N. 433 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 gennaio 2004
Ordinanza emessa il 14 gennaio 2004 dal tribunale amministrativo regionale del Veneto sul ricorso proposto da Lautsi Soile in proprio e n.q. contro Ministero istruzione universita' e ricerca Liberta' religiosa - Esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche - Lesione del principio della laicita' dello Stato - Violazione del principio di uguaglianza delle confessioni religiose e di liberta' di religione. - D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, artt. 159, 190 e 676. - Costituzione, artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20.(GU n.1001 del 3-6-2004 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2007/02, proposto da Soile Lautsi, in proprio e quale genitore del minori D.A. e S.A., rappresentata e difesa dall'avv. L. Ficarra, con domicilio presso la Segreteria del Tribunale amministrativo regionale Veneto, giusta art. 35 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054; Contro l'Amministrazione dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, in persona del ministro pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, per legge domiciliataria, per l'annullamento della decisione assunta il 27 maggio 2002 dal Consiglio di Istituto dell'I.C. «Vittorino da Feltre» di Abano Terme (Padova) - verbale n. 5 - nella parte in cui delibera di lasciare esposti negli ambienti scolastici i simboli religiosi; Nonche' per l'annullamento degli atti presupposti e conseguenti, comunque connessi con quello impugnato. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione dell'istruzione; Viste le memorie prodotte dalle parti; Visti gli atti tutti di causa; Uditi nella pubblica udienza del 13 novembre 2003 - relatore il consigliere avv. Angelo Gabbricci - l'avv. Ficarra per la ricorrente e l'avv. dello Stato Gasparini per l'Amministrazione resistente; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o Massimo Albertin e Soile Tuulikki Lautsi, quest'ultima nata nella citta' di Sipoo, in Finlandia, sono i genitori di D. e S.A. nati rispettivamente nel 1988 e nel 1990, e iscritti nel 2002 rispettivamente alla III ed alla I classe dell'istituto comprensivo statale «Vittorino da Feltre» di Abano Terme (Padova). Il 22 aprile 2002, nel corso di una seduta del consiglio d'istituto - come si legge nel verbale della riunione - lo stesso Massimo Albertin, «in riferimento all'esposizione di simboli religiosi» all'interno della scuola, ne propose la rimozione; dopo un'approfondita discussione, la decisione fu rinviata alla seduta del 27 maggio, quando fu posta in votazione ed approvata una deliberazione che proponeva «di lasciare esposti i simboli religiosi». Soile Tuulikki Lautsi, in proprio e quale genitore esercente la potesta' sui figli minori, ha impugnato tale determinazione con il ricorso in esame; nel successivo giudizio si e' costituito il Ministero dell'istruzione, concludendo per l'inammissibilita', l'improcedibilita' e, comunque, per l'infondatezza del ricorso. D i r i t t o 1.1. - Il ricorso censura la deliberazione impugnata anzitutto per violazione dei principi d'imparzialita' e di laicita' dello Stato, e segnatamente del secondo, quale principio supremo dell'ordinamento costituzionale, avente priorita' assoluta e carattere fondante, desumibile insieme dall'art. 3 della Costituzione, che garantisce l'uguaglianza di tutti i cittadini, e dal successivo art. 19, il quale riconosce la piena liberta' di professare la propria fede religiosa, includendovi anche la professione di ateismo o di agnosticismo: principio confermato dall'art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, che riconosce la liberta' di manifestare «la propria religione o il proprio credo». Il rammentato principio di laicita', prosegue la ricorrente, precluderebbe l'esposizione dei crocefissi e di altri simboli religiosi nelle aule scolastiche, disposta in violazione della «parita' che deve essere garantita a tutte le religioni e a tutte le credenze, anche areligiose»: l'impugnata deliberazione del consiglio della scuola «Vittorino da Feltre» costituirebbe «aperta e palese violazione dei suesposti principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico». 1.2. - Inoltre, continua la Lautsi, la stessa deliberazione sarebbe illegittima anche per eccesso di potere sotto il profilo della sua contraddittorieta' logica. Si desume invero dal verbale della seduta, in cui il provvedimento fu assunto, che uno dei membri dell'organo aveva espresso l'auspicio per cui «tale problema possa incentivare una maggiore educazione all'integrazione religiosa e al rispetto della liberta' di idee e di pensiero per tutti»: ma, secondo la Lautsi, non si potrebbe affermare cio' e nel contempo negarlo, «dicendo che nella scuola debbono essere presenti i simboli religiosi appartenenti peraltro ad una sola determinata confessione religiosa». 2.1. - Il Ministero dell'istruzione, nel costituirsi, ha sollevato una prima eccezione di nullita' del ricorso introduttivo, perche' sottoscritto soltanto da uno dei genitori dei minori D. e S.A. mentre l'art. 320 c.c. prescrive che la rappresentanza legale dei figli spetta congiuntamente ad entrambi: l'eccezione e' tuttavia infondata. La norma citata stabilisce bensi' che i genitori congiuntamente rappresentano i figli in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni, ma soggiunge che possono essere compiuti disgiuntamente da ciascuno di essi gli atti di ordinaria amministrazione, e, tra questi, ad avviso del Collegio, rientra l'esercizio, in nome e per conto dei figli minori, di azione per la tutela di situazioni sostanziali che non abbiano direttamente o indirettamente contenuto patrimoniale, ovvero comunque una potenzialita' lesiva per la sfera giuridica patrimoniale del minore: certamente il ricorso in questione non presenta un siffatto contenuto, per cui esso ben poteva essere validamente proposto da uno soltanto dei genitori. 2.2.1. - L'Amministrazione pone altresi' un dubbio sulla giurisdizione del giudice adito, che il Collegio non ritiene peraltro di condividere. L'atto impugnato, infatti, si riferisce ad un arredo scolastico, seppure certamente sui generis, ed e' dunque espressione di una potesta' organizzativa che appartiene all'Amministrazione scolastica, a fronte della quale i singoli utenti hanno posizioni di interesse legittimo. 2.2.2. - Quest'ultima considerazione consente di respingere altresi' l'ulteriore eccezione proposta dalla difesa erariale, per cui il ricorso non sarebbe stato notificato a quei genitori ed allievi dell'istituto «Vittorino da Feltre», i quali vogliono mantenere nelle aule scolastiche il crocifisso - che e' l'unico simbolo religioso cola' attualmente presente - e che per questo avrebbero la qualita' di controinteressati. Invero, nel giudizio amministrativo la posizione di controinteressato va riconosciuta - con il conseguente onere di notificazione del ricorso introduttivo - ai soggetti che si trovano in una posizione antitetica a quella del ricorrente, traendo utilita' propria e diretta dal provvedimento impugnato, e sono facilmente individuabili in base a questo: in specie manca senz'altro questo secondo requisito, poiche' la ricorrente (come d'altronde la stessa resistente) non era certamente in grado di stabilire, nel momento in cui ha proposto il ricorso, chi condividesse la decisione assunta dal consiglio d'istituto e qui impugnata. 2.3.1. - Ancora, lo stesso Ministero sostiene di aver diramato, sia pure dopo l'avvio del processo, una circolare, datata 3 ottobre 2002, in cui si inviterebbero i dirigenti scolastici ad assicurare l'esposizione del crocefisso nella aule scolastiche: e tale disposizione, secondo la difesa erariale, «sarebbe comunque ostativa alla possibilita' per la parte ricorrente, di ottenere la rimozione del simbolo cristiano». 2.3.2. - Si deve peraltro anzitutto osservare come la circolare non risulti essere stata ufficialmente pubblicata, ne' comunicata direttamente alla ricorrente, e neppure prodotta in giudizio: sicche' neppure il Collegio e' in grado di valutarne la rilevanza, e l'effettivo valore vincolante. La stessa circolare, comunque, non costituirebbe in ogni caso, per ammissione della stessa Amministrazione resistente, un atto presupposto del provvedimento gravato, ne' cio' sarebbe possibile, essendo a questo successiva. Non si potrebbe dunque far carico alla ricorrente di non averla impugnata con il ricorso introduttivo, ne' di non averla successivamente gravata mediante motivi aggiunti, come pure si sostiene nel controricorso, non trattandosi di un atto appartenente allo stesso procedimento ed adottato «tra le stesse parti» (art. 21, comma 1, legge n. 1034/1971): si deve quindi concludere che, allo stato, la Lautsi conserva integro il proprio interesse all'annullamento della deliberazione 27 maggio 2002, la quale incide direttamente sulla sua posizione soggettiva d'interesse legittimo. 3.1. - Di ben maggiore spessore e' viceversa l'ulteriore difesa dell'Amministrazione. Essa rileva che l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche e' espressamente prescritta da due disposizioni, l'art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, recante disposizioni sull'ordinamento interno degli istituti di istruzione media, e dall'art. 119 del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297 (e, in particolare, nella Tabella C allo stesso allegata), riferito agli istituti di istruzione elementare. Tali norme, sebbene risalenti, sarebbero tuttora in vigore, come confermato dal parere 27 aprile 1988, n. 63/1988, reso dalla II Sezione del Consiglio di Stato: e, sebbene non espressamente richiamate nell'atto impugnato, ne fonderebbero la legittimita', e dovrebbero dunque condurre alla reiezione del ricorso proposto. 3.2. - Invero, va anzitutto riconosciuto che le disposizioni richiamate dall'Amministrazione resistente costituiscono, per tali, pertinente ed adeguato fondamento giuridico positivo del provvedimento gravato, seppure limitatamente ad un particolare simbolo religioso, il crocifisso, che e', peraltro, l'unico cui il ricorso si riferisce esplicitamente e, con ragionevole certezza, quello cui si vuole riferire il provvedimento impugnato. Il citato art. 118 del r.d. n. 965/1924 - incluso nel capo XII intitolato «dei locali e dell'arredamento scolastico» - dispone che ogni istituto d'istruzione media «ha la bandiera nazionale; ogni aula, l'immagine del Crocifisso e il ritratto del Re»; l'art. 119 del r.d. n. 1297/1928, a sua volta, stabilisce che gli arredi delle varie classi scolastiche sono elencati nella tabella C, allegata allo stesso regolamento: e tale elencazione include il crocifisso per ciascuna classe elementare. Tali previsioni, anteriori al Trattato ed al Concordato tra la Santa Sede e l'Italia - cui fu data esecuzione con la legge 27 maggio 1929, n. 810 - non appaiono contrastare con le disposizioni contenute in quegli atti pattizi, in cui nulla viene stabilito relativamente all'esposizione del crocifisso nelle scuole, come in qualsiasi ufficio pubblico; inoltre, come rileva il Consiglio di Stato nel citato parere n. 63/1988, le modificazioni apportate al Concordato con l'Accordo, ratificato e reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, n. 121, «non contemplando esse stesse in alcun modo la materia de qua, cosi' come nel Concordato originario, non possono influenzare, ne' condizionare la vigenza delle norme regolamentari di cui trattasi», mancando i presupposti di cui all'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale. In particolare, prosegue lo stesso parere, «non appare ravvisabile un rapporto di incompatibilita' con norme sopravvenute ne' puo' configurarsi una nuova disciplina dell'intera materia, gia' regolata dalle norme anteriori»: sicche', in conclusione, poiche' le disposizioni in parola «non attengono all'insegnamento della religione cattolica, ne' costituiscono attuazione degli impegni assunti dallo Stato in sede concordataria, deve ritenersi che esse siano tuttora legittimamente operanti». 3.3. - Orbene, il Collegio a sua volta deve riconoscere che le due disposizioni in questione non sono state abrogate, ne' espressamente, ne' implicitamente, da norme di grado legislativo ovvero regolamentare. Il r.d. n. 965/24 ed il r.d. n. 1297/28, infatti, costituiscono certamente fonti regolamentari, come si desume, anzitutto, da specifiche previsioni che li autoqualificano per tali (ad es. l'art. 144 del r.d. n. 965/1924, e la stessa intestazione per il r.d. n. 1297/1928); a cio' si aggiunga che, nei rispettivi preamboli, vengono richiamati atti di grado sicuramente legislativo - il testo unico delle leggi sull'istruzione elementare, approvato con il r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, da una parte, ed il r.d. 6 maggio 1923, n. 1054, recante l'ordinamento della istruzione media, dall'altra - rispetto ai quali sono destinati ad introdurre norme attuative di dettaglio. 3.4. - E' tuttavia evidente che la controversia non puo' cosi' ritenersi definita, poiche', attese le censure proposte, il thema decidendum si sposta dal contrasto tra il provvedimento impugnato e l'invocato principio di laicita' a quello dell'illegittimita' costituzionale delle due citate disposizioni: questione che, in generale, puo' essere sollevata d'ufficio innanzi al giudice delle leggi per quelle disposizioni che costituiscano presupposto di legittimita' dell'atto impugnato. 4.1. - Ora, tenuto anche conto che il provvedimento e' stato emesso dal consiglio d'istituto d'un istituto comprensivo - che, cioe', riunisce la scuola elementare e media - non pare dubbio che la questione di costituzionalita', riferita sia all'art. 118 del r.d. n. 965/1924 che all'art. 119 del r.d. n. 1297/1928, abbia qui rilevanza in quanto su queste disposizioni e' fondato il potere esercitato con il provvedimento impugnato. Per quanto invece concerne la rilevanza della questione sotto il profilo della natura giuridica delle disposizioni oggetto del giudizio di legittimita' costituzionale, ferma, secondo l'insegnamento della Corte, l'inammissibilita' del controllo diretto dei regolamenti da parte della Corte costituzionale, ne e' invece ammissibile il controllo indiretto (cfr. le sentenze 30 dicembre 1994, n. 456, e 20 dicembre 1988, n. 1104), nei casi in cui una disposizione di legge «trova applicazione attraverso le specificazioni espresse dalla normativa regolamentare, i cui contenuti integrano il precetto della norma primaria» (Corte cost. n. 456/1994 cit.). 4.2. - Orbene, ad avviso del Collegio, tale relazione sussiste tra le norme regolamentari in questione e quelle primarie di cui le prime costituiscono specificazione: il r.d. 6 maggio 1923, n. 1054 quanto all'istruzione media, il r.d. 5 febbraio 1928, n. 577 quanto all'istruzione elementare, attualmente vigenti nella formulazione di cui al d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, mediante il quale e' stato approvato il testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (art. 676 d.lgs. cit.). Invero, rammentato nuovamente che il crocifisso costituisce, secondo le disposizioni regolamentari in questione, un arredo scolastico, va anzitutto ricordato come l'art. 159, comma 1, del d.lgs. n. 297/1994, corrispondente all'art. 55 del r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, disponga che spetta ai comuni provvedere, tra l'altro, «alle spese necessarie per l'acquisto, la manutenzione, il rinnovamento del materiale didattico, degli arredi scolastici, ivi compresi gli armadi o scaffali per le biblioteche scolastiche, degli attrezzi ginnici e per le forniture dei registri e degli stampati occorrenti per tutte le scuole elementari»; per la scuola media, poi, l'art. 190 d.lgs. n. 297/1994 cit., corrispondente all'art. 103 del r.d. 6 maggio 1923, n. 1054, egualmente dispone che i comuni sono tenuti a fornire, oltre ai locali idonei, l'arredamento, l'acqua, il telefono, l'illuminazione, il riscaldamento, e cosi' via. Orbene, alla specificazione del contenuto minimo necessario delle locuzioni di genere: «arredi» ovvero «arredamento», contenute negli artt. 159 e 190, concorrono le due disposizioni regolamentari citate, comprendendovi anche il crocifisso: cosi' si puo' senz'altro affermare che le disposizioni degli artt. 159 e 190, come specificati dalle norme regolamentari citate, includono il crocifisso tra gli arredi scolastici, e per questa parte, possono formare oggetto di sindacato di costituzionalita' innanzi al giudice della leggi. 4.3. - V'e' poi un'altra disposizione, contenuta nello stesso d.lgs. n. 297/1994, che va considerata ai fini della rilevanza della questione, ed e' l'art. 676, intitolato «norma di abrogazione», il quale dispone che «le disposizioni inserite nel presente testo unico vigono nella formulazione da esso risultante; quelle non inserite restano ferme ad eccezione delle disposizioni contrarie od incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate». Invero, le norme recate dall'art. 118 del r.d. n. 965/1924 e dall'art. 119 del r.d. n. 1297/1928 non confliggono con il testo unico, ma dovrebbero comunque ritenersi implicitamente abrogate ex art. 15 preleggi, perche' il d.lgs. n. 297/1994 regola l'intera materia scolastica: restano dunque in vigore esclusivamente in forza dello stesso art. 676, il quale, dunque, costituisce, al pari dei richiamati artt. 159 e 190, una norma primaria attraverso la quale l'obbligo di esposizione del crocifisso conserva vigenza nell'ordinamento positivo. 5.1. - Accertato cosi' che la questione e' rilevante, e' ora necessario stabilire se la stessa sia o meno non manifestamente infondata. Invero, il crocifisso rappresenta la massima icona cristiana, presente in ogni luogo di culto e piu' di ogni altra venerata: esso puo' bensi' assumere ulteriori valori semantici, ma questi non possono comunque mai completamente elidere quello religioso, da cui traggono comunque giustificazione e fondamento. La norma in questione, dunque, impone che nelle aule delle scuole elementari e medie, luoghi sicuramente pubblici, sia apposto un simbolo il quale mantiene comunque un univoco significato confessionale, per tale percepito dalla massima parte dei consociati: e non si puo' essere certi che una siffatta prescrizione sia compatibile con i principi stabiliti dalla Costituzione repubblicana, nell'interpretazione che la Corte ha nel tempo delineato. 5.2. - Invero, la laicita' dello Stato italiano - come ricorda la ricorrente - costituisce, secondo il giudice delle leggi, un principio supremo, emergente dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, e, dunque, «uno dei profili della forma di Stato delineata dalla Carta costituzionale della Repubblica», (cosi' Corte cost., 12 aprile 1989, n. 203) e nel quale «hanno da convivere, in uguaglianza di liberta', fedi, culture e tradizioni diverse» (Corte cost., 18 ottobre 1995, n. 440). Quale riflesso del principio di laicita' (successivamente ribadito dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 259/1990, 195/1993 e 329/1997), e, piu' specificatamente, dell'uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione (art. 3 Cost.) e dell'eguale liberta' davanti alla legge di tutte le confessioni religiose (art. 8 Cost.), «l'atteggiamento dello Stato non puo' che essere di equidistanza e imparzialita» nei confronti di ogni fede, «senza che assumano rilevanza alcuna il dato quantitativo dell'adesione piu' o meno diffusa a questa o a quella confessione religiosa (sentenze nn. 925 del 1988, 440 del 1995 e 329 del 1997)» (cosi' Corte cost., 20 novembre 2000, n. 508). In tale contesto, credenti e non credenti si trovano «esattamente sullo stesso piano rispetto all'intervento prescrittivo, da parte dello Stato, di pratiche aventi significato religioso: esso e' escluso comunque, in conseguenza dell'appartenenza della religione a una dimensione che non e' quella dello Stato e del suo ordinamento giuridico, al quale spetta soltanto il compito di garantire le condizioni che favoriscano l'espansione della liberta' di tutti e, in questo ambito, della liberta' di religione» (Corte cost., 8 ottobre 1996, n. 334); mentre «valutazioni ed apprezzamenti legislativi differenziati e differenziatori» tra le diverse fedi, con diverse intensita' di tutela, verrebbero ad incidere sulla pari dignita' della persona e si porrebbero «in contrasto col principio costituzionale della laicita' o non-confessionalita' dello Stato» (Corte cost., 14 novembre 1997, n. 329). 5.3. - V'e' dunque da dubitare che siano compatibili con le precedenti enunciazioni le norme dell'ordinamento generale le quali prescrivono, come detto, l'esposizione di un simbolo venerato dal cristianesimo nelle aule scolastiche, (cosi' come lo sarebbe ogni altra disposizione che stabilisse la presenza di simboli di altre fedi): cio' non pare pienamente conciliabile con la posizione di equidistanza ed imparzialita' tra le diverse confessioni che lo Stato deve comunque mantenere, tanto piu' che la previsione si riferisce agli spazi destinati all'istruzione pubblica, cui tutti possono accedere - ed anzi debbono, per ricevere l'istruzione obbligatoria (art. 34 Cost.) - e che lo Stato assume tra i suoi compiti fondamentali, garantendo la liberta' d'insegnamento (art. 33 Cost.). Diversamente da quanto avviene per l'insegnamento della religione, che liberamente gli studenti ed i loro genitori possono o meno accogliere - e solo cosi' il principio di laicita' dello Stato e' osservato: cfr. Corte costituzionale n. 203/1989 cit., e 14 gennaio 1991, n. 13 - la presenza del crocifisso viene obbligatoriamente imposta agli studenti, a coloro che esercitano la potesta' sui medesimi e, inoltre, agli stessi insegnanti: e la norma che prescrive tale obbligo sembra cosi' delineare una disciplina di favore per la religione cristiana, rispetto alle altre confessioni, attribuendole una posizione di privilegio che, secondo i rammentati principi costituzionali, non puo' trovare giustificazione neppure nella sua indubbia maggiore diffusione, cio' che puo' semmai giustificare nelle singole scuole, secondo specifiche valutazioni, il rispetto di tradizioni religiose - come quelle legate al Natale o alla Pasqua - ma non la generalizzata presenza del crocifisso. 6. - In conclusione, non appare manifestamente infondata e va sollevata questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con il principio di laicita' dello Stato, quale risultante dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, degli artt. 159 e 190 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, come specificati rispettivamente dall'art. 119 del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297 (Tabella C) e dall'art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, nella parte in cui includono il crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche e dell'art. 676 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, nella parte in cui conferma la vigenza delle disposizioni di cui all'art. 119 del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297 (Tabella C) ed all'art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965. Deve, pertanto, disporsi la sospensione del presente giudizio e la rimessione della questione all'esame della Corte costituzionale, giusta l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.
P. Q. M. Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto, I Sezione, solleva questione di legittimita' costituzionale degli artt. 159 e 190 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, come specificati rispettivamente dall'art. 119 del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297 (Tabella C) e dall'art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, nella parte in cui includono il crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche e dell'art. 676 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, nella parte in cui conferma la vigenza delle disposizioni di cui all'art. 119 del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297 (Tabella C) ed all'art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, in riferimento al principio della laicita' dello Stato e, comunque, agli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione. Sospende il giudizio in corso e dispone, a cura della segreteria della Sezione, che gli atti dello stesso siano trasmessi alla Corte costituzionale per la risoluzione della prospettata questione, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento della Repubblica. Cosi' deciso in Venezia, nella camera di consiglio addi' 13 novembre 2003. Venezia, addi' 14 gennaio 2004 Il Presidente: Baccarini L'estensore: Gabbricci 04C0604