N. 433 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 gennaio 2004

Ordinanza  emessa  il  14  gennaio  2004 dal tribunale amministrativo
regionale  del Veneto sul ricorso proposto da Lautsi Soile in proprio
e n.q. contro Ministero istruzione universita' e ricerca

Liberta'   religiosa   -   Esposizione   del  crocifisso  nelle  aule
  scolastiche  -  Lesione  del principio della laicita' dello Stato -
  Violazione del principio di uguaglianza delle confessioni religiose
  e di liberta' di religione.
- D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, artt. 159, 190 e 676.
- Costituzione, artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20.
(GU n.1001 del 3-6-2004 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 2007/02,
proposto da Soile Lautsi, in proprio e quale genitore del minori D.A.
e  S.A.,  rappresentata  e difesa dall'avv. L. Ficarra, con domicilio
presso  la  Segreteria del Tribunale amministrativo regionale Veneto,
giusta art. 35 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054;
    Contro   l'Amministrazione  dell'istruzione,  dell'universita'  e
della  ricerca,  in persona del ministro pro tempore, rappresentata e
difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, per legge
domiciliataria,  per  l'annullamento  della  decisione  assunta il 27
maggio 2002 dal Consiglio di Istituto dell'I.C. «Vittorino da Feltre»
di  Abano Terme (Padova) - verbale n. 5 - nella parte in cui delibera
di lasciare esposti negli ambienti scolastici i simboli religiosi;
    Nonche'  per l'annullamento degli atti presupposti e conseguenti,
comunque connessi con quello impugnato.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'Amministrazione
dell'istruzione;
    Viste le memorie prodotte dalle parti;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Uditi  nella  pubblica udienza del 13 novembre 2003 - relatore il
consigliere  avv. Angelo Gabbricci - l'avv. Ficarra per la ricorrente
e l'avv. dello Stato Gasparini per l'Amministrazione resistente;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Massimo Albertin e Soile Tuulikki Lautsi, quest'ultima nata nella
citta'  di  Sipoo,  in  Finlandia,  sono i genitori di D. e S.A. nati
rispettivamente   nel   1988   e   nel  1990,  e  iscritti  nel  2002
rispettivamente  alla  III ed alla I classe dell'istituto comprensivo
statale «Vittorino da Feltre» di Abano Terme (Padova).
    Il  22  aprile  2002,  nel  corso  di  una  seduta  del consiglio
d'istituto  -  come  si  legge nel verbale della riunione - lo stesso
Massimo   Albertin,   «in   riferimento  all'esposizione  di  simboli
religiosi»  all'interno  della  scuola, ne propose la rimozione; dopo
un'approfondita discussione, la decisione fu rinviata alla seduta del
27   maggio,   quando   fu   posta  in  votazione  ed  approvata  una
deliberazione   che   proponeva   «di   lasciare  esposti  i  simboli
religiosi».
    Soile  Tuulikki  Lautsi, in proprio e quale genitore esercente la
potesta'  sui  figli  minori, ha impugnato tale determinazione con il
ricorso  in  esame;  nel  successivo  giudizio  si  e'  costituito il
Ministero   dell'istruzione,   concludendo   per  l'inammissibilita',
l'improcedibilita' e, comunque, per l'infondatezza del ricorso.

                            D i r i t t o

    1.1.  -  Il  ricorso censura la deliberazione impugnata anzitutto
per  violazione  dei  principi  d'imparzialita'  e  di laicita' dello
Stato,   e   segnatamente   del   secondo,  quale  principio  supremo
dell'ordinamento   costituzionale,   avente   priorita'   assoluta  e
carattere    fondante,    desumibile    insieme   dall'art. 3   della
Costituzione,  che  garantisce  l'uguaglianza di tutti i cittadini, e
dal  successivo  art. 19,  il  quale  riconosce  la piena liberta' di
professare   la   propria   fede  religiosa,  includendovi  anche  la
professione  di  ateismo  o  di  agnosticismo:  principio  confermato
dall'art. 9  della  Convenzione  europea  dei diritti dell'uomo, resa
esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, che riconosce la
liberta' di manifestare «la propria religione o il proprio credo».
    Il  rammentato  principio  di  laicita',  prosegue la ricorrente,
precluderebbe   l'esposizione  dei  crocefissi  e  di  altri  simboli
religiosi  nelle  aule  scolastiche,  disposta  in  violazione  della
«parita'  che deve essere garantita a tutte le religioni e a tutte le
credenze,  anche areligiose»: l'impugnata deliberazione del consiglio
della  scuola  «Vittorino  da  Feltre» costituirebbe «aperta e palese
violazione dei suesposti principi fondamentali del nostro ordinamento
giuridico».
    1.2.  -  Inoltre,  continua  la  Lautsi,  la stessa deliberazione
sarebbe  illegittima  anche  per  eccesso  di potere sotto il profilo
della sua contraddittorieta' logica.
    Si   desume   invero   dal   verbale  della  seduta,  in  cui  il
provvedimento  fu  assunto,  che  uno  dei  membri  dell'organo aveva
espresso  l'auspicio  per  cui  «tale  problema possa incentivare una
maggiore  educazione  all'integrazione  religiosa e al rispetto della
liberta' di idee e di pensiero per tutti»: ma, secondo la Lautsi, non
si potrebbe affermare cio' e nel contempo negarlo, «dicendo che nella
scuola  debbono  essere  presenti  i  simboli  religiosi appartenenti
peraltro ad una sola determinata confessione religiosa».
    2.1.   -   Il  Ministero  dell'istruzione,  nel  costituirsi,  ha
sollevato  una  prima eccezione di nullita' del ricorso introduttivo,
perche'  sottoscritto  soltanto  da  uno dei genitori dei minori D. e
S.A.  mentre  l'art. 320  c.c. prescrive che la rappresentanza legale
dei  figli spetta congiuntamente ad entrambi: l'eccezione e' tuttavia
infondata.
    La  norma  citata stabilisce bensi' che i genitori congiuntamente
rappresentano  i  figli  in tutti gli atti civili e ne amministrano i
beni,  ma  soggiunge  che  possono  essere compiuti disgiuntamente da
ciascuno  di  essi  gli  atti  di  ordinaria  amministrazione, e, tra
questi,  ad  avviso  del Collegio, rientra l'esercizio, in nome e per
conto  dei  figli  minori,  di  azione  per  la  tutela di situazioni
sostanziali  che  non abbiano direttamente o indirettamente contenuto
patrimoniale,  ovvero  comunque una potenzialita' lesiva per la sfera
giuridica patrimoniale del minore: certamente il ricorso in questione
non  presenta  un  siffatto contenuto, per cui esso ben poteva essere
validamente proposto da uno soltanto dei genitori.
    2.2.1.   -   L'Amministrazione  pone  altresi'  un  dubbio  sulla
giurisdizione del giudice adito, che il Collegio non ritiene peraltro
di condividere.
    L'atto  impugnato, infatti, si riferisce ad un arredo scolastico,
seppure  certamente  sui  generis,  ed  e'  dunque espressione di una
potesta' organizzativa che appartiene all'Amministrazione scolastica,
a  fronte  della  quale i singoli utenti hanno posizioni di interesse
legittimo.
    2.2.2.  -  Quest'ultima  considerazione  consente  di  respingere
altresi'  l'ulteriore  eccezione  proposta dalla difesa erariale, per
cui  il  ricorso  non  sarebbe  stato  notificato  a quei genitori ed
allievi   dell'istituto  «Vittorino  da  Feltre»,  i  quali  vogliono
mantenere  nelle  aule  scolastiche  il  crocifisso  - che e' l'unico
simbolo  religioso  cola'  attualmente  presente  -  e che per questo
avrebbero la qualita' di controinteressati.
    Invero,    nel    giudizio   amministrativo   la   posizione   di
controinteressato  va  riconosciuta  -  con  il  conseguente onere di
notificazione  del  ricorso introduttivo - ai soggetti che si trovano
in una posizione antitetica a quella del ricorrente, traendo utilita'
propria  e  diretta  dal  provvedimento  impugnato, e sono facilmente
individuabili  in  base  a  questo: in specie manca senz'altro questo
secondo  requisito,  poiche' la ricorrente (come d'altronde la stessa
resistente)  non era certamente in grado di stabilire, nel momento in
cui ha proposto il ricorso, chi condividesse la decisione assunta dal
consiglio d'istituto e qui impugnata.
    2.3.1.  -  Ancora, lo stesso Ministero sostiene di aver diramato,
sia  pure  dopo l'avvio del processo, una circolare, datata 3 ottobre
2002,  in  cui  si inviterebbero i dirigenti scolastici ad assicurare
l'esposizione   del   crocefisso   nella  aule  scolastiche:  e  tale
disposizione,  secondo la difesa erariale, «sarebbe comunque ostativa
alla  possibilita'  per la parte ricorrente, di ottenere la rimozione
del simbolo cristiano».
    2.3.2.  -  Si deve peraltro anzitutto osservare come la circolare
non  risulti  essere  stata  ufficialmente pubblicata, ne' comunicata
direttamente alla ricorrente, e neppure prodotta in giudizio: sicche'
neppure  il  Collegio  e'  in  grado  di  valutarne  la  rilevanza, e
l'effettivo valore vincolante.
    La  stessa  circolare,  comunque, non costituirebbe in ogni caso,
per  ammissione  della  stessa  Amministrazione  resistente,  un atto
presupposto  del  provvedimento  gravato, ne' cio' sarebbe possibile,
essendo a questo successiva.
    Non  si  potrebbe dunque far carico alla ricorrente di non averla
impugnata   con   il   ricorso   introduttivo,   ne'  di  non  averla
successivamente  gravata  mediante  motivi  aggiunti,  come  pure  si
sostiene  nel  controricorso, non trattandosi di un atto appartenente
allo  stesso procedimento ed adottato «tra le stesse parti» (art. 21,
comma 1,  legge  n. 1034/1971):  si  deve quindi concludere che, allo
stato,    la   Lautsi   conserva   integro   il   proprio   interesse
all'annullamento  della deliberazione 27 maggio 2002, la quale incide
direttamente sulla sua posizione soggettiva d'interesse legittimo.
    3.1.  -  Di ben maggiore spessore e' viceversa l'ulteriore difesa
dell'Amministrazione.
    Essa   rileva   che   l'esposizione  del  crocifisso  nelle  aule
scolastiche   e'   espressamente   prescritta  da  due  disposizioni,
l'art. 118  del  r.d.  30  aprile  1924, n. 965, recante disposizioni
sull'ordinamento  interno  degli  istituti  di  istruzione  media,  e
dall'art. 119  del  r.d.  26 aprile 1928, n. 1297 (e, in particolare,
nella  Tabella  C  allo  stesso  allegata), riferito agli istituti di
istruzione elementare.
    Tali  norme, sebbene risalenti, sarebbero tuttora in vigore, come
confermato  dal  parere  27  aprile  1988,  n. 63/1988, reso dalla II
Sezione   del  Consiglio  di  Stato:  e,  sebbene  non  espressamente
richiamate  nell'atto  impugnato,  ne fonderebbero la legittimita', e
dovrebbero dunque condurre alla reiezione del ricorso proposto.
    3.2.  -  Invero,  va  anzitutto  riconosciuto che le disposizioni
richiamate  dall'Amministrazione  resistente costituiscono, per tali,
pertinente    ed   adeguato   fondamento   giuridico   positivo   del
provvedimento   gravato,  seppure  limitatamente  ad  un  particolare
simbolo  religioso,  il  crocifisso, che e', peraltro, l'unico cui il
ricorso  si  riferisce  esplicitamente  e,  con ragionevole certezza,
quello cui si vuole riferire il provvedimento impugnato.
    Il  citato  art. 118  del r.d. n. 965/1924 - incluso nel capo XII
intitolato  «dei  locali e dell'arredamento scolastico» - dispone che
ogni  istituto  d'istruzione  media  «ha  la bandiera nazionale; ogni
aula, l'immagine del Crocifisso e il ritratto del Re»; l'art. 119 del
r.d. n. 1297/1928, a sua volta, stabilisce che gli arredi delle varie
classi  scolastiche  sono  elencati  nella  tabella  C, allegata allo
stesso  regolamento:  e  tale  elencazione  include il crocifisso per
ciascuna classe elementare.
    Tali  previsioni,  anteriori  al Trattato ed al Concordato tra la
Santa Sede e l'Italia - cui fu data esecuzione con la legge 27 maggio
1929, n. 810 - non appaiono contrastare con le disposizioni contenute
in  quegli  atti  pattizi, in cui nulla viene stabilito relativamente
all'esposizione  del  crocifisso  nelle  scuole,  come  in  qualsiasi
ufficio  pubblico;  inoltre,  come  rileva  il Consiglio di Stato nel
citato  parere  n. 63/1988,  le modificazioni apportate al Concordato
con  l'Accordo,  ratificato  e  reso  esecutivo con la legge 25 marzo
1985,  n. 121, «non contemplando esse stesse in alcun modo la materia
de   qua,   cosi'   come   nel  Concordato  originario,  non  possono
influenzare, ne' condizionare la vigenza delle norme regolamentari di
cui  trattasi»,  mancando  i  presupposti  di  cui  all'art. 15 delle
disposizioni sulla legge in generale.
    In   particolare,   prosegue   lo   stesso  parere,  «non  appare
ravvisabile  un  rapporto  di incompatibilita' con norme sopravvenute
ne'  puo' configurarsi una nuova disciplina dell'intera materia, gia'
regolata  dalle norme anteriori»: sicche', in conclusione, poiche' le
disposizioni   in   parola   «non  attengono  all'insegnamento  della
religione  cattolica,  ne'  costituiscono  attuazione  degli  impegni
assunti  dallo  Stato  in sede concordataria, deve ritenersi che esse
siano tuttora legittimamente operanti».
    3.3.  -  Orbene,  il Collegio a sua volta deve riconoscere che le
due   disposizioni   in   questione  non  sono  state  abrogate,  ne'
espressamente,  ne'  implicitamente,  da  norme  di grado legislativo
ovvero regolamentare.
    Il  r.d.  n. 965/24 ed il r.d. n. 1297/28, infatti, costituiscono
certamente   fonti  regolamentari,  come  si  desume,  anzitutto,  da
specifiche  previsioni  che  li  autoqualificano  per  tali  (ad  es.
l'art. 144 del r.d. n. 965/1924, e la stessa intestazione per il r.d.
n. 1297/1928);  a  cio'  si  aggiunga  che, nei rispettivi preamboli,
vengono  richiamati  atti di grado sicuramente legislativo - il testo
unico delle leggi sull'istruzione elementare, approvato con il r.d. 5
febbraio  1928,  n. 577,  da  una  parte,  ed  il r.d. 6 maggio 1923,
n. 1054,  recante  l'ordinamento della istruzione media, dall'altra -
rispetto  ai  quali  sono  destinati ad introdurre norme attuative di
dettaglio.
    3.4.  -  E'  tuttavia evidente che la controversia non puo' cosi'
ritenersi  definita,  poiche',  attese  le censure proposte, il thema
decidendum  si  sposta dal contrasto tra il provvedimento impugnato e
l'invocato   principio   di  laicita'  a  quello  dell'illegittimita'
costituzionale  delle  due  citate  disposizioni:  questione  che, in
generale,  puo'  essere  sollevata d'ufficio innanzi al giudice delle
leggi  per  quelle  disposizioni  che  costituiscano  presupposto  di
legittimita' dell'atto impugnato.
    4.1.  -  Ora,  tenuto  anche  conto che il provvedimento e' stato
emesso  dal  consiglio  d'istituto  d'un  istituto comprensivo - che,
cioe', riunisce la scuola elementare e media - non pare dubbio che la
questione  di  costituzionalita',  riferita sia all'art. 118 del r.d.
n. 965/1924   che  all'art. 119  del  r.d.  n. 1297/1928,  abbia  qui
rilevanza  in  quanto  su  queste  disposizioni  e' fondato il potere
esercitato con il provvedimento impugnato.
    Per  quanto invece concerne la rilevanza della questione sotto il
profilo   della  natura  giuridica  delle  disposizioni  oggetto  del
giudizio    di    legittimita'    costituzionale,    ferma,   secondo
l'insegnamento  della Corte, l'inammissibilita' del controllo diretto
dei  regolamenti  da  parte  della Corte costituzionale, ne e' invece
ammissibile  il  controllo  indiretto  (cfr.  le sentenze 30 dicembre
1994,  n. 456,  e  20  dicembre  1988,  n. 1104), nei casi in cui una
disposizione    di    legge   «trova   applicazione   attraverso   le
specificazioni   espresse   dalla   normativa  regolamentare,  i  cui
contenuti  integrano  il  precetto della norma primaria» (Corte cost.
n. 456/1994 cit.).
    4.2.  -  Orbene,  ad avviso del Collegio, tale relazione sussiste
tra  le  norme regolamentari in questione e quelle primarie di cui le
prime  costituiscono  specificazione:  il r.d. 6 maggio 1923, n. 1054
quanto  all'istruzione  media, il r.d. 5 febbraio 1928, n. 577 quanto
all'istruzione  elementare, attualmente vigenti nella formulazione di
cui  al  d.lgs.  16  aprile  1994, n. 297, mediante il quale e' stato
approvato  il  testo  unico delle disposizioni legislative vigenti in
materia  di  istruzione,  relative alle scuole di ogni ordine e grado
(art. 676 d.lgs. cit.).
    Invero,  rammentato  nuovamente  che  il  crocifisso costituisce,
secondo   le  disposizioni  regolamentari  in  questione,  un  arredo
scolastico,  va  anzitutto  ricordato  come  l'art. 159, comma 1, del
d.lgs.  n. 297/1994,  corrispondente  all'art. 55 del r.d. 5 febbraio
1928,  n. 577, disponga che spetta ai comuni provvedere, tra l'altro,
«alle   spese   necessarie   per   l'acquisto,  la  manutenzione,  il
rinnovamento  del  materiale  didattico, degli arredi scolastici, ivi
compresi  gli armadi o scaffali per le biblioteche scolastiche, degli
attrezzi  ginnici  e  per  le forniture dei registri e degli stampati
occorrenti per tutte le scuole elementari»; per la scuola media, poi,
l'art. 190  d.lgs.  n. 297/1994 cit., corrispondente all'art. 103 del
r.d.  6  maggio  1923,  n. 1054, egualmente dispone che i comuni sono
tenuti  a fornire, oltre ai locali idonei, l'arredamento, l'acqua, il
telefono, l'illuminazione, il riscaldamento, e cosi' via.
    Orbene, alla specificazione del contenuto minimo necessario delle
locuzioni  di  genere: «arredi» ovvero «arredamento», contenute negli
artt. 159 e 190, concorrono le due disposizioni regolamentari citate,
comprendendovi   anche   il  crocifisso:  cosi'  si  puo'  senz'altro
affermare che le disposizioni degli artt. 159 e 190, come specificati
dalle  norme  regolamentari  citate,  includono il crocifisso tra gli
arredi  scolastici,  e  per  questa parte, possono formare oggetto di
sindacato di costituzionalita' innanzi al giudice della leggi.
    4.3.  -  V'e'  poi  un'altra disposizione, contenuta nello stesso
d.lgs.  n. 297/1994, che va considerata ai fini della rilevanza della
questione,  ed  e'  l'art. 676, intitolato «norma di abrogazione», il
quale  dispone che «le disposizioni inserite nel presente testo unico
vigono  nella  formulazione  da  esso risultante; quelle non inserite
restano   ferme   ad   eccezione   delle  disposizioni  contrarie  od
incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate».
    Invero,  le  norme  recate  dall'art. 118  del r.d. n. 965/1924 e
dall'art. 119  del  r.d.  n. 1297/1928  non  confliggono con il testo
unico,  ma  dovrebbero  comunque ritenersi implicitamente abrogate ex
art. 15  preleggi,  perche'  il  d.lgs.  n. 297/1994  regola l'intera
materia  scolastica: restano dunque in vigore esclusivamente in forza
dello  stesso  art. 676,  il  quale, dunque, costituisce, al pari dei
richiamati  artt. 159  e  190, una norma primaria attraverso la quale
l'obbligo    di   esposizione   del   crocifisso   conserva   vigenza
nell'ordinamento positivo.
    5.1.  -  Accertato  cosi'  che  la questione e' rilevante, e' ora
necessario  stabilire  se  la  stessa  sia  o meno non manifestamente
infondata.
    Invero,  il  crocifisso  rappresenta  la massima icona cristiana,
presente  in  ogni luogo di culto e piu' di ogni altra venerata: esso
puo'  bensi'  assumere  ulteriori  valori  semantici,  ma  questi non
possono  comunque  mai completamente elidere quello religioso, da cui
traggono comunque giustificazione e fondamento.
    La norma in questione, dunque, impone che nelle aule delle scuole
elementari  e  medie,  luoghi  sicuramente  pubblici,  sia apposto un
simbolo   il   quale   mantiene   comunque   un  univoco  significato
confessionale, per tale percepito dalla massima parte dei consociati:
e  non  si  puo'  essere  certi  che  una  siffatta  prescrizione sia
compatibile con i principi stabiliti dalla Costituzione repubblicana,
nell'interpretazione che la Corte ha nel tempo delineato.
    5.2. - Invero, la laicita' dello Stato italiano - come ricorda la
ricorrente   -  costituisce,  secondo  il  giudice  delle  leggi,  un
principio  supremo,  emergente  dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della
Costituzione,  e,  dunque,  «uno  dei  profili  della  forma di Stato
delineata  dalla Carta costituzionale della Repubblica», (cosi' Corte
cost.,  12  aprile  1989, n. 203) e nel quale «hanno da convivere, in
uguaglianza  di  liberta', fedi, culture e tradizioni diverse» (Corte
cost., 18 ottobre 1995, n. 440).
    Quale   riflesso   del  principio  di  laicita'  (successivamente
ribadito  dalla  Corte  costituzionale  con le sentenze nn. 259/1990,
195/1993  e  329/1997), e, piu' specificatamente, dell'uguaglianza di
tutti  i  cittadini  senza  distinzione di religione (art. 3 Cost.) e
dell'eguale  liberta'  davanti  alla  legge  di  tutte le confessioni
religiose  (art. 8  Cost.), «l'atteggiamento dello Stato non puo' che
essere  di  equidistanza  e imparzialita» nei confronti di ogni fede,
«senza   che   assumano   rilevanza   alcuna   il  dato  quantitativo
dell'adesione  piu'  o  meno  diffusa a questa o a quella confessione
religiosa  (sentenze  nn. 925 del 1988, 440 del 1995 e 329 del 1997)»
(cosi' Corte cost., 20 novembre 2000, n. 508).
    In tale contesto, credenti e non credenti si trovano «esattamente
sullo  stesso  piano  rispetto  all'intervento prescrittivo, da parte
dello  Stato,  di  pratiche  aventi  significato  religioso:  esso e'
escluso  comunque, in conseguenza dell'appartenenza della religione a
una  dimensione  che  non e' quella dello Stato e del suo ordinamento
giuridico,  al  quale  spetta  soltanto  il  compito  di garantire le
condizioni che favoriscano l'espansione della liberta' di tutti e, in
questo  ambito,  della liberta' di religione» (Corte cost., 8 ottobre
1996,  n. 334);  mentre  «valutazioni  ed  apprezzamenti  legislativi
differenziati  e  differenziatori»  tra  le diverse fedi, con diverse
intensita'  di  tutela,  verrebbero  ad  incidere sulla pari dignita'
della   persona   e   si   porrebbero  «in  contrasto  col  principio
costituzionale  della  laicita'  o  non-confessionalita' dello Stato»
(Corte cost., 14 novembre 1997, n. 329).
    5.3.  -  V'e'  dunque  da  dubitare  che siano compatibili con le
precedenti  enunciazioni  le norme dell'ordinamento generale le quali
prescrivono,  come  detto,  l'esposizione  di un simbolo venerato dal
cristianesimo  nelle  aule  scolastiche,  (cosi' come lo sarebbe ogni
altra  disposizione  che  stabilisse  la presenza di simboli di altre
fedi):  cio'  non  pare  pienamente  conciliabile con la posizione di
equidistanza ed imparzialita' tra le diverse confessioni che lo Stato
deve  comunque  mantenere,  tanto piu' che la previsione si riferisce
agli  spazi  destinati  all'istruzione  pubblica,  cui  tutti possono
accedere  -  ed  anzi debbono, per ricevere l'istruzione obbligatoria
(art. 34  Cost.)  -  e  che  lo  Stato  assume  tra  i  suoi  compiti
fondamentali, garantendo la liberta' d'insegnamento (art. 33 Cost.).
    Diversamente   da   quanto   avviene   per  l'insegnamento  della
religione,  che liberamente gli studenti ed i loro genitori possono o
meno  accogliere  - e solo cosi' il principio di laicita' dello Stato
e'  osservato:  cfr.  Corte  costituzionale  n. 203/1989  cit.,  e 14
gennaio   1991,   n. 13   -   la   presenza   del   crocifisso  viene
obbligatoriamente  imposta  agli studenti, a coloro che esercitano la
potesta'  sui medesimi e, inoltre, agli stessi insegnanti: e la norma
che  prescrive  tale obbligo sembra cosi' delineare una disciplina di
favore  per  la religione cristiana, rispetto alle altre confessioni,
attribuendole  una  posizione di privilegio che, secondo i rammentati
principi  costituzionali,  non  puo'  trovare giustificazione neppure
nella   sua  indubbia  maggiore  diffusione,  cio'  che  puo'  semmai
giustificare nelle singole scuole, secondo specifiche valutazioni, il
rispetto  di  tradizioni  religiose  - come quelle legate al Natale o
alla Pasqua - ma non la generalizzata presenza del crocifisso.
    6.  -  In  conclusione,  non appare manifestamente infondata e va
sollevata questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con
il principio di laicita' dello Stato, quale risultante dagli artt. 2,
3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, degli artt. 159 e 190 del d.lgs.
16    aprile   1994,   n. 297,   come   specificati   rispettivamente
dall'art. 119  del  r.d.  26  aprile  1928,  n. 1297  (Tabella  C)  e
dall'art. 118  del  r.d.  30  aprile 1924, n. 965, nella parte in cui
includono  il  crocifisso  tra  gli  arredi  delle aule scolastiche e
dell'art. 676  del  d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, nella parte in cui
conferma  la  vigenza delle disposizioni di cui all'art. 119 del r.d.
26  aprile  1928,  n. 1297  (Tabella  C)  ed all'art. 118 del r.d. 30
aprile 1924, n. 965.
    Deve,  pertanto,  disporsi la sospensione del presente giudizio e
la  rimessione  della questione all'esame della Corte costituzionale,
giusta l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.
                              P. Q. M.
    Il  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Veneto, I Sezione,
solleva  questione  di  legittimita' costituzionale degli artt. 159 e
190   del   d.lgs.   16   aprile   1994,   n. 297,  come  specificati
rispettivamente  dall'art. 119  del  r.d.  26  aprile  1928,  n. 1297
(Tabella  C)  e  dall'art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, nella
parte  in  cui  includono  il  crocifisso  tra  gli arredi delle aule
scolastiche  e dell'art. 676 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, nella
parte   in   cui  conferma  la  vigenza  delle  disposizioni  di  cui
all'art. 119  del  r.d.  26  aprile  1928,  n. 1297  (Tabella  C)  ed
all'art. 118  del  r.d.  30  aprile  1924,  n. 965, in riferimento al
principio della laicita' dello Stato e, comunque, agli artt. 2, 3, 7,
8, 19 e 20 della Costituzione.
    Sospende  il giudizio in corso e dispone, a cura della segreteria
della  Sezione,  che gli atti dello stesso siano trasmessi alla Corte
costituzionale  per la risoluzione della prospettata questione, e che
la  presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del
Consiglio  dei  ministri  e comunicata ai Presidenti delle due Camere
del Parlamento della Repubblica.
    Cosi'  deciso  in  Venezia,  nella  camera  di consiglio addi' 13
novembre 2003.
        Venezia, addi' 14 gennaio 2004
                      Il Presidente: Baccarini
                       L'estensore: Gabbricci
04C0604