N. 459 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 marzo 2004

Ordinanza  emessa  il  3 marzo  2004  dal  tribunale  di  Ancona sez.
distaccata  di Jesi nel procedimento civile vertente tra Polita Marco
contro Romeo Letterio

Responsabilita'  civile  -  Danno  non  patrimoniale - Risarcibilita'
  quando   derivi   da  fatto  illecito  non  corrispondente  ad  una
  fattispecie  astratta  di  reato - Esclusione - Lesione dei diritti
  inviolabili   dell'uomo   (nel   caso   di   specie,   del  diritto
  all'immagine)   -   Irragionevole   disparita'  di  trattamento  in
  raffronto   ad   altre   fattispecie  -  Preclusione  della  tutela
  giurisdizionale   di   diritti  costituzionalmente  riconosciuti  -
  Limitazione      della      responsabilita'      dei     dipendenti
  dell'Amministrazione  -  Contrasto  con  il  buon  andamento  delle
  funzioni  ausiliarie  della  giurisdizione  -  Richiamo  alla sent.
  n. 233/2003 della Corte costituzionale.
- Cod. civ., art. 2059.
- Costituzione, artt. 2, 3, 24, 28 e 97, primo comma.
(GU n.1001 del 3-6-2004 )
                            IL TRIBUNALE

    Letti  gli atti del procedimento civile n. 7352/99 r.g. ha emesso
1a seguente ordinanza.
    L'avv.  Marco Polita proponeva azione civile contro il comandante
della  compagnia  Carabinieri  di  Jesi Romeo Letterio, esponendo che
quest'ultimo  aveva redatto un'informativa destinata al PM, inducendo
in  errore  l'autorita'  giudiziaria  requirente  circa una possibile
commissione  del  reato di cui all'art. 323 comma I c.p. da parte del
Polita  medesimo,  quale  sindaco del comune di Jesi «..... per avere
abusato  del suo ufficio al fine di consentire la realizzazione di un
impianto    di    fitodepurazione    malgrado   esistessero   precise
prescrizioni,  non  osservate,  e  vi  fossero  omissioni  di  natura
regolamentare  da  parte  della  ditta  appaltatrice  dei lavori... »
nonche' del reato di cui all'art. 734 c.p. in concorso «... per avere
distrutto  ed  alterato  le  bellezze  di luoghi sottoposti a vincoli
ambientali».
    Esponeva l'attore che da tale informativa era scaturito un avviso
di  garanzia  emesso  dal  p.m.,  con  grande  risalto  sugli  organi
d'informazione  e gravissimo danno nei suoi confronti; che la vicenda
era  grave  anche  perche'  il  suo  operato di sindaco era stato, al
contrario, quello di disporre la sospensione dei lavori attraverso il
dirigente   preposto  all'ufficio  urbanistica  del  comune,  essendo
peraltro  in  precedenza del tutto all'oscuro sulla vicenda. Chiedeva
pertanto  la  condanna  al  risarcimento dei danni «... all'immagine,
alla  vita di relazione, da quantificarsi in corso di causa o secondo
equita».
    Si  costituiva  il  Letterio,  lamentando  la  temerarieta' della
domanda  ed  il  carattere  diffamatorio  delle espressioni difensive
usate  da  controparte, sottolineando che le indagini erano ancora in
corso; che in ogni caso egli, quale ufficiale di polizia giudiziaria,
aveva  il potere-dovere di indagare, anche d'iniziativa, su fatti che
potevano  costituire  reato,  riferendone  al p.m.; che per l'appunto
cio'  era  stato  fatto  e  ne  era  scaturita  delega  per ulteriori
indagini,  le  quali  avevano  portato  alla  notifica dell'avviso di
garanzia;  che  i  fatti  portati all'attenzione del p.m. erano stati
forniti  a  quest'ultimo  cosi'  come  erano  emersi,  e  la relativa
documentazione  era stata trasmessa nella sua interezza, senza alcuna
maliziosa  manipolazione come adombrava controparte; che in ogni caso
le  lamentele  di  parte  attrice  avevano  un  contenuto generico ed
inconsistente, tanto da rendere difficile il diritto alla controprova
sul punto. Il convenuto spiegava domanda riconvenzionale per ottenere
il   risarcimento  dei  danni  derivanti  dalla  sconsiderata  azione
intrapresa  da  controparte.  Nel corso della trattazione istruttoria
venivano   assunte   abbondanti   prove   costituende   ed  acquisita
documentazione.  Nel  frattempo  nei  confronti  dell'  attore veniva
emesso decreto di archiviazione.
    Tanto  premesso,questo  giudice  ritiene  che  nella condotta del
convenuto  possa  rinvenirsi un atteggiamento antidoveroso sub specie
di  condotta  negligente  e  superficiale.  Esclusa  ovviamente  ogni
volonta'   di   recare   intenzionalmente   danno   al  Polita  (come
specialmente   negli   scritti   difensivi  conclusionali  sottolinea
l'attore),  anche  sotto il profilo di un dolo «eventuale» (per usare
termini  penailistici),  poiche'  non  emerge  alcun elemento che dia
conto  ditale  intento doloso, non potendosi ovviamente ricavare tale
elemento   soggettivo   dalle   sole  dichiarazioni  accusatorie  del
Letterio,  va osservato che le testimonianze escusse hanno dato conto
che  il  Polita,  peraltro  sindaco  di  una  citta'  di circa 40.000
abitanti  e  con  un  comune  avente  una  consistente  articolazione
amministrativa,  era  del  tutto  estraneo  alla  vicenda burocratica
sottostante,   almeno   nelle   sue  prime  battute,  nel  senso  che
addirittura  non  se  ne  era  occupato.  Il  dirigente  del  settore
urbanistico di Jesi, sentito quale teste, ha riferito che, per quanto
concerne la decisione dell'appalto alla ditta (asseritamente soggetto
extraneus   interessato  rispetto  all'ipotizzato  abuso),  esso  non
rientrava  nelle competenze comunali e che il rilascio di concessione
edilizia   non  era  di  competenza  del  sindaco  ma  del  dirigente
dell'ufficio Urbanistico. Da' conto di una serie di comportamenti del
sindaco incompatibili non solo con una mera connivenza, ma anche solo
con  una  disattenzione  alla  problematica.  Altri  dati cartolari e
testimoniali concordano con il quadro tratteggiato. L'estraneita' del
sindaco appariva evidente ed un minimo di doverosa attenzione avrebbe
reso  palese  tale  estraneita'. Invece le espressioni dell'estensore
dell'informativa  sono  categoriche in senso contrario: «..... questa
Arma,  in fase di indagine, si e' formata una serie di convincimenti,
basati  peraltro  su  dati  di fatto oggettivi ed inoppugnabili sulla
scorta  dei quali si puo' tranquillamente asserire che sono emerse le
violazioni di seguito meglio evidenziate ...».
    Invocare   la   sovraordinazione  del  p.m.  procedente  rispetto
all'ufficiale  di  polizia  giudiziaria,  sia  per  dare  conto della
legittimita'    del    comportamento    dell'ufficiale   di   polizia
giudiziaria,proprio per il «filtro» esercitato dal pm stesso, sia per
sottolineare la mancanza di connessione causale tra evento produttivo
di  danno  (l'informazione  di  garanzia  da  cui  sarebbe partito il
nocumento  per  l'attore)  e  condotta  del convenuto, non coglie nel
segno.  In  primo  luogo  perche'  il  Pm non era nelle condizioni di
rendersi   conto   appieno   dell'erroneita'  delle  impostazioni  di
indagine,  proprio  perche' organo che le aveva delegate e che poteva
solo  riscontrare  qualche illogicita' e genericita' nell'informativa
di reato, elementi peraltro di non grande rilievo, e non sotto il suo
diretto  controllo,  all'  inizio  del  raccoglimento  della  notitia
criminis. In secondo luogo perche' in ogni caso l'informativa redatta
si  pone  come  concausa necessaria dell'avviso di garanzia (rectius,
del  perdurante  procedimento  penale, per quel che rileva sul fronte
del  danno  lamentato  dall'attore),  per  cui  il  nesso causale tra
condotta del Letterio e danno rimane ben saldo in ogni caso. In terzo
luogo   perche',  ammesso  che  il  p.m.  fosse  animato  da  fervore
garantistico  cosi'  forte  da  sconfessare  «al  buio» ed in liminis
l'operato del suo diretto collaboratore investigativo, le due ipotesi
che  poteva  scegliere,  al posto dell'emissione dell'informazione di
garanzia,  erano  la  richiesta  di archiviazione diretta (ipotesi di
scuola)  ovvero la continuazione delle indagini con emissione di atti
equipollenti  all'informazione  di  garanzia.  E, a tal proposito, si
osserva  che  incentrare  l'attenzione  sull'informazione di garanzia
come  causa del danno lamentato non e' esatto: com'e' noto, si tratta
di  atto  a  difesa  dell'indagato,  che  pero'  si  presta ad un uso
improprio quando l'indagato medesimo goda di una certa notorieta'. Il
danno  per l'interessato e' dato, ovviamente, non dall'avviso, bensi'
dalla risonanza infamante che puo' avere un certo procedimento penale
in  danno  di  un personaggio pubblico, risonanza rispetto alla quale
l'avviso  di  garanzia  non  e' che un improprio strumento in mano ai
media,  che secondo la legge non avrebbero alcun diritto di venirne a
conoscenza (e ne vengono puntualmente a conoscenza, invece).
    La  predetta  condotta e' inquadrabile nella colpa grave, che da'
quindi   luogo   a   responsabilita'   civile  anche  nella  presente
fattispecie,  pur  ammettendo  che  si  applichino  in via estensiva,
rispetto  a tutti coloro che sono legati da un rapporto d'ufficio con
lo Stato, le limitazioni di cui all'art. 23 TU impiegati civili dello
stato  (in  tal  senso  cfr. Cass. Sez. legge n. 1890 del 18 febbraio
2000).  Non  va  dimenticato  che  si  trattava  di un funzionario di
polizia giudiziaria di grado elevato, con notevoli responsabilita' di
coordinamento   di   sottoposti   ufficiali   ed  agenti  di  polizia
giudiziaria,   e   le  sviste  riscontrate  non  appaiono  frutto  di
valutazioni meramente opinabili, per cui si poteva e doveva prevedere
un'attenzione che e' stata in toto trascurata.
    Dall'analisi  sin  qui  condotta,  doverosa  per  dare  conto dei
profili  di  incostituzionalita' che appresso si verranno a trattare,
discende  che  v'e'  un  comportamento  illecito  cui non corrisponde
alcuna  figura  astratta  di  reato.  Non esiste, in altre parole, il
reato di diffamazione o di calunnia colposo. Qui e' appena il caso di
ricordare,  inoltre,  che  l'inosservanza  di  norme  cautelari  o la
violazione   della   diligenza  doverosa,  quali  elementi  oggettivi
dell'imputazione   soggettiva,   acquistano  rilievo  non  solo  come
fondamento  di  una  specifica  forma  di colpevolezza (artt. 42 - 43
c.p.)  ma  gia' sul piano della tipicita', poiche' ogni reato colposo
riceve la sua fisionomia, differenziandosi dalla corrispondente forma
dolosa, gia' nella struttura della fattispecie obiettiva.
    In  altre parole, o v'e' diffamazione o calunnia, o v'e' condotta
colposa che non puo' corrispondere,nemmeno strutturalmente, al reato.
Deve quindi ritenersi che il sostenere la possibilita' astratta di un
reato  anche  nell'ipotesi  in  esame,  cosi'  come sopra inquadrata,
sarebbe mero esercizio nominalistico.
    La  questione  della  tutelabiita'  della  predetta condotta solo
colposa  sotto  il  profilo  del  danno  non  patrimoniale  e'  molto
importante,  se  si  tiene  presente  la  dinamica  dell'elaborazione
giurisprudenziale recente sul danno non patrimoniale.
    Vanno riassunti i seguenti punti di rilievo:
      1)  il risarcimento veniva riconosciuto con l'entrata in vigore
del  codice  del  42,  solo  per  il  danno patrimoniale, quello cio'
riguardante il patrimonio del soggetto leso in senso stretto,sia pure
sotto tutti i suoi vari profili;
      2)   il   risarcimento   del   danno  non  patrimoniale  veniva
riconosciuto   quale   eccezione   alla   regola   generale,  che  si
presupponeva  posta  dall'art. 2059  c.c.,  secondo  la quale esso si
sarebbe attuato «solo nei casi determinati dalla legge», da ritenersi
come normative esplicite;
      3)  i  casi  determinati  dalla legge con esplicito richiamo al
danno  non patrimoniale erano rarissimi e di questi solo l'ipotesi di
cui all'art. 185, secondo comma c.p. («ogni reato,che abbia cagionato
un  danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il
colpevole...») aveva effettivo rilievo pratico;
      4) il caso di cui all'art. 185 c.p., sopra richiamato e,piu' in
generale,  gli  altri rari casi di riconoscimento normativo esplicito
del risarcimento del danno non patrimoniale, venivano rapportati alla
definizione  di  «danno  morale»,  espressione  ripresa pari pari dal
«dommage   moral»  della  dottrina  francese.  Definizione  non  solo
inutile,  ma  tendenzialmente  infausta per la chiarezza concettuale,
dal  momento  che  il  danno  cosi' denominato come «morale» non puo'
contrapporsi al danno non patrimoniale ma e' semmai solo una parte di
esso.  Tale inconveniente, tuttavia, non emerse subito, in quanto, di
fatto,  con  la  supremazia  della  tutela penale rispetto alle altre
forme di tutela, segnatamente quelle civilistiche, si giustificava in
qualche  modo  la  sola tutela del danno non patrimoniale nascente da
reato,  cosicche'  danno  morale  e  danno  non patrimoniale facevano
entrambi parte della strumentazione ausiliaria della sanzione penale,
e tendevano a confondersi nella percezione degli operatori;
      5)  sebbene  si tenda a pensare che le problematiche introdotte
dalle  dispute  sul  c.d. danno esistenziale siano nuove, in realta',
quando  ancora  non  si  parlava nemmeno di danno biologico, anche il
danno  non  patrimoniale,  laddove  fosse  necessario  accedere  alla
determinazione  pecuniaria  del risarcimento - e lo era quasi sempre,
tranne  casi marginali in cui il risarcimento in forma specifica, ove
possibile  fosse  completamente  satisfattivo  (es.  pubblicazione su
giornali, ma nemmeno questo era per lo piu' considerato completamente
satisfattivo)  -  dava origine a molte critiche. Guarda caso, 30 o 40
anni  fa  si  discuteva  gia'  sull'inestimabilita'  pecuniaria degli
interessi non patrimoniali. La dottrina piu' attenta di allora negava
l'incommensurabilita'  dei valori non economici per mezzo del denaro,
cosi'   come  non  accettava  l'orientamento  di  chi  vedeva,  nella
possibilita' di rapportare il risarcimento del danno non patrimoniale
al  denaro, l'espressione di una tendenza rilassata, utilitaristica e
materialistica.  Si  parlava  piuttosto  di  un'estensione/deviazione
della  funzione  del  denaro. E, sempre allora, si faceva riferimento
alla  difficolta'  della  prova  sia  nell'an  che  nel quantum, alla
necessaria soggettivizzazione del dolore, ecc.
      6) negli anni 70 alcuni giudici di merito emettono sentenze che
riconoscono  il risarcimento (non per equivalente ma necessariamente)
pecuniario  del  c.d.  danno  biologico,  che  sostanzia  una lesione
all'integrita'   psicofisica,  diritto  costituzionalmente  garantito
(art. 32  Cost.).  Nel volgere di pochi anni il risarcimento da danno
biologico  entra  a  far parte del c.d. diritto vivente, trovando una
conferma  ed  una  rielaborazione nella giurisprudenza della Corte di
Cassazione e della Corte Costituzionale;
      8)  alla  fine  i tempi divengono maturi per importanti arresti
giurisprudenziali.  Veniva  accertato  giudizialmente che un padre si
era   sistematicamente   reso   inadempiente   del   suo  obbligo  di
mantenimento nei confronti del figlio. E' importante notare che nello
specifico  caso,  sebbene  la  statuizione  del giudice civile avesse
riguardo  al  solo  inadempimento  civilistico,  sullo  sfondo si era
svolto  un  processo penale in relazione all'art. 570 c.p., senza che
si  addivenisse  ad  una condanna penale dell'obbligato/imputato, per
questioni processuali. La Cassazione (sez. I, n. 7713/2000) investita
del  caso,  affermava  tra l'altro «e' assorbente comunque il rilievo
che  cio' che soprattutto la Corte veneziana, nella specie, ha inteso
risarcire la lesione in se', che dal comportamento del ricorrente (di
iniziale  ostinato  rifiuto  di  corrispondere  al  figlio i mezzi di
sussistenza)  ne  e' scaturita di fondamentali diritti della persona,
inerenti   alla  qualita'  di  figlio  e  di  minore.  E,  in  questa
prospettiva,   non   v'e'  dubbio  che  il  comportamento  sanzionato
dall'art. 570  c.p. - sia pur costituito nella sua materialita' dalla
mancata  corresponsione  di  mezzi di sussistenza - rilevi, sul piano
civile,  in termini di violazione non di un mero diritto di contenuto
patrimoniale  ma  di  sottesi  e  piu' pregnanti diritti fondamentali
della  persona,  in  quanto  figlio  ed  in  quanto minore. Ed e' poi
innegabile che diritti siffatti, collocati al vertice della gerarchia
dei  valori costituzionalmente garantiti, vada incontro alla sanzione
risarcitoria  per  il  fatto  in  se'  della  lesione  (danno evento)
indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa
possa comportare (danno conseguenza)»;
      9)  Cass.  Ss.uu.  1°  luglio  2002  continua  nel  processo di
consolidamento   del  concetto  facendo  proprie  quelle  ragioni  di
risarcibiita' che ammettono un nesso di causalita' tra fatto illecito
ed  evento,  anche  indiretto o mediato, purche' il danno si presenti
come un effetto normale (che significa effetto normale 7 significa, a
parere  dello  scrivente,  altamente  prevedibile e/o statisticamente
significativo,  e/o comunemente accettato dalla coscienza sociale e/o
obiettivamente  rilevante  per  le previsioni normative che lo stesso
ordinamento  giuridico pone al centro dei suoi interventi, ecc. ecc.;
decisioni  importanti  sono  state  prese su principi e dati ben piu'
labili)  secondo  il  principio  della  c.d.  regolarita' causale. La
stessa  sentenza  fa un accenno molto opportuno alla scarsa utilita',
nella  materia,  della  nozione  di  danno riflesso o di rimbalzo,che
rischia  di  essere fuorviante dal momento che i soggetti interessati
subiscono  sempre  comunque  un danno che, in quanto collegato con la
condotta  illecita  da  efficienza  causale  completa,  non  puo' che
definirsi,  semmai,  diretto. Altro opportuno accenno e' quello della
centralita' del danneggiato rispetto al danno, al fine di individuare
con criteri quanto piu' rigorosi possibile l'ambito delle c.d. (anche
qui impropriamente) vittime secondarie;
      10) Cass. 31 maggio 2003 nn. 8827 ed 8828 pongono l'accento su:
        a)  un'elencazione  di  leggi che prevedono esplicitamente la
risarcibilita' del danno non patrimoniale
        b)  la  sussistenza comunque di una diretta tutelabilita' del
danno   se   riconducibile   a   categorie   di  diritti  di  rilievo
costituzionale;
        c)   una   sorta   di   funzione   propulsiva  in  tal  senso
dell'art. 2059 c.c., il quale pertanto non viene piu' visto nella sua
portata  limitatrice  del risarcimento, ma di collegamento di diritto
positivo per affermare la risarcibilita'. La prospettiva si capovolge
rispetto a quella tradizionale;
        d)  la  prevedibilita' dell'evento dannoso anche in relazione
al danno non patrimoniale cosi' come inquadrato: nel risarcimento del
danno  da  uccisione  del  congiunto, rientra nella normalita' che la
vittima sia inserita in un nucleo familiare;
        e)  l'inesistenza  di  un principio secondo il quale il danno
sarebbe in re ipsa: «il danno in questione dev'essere dunque allegato
e provato ... tuttavia .... sara' consentito il ricorso a valutazioni
prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obiettivi che
sara'  onere  del  danneggiato  fornire.  La  sua liquidazione... non
potra' che avvenire in base a valutazione equitativa...»;
      11) molto interessante e' l'accenno che fa Cass. 8827/03, sopra
citata,  sull'impossibilita'  di  predeterminazione  pecuniaria della
quantificazione  del  c.d. danno esistenziale: «unica possibile forma
di  liquidazione  di  ogni  danno  privo  delle caratteristiche della
patrimonialita'  e'  quella  equitativa  ... E' dunque escluso che si
possa  far  carico  al giudice di non aver indicato le ragioni per le
quali  il  danno  non puo' essere provato nel suo preciso ammontare -
costituente  la condizione per il ricorso alla valutazione equitativa
di   cui   all'art. 1226   c.c.  -  giacche'  in  tanto  una  precisa
quantificazione  pecuniaria  sarebbe  possibile in quanto esistessero
dei  parametri  normativi  fissi  di  commutazione  ...  .  Altro e',
evidentemente,  il  dovere  del  giudice  (nella specie compiutamente
adempiuto) di dar conto delle circostanze di fatto che ha considerato
nel  compiere  la valutazione equitativa e dell'iter logico che lo ha
condotto ad un determinato risultato ...»;
      12)  importante e' anche l'accenno effettuato dalla sentenza di
cui  sopra a che il giudice tenga ben presente da una parte che danno
morale  e danno c.d. esistenziale possono ben coesistere e dall'altro
che,  nel  caso di coesistenza, il giudice tenga conto, nel liquidare
il  danno  morale,  «....  la piu' limitata funzione di ristoro della
sofferenza contingente che gli va riconosciuta poiche', diversamente,
sarebbe concreto il rischi di duplicazione del risarcimento»;
      13)  da  ultimo  (in un percorso di elaborazione e composizione
che, ovviamente, non puo' dirsi compiuto), la sentenza n. 233 dell'11
luglio 2003 della Corte costituzionale, ha affermato che:
        a)  con  l'entrata  in  crisi del sistema di risarcimento del
danno  non  patrimoniale  improntato  a  finalita' sanzionatorie come
espressamente  prevedeva  la  stessa  relazione  al  codice, e con lo
spostamento  dell'attenzione sull'area di risarcibiita' del danno non
patrimoniale,  e'  fuori  luogo  incentrare  il nocciolo del problema
sull'accertamento  in  concreto  del  dolo  o  della  colpa.  Vi sono
previsioni legislative di danno non patrimoniale del tutto estranee a
qualsiasi  indagine  sull'elemento  soggettivo  (ingiusta  privazione
della  liberta'  personale, eccessiva durata dei processi) cosi' come
vi  sono  figure ormai consolidate di danno non patrimoniale che pure
prescindono da indagini sull'elemento soggettivo della condotta;
        b)  «...su  tale  base,  pertanto,  anche  il  riferimento al
«reato»  contenuto  nell'art. 185  c.p.,  in  coerenza con la diversa
funzione  assolta  dalla  norma  impugnata, non postula piu', come si
riteneva per il passato, la ricorrenza di una concreta fattispecie di
reato,   ma   solo   di  una  fattispecie  corrispondente  nella  sua
oggettivita',  all'astratta previsione di una figura di reato. Con la
conseguente  possibilita'  che  ai fini civili la responsabilita' sia
ritenuta per effetto di una presunzione di legge».
    Nella   sentenza   n. 233/03  Corte  Cost.  sembra  adombrato  un
passaggio  logico  che,  invero,  la  Corte  non  ha fatto in maniera
esplicita, e fors'anche neppure implicitamente. Poiche' uno dei punti
cardine  del  discorso,  non  solo  della  Corte ma dell'orientamento
giurisprudenziale  e  dottrinario in cui la predetta decisione 233/03
si  inserisce,  e'  quello  di  spostare il discorso dalla sanzione e
dall'elemento  soggettivo  in  capo all'autore dell'atto dannoso alla
protezione  del  danni  patito  da  interessi meritevoli, l'ulteriore
passaggio  proposto  da  questo  giudice  non  appare  eccessivamente
ardito.  Anzi,  a  questo punto si puo' e si deve discutere che senso
abbia  mantenere  ancora  il  feticcio della fattispecie di reato «in
astratto»  che  dovrebbe comunque essere sussistente per giustificare
il  risarcimento  del danno non patrimoniale. Perlomeno sulla base di
quanto  detto  dalle sentenze della Cassazione del 13 maggio 2003, si
puo'  fare  tranquillamente  a  meno  di tale riserva. Ma anche nella
sentenza   233   tale   riserva  e'  del  tutto  avulsa  dalla  linea
argomentativa seguita, e resta come una sorta di vuoto omaggio ad una
tradizione  che peraltro si dichiara espressamente di non seguire. La
stessa Cassazione, nelle sentenze del 12 maggio 2003 nn. 7281 e 7282,
espressamente  richiamate  dalla Corte, fa un passo in piu' nel senso
della  risarcibilita' del danno non patrimoniale nascente da illecito
tout court e svincolato da ogni ipotesi di reato, ancorche' astratta:
«.....  appare  incongruo ritenere che,in un contesto connotato da un
onere   probatorio   posto   a   carico  del  danneggiante  convenuto
evidentemente  in  funzione di tutela della posizione della posizione
della  vittima,  ove  lo  stesso  non  sia  soddisfatto  e  la  prova
liberatoria  non  sia data, il danneggiato attore possa ottenere o no
risarcimento  del  danno  non patrimoniale a seconda che abbia dato o
meno  la  prova  di  un  fatto  (colpa)  che non gli compete e la cui
mancanza va invece provata dall'altra parte». Subito dopo il discorso
ritorna  arcaico,  quasi che la Cassazione intendesse sterilizzare il
suo  orientamento  da  fughe  in  avanti non compatibili col percorso
gradualistico attraverso cui e' pervenuta ad importati arresti. Ma il
risultato,  a  livello logico, e' oltremodo debole: «..... Posto che,
se  la  colpa fosse sussistente, il fatto integrerebbe il reato ed il
danno  non  patrimoniale  sarebbe dunque risarcibile; la non superata
presunzione di colpa altro non significa che essa agli effetti civili
sussiste,  sicche'  il  fatto  senz'altro  corrisponde  anche in tale
ipotesi alla fattispecie astratta di reato...».
    Orbene,   se   si   abbandona   chiaramente,   da   parte  ditale
giurisprudenza, come pare
      la  supremazia  della norma penale come fonte di una tutela del
danno rafforzata rispetto agli illeciti «meramente civili»;
      la  funzione  limitatrice dell'art. 2059 c.c. quale barriera al
risarcimento  del  danno non patrimoniale, per abbracciare invece una
versione  di tale norma che qui si e' definita estensiva o propulsiva
(similmente  a  quanto,  ormai  tanto  tempo  fa,  si era assunta una
visione  dell'art. 2043  c.c.  in  maniera  espansiva,  rispetto alla
tutela aquiliana del credito);
      lo  spostamento  della visuale dalla funzione sanzionatoria del
risarcimento    alla    soddisfazione    effettiva    di    interessi
costituzionalmente importanti.
    Se  si  fa  cio',  si ripete, non si vede quale residua validita'
possa  avere  lo schermo della fattispecie astratta di reato rispetto
alla   condotta   dannosa.  Certamente  soccorre  a  questo  tipo  di
argomentazione l'importante rilievo che, statisticamente, le condotte
illecite  che provocano danni rilevanti ai fini non patrimoniali sono
anche  quasi  sempre  corrispondenti  a fattispecie astratte di reato
(lesioni  colpose, omicidio, diffamazione, ecc.). Ma se la statistica
e' maggioritaria in questo senso, ben puo' configurarsi una quota non
trascurabile  di  fattispecie illecite, non costituenti reato, eppure
fonti  di  gravi  lesioni  non  patrimomali.  Tale osservazione trova
ulteriore  supporto  nel  constatare la perdurante latitanza del c.d.
«diritto  penale  minimo», cioe' nel constatare che le fattispecie di
reato  non  sono  limitate,  nonostante  gli  auspici  della dottrina
pressoche'  unanime,  a sanzionare condotte che denotano un disvalore
effettivo  e  costituzionalmente  rilevante, ma sono inserite, spesso
senza  un  disegno  di  vasto  respiro,  in  un tessuto normativo che
risponde   a   molteplici   e   disomogenee  istanze.  E  se  l'agire
dell'interprete  non  puo' essere rivolto direttamente a ricondurre a
razionalita'  cio'  che  appare  frutto  di  scelte  che appartengono
all'autonomia  del legislatore, ben puo' essere rivolto ad utilizzare
questi  criteri  di  ragionevolezza e logica giuridica nel momento in
cui  il  suo  esame si incentra sugli istituti di carattere generale,
lontani  dall'influsso  contingente  del legiferare caso per caso. In
tale  ottica  non  e' chi non veda come vi siano condotte costituenti
fattispecie di reato di contenuta o nulla pericolosita' nei confronti
dei  diritti  individuali  piu'  importanti, mentre vi possono essere
condotte  che  costituiscono  illecito civile che sono obiettivamente
devastanti  per  tali valori. Appare chiara l'assurdita' di concepire
un risarcimento del danno non patrimoniale per i danni conseguenti al
primo  tipo  di  condotte  e  non  concederla  per il secondo tipo di
condotte.
    Un'ulteriore  profilo  di  attenzione e' dato dalla tutela che il
danno non patrimoniale trova nella piu' recente evoluzione normativa,
a  prescindere  da  ipotesi  di dolo o colpa specifica. Di cio' si e'
occupata   la   sentenza   n. 233/03   della  Corte  con  particolare
riferimento,  non  a caso, ad ipotesi di lesione di diritti rilevanti
che  trovano  la  loro origine, a vario titolo, nel processo penale o
civile   (art. 2,  legge  117/1988;  art. 2,  lege  89/2001).  E,  su
consimile  tematica,  molto di recente la Cassazione penale (sez. IV,
n. 2050)  ha  preso  in considerazione l'art. 643 c.p.p. e l'art. 314
c.p.p. Anche qui non c'e' alcun fatto di reato, sebbene vi sia ancora
il  riconoscimento che in qualche modo, e con importanti limitazioni,
la  tutela  del  danno  puo' essere inquadrata nel sistema di diritto
civile    (in    una   visione   solidaristica-indennitaria   e   non
risarcitoria). L'accenno che si e' fatto a tale ultimo pronunciamento
della  Cassazione penale non riguarda le diverse problematiche che ha
trattato  la sentenza, quanto piuttosto la previsione di una tutela a
prescindere  da  ogni considerazione su una colpa da parte di taluno,
per  i  diritti  fondamentali  lesi attraverso il processo. A maggior
ragione,  dunque,dovra'  trovare  tutela  un  diritto  leso con colpa
grave.
    Nessun  danno  patrimoniale e' rinvenibile nella fattispecie, non
essendo  emerso  in alcun modo che il Polita abbia subito pregiudizio
economico  diretto  o  indiretto dalla vicenda. Va comunque osservato
che egli non chiede affatto il ristoro del danno patrimoniale, ma del
solo  danno alla persona, come si evince dalle conclusioni rassegnate
dall'attore.
    Neppure  e'  rinvenibile  alcun  danno biologico, inteso come una
qualche  lesione  all'integrita'  psicofisica del Polita, dal momento
che   il   consulente   tecnico   d'ufficio,  medico  specialista  in
psichiatria,  ha  dato  conto  in  ben  due  riprese, con motivazione
congrua  e precisa alla luce delle odierne cognizioni in materia, che
non  v'e'  stato  processo  morboso, neppure di natura transeunte, in
danno  dell'attore.  In  altre parole, l'angoscia ed il Patema subito
dall'attore   nei   giorni  «caldi»  della  vicenda,  cosi'  come  le
ripercussioni  negative sulla vita attuale, non assurgono ad elemento
denotante  una patologia psichiatrica in senso proprio, ma concorrono
semplicemente,  al  piu',  ad  essere  una  componente  negativa  sul
«vissuto»   dell'attore.   Deve   condividersi   questa  impostazione
prudenziale  dello  psichiatra,  volta  a  non  creare confusione tra
qualsiasi  esperienza,  anche  fortemente negativa, ed il fattore che
puo'  essere  causa, concausa o elemento scatenante di vera e propria
patologia  psichiatrica.  Tutti gli elementi di generica ansieta', di
esagerata  risposta  d'allarme rispetto ad eventi similari o evocanti
quello  subito  «... si inseriscono in quella che si puo' considerare
come una normale reazione di adattamento ad una situazione stressante
vissuta come imprevista ed ingiusta».
    Cio'  posto, si pone con ancora piu' rilievo l'esigenza di tutela
di  un  interesse  sicuramente  non  bagatellare,  quale  il  diritto
all'immagine per un uomo politico noto a livello locale. Com'e' noto,
la  notizia di un'archiviazione non e' mai pari, come risonanza, alla
notizia di un'apertura di procedimento penale.
    Non  ritiene  questo  giudice  che  il legislatore abbia posto un
quadro  completo  di  tutela  rispetto  a  tutte  le  fattispecie  di
ingiustizia del danno provocato dall'ingiusta attivazione e/o decorso
del  processo  civile  o penale. Le fattispecie tipiche delineate dal
legislatore  e  poste  all'attenzione  degli  interpreti dalla stessa
giurisprudenza  delle  Corti  apicali appaiono configurarsi piu' come
una  tutela  avanzata del soggetto leso che come un sistema completo,
dal  momento che prescindono da qualsiasi elemento di tolo o colpa in
capo  a  taluno. Di qui un'ulteriore elemento di irragionevolezza nel
negare  tutela  nello  specifico,  dal momento che qui si rinviene un
elemento  di  colpa.  Ne'  puo'  dirsi  che  si tratti di fattispecie
eterogenee  tra  loro  nonche'  con  quella  in  esame  e, come tali,
scarsamente significative per inquadrare il problema.
    La  stessa  Corte costituzionale ha espressamente preso posizione
sul punto citando la legge 117/1988 per i danni derivanti da ingiusta
privazione   della  liberta'  personale  nell'esercizio  di  funzioni
giudiziarie  e  la  legge  89/2001  per i danni derivanti dal mancato
rispetto  del  termine  ragionevole  di  durata del processo, ipotesi
entrambe   prese   come  esempio  di  risarcibilita'  del  danno  non
patrimoniale,  tra  loro  eterogenee  almeno  quanto  lo  sono con la
presente  fattispecie,  rispetto  alla  quale  qui  si  prospetta  la
risarcibilita' del danno non patrimoniale.
    Di   conseguenza   si  ritiene  rilevante  e  non  manifestamente
infondata  la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2059
c.c.,  nella  misura  in cui preclude la risarcibilita' del danno non
patrimoniale  nascente  da  un fatto che non corrisponde neppure alla
soglia  minima  per  la  risarcibilita'  individuata  da  Corte Cost.
n. 233/03,  e  cioe'  ad  una  «fattispecie  astratta  di  reato»  in
relazione:
      1)   all'art. 2   della   Costituzione  che  tutela  i  diritti
inviolabili dell'uomo tra i quali figura il diritto all'immagine, non
risarcibile (e non risarcito) in forma specifica nel caso concreto;
      2)   all'art. 3  della  Costituzione  che  vieta  irragionevoli
disparita' di trattamento tra fattispecie comparabili, disparita' che
qui  si  rinviene  a-  sia  in  relazione al mero danno patrimoniale,
adeguatamente  tutelato  dal  sistema  di  risarcimento civile eppure
sicuramente    avente    minor    rango    nella   scala   dei   beni
costituzionalmente   difesi   rispetto   al   diritto   alla   tutela
dell'immagine; b- sia in relazione a fattispecie ugualmente lesive di
diritti  della  persona  che  pero' vengono adeguatamente tutelate da
norme ad hoc (art. 2, legge 117/88; art. 2, legge 89/2001 ) senza che
si  rinvenga  una ragione particolare di tutela privilegiata per tali
fattispecie,  in quanto, se e' vero che a risarcire e' lo Stato e non
il   singolo  soggetto  danneggiante,  ammesso  che  ve  ne  sia  uno
individuabile,  e'  anche  vero  che  si  prescinde  del  tutto dalla
verifica dell'elemento soggettivo, qui invece presente;
      3)  all'art. 24 della Costituzione, in quanto viene preclusa la
tutela   in   via   giudiziaria   di  un  diritto  costituzionalmente
riconosciuto;
      4)  all'art. 28  della Costituzione, in quanto sussiste un atto
illecito cui non corrisponde una responsabilita' del soggetto agente;
      5)  all'art. 97,  primo  comma  della  Costituzione  in quanto,
precludendo  la  possibilita' di intervenire per il risarcimento (che
nella  fattispecie,  essendovi un elemento soggettivo dell'agente, ha
natura  anche  sanzionatoria,  seppure  con  carattere per cosi' dire
«recessivo»  rispetto alla funzione principale) contrasta con il buon
andamento  del  processo  penale  sotto  l'aspetto del buon andamento
anche  delle funzioni ausiliarie della giurisdizione, che non trovano
sanzione nel caso di loro anomalo procedere;
                              P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 2059  c.c.  in relazione agli
artt. 2-3-24-28-97, primo comma della Costituzione.
    Sospende il giudizio in corso.
    Ordina  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte costituzionale
nonche'   la   notifica  della  presente  ordinanza  alle  parti,  al
Presidente   del   Consiglio  dei  ministri  e  la  comunicazione  ai
Presidenti delle Camere.
        Jesi, addi' 3 marzo 2004
                     Il giudice unico: Marziali
04C0622