,  da interpretare inoltre, in quanto deroga, in
senso strettamente letterale.
    Pertanto,  e  in  conclusione  su  questo  punto, l'art. 23 dello
statuto  siciliano  nella  sua  chiara previsione, limitata alla sola
localizzazione  della  funzione giurisdizionale, rappresenta un punto
fermo e insuperabile di modo che ne' la commissione paritetica ne' lo
Stato  (autonomamente o in sede di commissione paritetica) potrebbero
adottare  una  disciplina derogatoria rispetto a quella ordinaria che
incida su aspetti della funzione giurisdizionale diversi dalla pura e
semplice localizzazione.
    9.  -  Il  collegio  e'  consapevole  della  circostanza  che  la
questione    della    composizione   del   Consiglio   di   giustizia
amministrativa  per  la  regione  siciliana  e'  stata  ripetutamente
affrontata  anche  dalla Corte costituzionale, ma sempre sotto angoli
di valutazione diversi.
    Nella decisione n. 25/1976 la Corte costituzionale si e' occupata
del  problema,  con  riferimento  tuttavia soltanto all'art. 5, terzo
comma  del  d.lgs.  n. 654/1948  e  cioe'  all'istituto  dell'appello
all'Adunanza  plenaria  delle  decisioni  emesse  in  unico grado del
Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  regione  siciliana
allora,   prima   della   istituzione  del  Tribunale  amministrativo
regionale
    In  quell'occasione  la  Corte ha fatto altresi' riferimento alla
nota  decisione delle Sezioni unite della Cassazione 11 ottobre 1955,
n. 2994  dichiarando  di  condividerla.  Nella anzidetta decisione la
Cassazione,  non  essendo ancora in funzione ha Corte costituzionale,
si  pose  il  problema  della  costituzionalita',  in  generale della
istituzione  del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione
siciliana sotto un duplice aspetto: estrinseco ed intrinseco.
    Sotto il profilo estrinseco si trattava di accertare l'osservanza
o  meno  del principio di cui all'art. 76 della Costituzione e quindi
l'esistenza di una norma di delega, nonche' la attribuzione o meno di
una   competenza  legislativa  alla  commissione  paritetica  di  cui
all'art.  43  dello  statuto  siciliano  anziche'  al  Governo.  Tale
profilo,  di  cui  si  e trattato nella ordinanza di questo consiglio
n. 185/2003,  non  viene  piu'  in discussione in relazione al d.lgs.
n. 373/2003.
    Sotto il profilo intrinseco, invece, la costituzionalita' si pose
con  preciso  riferimento alla questione se il Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la regione siciliana dovesse considerarsi o meno
un  giudice speciale (la cui istituzione era ed e vietata ex art. 102
secondo   comma  della  Costituzione)  che  i  ricorrenti  ritenevano
offrisse  minori  garanzie  rispetto  ad  una  ordinanza  sezione del
Consiglio di Stato.
    A  riprova  della  specialita' venivano addotte la diversita' del
numero  dei votanti (cinque anziche' sette) e la differenza di talune
prerogative:  inamovibilita'  dei componenti le sezioni del Consiglio
di  Stato;  temporaneita'  dei  due  membri  designati  dalla  giunta
regionale;   partecipazione   al  collegio  esclusa  per  gli  allora
referendari del Consiglio di Stato.
    La   Cassazione,  com'e'  noto,  affermo'  che  il  Consiglio  di
giustizia   amministrativa   per  la  regione  siciliana  non  poteva
considerarsi   quale   giudice  speciale,  ma  soltanto  una  sezione
specializzata  del  Consiglio  di  Stato  superando in questo modo la
eccezione di incostituzionalita'.
    Ne'  in  quella  occasione  ne' successivamente e' stato posto ex
professo  alla  Corte  costituzionale  il profilo del rapporto tra la
lettera  e  lo  spirito  dell'art.  23  dello  statuto  e le norme di
attuazione  che  prevedono  la  designazione  regionale di magistrati
laici.
    Tuttavia, pur non essendo stata sollevata una specifica questione
in  tal  senso, se si esaminano i precedenti, emerge chiaramente, nel
pensiero e nelle parole della Corte costituzionale, la consapevolezza
che  il  d.lgs.  n. 654/1948 era andato ben al di la' della lettera e
dello spirito dell'art. 23 dello statuto.
    Invero,  nella decisione n. 61/1975 la Corte - come gia' rilevato
afferma  che  «l'art.  23  del r.d.lgs. 15 maggio 1946 n. 455 attiene
soltanto  al  decentramento degli organi giurisdizionali centrali per
gli affari concernenti la regione».
    Nella decisione 25/1976 occupandosi della indipendenza dei membri
laici  del  Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la regione
siciliana,   per   quanto   qui  interessa,  la  Corte  ha  affermato
testualmente  che  «certamente  l'art. 23 dello statuto della regione
siciliana  prevedeva  semplicemente  l'istituzione  in Sicilia di una
sezione  giurisdizionale  del Consiglio di Stato ed e' innegabile che
con  il  d.lgs.  n. 654/1948  e'  stato invece istituito un organo di
giustizia  amministrativa  caratterizzato  da una propria particolare
fisionomia e struttura».
       Nella   decisione   dianzi   citata  la  Corte  ha  confermato
l'orientamento  della  Cassazione  circa  la  natura del Consiglio di
giustizia   amministrativa   per   la   regione   siciliana  (sezione
specializzata del Consiglio di Stato e non giudice speciale, anche se
la  anzidetta  definizione fa pensare piu' ad un giudice speciale che
ad  una  sezione  specializzata)  ma,  com'e'  noto,  cio'  non le ha
impedito  di  dichiarare incostituzionale il d.lgs. n. 654/1948 nella
parte  in  cui  (art.  3  terzo  comma)  prevedeva la possibilita' di
rinnovo dei giudici laici.
    Sotto  il  profilo della composizione mista il d.lgs. n. 373/2003
non  presenta  alcuna  differenza  rispetto al d.lgs. n. 654/1948 dal
momento  che  entrambi, invece di limitarsi a localizzare in Sicilia,
per  quanto  qui interessa, una sezione giurisdizionale del Consiglio
di   Stato,  ne  disciplinano  una  composizione  diversa  da  quella
ordinaria.
    10.  -  Possono  pertanto  proporsi  le questioni di legittimita'
costituzionale  dell'art. 4, primo comma, lettera d) e del successivo
secondo   comma,   nonche'  dell'art.  6  secondo  comma  del  d.lgs.
n. 373/2003  limitatamente  alle  parole  «e  all'art.  4, comma uno,
lettera d)» in rapporto agli articoli 23 e 43 dello statuto siciliano
nonche' agli articoli 3, 24, primo comma, 113, primo comma, 108 primo
comma,  102,  primo  e  secondo  comma  e  al  primo  comma  della VI
disposizione transitoria della Costituzione.
    I  profili  relativi  al  rapporto  tra  gli  anzidetti commi del
decreto  legislativo n. 373/2003 e gli articoli 23 e 43 dello statuto
ed  all'art.  108  primo  comma  della  Costituzione  sono  stati  in
precedenza  esposti  nel  senso  che le anzidette norme di attuazione
disciplinano materie riservate alla competenza esclusiva statale.
    11. - Quanto al rapporto tra il decreto legislativo n. 373/2003 e
gli  articoli  3, 24, primo comma, 113, primo comma Cost. va rilevato
che nell'esercizio della tutela giurisdizionale dei propri diritti ed
interessi  legittimi  tutti  i  cittadini  debbono essere posti nelle
medesime  condizioni  non  essendo  ammissibile  un  esercizio  della
giurisdizione  diversificato su alcune parti del territorio nazionale
(Corte cost. numeri 4/1956, 43/1982, 113/1993, 150/1993) a meno che -
ripetesi   -  cio'  non  sia  legittimato  da  una  deroga  di  rango
costituzionale,   deroga   peraltro  nella  specie  inesistente.  Nel
concetto  di  esercizio diversificato non puo' poi non ricomprendersi
anche  una  composizione  collegiale  diversa da quella ordinaria (in
questo senso v. testualmente la citata dec. Corte cost. n. 25/1976) e
da cio' la violazione dei parametri costituzionali dianzi indicati.
    Circa  il  rapporto  tra il d.lgs. n. 373/2003 e gli articoli 102
primo  e secondo comma e 108 primo e secondo comma della costituzione
occorre sottolineare che anche qualificando il Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la regione siciliana come sezione specializzata,
la  istituzione  di  sezioni  specializzate  innanzitutto deve essere
prevista  da  una  legge  statale. Invero, solo la legge statale puo'
disciplinare   l'ordinamento   della  giurisdizione  come  si  evince
dall'art.  102  primo  comma per il giudice ordinario e dall'art. 108
primo comma per i giudici speciali.
    Esiste,   quindi,  a  livello  costituzionale,  una  ancora  piu'
speciale  riserva  esclusiva di legge statale circa la istituzione di
sezioni  specializzate,  derogabile  quindi solo in presenza di norma
espressa  di  pari  rilevanza costituzionale (Corte cost. n. 150/1993
cit.).
    Nella  specie  -  ripetesi  -  in nessun comma dell'art. 23 dello
statuto  siciliano  e' contenuto il minimo accenno, ne' implicito ne'
esplicito  alla possibilita' che in Sicilia vengano istituite sezioni
specializzate ne' del Consiglio di Stato ne' delle altre magistrature
superiori.
    Il  decentramento  puro  e  semplice  (Corte  cost.  n. 61/1975 e
n. 25/1976)  non  implica  affatto di per se' la creazione ex novo di
sezioni  specializzate  tanto piu' che l'unico accenno di specialita'
contenuto nell'art. 23 riguarda, come gia' osservato, il concerto tra
Stato e regione, sulla nomina soltanto dei magistrati della Corte dei
conti.
    Va   poi  rammentato  che  la  Carta  costituzionale  prevede  la
istituzione  di  sezioni  specializzate  soltanto  nell'ambito  della
magistratura  ordinaria  (art.  102 secondo comma) per cui la sezione
specializzata  viene  considerata  «non  gia' un tertium genus fra la
giurisdizione  speciale  e  quella  ordinaria,  bensi' una species di
quest'ultima»  (Corte  cost.  numeri 76/1961,  394/1998  e  ordinanza
n. 424/1989).
    E'  stato infatti rilevato che, a fronte del divieto di istituire
giudici  speciali,  la  deroga  costituzionale  a  favore  delle sole
sezioni  specializzate,  dipende  proprio  dalla loro compenetrazione
istituzionale  con  il  giudice  ordinario  (Corte  cost. nn. 4/1984,
424/1989).
    Pertanto,   se   la   istituzione  di  sezioni  specializzate  e'
consentita  dalla  Costituzione  (ex  art.  102  secondo  comma) solo
nell'ambito  della magistratura ordinaria e cio' in ragione del nesso
organico  con  quest'ultima, se ne dovrebbe anche inferire che, cosi'
come  non  e' possibile istituire nuovi giudici speciali, alla stessa
stregua   non   sarebbe  possibile  istituire  sezioni  specializzate
all'interno dei giudici speciali attualmente esistenti.
    La questione non e' stata affrontata e risolta nell'unico caso in
cui il problema si e' posto nei confronti di un giudice speciale gia'
esistente o, meglio, gia' previsto dalla Costituzione.
    Invero,  nella  decisione  n. 49/1968  esaminando la legittimita'
costituzionale  delle  sezioni dei Tribunale amministrativo regionale
del  contenzioso elettorale ex art. 2 legge 23 dicembre 1966 n. 1147,
la  Corte  costituzionale  da un lato ha escluso il loro carattere di
nuovi  giudici  speciali  in  quanto parte degli istituendi Tribunale
amministrativo regionale» ex art. 125 Cost. e non essendo vietata «la
gradualita'   nell'introduzione   di   nuovi   organi   di  giustizia
amministrativa».  Peraltro,  la  Corte  neppure  ha riconosciuto alla
anzidetta sezione elettorale la natura di sezione specializzata degli
istituendi Tribunale amministrativo regionale pervenendo ad affermare
che  si  trattava  di «un'articolazione di tribunale amministrativo e
che,  in quanto tale non richiede la presenza di giudici togati cosi'
come non sembra che la richieda questo stesso tribunale».
    In altri termini, nel pensiero della Corte sembrerebbe che mentre
si  ammetteva  che  il  giudice speciale da istituire ex novo, come i
Tribunale  amministrativo regionale, potesse anche essere interamente
composto  da  laici  (salvo  le  garanzie di indipendenza ex art. 108
secondo   comma  Cost.),  lasciava  impregiudicato  il  problema  se,
nell'ambito  dell'istituendo  giudice  speciale, fosse costituzionale
istituire   sezioni  specializzate  in  analogia  a  quanto  previsto
dall'art. 102 secondo comma per il giudice ordinario.
    12.  -  In ogni caso, quando anche si pervenisse alla conclusione
che  l'art.  102  secondo  comma  e  l'art. 108 primo comma Cost. non
implicano  di  per  se' il divieto di istituire sezioni specializzate
nell'ambito  del  giudice  speciale  gia' esistente, non sembra possa
dubitarsi  che  tale  possibilita'  sia  coperta  da riserva di legge
statale  ex  art.  102  primo  comma  e  108  primo comma Cost. e che
comunque  la  riserva  di  legge  statale  non  potrebbe  dettare, in
subiecta  materia,  e in assenza di specifiche disposizioni di deroga
di  rango  costituzionale,  un  regime  differenziato  da  regione  a
regione.
    Il  vizio  di  costituzionalita'  degli articoli 4 e 6 del d.lgs.
n. 373/2003  verrebbe  pertanto  a  porsi negli stessi termini dianzi
enunciati.
    Quanto  poi  al  rapporto  tra  il  d.lgs.  n. 373/2003  e  la VI
disposizione  transitoria  della  Costituzione,  va rammentato che la
stessa  prevedeva  di  procedere,  entro 5 anni, alla revisione delle
giurisdizioni  speciali  eccettuando  espressamente  il  Consiglio di
Stato,  la Corte dei conti e i Tribunali militari. In questa espressa
eccezione  trova  concordanza  la  formulazione  dell'art.  23  dello
statuto  siciliano  che  si limitava al mero decentramento. Il d.lgs.
n. 654/1948  prima,  e  il  d.lgs.  n. 373/2003  poi,  istituendo una
sezione   specializzata   hanno   invece  apportato  sicuramente  una
modificazione  all'organo  giurisdizionale,  ponendosi  in  contrasto
oltre  che con lo statuto siciliano anche con il primo comma della VI
disposizione transitoria.
    A  questo  proposito  l'assenza  di  coordinamento tra lo statuto
siciliano  e  la Costituzione si avverte in modo ancora piu' evidente
se  si  considera  che  lo statuto (art. 23 primo comma) prevedeva un
decentramento  negli  organi  giurisdizionali centrali, decentramento
peraltro   neppure   generalizzato,   ma  limitato  ai  soli  «affari
concernenti  la  regione».  Innanzitutto  non  era  e  non e' agevole
stabilire, in sede di giurisdizione (civile, penale, amministrativa e
contabile)  quali  siano  gli  «affari  concernenti  la  regione» dal
momento  che  la  giurisdizione  e'  un  valore e una funzione neutra
«insensibile  alla  localizzazione in questa o quella regione» (Corte
cost. n. 150/1993 cit.). La riprova di tale difficolta' e' dimostrata
dal fatto che per le giurisdizioni civili, penali, tributarie e delle
acque  pubbliche  non  e'  mai  stata data attuazione alla previsione
statutaria  e,  che  in  quella  amministrativa si e' reso necessario
estendere la competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per
la  regione siciliana anche ad atti emessi da autorita' statali (art.
5,  primo  comma  d.lgs.  n. 654/1948;  art.  4  terzo  comma  d.lgs.
n. 373/2003)  di  modo  che  attualmente, atteso che in via generale,
(salvo  specifiche  eccezioni) la competenza territoriale del giudice
amministrativo e' derogabile, e' possibile conoscere in Sicilia anche
di  ogni  sorta  di atti da chiunque emanati. Inoltre, per evitare di
compromettere   l'unita'   del   sistema  giuridico  della  giustizia
amministrativa,  il  Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per la
regione siciliana venne configurato, relativamente agli atti statali,
come  organo sottordinato rispetto al Consiglio di Stato al quale era
prevista  la  possibilita'  di  appellarsi (art. 5 terzo comma d.lgs.
n. 654/1948).
    Vale la pena di ricordare, in proposito, la decisione della Corte
costituzionale n. 25/1976. In quella occasione l'appello all'adunanza
plenaria  avverso  pronunce del Consiglio di giustizia amministrativa
per  la  regione siciliana su atti statali veniva giustificato con il
venir  meno,  in  quel  caso,  delle  «ragioni  per cui gli era stata
conferita   quella   particolare  composizione  caratterizzata  dalla
presenza  di due giuristi designati dalla giunta regionale e poteva a
cio'  costituire  opportuno rimedio la previsione dell'impugnabilita'
delle sue decisioni». L'appello veniva inoltre giustificato non tanto
per  «attribuire  ai  ricorrenti  davanti  al  Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la  regione siciliana una tutela giurisdizionale
maggiore  di  quella  riconosciuta  alla  generalita'  dei  cittadini
davanti  al  Consiglio  di  Stato quanto piuttosto per assicurare una
definitiva  uniformita' di controllo sugli atti delle amministrazioni
dello Stato».
    Tale  competenza  di primo grado e' venuta meno dapprima in forza
di  una  esegesi pretoria (adunanza plenaria n. 21/1978 e n. 18/1979)
ed  ora  risulta  espressamente sancita dal citato art. 4 terzo comma
del  d.lgs.  n. 373/2003,  ma  rimane innegabile il superamento della
lettera  e dello spirito della norma statutaria che limitava e limita
la competenza ai soli «affari concernenti la regione».
    Le   anzidette   considerazioni   dimostrano  le  difficolta'  di
adattamento della previsione statutaria anche con riferimento al solo
e  limitato  aspetto  della  localizzazione.  Pertanto,  estendere la
portata  dell'art.  23  sino  a  modificare  la struttura dell'organo
giudicante  legittima  il  sospetto di una incostituzionale revisione
(sia pure parziale) della giurisdizione del Consiglio di Stato.
    13.  - In conclusione sui precedenti punti possono per ora essere
avanzate   nell'ordine  e  in  subordine  le  seguenti  questioni  di
costituzionalita'   con   riserva   di   successiva  integrazione  in
prosieguo:
        A)  dell'art.  4,  primo  comma, lettera d), e del successivo
secondo   comma,   nonche'  dell'art.  6  secondo  comma  del  d.lgs.
n. 373/2003  limitatamente  alle  parole  «e  all'art.  4, comma uno,
lettera  d),»  in  rapporto  all'art. 23  dello  statuto siciliano ed
all'art. 102, primo comma e 108 primo comma Cost. in quanto l'art. 23
dello  statuto  non prevede alcuna deroga alla composizione ordinaria
delle  sezioni  del  Consiglio di Stato da localizzare in Sicilia; in
rapporto  agli,  articoli  102 primo comma e 108 primo comma Cost. in
quanto il decreto legislativo n. 373/2003 cit. disciplina una materia
riservata  dalla  Costituzione  alla legge statale, per cui eventuali
deroghe  a  favore dell'autonomia regionale debbono essere supportate
da  una  espressa  previsione di pari rango costituzionale che - come
piu'  volte  rappresentato  -  non  e' rinvenibile nell'art. 23 dello
statuto  siciliano;  nonche',  in  rapporto agli articoli 3, 24 primo
comma,  113 primo comma Cost., in quanto introduce una ingiustificata
differenziazione  dell'organo  giudicante,  e  quindi  dell'esercizio
della giurisdizione su una parte del territorio nazionale.
        A1)  in  subordine dell'art. 4, primo comma, lettera d) e del
successivo  secondo  comma,  nonche'  dell'art.  6  secondo comma del
d.lgs.  n. 373/2003  limitatamente  alle  parole «e all'art. 4, comma
uno,  lettera d)», in rapporto all'art. 23, primo comma dello statuto
siciliano  che  non prevede ne' una sezione specializzata del giudice
speciale  ne' una composizione collegiale diversa da quella ordinaria
e  cio'  anche  in  relazione,  quale  tertia  comparationis,  (e con
riferimento  all'art. 3 della Costituzione), all'art. 24, primo comma
dello  statuto siciliano concernente la composizione dell'Alta Corte,
nonche'  all'art.  23,  terzo comma del medesimo statuto, all'art. 10
del  d.lgs.  6  maggio  1948,  n. 655  concernente  la istituzione di
sezioni  della  Corte  dei conti per la regione siciliana, all'art. 1
del  d.lgs.  18 giugno 1999, n. 200 ed all'art. 90 e 91 secondo comma
del  T.U. delle leggi costituzionali di cui al d.P.R. 31 agosto 1972,
n. 670.
        A2)  in subordine dell'art. 4, primo comma, lettera d), e del
successivo  secondo  comma,  nonche'  dell'art.  6  secondo comma del
d.lgs.  n. 373/2003  limitatamente  alle  parole «e all'art. 4, comma
uno,  lettera  d)» in rapporto allo stesso art. 23, primo comma dello
statuto  siciliano, nonche' in rapporto all'art. 102, secondo comma e
108  primo e secondo comma della Costituzione, non essendo consentito
istituire sezioni specializzate nell'ambito dei giudici speciali.
        A3)  in  subordine dell'art. 4, primo comma, lettera d) e del
successivo  secondo  comma,  nonche'  dell'art.  6  secondo comma del
d.lgs. n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4, comma uno
lettera  d)»  in  rapporto  all'art.  23  primo  comma  dello statuto
siciliano  ed  in  rapporto  al  primo  comma  della  VI disposizione
transitoria   della  Costituzione  che  esclude  dalla  revisione  la
giurisdizione del Consiglio di Stato.
    14.  -  La  questione  sub  Al consente di porre sotto un diverso
angolo   di  visuale  l'affermazione,  contenuta  nella  gia'  citata
decisione delle sezioni unite della Cassazione n. 2994/1955, circa la
aderenza  del  d.lgs.  n. 654/1948  allo  spirito  dell'art. 23 dello
statuto siciliano.
    In  quella  occasione  la Cassazione si e preoccupata di chiarire
che   il   Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  regione
siciliana, per la sua composizione, non e un giudice capite deminutus
quanto a quantita', qualita' e garanzia dei suoi membri.
    La  Cassazione  non  si  e' invece data carico della questione di
costituzionalita'  a  monte  e  cioe' se lo statuto e la Costituzione
legittimavano   la   istituzione  (gia'  fortemente  criticata  dalla
dottrina   costituzionalistica  dell'epoca)  di  una  sezione,  sotto
molteplici  profili,  diversa  rispetto  a  una sezione ordinaria del
Consiglio  di  Stato,  ma si e' limitata ad affermare apoditticamente
che   «le   variazioni   morfologiche   del  Consiglio  di  giustizia
amministrativa  per  la  Regione siciliana sono in funzione di quella
stessa  esigenza  di  decentramento che ha giustificato l'istituzione
dell'«ente regione».
    A  questo  proposito  e' opportuno segnalare, anche a chiarimento
del  richiamo  che  e'  stato operato quale tertium comparationis, al
d.lgs.  n. 655/1948,  che, nella stessa data del 6 maggio 1948, venne
adottato,  oltre  al decreto legislativo n. 654/1948, anche il d.lgs.
n. 655/1948  relativo  alla  istituzione  in  Sicilia  di una sezione
giurisdizionale e di controllo della Corte dei conti. Com'e' noto, il
predetto  d.lgs.  n. 655/1948  non  dispone  una  composizione  delle
Sezioni  diversa  da  quella  ordinaria, ma si e' limitato a ribadire
(art.  10,  primo  comma)  la  previsione  statutaria (art. 23, terzo
comma)  della intesa tra Stato e regione sulla nomina dei magistrati.
Va  ulteriormente  rimarcato  che  in sede di modifica delle norme di
attuazione del predetto d.lgs. n. 655/1948, il d.lgs. 18 giugno 1999,
n. 200,  adottato  questa  volta  su determinazione della commissione
paritetica ex art. 43 dello statuto siciliano, ha introdotto all'art.
1  del  d.lgs.  n. 655/1948 un secondo comma che testualmente dispone
che  «la  composizione e la competenza delle sezioni sono determinate
dalle disposizioni della legge statale».
    Orbene,  nell'unico caso in cui l'art. 23 dello statuto siciliano
prevedeva,  al  terzo  comma, un accenno di specialita', ne' le prime
norme  di  attuazione (adottate senza la procedura dell'art. 43 dello
statuto),  ne'  le  successive (adottate stavolta con il procedimento
speciale)   hanno   ritenuto   possibile   e  legittimo  alterare  la
composizione ordinaria delle sezioni della Corte dei conti.
    Sulla base delle argomentazioni addotte dalle sezioni unite della
Cassazione  nella decisione n. 2994/1955 in merito alle «esigenze del
decentramento»  non  e'  agevole  giustificare  come  mai, in sede di
attuazione   della  stessa  norma  statutaria,  nei  confronti  della
clausola  di  una  qualche  maggiore  specialita' si sia mantenuta la
composizione  ordinaria della Corte dei conti, mentre, di fronte alla
clausola  dell'art.  23,  primo comma, del tutto anodina sotto questo
profilo, si sia ritenuto di poter istituire una sezione specializzata
del Consiglio di Stato.
    Comunque,  le vicende del coevo d.lgs. n. 655/1948 e come pure le
successive  determinazioni  della  commissione  paritetica  del  1999
allorche' e stato introdotto il secondo comma all'art. 1 del predetto
d.lgs.  n. 655/1948  concernente  la  Corte  dei conti, costituiscono
ulteriore  riprova  del  fatto  che  le norme di attuazione di cui al
d.lgs.  n. 373/2003,  che riproducono, in parte qua, quelle di cui al
d.lgs.  n. 654/1948,  sono  in  palese  contrasto con la lettera e lo
spirito dello statuto siciliano.
    Ne  potrebbe  addursi,  a giustificare il differente regime tra i
due  decreti  legislativi del 6 maggio 1948, e, conseguentemente, del
d.lgs.  n. 373/2003,  l'argomento secondo cui non sarebbe ammissibile
che   nell'organo  controllante  (Corte  dei  conti)  siano  presenti
magistrati  designati  dal soggetto controllato (regione). Va infatti
sottolineato  che  l'art.  23  dello  statuto  siciliano  e il d.lgs.
n. 655/1948  prevedono  anche  la  localizzazione  in  Sicilia  della
sezione  giurisdizionale  per  i  giudizi di conto, responsabilita' e
pensionistici  e che la composizione di tale sezione non e' stata mai
modificata, neppure dalla recente legge 5 giugno 2003, n. 131. Questa
infatti,  all'art.  7,  ha  previsto la mera possibilita' che le sole
sezioni  regionali di controllo della Corte dei conti siano integrate
con due componenti di nomina regionale. Non va poi dimenticato che la
norma  in  esame e contenuta in una legge statale di portata generale
ed  uniforme  su  tutto il territorio nazionale. Pertanto, qualora si
volesse  riconoscere  identico  carattere  giurisdizionale anche alla
funzione  di  controllo  della  Corte  dei  conti,  la  norma sarebbe
ugualmente  in  linea  con i principi costituzionali della riserva di
legge  statale  e della uniformita' della giurisdizione su ogni parte
del territorio nazionale.
    In   altri  termini,  se  per  effetto  dell'art. 7  della  legge
n. 131/2003  (ove  applicabile  alle  regioni  a statuto speciale) la
sezione  di controllo della Corte dei conti in Sicilia dovesse essere
integrata  con  consiglieri  di  designazione regionale, cie' sarebbe
dovuto  all'efficacia  di  una  legge  statale  uniforme  su tutto il
territorio  nazionale, e non gia' in forza di una norma di attuazione
dello  statuto  siciliano che avesse introdotto un regime derogatorio
rispetto a quello ordinario.
    Circa  poi  la  attuazione  dello  statuto siciliano va ricordato
storicamente  che  la  prima  commissione  paritetica del 1946, nelle
prime  ed  uniche  norme da essa «deliberate» non aveva modificato la
composizione  delle magistrature superiori esistenti e certamente non
per  superficialita'  o per ignoranza delle norme statutarie. Invero,
il  Presidente  della  Commissione,  come  e'  noto, e come aveva lui
stesso   dichiarato   in   una   nota  24  maggio  1947,  indirizzata
all'Assemblea  regionale siciliana, era stato uno dei redattori dello
statuto.  Tuttavia,  ne'  lui,  ne'  nessun altro dei padri fondatori
dello  statuto (Giovanni Salemi, Mario Mineo, lo stesso Movimento per
l'Autonomia  della  Sicilia)  pensarono mai ad organi giurisdizionali
superiori a composizione mista paritetica.
    Com'e'  noto  lo  statuto  siciliano  e frutto di una commissione
nominata  con  decreto 1° settembre 1945 dall'Alto Commissario per la
Sicilia on.le Salvatore Aldisio.
    La   commissione   prese  a  base  dei  lavori  quattro  progetti
predisposti  rispettivamente  dal  prof.  Giovanni Salemi, dall'on.le
Giovanni  Guarino  Amelia,  dal dott. Mario Mineo e dal Movimento per
1'Autonomia della Sicilia.
    Per  quanto  concerne  gli organi giurisdizionali il progetto del
prof.    Salemi    all'art.   21,   primo   comma   cosi'   recitava:
«l'organizzazione  giudiziaria  e' stabilita con legge dello Stato ed
e' a carico dello Stato.
    Il  progetto  dell'avv.  Guanino Amella all'art. 30 si limitava a
stabilire   che:   «Tutti   gli   organi  per  la  definizione  delle
controversie  nel  campo civile, penale, commerciale, amministrativo,
tributario  e  sindacale e in tutti i gradi di giurisdizione, debbono
risiedere nella regione, in modo che tutte le controversie abbiano in
Sicilia il loro intero e totale svolgimento».
    Il  progetto  del dott. Mineo all'art. 37 prevedeva semplicemente
che: «lo Stato istituira' in Sicilia sezioni autonome di ciascuno dei
suoi supremi organi giurisdizionali.».
    Il  progetto  del  Movimento  per  l'Autonomia della Sicilia agli
articoli  26  e  27  era  cosi'  formulato:  art.  26  «L'ordinamento
giudiziario e' stabilito con legge dello Stato.
    La  creazione  di  nuovi  uffici  giudiziari  e le modifiche alle
circoscrizioni giudiziarie sono pero' stabilite con provvedimento del
consiglio regionale.
    Art.  27.  L'amministrazione  della  giustizia nella regione e' a
carico del bilancio dello Stato.
    Tutti  gli organi per la definizione delle controversie nel campo
civile, penale, commerciale, amministrativo, tributario e del lavoro,
ed  in  tutti  i  gradi  di  giurisdizione,  debbono  risiedere nella
regione, in modo che tutte le controversie abbiano in Sicilia il loro
intero e totale svolgimento.».
    Se  poi  si  esaminano i resoconti stenografici della commissione
(riportati  in  volume,  dedicato ai lavori preparatori dello statuto
dal  presidente  della  commissione  prof.  Giovanni  Salemi)  e,  in
particolare  quelli  delle  sedute  del  21  dicembre  1945  e del 22
dicembre 1945 si trova documentato che la formula (inserita nell'art.
20) «l'organizzazione giudiziaria e' stabilita con legge dello Stato»
venne  eliminata  su  proposta  del  consigliere  Taormina  il  quale
«basandosi sul principio che la funzione giurisdizionale e' riservata
allo  Stato  propone  la  soppressione  dell'art.  20  ...»  ....« La
Consulta  respinge  l'articolo.  Ne  dissente  solo  il  cons. Romano
Battaglia.».
    In  relazione  poi  alla  stesura  dell'art.  21 (poi divenuto il
definitivo  art.  23) i lavori cosi' riportano: «Scartata la proposta
del  prof. Di Carlo, di votare al riguardo l'art. 27 del progetto del
"Movimento per l'autonomia", si approva nei seguenti termini il primo
comma  dell'art.  21:  Gli organi giurisdizionali aventi oggi la sede
soltanto  in  Roma  saranno istituiti anche in Sicilia per gli affari
concernenti la regione.».
    Sul  secondo  comma  dello stesso articolo, intervengono il prof.
Majorana  e  il  cons.  Cartia;  l'uno proponendo di non assegnare al
Consiglio  di  Stato  in  Sicilia  la funzione consultiva, al fine di
soddisfare meglio alle esigenze dell'autonomia; l'altro per dare alla
Corte  del  conti  una  composizione mista, con rappresentanti, cioe'
dello  Stato  e della regione, essendo comune ai due enti l'interesse
al controllo contabile.
    Si  invita  il  relatore a presentare la redazione definitiva del
detto comma.
    «Il   relatore   presenta   un'altra  formula,  piu'  semplice  e
comprensiva:  "Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia
le  rispettive  sezioni  per gli affari concernenti la regione". Essa
viene approvata e diventa il primo comma dell'art. 21.
    Ritornando  al  secondo  comma  dello stesso art. 21, il relatore
propone  di  metterlo  in  armonia  col  primo, dicendo: "Sezioni del
Consiglio di Stato e della Corte dei conti" anziche' "Il Consiglio di
Stato  e  la  Corte  dei conti". Al fine di attuare la rappresentanza
mista  dello  Stato  e  della  regione  in seno alla Corte del conti,
suggerisce  il  seguente  nuovo  comma: "I magistrati della Corte del
conti  sono  nominati  di  accordo  dai  Governi  dello Stato e della
regione.". (v. all. A pag. 69-70).
    Il   progetto  definitivo  venne  poi  approvato  dalla  Consulta
siciliana, poi dalla Consulta nazionale. Per quanto qui interessa non
vennero apportati emendamenti, e venne in fine approvato con r.d.lgs.
15 maggio 1946, n. 455.
    Emerge quindi con chiarezza che mai nessuno, in sede di redazione
dello  statuto,  penso'  ad  una  organizzazione  delle  magistrature
superiori  diversa  da quella disciplinata dalla legge statale e che,
se  vi  fu  un accenno di specialita', esso riguardo' solo il giudice
contabile.
    Pertanto, la affermazione delle Sezioni unite n. 2994/1955 dianzi
citata  secondo  cui  «le  variazioni  morfologiche  del Consiglio di
giustizia amministrativa per la regione siciliana sono in funzione di
quella   stessa   esigenza   di  decentramento  che  ha  giustificato
l'istituzione  dell'Ente regione» non solo non trova alcun riscontro,
ma  anzi  e  smentita  proprio  dalle  vicende  occorse  in  sede  di
istituzione  dell'Ente  regione  e  cio'  senza  considerare  che  le
«variazioni» non sono solo «morfologiche» ma di sostanza.
    Anche  i  lavori  preparatori  dello  statuto  confermano  quindi
testualmente  e  sul  piano  storico  quanto piu' volte in precedenza
osservato circa il carattere «contra statutum» del d.lgs. n. 654/1948
e, in parte qua, del d.lgs. n. 373/2003.
    Se  poi  ci  si  chiede  come  mai,  nel 1948 in sede di norme di
attuazione  di cui al decreto legislativo n. 654/1948 sia stata cosi'
radicalmente  stravolta  la lettera e lo spirito, tanto dello statuto
siciliano,  quanto  della  conforme  proposta della prima commissione
paritetica,  puo'  farsi  riferimento  a  coloro  che,  in  dottrina,
attribuiscono   storicamente   il   tenore  del  decreto  legislativo
n. 654/1948 ad un accordo personale intercorso tra Ferdinando Rocco e
l'on.le  Luigi  Sturzo,  del  quale, peraltro, sembra non sia rimasta
traccia.  A  questo  proposito non varrebbe richiamarsi, come sovente
assume  taluna  pubblicistica,  ad  un  supposto carattere «pattizio»
dello  statuto  siciliano  che lo differenzierebbe percio' solo dagli
altri  statuti  speciali.  Anche  se  fosse  possibile  assimilare lo
statuto  ad  un  accordo tra entita' equiordinate, al pan cioe' di un
trattato  interazionale,  resterebbe  comunque  indubbio che ai patti
occulti, in ogni caso, non potrebbe riconoscersi alcun valore.
    A  giustificazione  della  composizione  mista  del  Consiglio di
giustizia  amministrativa  per  la  regione  siciliana confermata dal
decreto  legislativo n. 373/2003 neppure potrebbe invocarsi una sorta
di tacita consuetudine ovvero di convalescenza per decorso del tempo.
Si  tratterebbe  infatti,  in  ambedue i casi, di istituti o fonti di
integrazioni   sconosciute  al  livello  di  norme  costituzionali  e
comunque inammissibili un sistema a costituzione rigida.
    In  altri  termini  non  sembrerebbe  possibile  sostenere  (come
talvolta  adombrato)  che la sussistenza della composizione mista del
C.G.A.  per  oltre  mezzo secolo costituirebbe di per se' una riprova
della  sua  costituzionalita'.  Innanzitutto,  va  rammentato  che il
periodo suindicato non e' decorso senza interrogativi. Invero, taluni
aspetti  di  tale composizione mista non hanno superato il vaglio del
giudice  delle  leggi  (Corte  cost.  n. 25/1976) ovvero hanno subito
modificazioni,  piu'  o meno radicali, a seguito o in prospettiva del
giudizio  della  Corte  (v. il d.P.R. n. 204/1978 e lo stesso decreto
legislativo n. 373/2003).
    In  secondo  luogo  non  puo'  ritenersi che la permanenza di una
norma nell'ordinamento, per un periodo piu' o meno lungo, costituisca
garanzia   di  costituzionalita',  come  dimostrano  gli  esempi  del
Consigli  comunali  e  provinciali  in tema di contenzioso elettorale
amministrativo  (Corte  cost. n. 93/1965), dei Consigli di prefettura
(Corte  cost.  n. 55/1966),  delle  giunte provinciali amministrative
(Corte cost. n. 30/1967), della Giunta giurisdizionale amministrativa
della Valle d'Aosta (Corte cost. n. 33/1968), del Tribunale superiore
delle  acque  (Corte cost. n. 305/2002) dei Tribunali regionali delle
acque  (Corte  cost.  n. 353/2002),  della  Giunta speciale presso la
Corte di appello di Napoli (Corte cost. n. 393/2002) etc.
    Neppure sembrerebbe ostativo a questi fini, il richiamo al mutato
quadro  istituzionale  introdotto dal decreto legislativo n. 373/2003
ed  alla  intervenuta assimilazione del regime giuridico ed economico
dei  membri laici del C.G.A. a quello dei laici nominati in Consiglio
di Stato.
    In   altri  termini,  non  sembrerebbe  possibile  sostenere  che
superamento delle questioni concernenti sia i profili formali (delega
in  bianco  e  mancato  intervento  della Commissione paritetica) sia
taluni  di  quelli  sostanziali  (indipendenza, imparzialita', regime
giuridico  ed  economico  nonche' meccanismi di rinnovo dei laici del
C.G.A.)  valga  di  per  se'  a  dimostrare la sopravvenuta manifesta
infondatezza  della  questione  concernente  il contrasto tra la pura
localizzazione   prevista  dall'art. 23  primo  comma  dello  statuto
siciliano  e  la  composizione  mista  di  cui all'art. 4 del decreto
legislativo n. 373/2003.
    In  sostanza,  non potrebbe sostenersi che la anzidetta questione
risultava  non manifestamente infondata in un quadro normativo in cui
ai  laici  non erano assicurate imparzialita' ed indipendenza, mentre
non   apparirebbe  piu'  tale  nell'ambito  del  decreto  legislativo
n. 373/2003 in cui tali garanzie sono state assicurate.
    Tale  argomentazione  non  sembrerebbe convincente per un duplice
ordine di considerazioni.
    Innanzitutto  le questioni dianzi esaminate ed elencate non hanno
alcun riferimento alla maggiore o minore indipendenza o imparzialita'
dei  laici.  Invero,  la questione che ne occupa, similmente a quanto
ritenuto nelle ordinanze nn. 185/2003 e 303/2003 di questo Consiglio,
consiste    nell'interrogativo    se,   in   assenza   di   copertura
costituzionale,  sia  possibile introdurre una forma di giurisdizione
differenziata solo su una parte del territorio nazionale.
    Su un piano poi piu' propriamente sostanziale, la circostanza che
ai   componenti   laici   sia   assicurata,  ex  decreto  legislativo
n. 373/2003,  o  stesso  trattamento giuridico ed economico dei laici
nominati  in  Consiglio  di Stato, non elimina il dato di fatto della
esistetiza una giurisdizione differenziata.
    Al  riguardo  e'  sufficiente rilevare innanzitutto che il regime
giuridico  non  e' identico poiche', trattandosi di nomine temporanee
per  un sessennio difetta, ad esempio, quel definitivo allontanamento
dalla   professione   (art. 3,   legge   n. 303/1998),  ovvero  dalla
amministrazione  di  provenienza  che  caratterizza  i Consiglieri di
Stato e della Corte dei conti di nomina politica.
    In  secondo  luogo,  ma  non  meno decisivo a dimostrazione della
esistenza   di   una   differenziata   singolarita',  e'  sufficiente
richiamare   il  disposto  dell'art. 4,  secondo  comma  del  decreto
legislativo   n. 373/2003  secondo  cui  il  collegio  giudicante  e'
necessariamente  composto  con  due  membri  laici di nomina politica
regionale, il che comporta una differenziazione, non solo formale, ma
anche  sostanziale  dell'esercizio  della  giurisdizione (Corte cost.
n. 25/1976 cit.).
    Nei  collegi amministrativi tale tipo di composizione sottintende
la  necessita'  che  vengano  rappresentate  esigenze, prospettive, e
interessi  di  natura  locale,  il che, ovviamente, non ha ragione di
essere in un collegio giurisdizionale tenuto soltanto ad applicare le
norme  dell'ordinamento  quale  che  ne sia la fonte (internazionale,
comunitaria, nazionale, regionale etc.).
    L'unico esempio di collegio giurisdizionale amministrativo in cui
e'   stata  prevista  la  composizione  mista  e'  rappresentato  dal
T.R.G.A.,  ma  con  norma  di  rango  costituzionale  e  in base alla
dichiarata  e specifica finalita' di tutela delle minoranze etniche e
linguistiche  presenti  nella  regione  (v.  artt. 90,  91, 92 d.P.R.
n. 670/1972).
    Neppure   sembrerebbe   possibile,  a  questi  fini,  richiamarsi
all'inciso  di  cui  all'art. 23, primo comma dello statuto siciliano
che fa riferimento agli «affari concernente la regione» interpretando
cioe'  la  formula  come  se questa implicitamente sottintenda che il
contenzioso  amministrativo  tra  un qualsiasi privato e le autorita'
amministrative locali siciliane debba essere risolto da un giudice in
composizione  speciale.  Infatti,  non  sarebbe  spiegabile come tale
esigenza avesse ragion d'essere solo in Sicilia e, quando anche cosi'
fosse,  come  non  sia  emersa al livello statutario, ed anzi risulti
ignorata nei lavori preparatori dello statuto.
    In  proposito  neppure  sembra probante la argomentazione secondo
cui  la  composizione mista di cui al decreto legislativo n. 654/1948
prima,   ed   al   decreto   legislativo  n. 373/2003  poi,  potrebbe
giustificarsi  in  funzione  della autonomia regionale e della intima
connessione  della  giustizia  amministrativa  con  l'amministrazione
attiva.
    Invero,  per  quanto  concerne  la  autonomia  regionale  possono
richiamarsi   le   considerazioni   dianzi  esposte  in  merito  alla
necessita'   di   una   esegesi   letterale  delle  norme  statutarie
concernenti  la  funzione  giurisdizionale (Corte cost. nn. 124/1957,
66/1964,  115/1972,  150/1993 cit.), e quelle circa la funzione delle
norme  di attuazione degli statuti speciali (Corte cost. nn. 14/1956,
20/1956, 212/1984, 353/2001 cit.).
    Quanto  alla  supposta connessione della giustizia amministrativa
con  la  amministrazione  attiva  non  e' dato ravvisare, almeno allo
stato  attuale  della legislazione, una connessione tra il ruolo e la
funzione   del   giudice   amministrativo   e   quello  del  pubblico
amministratore.   Se   invece  la  affermazione  sottintende  che  la
giustizia amministrativa tocca prevalentemente interessi circoscritti
e  territorialmente localizzati, sembra evidente che cio' si verifica
con  la  stessa  frequenza  nei  giudizi ordinari civili e penali che
traggono   causa  o  presupposto  dagli  stessi  atti  amministrativi
direttamente  impugnabili  davanti  al giudice amministrativo, ma per
questi giudizi civili e penali, come e' noto, l'art. 23 dello statuto
siciliano  non  e'  mai stato attuato neppure nella forma di semplice
delocalizzazione.
    Del  pari  ininfluente  appare  la argomentazione, spesso da piu'
parti   prospettata,  secondo  cui  l'attuale  generale  tendenza  al
federalismo   potrebbe   supportare,  sul  piano  costituzionale,  la
disciplina di cui al decreto legislativo n. 373/2003.
    Al  riguardo  va  innanzitutto  sottolineata  la inattualita', al
livello  costituzionale,  di una scelta propriamente federalistica e,
in   secondo  luogo,  come  la  disciplina  del  decreto  legislativo
n. 373/2003  non  sarebbe  del tutto coerente neppure con tale futura
impostazione.
    Potrebbe  infatti  predicarsi,  anche in questo caso, quanto gia'
dianzi  osservato  in  relazione  alla  portata  generale ed uniforme
dell'art.  7  della  legge  n. 131/2003. Invero, anche ammettendo, in
ipotesi, una scelta federalistica gia' in atto, non si comprenderebbe
perche'  questa  scelta debba giustificare un esercizio differenziato
della   giurisdizione   che   debba  valere  solo  per  la  giustizia
amministrativa,  solo  per  la Regione siciliana, e solo per l'ultimo
grado di giudizio.
    In  altri  termini, anche volendo ipotizzare, de jure condendo ed
in   una  visione  federalistica,  una  giurisdizione  amministrativa
diversa  da quella attuale, e cio', in una ottica di collegamento con
le  autonomie  locali, sembrerebbe evidente che tale riforma dovrebbe
trovare specifica disciplina in una legge statale ex art. 117 secondo
comma  lettera  l)  della Costituzione (Corte cost. n. 29/2003 cit.).
Inoltre,  in  base ai principi costituzionali sulla uniformita' della
giurisdizione  su  tutto  il  territorio  nazionale, siffatta riforma
dovrebbe  avere  portata generale senza differenziazioni di regime da
regione a regione (Corte cost. nn. 42/1991, 113/1993, 150/1993 cit.).
    Non   meno   irrilevante  e'  la  argomentazione,  peraltro  meta
giuridica,  secondo  cui  sul decreto legislativo 377/2003 si sarebbe
espresso  favorevolmente,  nel  senso della sua costituzionalita', il
Consiglio di Stato nella Adunanza generale del 2 ottobre 2003.
    In  proposito va evidenziato che in quella occasione il Consiglio
di   Stato,   preso   atto   della   pendenza   della   questione  di
costituzionalita'   sollevata   dall'ordinanza  di  questo  Consiglio
n. 185/2003,  ha espressamente rilevato «come l'Adunanza generale non
abbia  titolo  ad  interloquire  in ordine all'ampia serie di censure
sollevate  dal  C.G.A.,  anche per un doveroso rispetto istituzionale
nei confronti della Corte costituzionale» (Allegato B).
    Una  assicurazione  in questo senso venne invece fornita, come da
procedura, dall'Ufficio legislativo del Ministero della giustizia con
nota  11  luglio  2003,  protocollo  n. 1499/-30/21-113. Il Ministero
infatti  ha testualmente affermato che lo schema trasmessogli «appare
complessivamente  idoneo  a  superare le censure di costituzionalita'
che  il  C.G.A.  ha  mosso  alla  vigente normativa, sia per cio' che
attiene ad eventuali eccessi di delega, sia per cio' che attiene alla
composizione  dell'organo  giurisdizionale» (Allegato C). Trattasi di
formula   apodittica   alla  quale,  comunque,  non  potrebbe  essere
riconosciuta  alcuna  efficacia  preclusiva  dell'attuale giudizio di
costituzionalita'.
    Per   le  suesposte  argomentazioni  si  ritiene  che  il  quadro
normativo  offerto  dal  decreto  legislativo  n. 373/2003, ancorche'
sostanzialmente  migliorativo  rispetto al precedente quanto a talune
garanzie  di  imparzialita'  ed  indipendenza  dei  membri  laici del
C.G.A.,   non   abbia   risolto   (come   gia'  avvertito  dai  primi
commentatori)  la questione di fondo concemente la legittimita' della
istituzione   di   una   forma   di   esercizio  della  giurisdizione
amministrativa  in Sicilia diversa dal resto del territorio nazionale
in assenza - ripetesi - di una specifica copertura costituzionale.
    Pertanto  si ritiene che il nuovo quadro normativo non valga, per
cio'  solo, a rendere manifestamente infondate le anzidette questioni
di  costituzionalita'  che  meritano  quindi  di essere riproposte al
vaglio del giudice delle leggi.
    Le  questioni  di  costituzionalita'  dianzi esposte appaiono poi
rilevanti  ai  fini  del  presente giudizio in quanto la legittimita'
costituzionale   della   composizione  del  Collegio  rappresenta  un
presupposto    imprescindibile   per   l'esercizio   della   funzione
giurisdizionale (v. da ultimo Corte cost. n. 353/2002).
    Quanto  alla  non manifesta infondatezza, il Collegio ritiene che
tale    requisito    sussista   sia   con   riferimento   all'assetto
costituzionale  precedente,  sia  anche  con  riferimento all'assetto
costituzionale  quale  risulta  dopo  la  modifica del Titolo V della
Costituzione per effetto della L. Cost. n. 3/2001.
    15.  -  Al  riguardo  va innanzitutto ricordato, alla stregua del
pacifico  insegnamento  della Corte costituzionale, inaugurato con la
sua  stessa  prima  decisione  (n. 1/1956),  che  le norme ordinarie,
ancorche'  nate  costituzionalmente legittime, possono essere affette
da illegittimita' costituzionale sopravvenuta per contrasto con nuove
norme costituzionali (Corte cost. n. 13/1974).
    Cio'  vale anche per lo statuto siciliano, approvato con r.d.lgs.
15  maggio  1946, n. 455 prima della Costituzione repubblicana, i cui
articoli  26  e  27  -  come  gia'  accennato - sono stati dichiarati
incostituzionali  malgrado  la  costituzionalizzazione  dello statuto
fosse intervenuta successivamente (Corte cost. n. 6/1970 cit.).
    In  altri  termini, non sarebbe possibile una lettura delle norme
statutarie in senso non conforme alla Costituzione e ai suoi principi
fondamentali  poiche',  in  tal  caso,  le  stesse  norme  statutarie
potrebbero  risultare  affette  da  incostituzionalita'  (Corte cost.
nn. 30/1971,  31/1971,  32/1971,  12/1972, 175/1973, 1/1977, 18/1982,
183/1983,  170/1984,  1146/1988).  Nella  specie,  peraltro, la norma
statutaria  in  esame,  e cioe' l'art. 23 primo comma, nel suo tenore
letterale  e  nella  sua  ratio,  appare perfettamente coerente con i
principi  costituzionali  in  tema di uguaglianza dei cittadini nella
tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi,  nonche'  di uniformita'
dell'esercizio  della  giurisdizione  limitandosi  -  come piu' volte
osservato   -   al   puro   e  semplice  decentramento  degli  organi
giurisdizionali  superiori  nella  loro  composizione  ordinaria. Gli
interrogativi  non  riguardano  quindi  il  disposto  statutario,  ma
soltanto   la  sua  attuazione,  attuazione  che,  travalicando  tale
disposto,  ne  e'  stata fornita, dapprima con il decreto legislativo
n. 654/1948, ed attualmente, sotto il vigore del nuovo Titolo V della
Costituzione, con il decreto legislativo n. 373/2003.
    Cio'  premesso,  il  nuovo Titolo V della Costituzione, ad avviso
del   Collegio,   non   solo  non  fa  venir  meno  le  questioni  di
costituzionalita'  dianzi  prospettate,  ma rafforza, se mai, il peso
delle argomentazioni di cui sopra.
    Mantiene,   infatti,   identica   rilevanza   e   non   manifesta
infondatezza  la questione rubricata sub A3 concernente la violazione
del primo comma della VI disposizione transitoria della Costituzione.
    Quanto  agli  altri  profili,  puo'  ritenersi  anche per essi la
perdurante rilevanza ed anzi la maggiore fondatezza per effetto delle
disposizioni del nuovo Titolo V.
    Com'e'  noto, l'art. 10 della L. Cost. n. 3/2001 dispone che sino
all'adeguamento  dei  rispettivi  statuti,  le disposizioni del nuovo
Titolo  V  si  applicano anche alle regioni a statuto speciale per le
parti  in  cui  prevedono  forme  di  autonomia piu' ampie rispetto a
quelle gia' attribuite (cosiddetta clausola di maggior favore).
    Peraltro,  in  precedenza si e' denunciata la incostituzionalita'
di  talune  disposizioni  del  d.lgs.  n. 373/2003 in quanto norme di
attuazione statutaria contra legem, o comunque, praeter legem perche'
in  contrasto  con  la  lettera  e lo spirito della statuto siciliano
oltreche' con principi e precise disposizioni costituzionali.
    Tuttavia,  tali  principi  e tali disposizioni sono contenuti nel
Titolo  IV  della  Costituzione  e  non  gia'  nel  Titolo  V  le cui
modifiche,  pertanto, dovrebbero risultare ininfluenti ai fini qui in
esame.   Peraltro,   per   indispensabile   completezza,   dovrebbero
esaminarsi  taluni  aspetti  della  riforma, aspetti che comunque non
incidono sulle conclusioni dianzi esposte ma, se mai, le rafforzano.
    Innanzitutto  va  premesso che nella specie si tratta di valutare
la  costituzionalita'  di  una normativa emanata successivamente alla
entrata  in  vigore  della  Legge  costituzionale n. 3/2001. Quindi i
canoni circa il riparto di competenze legislative tra Stato e regioni
dovrebbero   essere   valutati   alla   stregua   del  nuovo  assetto
costituzionale  non  essendo  applicabile il principio di continuita'
dell'ordinamento (Corte cost. n. 422/2002).
    Cio'  premesso  va osservato che, come gia' accennato, nel vigore
della  distribuzione  delle  competenze  legislative  anteriore  alla
riforma   del   Titolo   V   la   giurisprudenza   costituzionale  ha
costantemente   affermato,   sin   dalla  decisione  n. 124/1957,  la
necessita'  di  distinguere lo Stato quale unico ente a fini generali
dalle  regioni  (ordinarie  o  a  statuto  speciale)  «enti  con fini
predeterminati  e inderogabilmente fissati» (Corte cost. n. 66/1964).
Da tale esigenza e' stato ricavato il corollario della impossibilita'
di  estendere  in  senso  finalistico l'ambito delle materie elencate
negli  statuti.  Pertanto,  anche  se  uno  statuto  speciale  avesse
attribuito  alla  competenza  esclusiva regionale il conseguimento di
fin  certo  fine,  questo  avrebbe  potuto essere conseguito soltanto
nell'ambito  delle  materie  attribuite alla competenza regionale. E'
cosi', esemplificando con riferimento alla Regione siciliana, il fine
statutario   di  cui  all'art.  14,  lettera  e),  «incremento  della
produzione  agricola  e  industriale»  pur  attribuendo  alla Regione
competenza  legislativa  esclusiva  in  materia,  non  le  consentiva
tuttavia  di  conseguirlo  disciplinando  il  regime  delle  accise e
dell'I.G.E.  poiche'  la  materia  dei tributi erariali non risultava
attribuita  alla  Regione  (Corte  cost. n. 124/1957 cit.). Identiche
conclusioni,  sempre  con  riferimento  alla  Regione siciliana, sono
state  ribadite  con riguardo alla giurisdizione, rilevandosi come la
competenza  esclusiva  «e'  strettamente  limitata alle materie quali
sono elencate negli statuti speciali restando escluso che, rispetto a
queste,  possano  valere  criteri  finalistici  che  non risultino da
valutazioni  del  tutto  obiettive  del  loro contenuto» (Corte cost.
n. 66/1964).  Ed  inoltre  che  non  sarebbe  possibile  una  esegesi
dell'ambito  delle  varie  materie «non suffragata dalla formulazione
letterale  della  disposizione statutaria» (Corte cost. n. 115/1972).
La necessita' di tracciare la linea di demarcazione tra le competenze
statali  e  quelle  regionali  «che  e'  necessario  tener ferma onde
salvaguardare  l'interesse  all'unita' dell'ordinamento» (Corte cost.
n. 46/1962)  ha  portato  ad  escludere  sia una competenza normativa
regionale  in  ambiti  connessi  alle materie attribuite (Corte cost.
n. 46/1962   cit.),   sia   una  esegesi  finalistica  delle  materie
attribuite  poiche'  «Se  cosi'  non  fosse la competenza legislativa
delle  regioni si estenderebbe, potenzialmente, a tutto l'ordinamento
giuridico  ..... e, per converso, tutta la potesta' legislativa dello
Stato  sarebbe  limitata  dalla  potesta'  della  regione di regolare
qualunque  rapporto  giuridico  nel  campo delle attivita' attribuite
alla   competenza  regionale,  in  modo  diverso  dalla  legislazione
statale» (Corte cost. n. 66/1961).
    Il  quadro  e' mutato con il nuovo Titolo V, ma la giurisprudenza
costituzionale sembra orientata su una linea di continuita'.
    Nelle  sue prime pronuncie sull'argomento la Corte costituzionale
infatti, da in lato ha sottolineato le novita' del quadro complessivo
dei   rapporti   tra   Stato   e  Regioni  nel  quale  «sono  apparsi
particolarmente  rilevanti l'art. 114, che pone sullo stesso piano lo
Stato  e  le  Regioni,  come  entita'  costitutive  della Repubblica,
accanto  ai comuni, alle citta' metropolitane e alle province; l'art.
117,    che    ribalta   il   criterio   prima   accolto,   elencando
specificatamente le competenze legislative dello Stato e fissando una
clausola  residuale in favore delle regioni; e infine l'art. 127, che
configura  il  ricorso  del  Governo  contro  le leggi regionali come
successivo,  e non piu' preventivo». Peraltro, pur nel mutato assetto
la  Corte  non  ha  mancato  di sottolineare come, «nel nuovo assetto
costituzionale  scaturito  dalla  riforma,  allo Stato sia pur sempre
riservata,  nell'ordinamento generale della Repubblica, una posizione
peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui
all'art.  5 della Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione di
un'istanza  unitaria,  manifestata  dal  richiamo  al  rispetto della
Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti  dall'ordinamento
comunitario  e dagli obblighi internazionali, come limiti di tutte le
potesta'  legislative  (art.  117,  primo comma) e dal riconoscimento
dell'esigenza   di   tutelare   l'unita'   giuridica   ed   economica
dell'ordinamento  stesso  (art.  120,  secondo comma). E tale istanza
postula  necessariamente  che  nel  sistema  esista  un soggetto - lo
Stato,  avente  il  compito  di assicurarne il pieno soddisfacimento»
(Corte cost. n. 274/2003).
    Come  si e' visto, nella ripartizione di competenze stabilita dal
nuovo  art. 117 della Costituzione le regioni (anche quelle a statuto
speciale)  hanno  goduto  di  un significativo ampliamento della loro
sfera  di  competenza  legislativa  che,  ai  sensi  del quarto comma
dell'attuale   art.  117,  e'  divenuta  generale  in  via  residuale
invertendosi  l'originario  criterio. Si discute quindi sul carattere
esclusivo  generale  di  tale competenza, e cioe' ci si chiede se una
materia  non  riconducibile  al  secondo  e terzo comma dell'art. 117
rientri,  percio' solo, nella competenza generale residuale (v. Corte
cost.  n. 370/03).  Ci  si  chiede  poi se i limiti a tale competenza
siano  soltanto quelli generali di cui all'art. 117, primo comma o se
ve  ne siano anche degli altri. Inoltre, con riferimento alle regioni
a  statuto  speciale,  ci  si  interroga  se la precedente competenza
legislativa  primaria  sia transitata o meno nella residuale generale
dell'art.  117, quarto comma e se ad essa debbano applicarsi i vecchi
limiti  presenti  negli  statuti  speciali  ovvero i nuovi ricavabili
dall'art. 117, primo comma, e non solo da questo.
    In  riferimento  alle  problematiche  dianzi  rilevate  e  di non
agevole soluzione, che emergono dal nuovo Titolo V, e con riferimento
alla  questione in esame, sembra opportuno chiedersi, in primo luogo,
se, a fronte, dell'ampliamento delle competenze legislative regionali
derivante  dalla  attribuzione  di competenza generale residuale, non
debba  contrapporsi,  anche  per  le  regioni  a statuto speciale, la
riserva  di  legislazione  esclusiva  a favore della Stato cosi' come
elencata all'art. 117 secondo comma.
    Al  riguardo,  la Corte ha pronunciato alcune decisioni in cui si
afferma  che  il nuovo Titolo V non si applica alle regioni a statuto
speciale,  se  non  nelle parti che prevedono forme di autonomie piu'
ampie  rispetto  a  quelle  gia'  attribuite  (v.  Corte  cost.  ord.
n. 377/2002  decisioni  nn. 408/2002,  533/2002,  48/2003, 103/2003).
Tuttavia,  in  un'altra decisione, concernente la Regione Sardegna, e
in  materia  di caccia in cui tale Regione gode di potesta' normativa
primaria,   le   argomentazioni   della  Corte  appaiono  molto  piu'
articolate  in  quanto  si  e' affermato (con riferimento espresso al
nuovo  Titolo  V)  che  «la  disciplina  statale  rivolta alla tutela
dell'ambiente  e  dell'ecosistema  puo'  incidere anche sulla materia
caccia   pur  riservata  alla  potesta'  legislativa  regionale,  ove
l'intervento  statale  sia  rivolto  a  garantire  standard  minimi e
uniformi  di  tutela della fauna trattandosi di limiti unificanti che
rispondono   ad  esigenze  riconducibili  ad  ambiti  riservati  alla
competenza esclusiva dello Stato» (Corte cost. n. 536/2002).
    Sembrerebbe quindi che la Corte costituzionale abbia riconosciuto
che  nel  nuovo  assetto  delle competenze legislative, delineato dal
nuovo  Titolo  V, le materie riservate in via esclusiva allo Stato si
impongono  anche alle competenze legislative primarie delle regioni a
statuto  speciale, ma non in toto, bensi' nel senso piu' ristretto di
poter  fissare  a  quelle  autonomie  regionali  nuovi  limiti  prima
inesistenti.  Tale orientamento e' stato poi ribadito dalla Corte sia
nei  confronti  (come  era  avvio)  delle regioni a statuto ordinario
(decisione n. 227/2003) sia nei confronti della Provincia autonoma di
Trento   dotata  di  competenza  esclusiva  in  materia  e  cio'  con
riferimento  ai  preesistenti  limiti  statutari  all'esercizio della
competenza anzidetta (decisione n. 226/2003).
    In  altri termini, nella esegesi della Corte sembra affermarsi il
concerto    che   le   esigenze   di   unitarieta'   ed   uniformita'
dell'ordinamento  (v.  anche  dec.  n. 274/2003  cit.),  insite nella
elencazione  delle  competenze  esclusive  statalie  specie in quelle
trasversali   (e   cioe'  definibili  finalisticamente  fin  che  per
l'oggetto,  quale  la  tutela  dell'ambiente,  della concorrenza, del
risparmio,  la  determinazione  dei livelli essenziali v. Corte cost.
nn. 282/2002,  407/2002,  88/2003, 303/2003, 376/2003, 14/2004), sono
talmente  rilevanti  da  condizionare  ex  novo anche la operativita'
della clausola di maggior favore.
    Se  cio'  e'  esatto,  anche  qualora lo statuto siciliano avesse
attribuito  espressamente  alla  competenza primaria della regione la
organizzazione,  in  ambito regionale, della giustizia civile, penale
ed   amministrativa  di  ultima  istanza  (il  che  non  risulta  ne'
implicitamente ne' esplicitamente), ebbene, anche in questo ipatetico
caso,  la  maggiore  autonomia  statutaria  spettante  in  base  alla
clausola  di maggior favore ne uscirebbe ridimensionata nel senso che
non  potrebbe piu' disciplinare, in una forma derogatoria per la sola
Regione  siciliana,  aspetti della organizzazione giudiziaria che, ex
art.  117  secondo  comma lettera l), debbono restare necessariamente
unitari  per l'ordinamento generale della giustizia (composizione dei
Collegi,  stato giuridico dei magistrati laici e togati etc.). Quanto
poi  al  carattere  finalistico  della  materia  «giurisdizione»,  e'
sufficiente  osservare  come  questa attenga direttamente, ex art. 24
Cost.,  «alla  tutela  dei  propri  diritti ed interessi legittimi» e
quindi  non  sembrerebbe  dubitabile  che  anche essa appartenga alla
stessa  categoria  trasversale e finalistica al pari della tutela del
risparmio,  della concorrenza, dell'ambiente ed altresi' (farse anche
nel  suo  contenuto)  a quella dei livelli essenziali di prestazioni,
come  sembrerebbe  gia'  adombrato nella citata decisione Corte cost.
n. 150/1993.
    Potrebbe   invece   consolidarsi   una   diversa   esegesi  nella
applicazione  dell'art.  10 della L. Cost. n. 3/2001, nel senso cioe'
che  le  materie riservate in via esclusiva allo Stato dal nuovo art.
117,  secondo comma non possono costituire ad introdurre nuovi limiti
ai piu' ampi poteri normativi primari che, nelle stesse materie, sono
previsti  negli  statuti  speciali,  e  che debbono, semmai, soltanto
applicarsi   i  vecchi  limiti  statutari  alla  normativa  primaria.
Tuttavia, anche in questo caso, permarrebbe la rilevanza dei dubbi di
costituzionalita'   dianzi   denunciati   e  la  loro  non  manifesta
infondatezza.
    Invero, la Corte costituzionale, nella decisione n. 48/2003 da un
lato ha affermato che l'applicazione della clausola di maggior favore
(condotta   sulla   base  di  una  valutazione  comparativa)  esclude
avviamente  le competenze normative statali, ma ha riconfermato nella
specie,  per quanto qui interessa, il limite statutario della armonia
con la Costituzione e con i principi dell'ordinamento giuridico della
Repubblica.  La  statuto  siciliano, pur anteriore alla Costituzione,
prevede   simulmente   (art.  14,  prima  comma)  che  la  competenza
legislativa   primaria   si   esercita   nei   limiti   delle   leggi
costituzionali  della  Stato.  Non  si  e' mai dubitato quindi che la
competenza  primaria  della  Regione  siciliana  dovesse  osservare i
principi della Costituzione (Corte cost. nn. 66/1964, 115/1972) cosi'
come   anche   i   principi   fondamentali  delle  leggi  di  riforma
economico-sociale  (Corte  cost.  nn. 545/1989, 4/2000, 314/2003). In
questo  caso  i  limiti  alla  possibilita'  di legiferare in tema di
giurisdizione  sarebbero  rappresentati, oltre che dall'art. 14 primo
comma  dello  statuto, da quelli ricavabili, come sottolinea la Corte
costituzionale  (dec. 274/2003 cit.) dall'art. 5, dall'art. 117 prima
comma, e dall'art. 120 secondo comma della Costituzione.
    In   conclusione,  quindi,  i  principi  unitari,  unificanti  ed
infrazionabili   ricavabili   dalla  Costituzione,  tra  i  quali  va
annoverata  la  uniformita'  della  disciplina della giurisdizione in
ogni  suo  aspetto  su  tutto  il  territorio nazionale, si impongono
comunque  alle  regioni  statuto  speciale in assenza di una espressa
deroga  statutaria  e, dopo la riforma del Titolo V, potrebbero anche
limitare la portata di una eventuale espressa deroga statutaria. Tale
prevalenza,  che prescinde anche dalla clausola di maggior favore, si
applica  sia  con  riferimento ai limiti alla normativa primaria gia'
presenti negli statuti, sia ai nuovi limiti, e ci sia con riferimento
all'assetto  antecedente  Ia  riforma  del  Titolo  V,  sia  a quello
successivo.  In proposito la Corte costituzionale ha affermato che il
potere  di disciplinare l'esercizio della giurisdizione «alla Regione
Sardegna  come alle altre regioni a statuto speciale od ordinario non
spetta,  restando  invece  riservato  alla competenza del legislatore
statale  (cfr.  sentenza  115 del 1972; e v. oggi l'art. 117, secondo
comma  lettera  l)  della  Costituzione  come  sostituito dalla legge
costituzionale n. 3 del 2001)» (Corte cost. n. 29/2003).
    Pertanto,  sia  la  riserva  di legge statale di cui all'art. 117
secondo   comma  lettera  l)  della  Costituzione,  sia  il  disposto
dell'art.  14  prima  comma  dello  statuto  siciliano  nonche' degli
articoli  5,  117 primo comma e 120 secondo comma della Costituzione,
inducono  tutti  a  ritenere  che  i  vizi  di  costituzionalita'  in
precedenza    denunciati   si   dovrebbero   ritenere   ulteriormente
confermati.  Al  limite,  qualora i dubbi di costituzionalita' dianzi
esposti avessero potuto essere superati con riferimento al precedente
assetto  costituzionale, gli stessi dovrebbero essere inevitabilmente
riconosciuti con riferimento al nuovo.
    Pertanto,  il  combinato  disposto  degli  articoli  5, 102 primo
comma,  108  primo  comma, 117 prima e secondo comma lettera l) e 120
secondo  comma  della  Costituzione dovrebbe ormai dimostrare in modo
inconfutabile  che  le  norme di attuazione di cui al d.lgs. 373/2003
sembrano  affette  da incostituzionalita' alla luce della riforma del
Titolo  V. In altri termini, l'art. 117 secondo comma rafforza, se ce
ne   fosse  bisogno,  la  necessita'  di  attenersi  ad  una  esegesi
strettamente  letterale dell'art. 23 dello statuto siciliano. Invero,
nel  silenzio  totale  della  statuto  in  materia  di organizzazione
giudiziaria  (oltre  all'art. 23  v.  anche  gli articoli 14 e 17) si
osserva,  innanzitutto,  che non puo' scattare la clausola di maggior
favore non essendo tale materia attribuita alla competenza regionale,
e, in secondo luogo, che comunque, qualsiasi iniziativa normativa che
dovesse  essere  assunta  in  proposito,  vuoi in sede di commissione
paritetica  vuoi  autonomamente dallo Stato a dalla regione, dovrebbe
in  ogni  caso  tener  conto dell'art. 117 primo comma secondo cui la
Costituzione  (e quindi la competenza esclusiva statale da esercitare
nella  materia  de  qua  con  caratteri di uniformita) costituisce un
limite insuperabile a qualsiasi categoria di normazione regionale sia
essa  primaria  che  concorrente  e  sia  anche  in  sede di norme di
attuazione  che  restano  pur  sempre subordinate alla Costituzione e
quindi anche alle esigenze unitarie caratterizzate negli articoli 5 e
120 secondo comma.
    16.  Pertanto in relazione alle questioni elencate sub A, A1, A2,
A3, puo' essere posta anche la seguente:
    A 4 in subordine qualora si potesse ritenere la costituzionalita'
dell'art.  4  primo  comma lettera d) e del successivo secondo comma,
nonche'  dell'art.  6 secondo comma del d.lgs. 373/2003 limitatamente
alle  parole  «e  all'art.  4 comma uno lettera d)» in relazione alle
questioni   sollevate   ai  precedenti  punti  sub  A1,  A2,  A3,  si
ripropongono  le  stesse  questioni  in  rapporto  anche  al disposto
dell'art.   117   secondo   comma   lettera  l)  della  Costituzione,
dell'art. 14   primo  comma  dello  statuto  siciliano,  dell'art. 5,
dell'art. 117  primo  comma  e  dell'art.  120  secondo  comma  della
Costituzione.
    In  conclusione,  quindi, tutte Ie questioni di cui ai precedenti
punti   sub   A   appaiono  rilevanti,  in  quanto,  la  legittimita'
costituzionale  della  composizione  del Collegio costituisce, di per
se',  un  presupposto per l'adozione di qualsivoglia decisione (v. da
ultimo Carte cost. n. 353/2002).
    Peraltro,  come  in  precedenza  osservato,  mentre  e' possibile
adottare  una  esegesi  costituzionalmente  corretta  sulla  base del
tenore letterale dell'art. 23 primo comma dello statuto siciliano, la
tassativita'   delle  disposizioni  di  cui  sopra  non  consente  di
adottare,  in  subiecta  materia, una esegesi costituzionale corretta
ne' sussiste un diritto giurisprudenziale vivente che la supporti (v.
da ultimo Corte cost. ord. 30 gennaio 2003 n. 19).
    Il Collegio peraltro ritiene che il vigente regime transitorio ed
anche la futura possibilita' di diversa composizione del Collegio per
effetto  di eventuali nuove nomine di laici regionali ex art. 4, 6, 7
e  15  del  d.lgs.  373/2003  non  influisca  sulla  rilevabilita'  e
rilevanza delle questioni sin qui prospettate.
    Innanzitutto  va osservato che il decreto legislativo n. 373/2003
e'  entrato in vigore il 29 gennaio 2004 e che, ai sensi dell'art. 14
dello stesso decreto da tale data sono abrogati il d.lgs. n. 654/1948
e  il  d.P.R. n. 204/1978, per cui nessuna efficacia puo' piu' essere
riconosciuta alla precedente normativa.
    Per  quanto  invece concerne le nomine effettuate sotto il vigore
di  quella va tuttavia considerato che, con espresso riferimento alle
nomine  precedenti,  la  norma  transitoria  di cui all'art. 15 prima
comma  del  d.lgs.  n. 373/2003  consente  ai  laici componenti della
Sezione  giurisdizionale di rimanere in carica sino al compimento del
sessennio   a   decorrere   dal   rispettivo  giuramento,  (sia  pure
subordinatamente  ad  una  dichiarazione  di  insussistenza ovvero di
intervenuta  cessazione  delle  cause  di incompatibilita), mentre il
successivo  secondo  comma  consente  ai  medesimi  la  permanenza in
servizio  per  sessanta  giorni  dall'entrata  in  vigore del decreto
legislativo,  ancorche'  versino  in situazioni di incompatibilita' o
comunque gia' scaduti.
    Pertanto,  il  regime transitorio di cui al primo e secondo comma
dell'art. 15   del  d.lgs.  n. 373/2003  consente  l'esercizio  della
giurisdizione  di  questo C.G.A. nella composizione mista, atteso che
per  i  membri  laici presenti in questo Collegio il sessennio non e'
ancora  scaduto  (v.  allegati D, D1 e E, E1) e neppure e' scaduto il
termine  di  sessanta  giorni  dalla  entrata  in vigore del predetto
decreto legislativo (29 gennaio 2004).
    Conseguentemente,  le  anzidette  questioni  di costituzionalita'
possono  essere  sollevate  anche nei confronti del primo, cosi' come
del  secondo  comma  del  citato  art. 15 ovviamente, in parte qua, e
cioe',  con  esclusivo  riferimento  ai  membri  laici  della Sezione
giurisdizionale.
    Peraltro  va  anche  sottolineato  che si tratta di questioni che
riguardano  direttamente,  e  a  regime,  il  modo  di  essere  e  di
funzionare di questo Consiglio.
    Esse  invero  prescindono  nel  modo  piu'  completo  dalla varia
posizione  che  possano  rivestire gli attuali membri laici di questo
Consiglio  in  relazione  al regime transitorio e cioe' se proseguono
nell'incarico  ovvero  se  vengono  sostituiti  da  altri. Invero, le
questioni   prospettate  in  precedenza  concernono  la  legittimita'
costituzionale  in  apicibus  di  una  composizione  mista  di questo
Consiglio,  questioni  nei  confronti  della  quale  e  irrilevante e
ininfluente  la  eventualita'  di  nuove  nomine  di  membri laici in
sostituzione o in aggiunta agli attuali.
    Inoltre,  onde fugare eventuali eccezioni di inammissibilita', e'
opportuno  richiamare il pacifico e costante insegnamento della Corte
costituzionale  in  tema  di  autonomia  del  processo costituzionale
secondo  cui  «il  requisito della rilevanza riguarda solo il momento
genetico  in cui il dubbio di costituzionalita' viene sollevato e non
anche  il  periodo  successivo  alla  remissione della questione alla
Corte costituzionale» (v. da ultimo Corte cost. ord. n. 110/2000).
    Nella  medesima  ottica  e'  stato  chiarito  che «la vicenda del
processo  incidentale  di legittimita' costituzionale non puo' essere
influenzata  da  circostanze  di  fatto sopravvenute nel procedimento
principale:  e  cio'  in  quanto, svolgendosi il processo incidentale
nell'interesse  pubblico, e non in quello privato, una volta che esso
si  sia  validamente  instaurato  a norma dell'art. 23 legge 11 marzo
1953   n. 87,   acquisisce  una  autonomia  che  lo  pone  al  riparo
dall'ulteriore  atteggiarsi  della  fattispecie,  financo nel caso in
cui,  per qualsiasi causa, fosse venuto a cessare il giudizio rimasto
sospeso  (art.  22 delle norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale)» (Corte cost. ord. nn. 300/1984, 383/2002, e v.
anche dec. nn. 135/1963, 701/1988, 52/1986).
    Quanto  poi  alla  ammissibilita'  delle  questioni  anzidette il
Collegio   si   richiama   parimenti   all'insegnamento  della  Corte
costituzionale  (Corte  cost.  nn. 177/1973,  25/1976 e 266/1988). La
Corte ha infatti affermato che la possibilita' di una declanatoria di
incostituzionalita'  della  composizione  del  Collegio  non puo' far
venir  meno,  ex  ante, la ammissibilita' e rilevanza della questione
(Corte  cost.  n. 177/1973)  poiche', in tal caso, siffatte questioni
non potrebbero mai venire sollevate (Corte cost. n. 266/1988).
    Il  Collegio  non  puo' non rilevare infine anche la singolarita'
della   circostanza   occorsa  in  sede  di  emanazione  del  decreto
legislativo   n. 373/2003   in  esame,  la  cui  norma  di  copertura
finanziaria  e' contenuta in un separato decreto-legge e precisamente
nell'art.  6  del  d.l.  24  dicembre  2003  n. 354 la cui entrata in
vigore,  ai  sensi  del successivo art. 9, e' stata fissata per il 1°
gennaio  2004  ed  e' stato successivamente convertito nella legge 26
febbraio 2004 n. 45.
    Dalla   relazione   tecnica   allegata,   ex   art. 11-ter  legge
n. 468/1978, al d.l. 354/2003 (v. allegato F), risulta che il maggior
onere  complessivo  a  carico  dello  Stato, pari ad Euro 697.500,00,
veniva  ripartito  in  Euro  279.000 per compensi e indennita' per un
presidente  di  sezione  e due consiglieri di Stato fuori ruolo ed in
Euro  418.500 per la meta' a carico dello Stato del compenso iniziale
di consigliere di Stato spettante ai nove componenti laici.
    In  proposito,  il Collegio osserva che la norma di cui sopra non
incide   sulla   rilevabilita'   e   rilevanza   delle  questioni  di
costituzionalita'   dianzi   adombrate,   in  quanto  ne  rappresenta
semplicemente  i  conseguenziali  sviluppi  sul  piano  della finanza
statale,  ma  condiziona  tuttavia la operativita' delle disposizioni
della  cui  costituzionalita'  si  dubita.  Di  qui  la necessita' di
denunciarne  la  incostituzionalita'  sia  pure  in via derivata e in
parte qua.
    Va  infine  ricordato  che,  ex art. 27 della legge n. 87/1953 e'
possibile una declarataria di incostituzionalita' derivata.
    Pertanto  dalle  censure rubricate sub A, Al, A2, A3, A4 dovrebbe
derivatamente discendere la incostituzionalita' anche dell'art. 6 del
d.l.  n. 354/2003,  convertito  nella  legge 26 febbraio 2004, n. 45,
peraltro  limitatamente  alla  parte  in  cui  assicura  la copertura
finanziaria  dello  Stato  in  misura pari alla meta' dello stipendio
iniziale  di  consigliere di Stato per quattro componenti laici della
Sezione giurisdizionale e quindi per Euro 186.000.
    17.  -  Tutto  cio'  premesso per quanto concerne le questioni di
costituzionalita'  sollevate  dai  controinteressati  al  punto sub A
della  memoria  del  12  febbraio 2004, vanno di seguito esaminate le
questioni sollevate dagli stessi e rubricate di seguito, nella stessa
memoria del 12 febbraio 2004, sub B e C.
    Il   Collegio   e'   consapevole  del  fatto  che  ove  la  Corte
costituzionale dovesse ritenere fondata taluna delle questioni dianzi
elencate  sub  A,  quelle  Sub  B  e C proposte dai controinteressati
resterebbero  assorbite ed e quindi consapevole che queste ultime, in
tanto  potranno  venire in esame in quanto vengano ritenute infondate
quelle  sub  A.  Peraltro, il Collegio ritiene di doversi dare carico
anche  di  siffatte  questioni rubricate sub B e C, in relazione alle
quali, a differenza di quelle sub A, se ne deve ritenere la manifesta
infondatezza per le ragioni che vengono di seguito esposte.
    Per  quanto  concerne  la  questione  sub  B, il Collegio ritiene
infatti possibile una esegesi del decreto legislativo n. 373/2003 che
lo  ponga in linea con i principi costituzionali di cui agli articoli
3, 24, 101, 108 e 111 della Costituzione.
    Invero,  e'  esatto  che  il  disposto  dell'art.  28 della legge
n. 186/1982  non  e'  stato esplicitamente richiamato nell'art. 4 del
decreto  legislativo  n. 373/2003,  ma  appare  tuttavia  possibile e
legittima  una esegesi che ritenga applicabile, anche ai membri laici
del  C.G.A., tutte le incompatibilita' previste in via generale per i
magistrati   amministrativi   dal   predetto   art.  28  della  legge
n. 186/1982.
    Il  primo  comma  dell'art. 7 del decreto legislativo n. 373/2003
dispone   infatti   che  «ai  componenti  del  C.G.A.  designati  dal
Presidente della Regione e dal Prefetto, durante il periodo di durata
in  carica  si applicano le norme concernenti lo stato giuridico e il
regime  disciplinare dei magistrati del Consiglio di Stato. Pertanto,
non  sembrerebbe  potersi  dubitare  che,  ai componenti di cui sopra
debba  applicarsi altresi' il regime delle incompatibilita' di cui al
citato  art.  28. Tale conclusione e' avvalorata anche dal successivo
terzo  comma  dell'art.  7,  secondo cui i poteri di vigilanza di cui
all'art.  31  -  secondo  e  terzo  comma della legge n. 186/1982 «si
applicano  nei confronti di tutti i membri del Consigilo di Giustizia
amministrativa».  Sembrerebbe  quindi  indubitabile  che  l'eventuale
sussistenza  a sopravvenienza di cause di incompatibilita' ex art. 28
della  legge  n. 186/1982  potrebbero  dar  luogo  a  responsabilita'
disciplinare.
    Per  le medesime considerazioni il Collegio ritiene possibile una
esegesi   costituzionalmente   corretta   dell'art.   15  del  d.lgs.
n. 373/2003  (per i profili non toccati dalle questioni sollevate sub
A)  il  quale  puo'  essere  anch'esso  interpretato nel senso che la
rimazione  alle  cause  di incompatibilita' faccia carico non solo ai
membri  laici  attualmente  in  carica,  ma  altresi'  a quanti altri
venissero in prosieguo nominati.
    Occorre ora esaminare la censura sub C in cui i controinteressati
deducono  la  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 6 del decreto
legislativo  n. 373/2003  in  quanto  non  sarebbe  stato previsto un
meccanismo  che  consenta,  alla  scadenza  del  sessennio,  ed  alla
conseguente   automatica   cessazione   dei   laici  dalla  carica  e
dall'esercizio  delle  funzioni,  di  evitare  una paralisi, Sia pure
temporanea, dell'attivita' dell'organo giurisdizionale.
    Al  riguardo  il  Collegio,  richiama  l'insegnamento della Corte
costituzionale  secondo  cui gli eventuali inconvenienti cui potrebbe
dar  luogo  l'applicazione di una normativa non valgono, di per se' a
dimostrarne   la   incostituzionalita'   (Corte  cost.  nn. 377/1993,
101/1995).
    Sotto  altro  profilo ricorda altresi' l'insegnamento secondo cui
le  difficolta' nella formazione dei collegi giudicanti costituiscono
inconvenienti  di  mero  fatto, come tali irrilevanti nel giudizio di
costituzionalita'. (Corte cost. nn. 224/1999, 172/2001, 261/2002).
    Peraltro,  va  inoltre  considerato, che attualmente, l'art. 120,
secondo  comma  della Costituzione prevede espressamente l'intervento
sostitutivo  del  Governo,  intervento  che  ha  trovato una compiuta
disciplina  nell'art.  8  della  legge  5  giugno 2003, n. 131 il cui
quarto comma contempla anche i casi di assoluta urgenza.
    Per    le    suesposte   considerazioni   il   Collegio   ritiene
manifestamente   infondate   le  questioni  sollevate  nella  memoria
prodotta  in  data  12  febbraio  2004  dai  controinteressati ed ivi
rubricate sub B e C.
    18.  -  Con  riferimento,  peraltro, alle questioni in precedenza
ritenute  rilevanti  e non manifestamente infondate, va rammentato in
relazione ai possibili effetti delle pronuncie di incostituzionalita'
che  «l'eventuale  vuoto  di  disciplina  che  verrebbe a prodursi in
conseguenza della dichiarazione d'illegittimita' costituzionale .....
(vuoto  di  disciplina  che  spetterebbe  in ogni caso al legislatore
colmare)»  non  puo' incidere sulla ammissibilita' delle questioni di
costituzionalita' (Corte cost. n. 266/1988 cit.).
    A    tale   proposito   va   conclusivamente   sottolineato   che
dall'eventuale    accoglimento   di   taluna   delle   questioni   di
costituzionalita'   dianzi   esposte   e  ritenute  rilevanti  e  non
manifestamente  infondate,  non  discenderebbe  la eliminazione della
presenza  in  Sicilia  del giudice amministrativo di appello ma, come
gia'  sottoliniato nelle ordinanze nn. 185/2003 e 303/2003, solamente
la   sostituzione   della   sezione   giurisdizianale  del  C.G.A.  a
composizione  mista  con una Sezione giurisdizionale del Consiglio di
Stato a composizione ordinaria.
    19.  - Ritenuto pertanto che l'appello cautelare non possa essere
definito  prescindendo dalla risoluzione delle anzidette questioni di
costituzionalita'.
                              P. Q. M.
    Sospende  ogni  pronuncia sull'istanza cautelare, e si riserva di
provvedere  in  merito  all'appello  cautelare di cui sopra all'esito
della pronuncia della Corte costituzionale sulle questioni di seguita
elencate.
    Pertanto,  visto  l'art.  23  della legge 11 marzo 1953, n. 87 il
Collegio,  ritenute  rilevanti  e  non  manifestamente  infondate  le
seguenti questioni di costituzionalita':
        A)  dell'art.  4,  prima  comma,  lettera d) e del successivo
secondo   comma,  nonche'  dell'art.  6,  secondo  comma  del  d.lgs.
n. 373/2003  limitatamente  alle  parole  «e  all'art.  4, comma uno,
lettera  d)»  nonche',  in  parte  qua, dell'art. 15, primo e secondo
comma  limitatamente alla possibile permanenza dei membri laici della
Sezione  giurisdizionale  e, derivatamente, in parte qua, dell'art. 6
del  d.l.  n. 354/2003  convertito  in  legge  n. 45/2004 in rapporto
all'art. 23 dello Statuto siciliano ed all'art. 102 primo comma e 108
primo  comma  Cost.  in  quanta  l'art.  23 dello statuto non prevede
alcuna deroga alla composizione ordinania delle sezioni del Consiglio
di  Stato da localizzare in Sicilia; in rapporto agli art. 102, primo
comma  e  108  primo comma Cost. in quanto il d.lgs. n. 373/2003 cit.
disciplina  una  materia  riservata  dalla  Costituzione  alla  legge
statale,  per cui eventuali deroghe a favore dell'autonomia regionale
debbono  essere  supportate  da una espressa previsione di pari rango
costituzionale; nonche', in rapporto agli articoli 3, 24 primo comma,
113  primo  comma  Cost.,  in  quanto  introduce  una  ingiustificata
differenziazione dell'organo giudicante e quindi anche dell'esercizio
della giurisdizione su una parte del territorio nazionale;
        A1  in  subordine  dell'art. 4, primo comma, lettera d) e del
successivo  secondo  comma,  nonche'  dell'art.  6  secondo comma del
d.lgs.  n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4 comma uno
lettera d)» nonche', in parte qua, dell'art. 15 primo e secondo comma
limitatamente  alla  possibile  permanenza  dei  membri  laici  della
Sezione  giurisdizionale  e, derivatamente, in parte qua, dell'art. 6
del  d.l.  n. 354/2003  convertita  in  legge  n  45/2004 in rapporto
all'art.  23  primo comma dello statuto siciliano che non prevede ne'
una  sezione  specializzata del giudice speciale ne' una composizione
collegiale  diversa  da  quella  ordinaria e cio' anche in relazione,
quale  tertia  comparationis,  all'art. 24, primo comma dello statuto
concernente  la  composizione  dell'Alta  corte, nonche' all'art. 23,
terzo  comma  del  medesimo  statuto,  d.lgs.  6  maggio 1948, n. 655
concernente  la  istituzione  di sezioni della Corte dei conti per la
Regione  siciliana, ed all'art. 90 e 91 secondo comma del «T.U. delle
leggi costituzionali di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670»;
        A2  in  subordine  dell'art. 4, primo comma, lettera d) e del
successivo  secondo  comma,  nonche'  dell'art.  6  secondo comma del
d.lgs.  n. 373/2003  limitatamente  alle  parole «e all'art. 4, comma
uno, lettera d)» nonche', in parte qua, dell'art. 15, primo e secondo
comma  limitatamente alla possibile permanenza dei membri laici della
Sezione giurisdizionale e, definivatamente, in parte qua, dell'art. 6
del  d.l. n. 354/2003 convertito in legge n. 45/2004 in rapporto allo
stesso  art.  23  primo  comma  dello  statuto  siciliano, nonche' in
rapporto  all'art.  102,  secondo  comma  e 108 primo e secondo comma
della   Costituzione,   non   essendo  consentito  istituire  sezioni
specializzate nell'ambito dei giudici speciali;
        A3  in  subordine  dell'art.  4  primo comma lettera d) e del
successivo  secondo  comma,  nonche'  dell'art.  6  secondo comma del
d.lgs.  n. 373/2003  limitatamente  alle  parole «e all'art. 4, comma
uno,  lettera d)» nonche', in parte qua, dell'art. 15 primo e secondo
comma  limitatamente alla possibile permanenza dei membri laici della
Sezione  giurisdizionale  e, derivatamente, in parte qua, dell'art. 6
del  d.l.  n. 354/2003  convertito  in  legge  n. 45/2004 in rapporto
all'art.  23,  primo  comma dello statuto siciliano ed in rapporto al
primo  comma della VI disposizione transitoria della Costituzione che
esclude dalla revisione la giurisdizione del Consiglio di Stato;
        A4    in   subordine   qualora   si   potesse   ritenere   la
costituzionalita',  dell'art.  4,  primo  comma,  lettera  d)  e  del
successivo  secondo  comma,  nonche'  dell'art.  6  secondo comma del
d.lgs. n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4 comma uno,
lettera  d),»  nonche',  in  parte qua, dell'art. 15, primo e secondo
comma  limitatamente alla possibile permanenza dei membri laici della
Sezione  giurisdizionale  e, derivatamente, in parte qua, dell'art. 6
del d.l. n. 354/2003 convertito in legge n. 45/2004 in relazione alle
questioni   sollevate  ai  precedenti  punti  sub.  Al,  A2,  A3,  si
ripropongono  le  stesse  questioni  in  rapporto  anche  al disposto
dell'art.   117,   secondo  comma,  lettera  l)  della  Costituzione,
dell'art.  14,  primo  comma  dello  statuto  siciliano, dell'art. 5,
dell'art.  117,  primo  comma  e  dell'art.  120, secondo comma della
Costituzione;
    Sospende  il  giudizio  e dispone la immediata trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale.
    Ordina  che  a  cura  della  segreteria la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in giudizio, al Presidente del Consigilo dei
ministri,  nonche'  ai  Presidenti  della  Camera  e del Senato e sia
altresi'  notificata al Presidente della Giunta regionale siciliana e
al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana.
    Cosi'  deciso in Palermo nelle Camere di Consiglio del 9 e del 10
marzo  2004  dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana,  in  sede  giurisdizionale,  con l'intervento dei signori:
Riccardo  Virgilio  Presidente  ed  estensore,  Pier Giorgio Trovato,
Giorgio Giaccardi, Andrea Parlato, Antonino Corsaro, componenti.
        Palermo, addi' 10 marzo 2004
                  Il Presidente estensore: Virgilio
04C0601