N. 431 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 febbraio 2004

Ordinanza  emessa  il  24  febbraio  2004  dal  tribunale di Pisa nel
procedimento  civile  vertente  tra  Pardossi  Ottavio Daniele contro
I.N.A.I.L.

Infortuni   sul   lavoro  e  malattie  professionali  -  Rendita  per
  invalidita'  permanente - Cumulo di inabilita' preesistenti ai fini
  del raggiungimento della percentuale di inabilita' richiesta per il
  diritto  alla  rendita - Esclusione per le inabilita' conseguenti a
  infortuni  o  malattie verificatisi o denunciati prima dell'entrata
  in vigore del decreto di cui al comma 3 dell'art. 6.
- D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, comma 6, parte seconda.
- Costituzione, artt. 3, 38, comma secondo e 76
(GU n.1001 del 3-6-2004 )
                            IL TRIBUNALE

    Sciogliendo  la  riserva  nella  causa Pardossi contro I.N.A.I.L.
(RGC. n. 696/02), cosi' provvede.

                          Ritenuto in fatto

    Con  ricorso  depositato  il  26 settembre 2002, Pardossi Ottavio
Daniele,  premesso  che  in  data  31  maggio  2001  aveva  patito un
infortunio   sul   lavoro,   «in  quanto  i  rulli  di  una  macchina
scarnificatrice  delle  pelli,  alla quale era addetto, gli causavano
l'amputazione  totale  delle  falangi distali del III e IV dito della
mano  sinistra»  e  premesso  che  l'INAIL  aveva  chiuso  la pratica
infortunistica riconoscendo l'inabilita' temporanea ed accertando, in
ordine  a  quella permanente, la sussistenza di un'inabilita' pari al
4%,   pertanto   inferiore   al   minimo  indennizzabile  (ex  d.lgs.
n. 38/2000),  sia  in  capitale che sotto forma di rendita, reclamava
innanzi  a  questo Tribunale l'accertamento dei postumi, che riteneva
sussistenti  in  misura  superiore  al  6%.  In  ipotesi  subordinata
chiedeva   che  la  percentuale  eventualmente  stabilita  in  misura
inferiore  fosse  unificata a quella gia' riconosciuta - a cagione di
precedente  infortunio - dall'Istituto previdenziale nella misura del
14%, cosi' provvedendo alla costituzione di un'unica rendita.
    Costituitosi  in  giudizio,  l'INAIL  si opponeva al ricorso, sia
ribadendo che dall'infortunio de quo non fossero reliquari postumi in
misura  indennizzabile,  sia  affermando  la  non  operabilita' della
richiesta  unificazione,  stante il divieto di cui all'art. 13, comma
6, d.lgs. n. 38/2000.
    Essendo  pacifico  il  fatto storico da cui originava il ricorso,
questo  giudice  ha  proceduto  all'affidamento  di CTU per accertare
l'effettivo grado di inabilita'.
    Il  CTU,  con  indagine  scrupolosa,  logica  ed  immune  da vizi
logico/giuridici  accertava  l'esistenza  di una percentuale del 4,5%
come danno permanente.
    Parte  ricorrente,  stante  questi  risultati, e preso atto della
difesa  dell'INAIL,  richiedeva questo giudice di sollevare eccezione
di  illegittimita'  costituzionale della norma invocata dall'Istituto
come ostativa alla costituzione di una rendita unificata.

                        Ritenuta la rilevanza

    La   rilevanza   dell'eccezione   prospettata  e'  immediatamente
percepibile.
    In  effetti,  la declaratoria della illegittimita' costituzionale
della  norma  invocata dall'INAIL consentirebbe a parte ricorrente di
veder  accolto  il  ricorso e, quindi, il cumulo della percentuale di
inabilita'   accertata   dal   CTU   (pressoche'  identica  a  quella
determinata  in  via  amministrativa)  a quella gia' riconosciuta per
precedente  infortunio,  con  la conseguenza pratica diretta di veder
aumentata la misura economica della rendita in godimento.

               Ritenuta la non manifesta infondatezza

    3.a)   fino   all'attuazione  della  delega  di  cui  alla  legge
n. 144/1999,   il  sistema  delineato  dal  testo  unico  puo'  cosi'
sintetizzarsi,  per  quanto  qui  interessi  in  punto di rendita per
inabilita' permanente:
        3.a.1)   il   diritto  alla  rendita  sorge  solo  quando  in
conseguenza  di un evento dannoso l'attitudine al lavoro si riduca in
misura superiore al 10% (art. 74, comma 2 testo unico);
        3.a.2)  il  sistema  e'  coniato  intorno  ad una valutazione
globale (Cass. n. 2559/1998; conf.: n. 9066/1990) della validita' del
lavoratore e per converso della sua inabilita', tant'e' che vi e' una
valutazione  unitaria  delle  concause  di incapacita', le quali sono
composte  sia  dai  concorsi  di incapacita' che dalle coesistenze di
incapacita'  e  distinte  le  prime  perche'  incidenti  sullo stesso
sistema  organo-funzionale  (es.: occhio-occhio; piede-piede), mentre
le  seconde  su  sistemi  diversi  (es.:  mano-piede). Di tal che' si
avra':
        3.a.3)  il  titolare  di una rendita che rimane vittima di un
nuovo   infortunio   che  dia  luogo  ad  altra  rendita,  vedra'  la
costituzione  di  un'unica  rendita  in  base  al  grado di riduzione
dell'attitudine complessiva (art. 80, comma 1, testo unico);
        3.a.4)  il  titolare  di  una rendita che sia successivamente
colpito  da  altro  evento  inabilitante  che, di per se' non darebbe
luogo   a   rendita   per   mancato   superamento   della  soglia  di
indennizzabilita',  vedra'  la  costituzione  di  un'unica rendita se
l'inabilita'  complessiva  si  mantenga sopra la franchigia (art. 80,
comma 2 testo unico);
        3.a.5)  il  lavoratore, vittima di un evento inabilitante che
ha  provocato  una riduzione della validita' in misura inferiore alla
soglia  che da' diritto alla rendita, il quale resti colpito da altro
evento,  anch'esso  di  portata  inferiore  al  limite di franchigia,
vedra'  costituire  un'unica  rendita  se  la valutazione complessiva
delle  due inabilita' consente il superamento del 10% (art. 80, comma
3 testo unico);
        3.a.6)   infortuni   da   cui   sia   derivata  un'inabilita'
permanente,  la  quale  risulti  aggravata da inabilita' preesistente
derivante da fatti estranei al lavoro, ovvero da infortuni sul lavoro
agricolo  o,  ancora,  liquidati  in  conto  capitale:  il  grado  di
riduzione  sara' rapportato non all'attitudine al lavoro normale ma a
quella   ridotta  per  effetto  delle  preesistenti  inabilita'.  «Il
rapporto e' espresso da una frazione in cui il denominatore indica il
grado  di  attitudine  al  lavoro  preesistente  e  il  numeratore la
differenza  fra  questa  ed  il  grado  di  attitudine residuato dopo
l'infortunio» (art. 79 testo unico);
    3.b) A latere di questo sistema, si e' assistito, nel corso degli
anni, allo sviluppo di una ricca polemica culturale intorno ai limiti
di     compatibilita'     e     coesistenza     fra     il    sistema
risarcitorio-indennitario  previsto per gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali ed il ristoro dei danni cagionati alla persona
nella  sua  accezione  complessiva, meglio noto come risarcimento del
c.d. danno biologico.
    Di  questa  esigenza si e' fatto carico il legislatore che con la
legge  n. 144/1999 ha delegato il Governo, all'art. 55, lett. «s», ad
«emanare,  entro  nove  mesi  dall'entrata  in  vigore della presente
legge,  uno  o  piu' decreti legislativi al fine di ridefinire taluni
aspetti dell'assetto normativo in materia di assicurazione contro gli
infortuni  sul  lavoro  e le malattie professionali, nel rispetto dei
seguenti   principi   e  criteri  direttivi:  (...);  s)  previsione,
nell'oggetto  dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie   professionali   e  nell'ambito  del  relativo  sistema  di
indennizzo   e  di  sostegno  sociale,  di  un  «idonea  copertura  e
valutazione   indennitaria   del  danno  biologico,  con  conseguente
adeguamento della tariffa dei premi».
    La   prima  cosa  che  balza  alla  vista  e'  che  volonta'  del
legislatore  delegante  non  e'  stata  quella  di  procedere  ad una
riscrittura   radicale  di  tutta  la  disciplina  della  tutela  dei
lavoratori dagli infortuni e dalle malattie professionali dettata nel
testo   unico  n. 1124/65,  bensi',  piu'  limitatamente,  quella  di
ridefinire   taluni   aspetti   dell'assetto   normativo,  prevedendo
un'idonea  copertura  e valutazione indennitaria del danno biologico,
ma  sempre  nell'ambito  del  relativo  sistema  di  indennizzo  e di
sostegno sociale.
    Insomma,  l'operazione  aveva il limitato, sebbene arduo, fine di
adeguare  la  disciplina  esistente  per estendere alla copertura del
danno  biologico,  la  tutela che l'ordinamento gia' predisponeva per
gli infortuni e le malattie professionali.
    E' questa la volonta' espressa dal legislatore delegante, tant'e'
che  il  comma  11  dell'art. 13,  della  legge  delegata  n. 38/2000
stabilisce che: «per quanto non previsto dalle presenti disposizioni,
si applica la normativa del testo unico, in quanto compatibile».
    Il  controllo  della  realizzazione dei fini previsti dalla legge
delega    dev'essere    quindi,    oggetto    della    verifica    di
costituzionalita'.
    3.c)  il  legislatore  delegato  ha, dunque, dato esecuzione alla
delega,  con  il  d.lgs.  n. 38/2000 dettando l'art. 13, in cui viene
prevista  la  soglia  di  inabilita' indennizzabile superiore al 16%,
mentre  per  le  inabilita'  comprese  fra  il  6% ed il 16% e' stato
coniato ex novo l'indennizzo per il danno biologico, come definito al
comma  1  stesso articolo. A tale scopo vengono dettate nuove tabelle
per  il  danno  biologico,  per  le  menomazioni e per i coefficienti
(comma 2, lett. «a» e «b»).
    Per  gli infortuni verificatisi nel vigore del d.lgs. n. 38/2000,
e'  mantenuto ed anzi e' rafforzato il principio della rendita unica,
sia  per  le  ipotesi di concorso che di coesistenza di inabilita' ed
anche  superando la non cumulabilita' degli infortuni industriali con
quelli agricoli, ritenuta costituzionalmente legittima da Corte cost.
n. 71/1990, vero com'e' che, non potendosi certo distinguere un danno
biologico  derivante  da  infortuni  agricoli  da quello derivante da
infortuni agricoli, la valutazione dei postumi dev'essere complessiva
(comma 5).
    Il comma 4 disciplina, dunque, gli aggravamenti (attinenti, cioe'
al  medesimo complesso organo/funzionale) valutati sia per conseguire
l'indennizzo  in conto capitale (per inabilita' comprese fra il 6% ed
il 16%), sia per conseguire la rendita (inabilita' superiori al 16%).
    Il  gia'  citato comma 5, invece, attiene, ovviamente, al diverso
caso  della  coesistenza  (e non del concorso a cui e' dedicato, come
detto,  il  comma 4) fra inabilita' prevedendo un unica rendita od un
unica liquidazione in conto capitale, a seconda dei casi.
    Al comma 6, e' stata dettata la seguente disciplina: «Il grado di
menomazione  dell'integrita'  psicofisica  causato  da  infortuni sul
lavoro   o   malattia  professionale,  quando  risulti  aggravato  da
menomazioni  preesistenti  concorrenti derivanti da fatti estranei al
lavoro  o  da  infortuni  o  malattie  professionali  verificatisi  o
denunciate  prima  della  data  di  entrata  in  vigore  del  decreto
ministeriale  di  cui  al comma 3 e non indennizzati in rendita, deve
essere  rapportato  non  all'integrita'  psicofisica  completa,  ma a
quella   ridotta  per  effetto  delle  preesistenti  menomazioni,  il
rapporto e' espresso da una frazione in cui il denominatore indica il
grado  di  integrita'  psicofisica  preesistente  ed il numeratore la
differenza fra questa ed il grado di integrita' psicofisica residuato
dopo   l'infortunio  e  la  malattia  professionale.  Quando  per  le
conseguenze   degli   infortuni   o   delle   malattie  professionali
verificatisi  o  denunciate prima della data di entrata in vigore del
decreto  ministeriale  di  cui al comma 3 l'assicurato percepisca una
rendita  o  sia stato liquidato in capitale ai sensi del testo unico,
il  grado di menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla nuova
malattia   professionale  viene  valutato  senza  tener  conto  delle
preesistenze.  In  tal  caso,  l'assicurato  continuera'  a percepire
l'eventuale   rendita  corrisposta  in  conseguenza  di  infortuni  o
malattie  professionali  verificatisi  o  denunciate prima della data
sopra indicata».
    Sebbene   la  legge  in  rassegna  non  contempli  un'abrogazione
esplicita di norme del testo unico ed anzi il comma 11 ne effettui un
esplicito rinvio, fin dai primi commenti sono state riscontrate delle
incompatibilita' fra i due complessi normativi, la cui individuazione
non  e'  agevole,  posto  che questa e' l'unica norma di raccordo sul
punto, fra il vecchio ed il nuovo regime.
    Nelle fattispecie previste dalla disciplina vengono distinte, nel
c.d.  «vecchio  regime»,  le  ipotesi  in  cui  vi siano stati eventi
dannosi  che  abbiano  dato  luogo  a  gradi  di  inabilita'  ma  non
sufficienti  da far sorgere il diritto alla rendita, da quelle in cui
questo  diritto  sia sorto ed il lavoratore si trovi in suo godimento
al momento di entrata in vigore della nuova disciplina.
    Orbene,   nella   prima   ipotesi   (parte  prima  del  comma  6,
dell'art. 13)  viene  fatto sopravvivere il meccanismo gia' esistente
nell'art. 79  testo unico, sebbene adattato al concetto di integrita'
psico-fisica  in  luogo  della superata attitudine al lavoro. Sicche'
solo per l'aggravamento della patologia, in caso, quindi, di concorso
e  non  di mera coesistenza, la valutazione complessiva del «grado di
menomazione»  la  si  ottiene calcolando l'inabilita', non sulla base
della  validita'  totale  del  soggetto, bensi' su quella che residua
dopo il calcolo dei vecchi infortuni (es.: nel caso di inabilita' del
10%  a  cui  vanno  ad  aggiungersi  altri  5 punti di inabilita', il
risultato  sara' di 90-(90-5)/90=5/90). «Tale disciplina persegue non
gia'  la  finalita'  di  imporre  una  valutazione  complessiva delle
inabilita'  e  conseguentemente la liquidazione di un `unica rendita,
bensi'  soltanto quella di adeguare realisticamente la valutazione (a
se'  stante) dell'inabilita' derivante dall'ultimo infortunio (... in
senso relativamente piu' favorevole all'assicurato), nella prevalente
considerazione   dell'unitarieta'   dell'insieme  organico-funzionale
interessato» (Corte cost. n. 71/1990).
    Nella  seconda  ipotesi  -  che  e' quella che qui interessa - di
fatto  e' prevista l'abrogazione (sempre come regime transitorio) dei
diversi  meccanismi  di  cui  all'art. 80 testo unico, escludendo una
valutazione  unitaria  degli infortuni verificatisi prima e di quelli
verificatisi dopo l'entrata in vigore della modifica.
    Ne  consegue  che  le  inabilita'  «maturate»  sotto  il «vecchio
regime»  non  vengono  prese  in  considerazione alcuna nel nuovo. O,
meglio,  viene  elevata  una  sorta  di  cortina,  cosi'  frantumando
quell'esigenza   di   unitarieta'  perseguita  dai  disegni  organici
tracciati  nel  corso  di un ottantennio e sottolineati adeguatamente
allorquando  nel  passaggio  fra  la disciplina del 1935 e quella del
1965,  cosi'  come  fra il testo unico del 1904 e quello del 1935, fu
sempre  esplicitamente  previsto  il  cumulo  fra  le inabilita' e la
costituzione di un'unica rendita.
    In  via di fatto e sempre per le ipotesi di coesistenza, possono,
dunque accadere le seguenti ipotesi:
        a)  che  la  pregressa  inabilita',  magari  anche  di  grado
rilevante  (es.:  10%), non abbia dato luogo rendita e che neppure la
nuova  inabilita'  sia in grado di procurarla (15%) e, magari neanche
di  raggiungere  il  minimo  per  la liquidazione del danno biologico
(5%).  Si  avra',  dunque  un  lavoratore  con  un  grado  certo  non
trascurabile di limitazione della sua integrita' psicofisica (del 15%
o  addirittura del 25%) senza che gli derivi alcun indennizzo (se non
al danno biologico, nel secondo caso);
        b)  puo'  darsi  -  come  nell'ipotesi  in  esame  -  che  il
lavoratore  sia  gia' titolare di una rendita e sopraggiunga un nuovo
infortunio  ma  di  grado  inferiore  al  6%  (ovvero al 16%), con la
conseguenza  che  la  rendita  gia'  percepita  non  viene  ad essere
incrementata  e,  quindi,  di  fatto non ottiene il ristoro del danno
biologico   ma  neanche  l'incremento  di  rendita  commisurato  alla
percentuale  complessiva.  Ovvero,  addirittura  abbia  un'inabilita'
vicina alla soglia del 16% ma vede liquidato il solo danno biologico.
    Ora,  se  si  tien  conto  della «natura» prevalentemente, se non
esclusivamente,     «risarcitoria     delle    prestazioni    erogate
dall'Istituto»    (Cass.    n. 7174/1990;    conf.:    n. 13044/1999,
n. 1449/1986,  n. 5945/1980),  e' agevole concludere che nell'un caso
come  nell'altro,  e' possibile che si verifichino, come nell'ipotesi
sub  iudice,  delle  omissioni  risarcitorie  anche permanenti, se si
esclude l'ipotesi dell'aggravamento.
    4).  A  parere  di  questo  Tribunale  i parametri costituzionali
violati dell'art. 13, comma 6 legge n. 38/2000 sono molteplici:
        4.a) violazione dell'art. 76 cost.
    Appare  del tutto evidente che il legislatore delegato e' incorso
in  eccesso  di  delega,  cosi'  violando l'art. 76 cost., poiche' ha
oltrepassato il fisiologico confine del «riempimento» delineato dalla
norma  delegante,  divergendo dalle finalita' della delega desumibili
dai principi e criteri direttivi nella stessa tracciati (ex plurimis:
Corte cost. n. 198/1998).
    In  effetti il Parlamento aveva rimesso al Governo il ben preciso
compito  di  ridisegnare  il  sistema  limitatamente  alla tutela del
diritto   alla  salute  dei  lavoratori,  sub  specie  di  integrita'
biopsicologica.
    Ed  infatti  l'indicazione  era  stata  nel  senso di adeguare la
tariffa   dei   premi,  al  fine  di  garantire  idonee  copertura  e
valutazione  del danno biologico, restando nell'ambito del sistema di
indennizzo e di sostegno sociale gia' sedimentato.
    Insomma,  il  Governo  era  stato chiamato ad estendere l'oggetto
dell'assicurazione  contro  gli  infortuni  sul  lavoro e le malattie
professionali, altresi' alla copertura del rischio «danno biologico»,
fermo  restando  i  livelli  di  sicurezza  sociale  fino  ad  allora
garantiti.
    Di fatto, e' stato operato un massiccio intervento demolitore sul
meccanismo  di  cui all'art. 80 testo unico, nient'affatto funzionale
al  raggiungimento  della  delega  ricevuta  ed  anzi  limitando quel
«sistema  di  indennizzo  e  sostegno  sociale»,  che  era  tenuto  a
mantenere,  secondo  le direttive della delega, le volte in cui, come
nel   caso   in   esame,   la  percentuale  di  inabilita'  riportata
dall'infortunio  successivo non sia idonea ne' a garantire un ristoro
capitalizzato, perche' inferiore al 6%, e neppure un incremento della
rendita ma che lo sarebbe per effetto del cumulo.
    Per   questa   via   si   impone,   dunque,  la  declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale  del  divieto di cumulo, ripristinando
integralmente il meccanismo di cui all'art. 80 testo unico;
        4.b) violazione dell'art. 38, comma 2, cost.
    Come  gia' accennato, la giurisprudenza della Suprema Corte si e'
sostanzialmente   assestata,   definendo  di  natura  tendenzialmente
risarcitoria  le  prestazioni  fornite  dall'INAIL (ex plurimis Cass.
n. 7174/1990).
    Cio'  non  esclude che il legislatore, nella sua autonomia, possa
stabilire  delle franchigie di indennizzo. Tale scelta sara' conforme
a costituzione le volte in cui la soglia di non indennizzabilita' non
si  traduca  in  una  sostanziale ablazione del diritto ad ottenere i
«mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia
(...)» (art. 38, comma 2, cost.).
    Posta,  dunque,  la  legittimita'  della  soglia,  ed ammesso per
ipotesi  che  lo  sia  anche  nella misura attualmente prevista dalla
legislazione, ne discende che in essa - almeno fino a declaratoria di
illegittimita'  -  e'  da  individuare  quel parametro di ragionevole
scelta atta garantire le esigenze tutelate dalla Carta fondamentale.
    Da  tanto  deriva,  da un lato, che il suo rispetto si impone per
tutta la fase storica di sua vigenza e, per converso, dall'altro, che
la sua violazione si traduce in lesione del parametro costituzionale,
di  tal  che' sono da considerare illegittime tutte quelle norme che,
coniando  particolari  meccanismi  di calcolo, come il comma 6, parte
II,  art. 13  d.lgs. n. 38/2000, finiscono con l'escludere, in via di
fatto,  l'indennizzo  (in  conto capitale o rendita), anche quando la
soglia (di legge) di inabilita' complessiva sarebbe superata;
        4.c) violazione dell'art. 3, comma 2, cost.
    Anche  il  parametro  dell'uguaglianza  di  fatto  dei cittadini,
stabilito  dall'art. 3 cost. ne risulta violato, ben potendo accadere
che  per  medesime patologie si abbiano trattamenti diversi a seconda
che la loro coesistenza si ponga a cavallo fra il vecchio ed il nuovo
regime,  ovvero  solo ed esclusivamente nel nuovo. In via di fatto ad
essere  penalizzati  sono  tutti  quei  lavoratori  le cui inabilita'
ricevono  trattamento (discriminatorio) dalle due discipline, poiche'
per  gli  altri,  sia  quelli  governati dal testo unico 1965 sia per
quelli  ricadenti  completamente nel d.lgs. 38/2000, il meccanismo di
calcolo  e'  sempre  quello dell'art. 80 testo unico, riformulato nel
comma,  art. 13  d.lgs. n. 38/2000. Sfugge, quindi, la ragionevolezza
di una simile scelta.
    Ne'  puo'  dirsi  che  insormontabili  ostacoli per il ricorso al
cumulo  derivino  dalla  riformulazione  delle tabelle, operata nella
nuova  legge  n. 38/2000,  in  quanto,  avendo  lo stesso legislatore
previsto  il mantenimento del procedimento di cumulo per l'ipotesi di
aggravamento  delle  «vecchie» inabilita', vuol dire che esso tuttora
e' in essenziale armonia con il nuovo sistema.
                              P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  13,  comma 6, parte seconda,
d.lgs.  n. 38  del  23 febbraio 2000 (Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1°
marzo  2000),  per la parte in cui non consente di «tener conto delle
preesistenze», in relazione:
        1)   all'art. 76  cost.  per  eccesso  rispetto  alla  delega
conferita  con  l'art. 55,  comma 1, legge n. 144 del 17 maggio 1999,
avendo  ingiustificatamente  abolito il sistema di calcolo del cumulo
di inabilita' coesistenti, previsto dall'art. 80 testo unico;
        2)  all'art. 38,  comma  2,  cost.  per  aver  provveduto  ad
assicurare  al  lavoratore,  per  il  caso  di  infortunio,  mezzi di
sostegno  non adeguati alle condizioni di inabilita' complessivamente
considerate;
        3)  all'art. 3  cost.  avendo  previsto meccanismi di calcolo
delle indennita' e/o delle rendite discriminatorie verso soggetti che
si trovino in situazioni sostanzialmente omogenee;
    Sospende il giudizio in corso,
    Trasmette gli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone che la presente ordinanza sia unificata al Presidente del
Consiglio  dei  ministri ed alle parti e comunicata ai Presidenti dei
due rami del Parlamento.
    Manda la cancelleria per l'esecuzione.
        Cosi' deciso in Pisa, addi' 24 febbraio 2004
                  Il giudice del lavoro: Schiavone
04C0602