N. 434 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 dicembre 2003
Ordinanza emessa il 3 dicembre 2003 dalla Commissione tributaria regionale sez. staccata di Lecce sul ricorso proposto da Agenzia delle Entrate - Ufficio di Lecce 1 contro Poliresine S.r.l. Imposte e tasse - Imposta sul patrimonio netto delle societa' - Istituzione e disciplina - Discriminazione delle societa' che accantonano nelle riserve gli utili prodotti, rispetto a quelle che li distribuiscono (e dunque non sono soggetti a imposizione) - Violazione del principio di uguaglianza - Contrasto con la tutela del risparmio e con il principio di capacita' contributiva. - Legge 26 novembre 1992, n. 461 [rectius: d.l. 30 settembre 1992, n. 394, convertito con modifiche nella legge 26 novembre 1992, n. 461], art. 1. - Costituzione, artt. 3, 47 e 53. Imposte e tasse - Imposta sul patrimonio netto delle societa' - Ambito di applicazione temporale - Estensione, con due successive proroghe, fino all'esercizio in corso al 30 settembre 1997 - Violazione del principio di ragionevolezza - Contrasto con i principi generali dell'ordinamento relativi al legittimo affidamento e alla certezza del diritto. - Legge 30 novembre 1994, n. 656 [rectius: d.l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito in legge, con modifiche nella legge 30 novembre 1994, n. 656, art. 1]; legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 110 [recte: art. 3, comma 110]. - Costituzione, artt. 3, 47 e 53.(GU n.1001 del 3-6-2004 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza di remissione alla Corte costituzionale. Ritenuto in fatto ed in diritto Con istanza dell'11 luglio 1997, la societa' Poliresine S.r.l., in persona del suo legale rappresentante, sig.ra Gaballo Luce, chiedeva alla Direzione regionale delle Entrate - sezione staccata di Lecce -, la restituzione dell'importo di L. 150.732.000 (Euro 77.846,58) versato a titolo d'imposta patrimoniale, ex d.l. 30 settembre 1992, n. 394, convertito dalla legge 26 novembre 1992, n. 461, per gli anni d'imposta: 1992-93-94-95-96, ritenendo la suddetta imposta in contrasto con la direttiva n. 69/335/CEE. La stessa istante, con ricorso presentato in data 20 maggio 1998, alla C.T.P. di Lecce faceva presente che l'Ufficio non aveva provveduto al rimborso, e si era, quindi formato il silenzio-rifiuto. Pertanto, la ricorrente, tramite il suo procuratore chiedeva, in via principale, l'accoglimento del ricorso con condanna dell'Ufficio al rimborso delle somme indebitamente versate a titolo di imposta patrimoniale per gli esercizi sociali sopra menzionati, stante il contrasto con la direttiva n. 69/335/CEE, oltre gli interessi maturati e maturandi, come per legge. Inoltre, in via subordinata, lo stesso difensore chiedeva, in caso di rigetto delle tesi suesposte, la rimessione degli atti alla Corte di Giustizia della Comunita' europea del Lussemburgo ex art. 177 del Trattato di Roma, al fine di domandare se sia compatibile con l'Ordinamento comunitario, e, segnatamente, con la direttiva suddetta, la previsione legislativa di cui al d.l. n. 394/1992 e succ. mod. ed int.. Ancora, in via piu' subordinata, veniva pure chiesta la rimessione degli atti alla Corte costituzionale in quanto: «l'imposta in esame, oltre ad essere in contrasto con la direttiva comunitaria, viola anche alcuni principi costituzionali. Segnatamente, l'imposta patrimoniale, applicabile sia al capitale che agli aumenti di patrimonio netto costituiti da riserve, appare in contrasto con il "principio della capacita' contributiva" (art. 53 Cost.) poiche' tassa con un'aliquota che va ad aumentare di anno in anno, (tanto da risultare sproporzionata), una ricchezza gia' tassata, e, inoltre, va a colpire le riserve societarie che non rappresentano un incremento del potenziale economico della societa'. Infine, quanto alla tassazione degli utili non distribuiti, la medesima imposta contrasta con il principio di "uguaglianza" (art. 3 Cost.) e con quello della "tutela al risparmio" (art. 47 Cost.), discriminando le societa' che portano a patrimonio netto gli utili prodotti, rispetto a quelle societa' che li distribuiscono». In ordine al termine decennale per il recupero dell'imposta indebitamente versata, il medesimo difensore della ricorrente sottolineava che detto termine: «e' sicuramente quello civilistico decennale di prescrizione ordinaria (art. 2946 c.c.), come piu' volte ribadito dalla Corte di Giustizia CEE, secondo cui il legislatore nazionale, nel caso in cui una norma interna risulti in contrasto con una direttiva comunitaria, verso la quale lo Stato membro risulti inadempiente per non essersi adeguato, non deve penalizzare i contribuenti con un termine breve che sostanzialmente ostacoli il rimborso». Con memorie, depositate in data 11 luglio 1998 e dirette alla C.T.P. di Lecce, l'Ufficio si costituiva in giudizio, contestando la richiesta della societa' ricorrente ed eccependo, tra l'altro, che nella specie non trattavasi di doppia imposizione, in quanto la normativa comunitaria limita la tassazione alle imposte indirette, mentre, l'imposta patrimoniale e' un'imposta diretta; in via subordinata, lo stesso Ufficio eccepiva l'inammissibilita' dell'istanza di rimborso della Poliresine per intervenuta decadenza, ex art. 38 del d.P.R. n. 602/1973, limitatamente ai versamenti effettuati anteriormente ai 18 mesi dalla produzione dell'istanza stessa. In data 19 ottobre 1998, con sentenza n. 432/06/98, la C.T.P. di Lecce, sez. 6ª, accoglieva totalmente il ricorso, disponendo il rimborso dell'imposta indebitamente versata, oltre gli interessi, e compensava tra le parti le spese del giudizio. Il giudice di primo grado riteneva conclusivamente che «l'imposta sul patrimonio netto, quindi, determina un'illegittima duplicazione dell'imposizione in discorso - rinnovata, oltretutto, per diverse annualita' - in conflitto con la sopraccennata direttiva comunitaria n. 69/335 CEE ed, in particolare, con l'art. 10 che vieta la introduzione di imposte ad effetto equivalente all'imposta sui conferimenti; e va, pertanto, disapplicata perche' illegittima, con conseguente condanna dell'Ufficio al rimborso in favore della ricorrente di tutte le somme versate a tale titolo..... In relazione, infine, alla eccezione di decadenza, avanzata dall'Ufficio, del diritto al rimborso delle somme richieste in restituzione oltre il termine di 18 mesi dall'effettuazione dei relativi versamenti ex art. 38 d.P.R. n. 602/1973, s ritiene che, secondo costante giurisprudenza della Corte di Giustizia europea (ad es. C-208/90 del 25 luglio 1991) i termini per la presentazione dell'istanza di rimborso decorrono dal momento della corretta trasposizione della direttiva nella normativa nazionale». Avverso tale sentenza (pronunciata, peraltro, in data 19 ottobre 1998 e, cioe', anteriormente alla sentenza della Corte di Giustizia del 27 ottobre 1998, di cui si dira' in seguito) l'Ufficio, in data 6 ottobre 1999, proponeva appello alla Commissione Tributaria Regionale di Bari e, con tale gravame, contestava la tesi accolta dai primi giudici per quanto riguarda l'affermazione che l'imposta sul patrimonio netto delle imprese e l'imposta di registro sui trasferimenti di capitale possano essere considerate tasse di effetto equivalente; rifacendosi alla sentenza della Corte di Giustizia della CEE del 27 ottobre 1998 e alla circolare del Ministero delle finanze, n. 125/E del maggio 1999, che nega qualsiasi assimilazione tra le due forme di tributo, e ne ammette, di conseguenza, la compatibilita'. Concludeva, lo stesso Ufficio, chiedendo l'accoglimento dell'appello e, in riforma dell'impugnata sentenza n. 432/1998, il rigetto del ricorso proposto dalla Poliresine S.r.l., con condanna della societa' ricorrente al pagamento delle spese di primo e secondo grado di giudizio. La Poliresine S.r.l. si costituiva dinanzi a questa Commissione, presentando, in data 12 febbraio 2000, controdeduzioni con le quali chiedeva il rigetto dell'appello proposto dall'Ufficio con la conferma della sentenza di primo grado e ribadiva quanto gia' ivi esposto, riproponendo, infine, la questione di legittimita' costituzionale dell'imposta in oggetto per contrasto con gli artt. 3 e 47 Cost., in quanto, la stessa applicabile ai soli aumenti di patrimonio netto, costituiti da utili di esercizio, discriminerebbe, inammissibilmente, le societa' che inseriscono a patrimonio netto gli utili prodotti, rispetto a quelle che li distribuiscono. Con provvedimento fuori udienza del 19 giugno 2002, questa stessa Commissione riteneva indispensabile la nomina di un consulente tecnico di Ufficio, il quale, all'udienza del 10 luglio 2002, si presentava ed allo stesso venivano posti i quesiti del caso. In data 20 novembre 2002, il dott. Marcello Marchetti, (CTU) depositava relazione tecnica di cui in atti. All'udienza del 16 settembre 2003, la causa veniva riservata per la decisione, in seguito alla presenza del CTU d'ufficio, che confermava la sua relazione con gli allegati richiesti, e alle conclusioni delle parti, le quali si riportavano a tutti gli scritti difensivi; insistendo, in particolare, l'Ufficio, per l'accoglimento dell'appello, ed, il difensore della appellata, ribadendo tutti gli argomenti svolti, con riferimento piu' specifico alla questione di costituzionalita' della normativa di cui al d.l. n. 394/1992 per violazione dell'art. 53 Cost., «sotto il profilo di una non considerazione adeguata della capacita' contributiva, prevista dalla stessa norma costituzionale quale presupposto di ogni imposizione, anche per il protrarsi della straordinarieta' della stessa imposta, istituita nel 1992 e prorogata sino al 1997». A questo punto, il Collegio, anzitutto, rileva che, come e' stato - anche piu' volte - osservato sul punto specifico dalla prevalente dottrina, l'imposta sul patrimonio netto delle imprese, istituita come sopra, e' stata oggetto di notevoli controversie tra i contribuenti e l'amministrazione fmanziaria; e si e' constatato anche un persistente contrasto tra la giurisprudenza tributaria nazionale e la Corte di Giustizia CEE, in merito alla ritenuta incompatibilita' dell'imposta italiana in esame con la direttiva CEE n. 69/335. Invero, i giudici comunitari, come e' noto, si sono pronunciati, gia' due volte, sulla questione (cfr. Corte di Giustizia CEE, sent. 27 ottobre 1998, causa n. C- 4/97 ed Ord. 15 marzo 2001, cause riunite), affermando la compatibilita' della stessa imposta delle imprese con l'ordinamento comunitario. Il Collegio, non puo' non prendere atto di quanto sin qui esposto in relazione ai vari problemi - evidenziati da parte della giurisprudenza dei giudici tributari nazionali e della Corte di Giustizia CEE, nonche' della dottrina specifica -, in ordine alla compatibilita' o meno della legge istitutiva dell'imposta patrimoniale di cui al d.l. 30 settembre 1992, n. 394, convertito con modificazioni dalla legge 26 novembre 1992, n. 461, in rapporto alla direttiva CEE n. 335/69. Pero' non puo' trascurarsi che, sia nel giudizio di primo grado, sia in quello di appello, la Societa' appellata, tramite il suo difensore, ha richiesto, anche se subordinatamente, di dichiarare non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale delle norme previste dal d.l. 30 settembre 1992, n. 394. All'uopo, si richiamano i motivi gia' indicati dal difensore della societa' appellata a supporto delle questioni di costituzionalita' dallo stesso proposte: contrasto della normativa di cui al d.l. n. 394/1992, convertito in legge 26 novembre 1992 n. 461 con gli artt. 3 e 47 Cost.: principio di uguaglianza; tutela del risparmio in tutte le sue forme, discriminandosi le societa' che portano a patrimonio netto gli utili prodotti rispetto a quelle che li distribuiscono; e con l'art. 53 Cost.: principio della capacita' contributiva, poiche' viene stabilita dal d.l. n. 394/1992 un'imposta, con un'aliquota che aumenta di anno in anno, - tanto da risultare sproporzionata -, una ricchezza gia' tassata; ed, inoltre, va a colpire le riserve societarie che non rappresentano un incremento del potenziale economico della societa'; considerando che la capacita' contributiva e' il presupposto di ogni imposizione, e la medesima imposta sul patrimonio netto, istituita nel 1992, e' stata prorogata irragionevolmente sino al 1997. Orbene, su tali questioni di costituzionalita', il Collegio ritiene di doversi pronunciare, anche di ufficio, perche', a suo parere, le stesse possono considerarsi di pregiudizialita' alternativa in rapporto a quella affrontata dinanzi alla Corte di Giustizia; e cio', per i motivi che di seguito si evidenziano. All'uopo, e' indispensabile premettere che, ai fini di una corretta impostazione delle questioni, non puo' farsi a meno di tener presente l'intento del legislatore comunitario che aveva disciplinato compiutamente l'imposizione fiscale sulla raccolta dei capitali. Si e' opportunamente rammentato sul punto, che: «la ratio della direttiva comunitaria - peraltro, gia' espressa nel Preambolo della stessa - e' quella di evitare che le imposte sui conferimenti in vigore negli Stati membri, diano luogo a «doppia imposizione», nonche' a disparita' che ostacolano sostanzialmente la libera circolazione dei capitali. La direttiva, pertanto consente agli Stati membri di applicare una sola volta un'imposta sui conferimenti e li invita a sopprimere tutte le altre diverse imposizioni contrastanti con la ratio della direttiva medesima; determinando il campo di applicazione e indicando, compiutamente, le operazioni da sottoporre all'imposta sui conferimenti i soggetti passivi la base imponibile, nonche' l'aliquota massima da applicare (fissata nell'1% a decorrere dal 1° gennaio 1976). Essa, inoltre, al fine di facilitare gli investimenti di capitali, evitando, peraltro, discriminazioni tra i diversi Stati membri, impone agli stessi il preciso divieto di adottare, oltre all'imposta sui conferimenti, altra imposizione, «sotto qualsiasi forma» (art. 10); nel contempo consente eccezioni tassativamente previste (art. 12), nonche' l'adozione di alcune misure in deroga, per motivi di equita' fiscale, ordine sociale e situazioni particolari (art. 9). Tuttavia, al fine di evitare effetti distorsivi impone, a ciascuno Stato membro che intende adottare misure in deroga, di rivolgersi preventivamente alla Commissione della Comunita' europea, in tempo utile, secondo il procedimento di cui all'art. 102 del Trattato di Roma» (e si e' gia' detto, per compiutezza d'indagine, circa le problematiche sviluppatesi nell'applicazione della direttiva stessa, nonche' dei risultati decisionali in sede giurisdizionale, da parte delle Commissioni Tributarie Italiane, ed anche dalla Corte di Giustizia U.E.). L'imposta sul patrimonio netto delle imprese - su cui deve essere piu' mirata la valutazione in ordine alle questioni di costituzionalita' di cui si e' detto - com'e' noto, fu istituita dal legislatore italiano con d.l. n. 394, 30 settembre 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 461/1992. La stessa fu successivamente prorogata con d.l. n. 564/1994, convertito in legge 30 novembre 1994, n. 656, ed, ancora, con legge 28 dicembre 1995 n. 549. Orbene, dovendo valutare specificamente i problemi relativi alle eccezioni di illegittimita' costituzionale, cosi' come proposti dalla difesa privata, e le questioni di costituzionalita' rilevabili anche d'ufficio con riferimento alle disposizioni di cui alle leggi di conversione: 26 novembre 1992, n. 461 (Istitutiva dell'imposta sul patrimonio netto delle imprese); 30 novembre 1994, n. 656 (Proroga della stessa legge); 28 dicembre 1995, n. 549, (contenente un'ulteriore proroga della medesima imposta), il Collegio ritiene di notevole importanza tener presente l'orientamento di codesta ecc.ma Corte per quanto concerne, in generale, il controllo della discrezionalita' riservato al legislatore in relazione alle varie finalita', cui di volta in volta, si ispira l'attivita' d'imposizione fiscale. Sul punto, la Corte ha affermato, con l'ordinanza piu' recente n. 124/2003, - sia pure con riferimento ad altra imposta (IRAP) - che «... omissis.... alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte "rientra nella discrezionalita' del legislatore, con il solo limite della non arbitrarieta', la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacita' contributiva ex art. 53 Cost., che, quale idoneita' del soggetto all'obbligazione d'imposta, puo' essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale (sentenze nn. 111/1997; 21/1996; 142/1995, 159/1985"». Inoltre, con la sentenza n. 111/1997, ha ribadito che la discrezionalita' del legislatore, «omissis... come la Corte ha costantemente affermato, consente al legislatore stesso, sia pure con il limite della non arbitrarieta', di determinare i singoli fatti espressivi della capacita' contributiva, che, quale idoneita' del soggetto all'obbligazione d'imposta, puo' essere desunta da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza (reddito, consumo, patrimonio nella sua oggettivita' ovvero, nel momento specco del suo incremento, ecc. ...) ... allo stesso modo non e' di per se' lesivo del principio di uguaglianza e di capacita' contributiva il fatto che il legislatore individui, di volta in volta, quali indici rivelatori di capacita' contributiva, le varie specie di beni patrimoniali, sia di natura mobiliare che immobiliare, come risulta dalla legislazione vigente, in ordine alla quale si possono esemplificarne: l'imposta sul patrimonio netto delle imprese (legge 26 novembre 1992, n. 464) ......... omissis» (quest'ultima legge e' quella relativa al caso in esame). Infine, questa stessa on.le Corte, con sentenza del 28 giugno 1995, n. 313, ha affermato, (sia pure con riferimento ad altra questione di costituzionalita' riferentesi a norme del cod. penale) «...Perche' sia dunque possibile operare uno scrutinio che direttamente investa il merito delle scelte (.....) operate dal legislatore, e', pertanto, necessario che l'opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza». Pertanto, tenendo in adeguata considerazione cio' che ha stabilito questa ecc.ma Corte con le sentenze sopra indicate, tornando al caso di specie, in relazione alle eccezione di illegittimita' costituzionale proposta dal difensore della Poliresine, di cui sopra si e' fatto cenno, ritiene il Collegio che la stessa non possa considerarsi manifestamente infondata, con riferimento a quanto disposto dall'art. 1 della legge 26 novembre 1992 n. 461 e dal decreto ministeriale 7 gennaio 1993 del Ministro delle finanze, delegato ex art. 3, comma 7 della stessa legge, per il contrasto, sia con il principio di «uguaglianza» (art. 3 Cost.), sia con quello della «tutela al risparmio» (art. 47 Cost.) ed anche con quello della «capacita' contributiva» (art. 53 Cost.), avendo discriminato le societa' che accantonano gli utili prodotti nelle riserve societarie, con consequenziale assoggettamento all'imposta, rispetto a quelle che, distribuendoli, non sono soggette alla medesima imposizione; nulla avendo precisato in merito, sul punto, sia il legislatore che il Ministro delle finanze, col decreto del 1993. All'uopo, devesi anche ricordare che l'oggetto impositivo della nuova imposta, e' desumibile dall'art. 1 della stessa legge del 1992, n. 461 che precisa: «l'imposta si applica ..... sul patrimonio netto cosi' come risulta dal bilancio o, in mancanza, dai relativi elementi desumibili dalle scritture contabili diminuito dell'utile dell'esercizio». Cio' appare in netta e irragionevole contrapposizione con la possibilita' che detto utile sia poi considerato imponibile, per l'imposta in esame allorquando confluisca nelle riserve della societa', senza che venga distribuito; e, quindi, anche con violazione del principio di ragionevolezza, ben noto ed espresso molto autorevolmente da quest'Eccellentissima Corte. A questo punto, il Collegio ritiene necessario richiamare quanto gia' precisato con riferimento sia alla stessa legge del 26 novembre 1992, n. 461, sia alle successive del 30 novembre 1994, n. 656 e 28 dicembre 1995, n. 549. Per quanto concerne la prima di dette leggi: «Disposizioni urgenti in materia fiscale» il legislatore stabiliva, espressamente, nell'art. 1, che «Fino alla revisione della disciplina tributaria del reddito d'impresa e comunque non oltre l'esercizio in corso alla data del 30 settembre 1994 ..... e' istituita l'imposta sul patrimonio netto». Con il d.l. n. 564 del 30 settembre 1994, convertito in legge 30 novembre 1994, n. 656 «Disposizioni urgenti in materia fiscale», testualmente si dichiarava «Disposizioni urgenti in materia fiscale; il Presidente della Repubblica; visti gli artt. 77 e 87 Cost.; ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni in materia fiscale; vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella riunione del 27 settembre 1994; sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri del tesoro e del bilancio e della programmazione economica, emana il seguente decreto-legge: Art. 1 «Proroga dell'imposta sul patrimonio netto delle imprese: l'imposta sul patrimonio netto delle imprese di cui al d.l. n. 394/1992, conv. succ. con la legge n. 461/1992, si applica fino alla riforma del sistema fiscale e, comunque, non oltre all'esercizio in corso alla data del 30 settembre 1995». Infine, con la legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), si prorogava l'applicazione dell'imposta di cui in esame sino all'esercizio in corso al 30 settembre 1997. Occorre, inoltre, precisare che, dai lavori preparatori relativi al disegno di legge sulla conv. in legge del d.l. 30 settembre 1994, n. 564, (Atti Parlamentari; Camera dei Deputati n. 1371; 22ª Legislatura; Disegni di legge e relazioni; Documenti) si faceva presente, in ordine alla proroga stabilita dal decreto, quanto segue: «L'ambito di applicazione temporale era originariamente stabilito fino al periodo di imposta in corso alla data del 30 settembre 1994; con l'art. 1 del decreto in esame si e' provveduto a prorogarlo sino alla riforma generale del sistema e, comunque, non oltre l'esercizio in corso alla data del 30 settembre 1995». Cio', senza null'altro aggiungere con nferimento al termine di applicazione della stessa imposta, allorquando fu istituita (legge n. 461/1992), con il limite temporale, gia' evidenziato: «comunque non oltre l'esercizio in corso alla data del 30 settembre 1994». Ne' e' dato rinvenire altre considerazioni in merito alla proroga nel corso dei suddetti lavori preparatori svoltisi, con molti contrasti, dalla maggioranza e dalla opposizione, ma con riferimento ad altre norme della nuova legge. Soltanto con un «comunicato stampa» del Ministro delle finanze del 29 settembre 1994 (alla vigilia dell'entrata in vigore della nuova legge) si evidenziava quanto segue: «l'imposta sul patrimonio netto delle imprese, istituita nel 1992, produce attualmente un gettito pari a circa 6000 mld. L'imposta scade nel corrente esercizio e la proroga si rende necessaria per evitare l'emersione di un buco futuro. Il relativo gettito non concorre, comunque, a formare i 21.000 mld della manovra, rilevando nel 1996». Il Collegio rileva, inoltre, che il legislatore del 1992, a differenza di altre imposizioni una tantum, - e cioe' limitate temporalmente (es. nello stesso anno: d.l. 11 luglio 1992 n. 233, conv. con mod. nella legge 8 agosto 1992, n. 359; d.l. 19 settembre 1992 n. 384, conv. con mod. nella legge 14 novembre 1992, n. 438; e negli anni successivi d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, conv. con mod. 26 febbraio 1994, n. 133; d.l. 19 dicembre 1994. n. 691, conv. con mod. legge 16 febbraio 1995, n. 35), - per le quali aveva dichiarato espressamente la tipologia di tributi straordinari, cio' non ha fatto per quanto concerne la stessa legge del 1992, n. 461 (istitutiva dell'imposta de qua) pur stabilendone l'applicazione nei limiti gia' indicati nell'art. 1 della stessa legge. Questo e' accaduto, anche, con la successiva legge 30 novembre 1994, n. 656, relativa alla medesima imposta, con il termine finale: «sino alla riforma del sistema fiscale e, comunque, non oltre l'esercizio in corso alla data del 30 settembre 1995. Infine, con la legge 28 dicembre 1995, n. 549, con termine «fino all'esercizio in corso alla data del 30 settembre 1997, neppure ha dichiarato la straordinarieta' della medesima imposta». Orbene, rileva, ancora il Collegio, considerando oltre che la lettera legis, anche l'intenzione del legislatore ex art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, che e' desumibile, in modo espresso, da tutti i lavori preparatori della stessa legge n. 461/1992, teste' richiamata, che il relatore di maggioranza e gli esponenti dell'opposizione erano stati concordi nell'affermare trattarsi di imposta temporanea e straordinaria 1) Quindi, questo stesso Collegio e' dell'avviso, anche secondo l'orientamento in tal senso di parte della dottrina e della giurisprudenza specifica (tra le altre: Com. Trib. Prov. Lecce, 13 aprile 2001; 30 luglio 2001), che tale imposta fosse straordinaria con tutti i relativi effetti, non solo formali, ma soprattutto sostanziali, anche in ordine alla possibilita' o meno di ben due «proroghe» per un'imposizione fiscale di tale natura; e nonostante i termini di applicazione di cui si e' gia' fatto cenno. Cio' precisato, il Collegio e' dell'avviso che tali «proroghe», nei modi e con le finalita' espresse dal legislatore, (senza altri eventuali interventi per soddisfare interessi pubblici rilevanti), possono considerarsi in contrasto con alcuni principi generali del nostro ordinamento, ritenuti, dalla dottrina ed anche dalla giurisprudenza di legittimita', immanenti nel sistema, gia' prima dell'entrata in vigore dello Statuto del contribuente (Cass. 10 dicembre 2002 n. 17576). Particolarmente, quello dell'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che, secondo questa Ecc.ma Corte, con la pronuncia n. 525 del 22 novembre 2000, e' stato qualificato come elemento essenziale dello Stato di diritto. Inoltre, si deve rammentare, che la Corte di Giustizia comunitaria, con sentenze del 3 maggio 1978, in causa 112/1977 e quella 21 settembre 1983, in cause 205-215/1982, ha stabilito che la tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto costituiscono principi generali del diritto e dell'ordinamento comunitario. Orbene, il Collegio rileva che, con le suddette «proroghe», l'imposta patrimoniale si e' protratta dal 1992 al 1997, nonostante i destinatari avessero avuto ben chiara la determinazione dei limiti temporali palesemente perentori; (comunque non oltre l'esercizio in corso alla data del...), di cui si e' gia' sopra specificamente detto, stabiliti dallo stesso legislatore, con affidamento sugli stessi, e con conseguente incidenza negativa sulla normale attivita' delle imprese, stante anche l'irrazionevolezza derivante dall'evidente contraddittorieta' legislativa tra l'enunciazione rigorosa di detti termini e una pura e semplice proroga degli stessi, per ben due volte sino all'abrogazione dell'imposta, avvenuta nell'anno 1997. Deve, pertanto, ritenersi, da parte di questo Collegio, non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' con riferimento all'art. 1 della legge 30 novembre 1994, n. 656 (che stabiliva la proroga della precedente legge del 26 novembre 1992, n. 461, con ulteriore limite «comunque, non oltre l'esercizio in corso alla data del 30 settembre 1995»), dell'art. 110 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 con cui si prorogava ulteriormente l'applicazione dell'imposta «sino all'esercizio in corso al 30 settembre 1997» (anno in cui, come si e' ripetutamente precisato, la stessa imposta veniva abrogata dalla legge istitutiva ddll'IRAP), per violazione: degli artt. 47 Cost. (Tutela del risparmio), 53 Cost. (mancata valutazione della capacita' contributiva intesa oggettivamente Corte cost. n. 315/1994», in relazione al presupposto economico cui l'obbligazione tributaria si riferisce), e del principio di ragionevolezza per la contraddittorieta' sopra evidenziata, in antitesi dei principi generali dell'ordinamento, relativi all'affidamento e alla certezza del diritto. A questo punto il Collegio, ritiene opportuno comunque precisare che, con le considerazioni a supporto della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' sopra evidenziate, si e' ritenuto di seguire i principi della Ecc.ma Corte, espressi con le sentenze su citate e, non si e' posta in dubbio la discrezionalita' del legislatore del 1992, di istituire una nuova imposta «straordinaria» sul patrimonio netto delle imprese, cosi' come risultante dal bilancio ..... diminuito dell'utile dell'esercizio; (anche se con una definizione del patrimonio netto enunciata nel decreto del Ministro delle finanze del 7 gennaio 1993, gia' richiamato, secondo cui, ex art. 2, tale patrimonio e' rilevante ai fini dell'applicazione dell'imposta, se corrispondente a quello indicato dall'art 2424 del codice civile; con indicazione, pero', di altre voci oltre le varie riserve, non previste nella stessa norma, e senza una delega specifica da parte del legislatore, il quale, con l'art. 3, comma 7 della legge istitutiva, aveva delegato il Ministro a stabilire, soltanto, le modalita' di attuazione delle disposizioni di cui al decreto-legge stesso). Si sono rilevate, pero', le discutibili modalita' con cui lo stesso legislatore, nella prima legge istitutiva ed in quelle successive di «proroga», ha esplicato tale potere discrezionale per le ragioni gia' espresse. Per quanto concerne la necessaria rilevanza di tutte le questioni suddette, il Collegio ritiene che la stessa possa desumersi, anche, da cio' che emerge dalla relazione del CTU, nella quale e' indicata l'entita' dell'imposta patrimoniale versata dalla societa' Poliresine - che, con questo procedimento, ne ha richiesto il rimborso - negli anni compresi tra il 1992 ed il 1996; sovrapponendosi, in parte, con le due proroghe, nei vari bilanci della stessa societa', con un mcidenza negativa sulla fisiologia degli stessi; - in particolare negli anni 1993 e 1994 - essendosi verificata una perdita d'esercizio di notevole entita' a carico di un'impresa che e' risultata non aver proceduto alla distribuzione degli utili, accantonandoli nelle riserve e, in tal modo, ugualmente assoggettati all'imposta de qua, nonostante la previsione che il patrimonio netto risultante dal bilancio per ogni anno, ex art. 1, comma 2, legge n. 461/1992, andasse «... diminuito dell'utile dell'esercizio». 1) Atti Senato della Repubblica 60° Seduta - Assemblea - Resoconto stenografico del 28 ottobre 1992, Discussione del disegno di legge: Conversione in legge d.l. 30 settembre 1992 n. 394, recante disposizioni concernenti un'imposta sul patrimonio netto delle imprese - 667. Votazione finale qualificata ai sensi dell'art. 120, comma 3 del regolamento; relazione orale SCHEDA relatore: «... D'altronde, il carattere straordinario dell'imposizione contemplata da questo provvedimento spiega di per se la necessita' di raggiungere gli obiettivi imposti dall'attuale deficit fiscale, facendo appello al senso di responsabilita' dei contribuenti e all'inevitabilita' dei sacrifici da compiere... omissis ... E' della massima importanza rilevare che l'imposta introdotta avra' vigore solo fino all'esercizio in corso alla data del 30 settembre 1994 (cioe' solamente tre anni di operativita), salva, ovviamente una revisione entro quel termine dell'intera disciplina tributaria del reddito di impresa, mentre, nelle intenzioni originarie, doveva assumere carattere strutturale e permanente. E' sembrato tuttavia estremamente inopportuno introdurre nel nostro ordinamento fiscale, con carattere di permanenza un'imposta che ha, per i primi suoi presupposti, la necessita' del raggiungimento di un determinato gettito, e quindi, per definizione, contingente»; Aperta la discussione generale, Sen Visentini: «Il relatore - che ringrazio - ha gia' svolto alcuni importanti rilievi sul carattere del tributo che si afferma - ed e' scritto - ha carattere triennale, sebbene - mi sia consentito dirlo, - il Ministro delle Finanze - singolarmente, per giustificarlo, sembra attribuirvi un carattere permanente. Ora noi dobbiamo prendere il testo cosi' com'e', con la sua affermazione che il tributo ha carattere temporale, e' di natura straordinaria ed ha durata triennale. Le possibili riforme, che poi non sarebbero cosi' sostanziali, perche' la struttura resterebbe sempre quella del 1971 - come modificata negli anni successivi - le vedremo in avvenire. Presidente: «Dichiaro chiusa la discussione generale. Ha facolta' di parlare il relatore Sen. Scheda. ...;» SCHEDA relatore: «Devo continuare a ripetere che ci troviamo in una situazione di emergenza e, a tale proposito, abbiamo gia' sottolineato il carattere e la natura strettamente straordinaria di questa provvedimento».
P. Q. M. La Commissione visti gli artt. 136 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale con riferimento agli artt. 1, legge 26 novembre 1992, n. 461; 1, legge 30 novembre 1994, n. 656 e 110, legge 28 dicembre 1995, 549, proposte dalla S.r.l. Poliresine e di ufficio, nel procedimento RGA n. 3352/1999, per violazione degli artt. 3, 47, 53 della Costituzione, nonche' del principio di ragionevolezza e di quelli generali dell'ordinamento relativi al legittimo affidamento e alla certezza del diritto. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso. Ordina, che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Lecce, addi' 16 settembre 2003 Il Presidente relatore: Sodo 04C0605