N. 469 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 aprile 2004

Ordinanza  del  1  aprile  2004  emessa  dal  Consiglio  di giustizia
amministrativa  per  la  Regione  Sicilia  sul  ricorso  proposto  da
Cooperativa  Acquario  a  r.l.  ed  altri  contro  D'Alba Giovanna in
Masara' ed altri

Giustizia  amministrativa  -  Consiglio  di  giustizia amministrativa
  della Regione siciliana - Composizione e funzionamento - Componenti
  laici  della  Sezione  giurisdizionale  - Designazione da parte del
  Presidente  della Regione siciliana - Possibilita' di permanenza in
  carica  per  un  sessennio  dalla data del giuramento - Conseguente
  permanenza  di  una composizione mista di magistrati laici e togati
  in  sede  giurisdizionale  - Contrasto con lo Statuto regionale che
  non  prevede una sezione specializzata del giudice speciale ne' una
  composizione  collegiale  diversa da quella ordinaria delle Sezioni
  del  Consiglio  di  Stato  - Violazione dei principi costituzionali
  sulla funzione giurisdizionale in assenza di deroghe per la Regione
  siciliana  con  norme  di  rango  costituzionale  -  Ingiustificata
  differenziazione  dell'organo  giudicante  e  dell'esercizio  della
  giurisdizione su una parte del territorio nazionale - Incidenza sul
  diritto di difesa e sul principio di tutela giurisdizionale.
- D.Lgs.  24 dicembre 2003, n. 373, artt. 4, primo comma, lett. d), e
  secondo  comma,  6,  secondo  comma,  limitatamente  alle parole «e
  all'articolo 4, comma 1, lett. d)», nonche', in parte qua, art. 15,
  primo  e secondo comma, limitatamente alla possibile permanenza dei
  membri  laici  della  Sezione  giurisdizionale e, derivatamente, in
  parte qua, decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 354, art. 6.
- Costituzione, artt. 3, 24, primo comma, 108, primo e secondo comma,
  113, primo comma; Statuto Regione siciliana, art. 23.
Subordinatamente  - Giustizia amministrativa - Consiglio di giustizia
  amministrativa   della   Regione   siciliana   -   Composizione   e
  funzionamento  -  Componenti  laici della Sezione giurisdizionale -
  Designazione  da  parte  del  Presidente  della Regione siciliana -
  Possibilita'  di  permanenza  in carica per un sessennio dalla data
  del  giuramento  - Conseguente permanenza di una composizione mista
  di  magistrati  laici e togati - Contrasto con lo Statuto regionale
  che  non prevede una sezione specializzata del giudice speciale ne'
  una  composizione  collegiale  diversa  da  quella  ordinaria delle
  sezioni  del  Consiglio  di  Stato  da  localizzare  in  Sicilia  -
  Ingiustificata   diversa   disciplina  rispetto  alla  composizione
  dell'Alta  Corte  nonche'  a  quella  delle sezioni della Corte dei
  conti  per  la  Regione  siciliana  e  del  Tribunale  regionale di
  giustizia amministrativa della Regione Trentino-Alto Adige.
- D.Lgs.  24 dicembre 2003, n. 373, artt. 4, primo comma, lett. d), e
  secondo  comma,  6,  secondo  comma,  limitatamente  alle parole «e
  all'articolo 4, comma 1, lett. d)», nonche', in parte qua, art. 15,
  primo  e secondo comma, limitatamente alla possibile permanenza dei
  membri  laici  della  Sezione  giurisdizionale e, derivatamente, in
  parte qua, decreto-legge. 24 dicembre 2003, n. 354, art. 6.
- Statuto  Regione siciliana, art. 23 in relazione all'art. 24, primo
  comma e all'art. 23, terzo comma, del medesimo Statuto e del d.lgs.
  6 maggio  1948,  n. 655 e agli artt. 90 e 91, secondo comma, d.P.R.
  31 agosto 1972, n. 670.
In subordine:  Giustizia  amministrativa  -  Consiglio  di  giustizia
  amministrativa   della   Regione   siciliana   -   Composizione   e
  funzionamento  -  Componenti  laici della Sezione giurisdizionale -
  Possibilita'  di  permanenza  in carica per un sessennio dalla data
  del  giuramento  - Conseguente permanenza di una composizione mista
  di  magistrati  laici e togati - Contrasto con lo Statuto regionale
  che  non prevede una sezione specializzata del giudice speciale ne'
  una  composizione  collegiale  diversa  da  quella  ordinaria delle
  sezioni  del  Consiglio  di  Stato  da  localizzare  nella  Regione
  siciliana  -  Violazione  del  divieto  di  istituzione  di giudici
  speciali   nonche'   del   divieto   di   istituzione   di  sezioni
  specializzate nell'ambito dei giudici speciali.
- D.Lgs.  24 dicembre 2003, n. 373, artt. 4, primo comma, lett. d), e
  secondo  comma,  6,  secondo  comma,  limitatamente  alle parole «e
  all'articolo 4, comma 1, lett. d)», nonche', in parte qua, art. 15,
  primo  e secondo comma, limitatamente alla possibile permanenza dei
  membri  laici  della  Sezione  giurisdizionale e, derivatamente, in
  parte  qua,  decreto-legge  24 dicembre 2003, n. 354, convertito in
  legge 26 febbraio 2004, n. 45.
- Costituzione,  artt. 102,  secondo  comma,  e  108, primo e secondo
  comma; Statuto Regione siciliana, art. 23, primo comma.
In subordine:  Giustizia  amministrativa  -  Consiglio  di  giustizia
  amministrativa   della   Regione   siciliana   -   Composizione   e
  funzionamento  -  Componenti  laici della Sezione giurisdizionale -
  Designazione  da  parte  del  Presidente  della Regione siciliana -
  Possibilita'  di  permanenza  in carica per un sessennio dalla data
  del  giuramento  - Conseguente permanenza di una composizione mista
  di  magistrati  laici e togati - Contrasto con lo Statuto regionale
  che  non prevede una sezione specializzata del giudice speciale ne'
  una  composizione  collegiale  diversa  da  quella  ordinaria delle
  sezioni  del  Consiglio  di  Stato  da  localizzare  nella  Regione
  siciliana - Violazione del divieto di revisione della giurisdizione
  del Consiglio di Stato.
- D.Lgs.  24 dicembre 2003, n. 373, artt. 4, primo comma, lett. d), e
  secondo  comma,  6,  secondo  comma,  limitatamente  alle parole «e
  all'articolo 4, comma 1, lett. d)», nonche', in parte qua, art. 15,
  primo  e secondo comma, limitatamente alla possibile permanenza dei
  membri  laici  della  Sezione  giurisdizionale e, derivatamente, in
  parte qua, decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 354, art. 6.
- Costituzione,   VI   disposizione   transitoria;   Statuto  Regione
  siciliana, art. 23, primo comma.
In subordine:  Giustizia  amministrativa  -  Consiglio  di  giustizia
  amministrativa   della   Regione   siciliana   -   Composizione   e
  funzionamento  -  Componenti  laici della Sezione giurisdizionale -
  Designazione  da  parte  del  Presidente  della Regione siciliana -
  Possibilita'  di  permanenza  in carica per un sessennio dalla data
  del  giuramento  - Conseguente permanenza di una composizione mista
  di  magistrati  laici e togati - Contrasto con lo Statuto regionale
  che  non prevede una sezione specializzata del giudice speciale ne'
  una  composizione  collegiale  diversa  da  quella  ordinaria delle
  sezioni  del  Consiglio  di  Stato  da  localizzare  nella  Regione
  siciliana  - Violazione delle norme costituzionali sull'uniformita'
  dell'esercizio  della  giurisdizione  e  dell'organizzazione  della
  giustizia sul territorio nazionale.
- D.Lgs.  24 dicembre 2003, n. 373, artt. 4, primo comma, lett. d), e
  secondo  comma,  6,  secondo  comma  limitatamente  alle  parole «e
  all'articolo 4, comma 1, lett. d)», nonche', in parte qua, art. 15,
  primo  e secondo comma, limitatamente alla possibile permanenza dei
  membri  laici  della  Sezione  giurisdizionale e, derivatamente, in
  parte qua, decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 354, art. 6.
- Costituzione, artt. 5, 117, primo comma, secondo comma, lett. l), e
  120,  secondo  comma;  Statuto  Regione  siciliana,  art. 14, primo
  comma.
(GU n.22 del 9-6-2004 )
              IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

    Ha  pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso in appello
n. 715/2002,  proposto  da  Cooperativa  Acquario a r.l., Cooperativa
House  e  Cooperativa  Likelia,  in  persona  dei  rispettivi  legali
rappresentanti  pro  tempore,  rappresentate  e  difese  dagli avv.ti
Giovanni  Pitruzzella e Massimiliano Mangano, con domicilio eletto in
Palermo, via Nunzio Morello n. 40, presso lo studio dei medesimi;
    Contro le signore Giovanna D'Alba in Masara' e Giuseppa D'Alba in
Barone,  rappresentate  e  difese  dall'avv.  Salvatore Raimondi, con
domicilio  eletto  in  Palermo, presso lo studio del medesimo, in via
Nicolo' Turrisi n. 59; nei confronti:
        del  Comune  di  Palermo,  in persona del Sindaco pro tempore
rappresentato  e  difeso  dall'avv. Anna Maria Impinna, con domicilio
eletto,   in   Palermo,   via   Lungarini   n. 2,   presso  l'Ufficio
dell'Avvocatura comunale;
        dell'Assessorato  regionale  al  territorio  e ambiente della
Regione Sicilia, in persona dell'assessore pro tempore, rappresentato
e   difeso  dall'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Palermo,
domiciliataria ex lege, in Palermo, via A. De Gasperi n. 81;
    per  la  riforma  della  sentenza  n. 940/2002, in data 10 aprile
2002,  del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, Palermo,
I;
    Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
    Visti  gli  atti di costituzione delle signore Giovanna D'Alba in
Masara'  e  Giuseppa  D'Alba  in  Barone,  del  Comune  di  Palermo e
dell'Assessorato  regionale  al  territorio  e ambiente della Regione
Sicilia;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore   il  Consigliere  Pier  Giorgio  Trovato;  uditi,  alla
pubblica  udienza  del  10  marzo 2004, l'avv. S. Trimboli, su delega
dell'avv.  G.  Pitruzzella,  per le cooperative appellanti, l'avv. S.
Raimondi  per le signore Giovanna D'Alba in Masara' e Giuseppa D'Alba
in  Barone  e  l'avv.  dello Stato Rubino per l'Assessorato regionale
territorio ed ambiente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    1. - Le  signore  Giovanna D'Alba in Masara' e Giuseppa D'Alba in
Barone,  proprietarie di terreni in localita' Cardillo, nel comune di
Palermo,  impugnarono  avanti  al  Tribunale amministrativo regionale
della  Sicilia  alcuni  atti  del  Comune  di Palermo e della Regione
Sicilia,   concernenti   la   localizzazione,   nelle  aree  di  loro
proprieta',   di  un  programma  costruttivo  predisposto  da  alcune
cooperative edilizie (Cooperativa Acquario a r.l, Cooperativa House e
Cooperativa Likelia).
    Piu' esattamente erano impugnati:
        la deliberazione del Consiglio comunale di Palermo n. 187 del
26   settembre  1997,  avente  ad  oggetto  la  individuazione  e  la
localizzazione  dei  comparti  di  aree e degli edifici relativi agli
interventi  di  edilizia  economica  e popolare ai sensi dell'art. 25
della legge regionale 6 aprile 1996, n. 22;
        la  successiva deliberazione consiliare n. 232 del 23 ottobre
1997,  recante modifiche e integrazioni alla precedente deliberazione
n. 187 del 1997;
        il  decreto  n. 1/DRU,  in  data 7 gennaio 1998, con il quale
l'assessore   regionale  territorio  e  ambiente  aveva  nominato  un
commissario  ad  acta,  presso  il  Comune  di  Palermo,  al  fine di
provvedere  sulla richiesta di approvazione del programma costruttivo
proposto dalle cooperative sopra menzionate;
        la deliberazione commissariale n. 57 in data 28 marzo 1998 di
approvazione del programma costruttivo proposto dalle cooperative;
        la  determinazione  dirigenziale  comunale n. 217, in data 30
luglio  1999, con la quale si autorizzava il tecnico incaricato delle
procedure  espropriative ad accedere ai luoghi per la redazione dello
stato di consistenza;
        la deliberazione del Consiglio comunale di Palermo n. 225 del
3  agosto  1999,  recante  atto  di indirizzo sull'applicazione della
legge regionale n. 22 del 1999 e della delibera consiliare n. 187 del
1997;
        il  provvedimento  assessorile,  di  estremi  sconosciuti, di
approvazione della delibera commissariale n. 57 del 28 marzo 1998.
    Erano dedotte le seguenti dodici censure:
        1)  violazione  e  falsa applicazione dell'art. 8 della legge
regionale  30  aprile  1991,  10,  in relazione all'omesso prescritto
avviso   dell'avvio  del  procedimento  relativo  alle  deliberazioni
consiliare n. 187 del 1997 e commissariale n. 57 del 1998;
        2)  violazione  e falsa applicazione degli artt. 3 e seguenti
della   legge  18  aprile  1962,  n. 167,  dell'art. 16  della  legge
regionale  27 dicembre 1978, n. 71, dell'art. 2 della legge regionale
6  maggio  1981,  n. 86,  come  sostituito  dall'art. 25  della legge
regionale  6  aprile  1996,  n. 22,  nonche'  eccesso  di  potere per
sviamento  e contraddittorieta', sul rilievo che con la deliberazione
n. 187/1997 l'amministrazione comunale aveva sostanzialmente adottato
un  atto  avente  portata  ed efficacia analoghe a quelle di un PEEP,
senza il rispetto delle prescritte formalita', poste anche a garanzia
dei proprietari delle aree interessate;
        3)  violazione  e  falsa applicazione dell'art. 5 della legge
regionale  28  gennaio 1986, n. 1 e dell'art. 2 della legge regionale
n. 86/1981,   come  sostituito  dall'art. 25  della  legge  regionale
n. 22/1996, osservandosi che la deliberazione commissariale n. 57 del
1998  non  effettuava alcuna valutazione del fabbisogno abitativo per
il successivo biennio;
        4)  violazione  e  falsa  applicazione,  sotto altro profilo,
dell'art. 5 della legge regionale n. 1/1986 e dell'art. 2 della legge
regionale   n. 86/1981,  come  sostituito  dall'art. 25  della  legge
regionale  n. 22/1996,  sul  rilievo  che il fabbisogno abitativo era
stato  ritenuto negativo, per il successivo decennio, nella relazione
alla variante generale del piano regolatore generale del 1994;
        5)  violazione  dell'art. 2 della legge regionale n. 86/1981,
come   sostituito  dall'art. 25  della  legge  regionale  n. 22/1996,
eccesso    di   potere   per   perplessita'   della   motivazione   e
contraddittorieta',  affermandosi  che  la delibera consiliare n. 187
del  1997  sembra  fare  applicazione  del comma 4 dell'art. 25 della
legge  regionale  n. 22/1996, mentre la delibera commissariale sembra
fare  riferimento  ai  commi  1  e  3  del  medesimo  art., senza che
sussistano  i  presupposti  per  l'applicazione  di  alcuna delle due
norme;
        6) eccesso di potere per contraddittorieta', sostenendosi che
la   localizzazione   del  programma  costruttivo  delle  cooperative
controinteressate   su   aree   libere   contrasta   con  l'indirizzo
manifestato   dalla   Amministrazione  comunale  di  privilegiare  il
recupero del patrimonio edilizio esistente;
        7)  violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma sesto,
della  legge regionale n. 86/1981, in quanto il programma costruttivo
avrebbe  dovuto  prevedere  le  aree  per  le opere di urbanizzazione
secondaria  del tutto assenti nella zona ne' previste in sede propria
dal P.R.G.;
        8)  violazione  e  falsa applicazione dell'art. 5 della legge
regionale  n. 1/1986  e dell'art. 4 della legge regionale n. 86/1981,
laddove  il  termine per la conclusione delle procedure espropriative
era  stato  fissato  in  un  quinquennio  a  fronte  di una validita'
biennale del programma;
        9)  violazione  e  falsa applicazione dell'art. 2 della legge
regionale   n. 86/1981,  come  sostituito  dall'art. 25  della  legge
regionale  n. 22/1996, eccesso di potere per difetto di istruttoria e
difetto  di  motivazione,  rilevandosi  che la delibera commissariale
n. 57/1998  era  stata adottata senza esperimento di alcuna attivita'
istruttoria  e  senza  motivazione in ordine al sacrificio imposto ai
proprietari delle aree espropriande;
        10)  violazione  e falsa applicazione dell'art. 2 della legge
regionale   n. 86/1981   come  sostituito  dall'art. 25  della  legge
regionale n. 22/1996; violazione dell'art. 1 della legge regionale 24
luglio  1977,  n. 25  e  dell'art. 2  della legge regionale 21 agosto
1984,  n. 66,  sull'assunto  che  la  nomina  del commissario sarebbe
illegittima per inapplicabilita' del termine di cui all'art. 25 comma
quinto della legge regionale n. 22/1996;
        11)  violazione e falsa applicazione dell'art. 11 della legge
regionale  n. 25/1997  e dell'art. 5 della legge regionale n. 1/1986,
in  quanto  l'area  interessata  dal  programma  costruttivo  sarebbe
soggetta  a vincolo da parte della Soprintendenza ai beni culturali e
ambientali,  della  quale  non  sarebbe stato acquisito il prescritto
parere;
        12)  violazione e falsa applicazione dell'art. 35 della legge
22   ottobre   1971,  n. 865  e  dell'art. 7  della  legge  regionale
n. 86/1981,  sul  rilievo  che  una porzione dell'area ricompresa nel
programma doveva essere utilizzata in regime di proprieta'.
    Con  motivi  aggiunti, le ricorrenti poi, per i motivi gia' fatti
valere  con  il  ricorso introduttivo del giudizio impugnavano in via
derivata,  anche  l'atto dirigenziale n. 156, in data 16 luglio 2001,
con  il quale l'Amministrazione comunale di Palermo aveva disposto la
occupazione d'urgenza dei loro terreni.
    Con  un  secondo  ricorso  per  motivi  aggiunti, le ricorrenti -
premesso  di avere ricevuto successivamente alla data di notifica del
ricorso  introduttivo  una  nota  della  Amministrazione comunale nel
quale  veniva rilevata la illegittimita' della delibera commissariale
n. 57 del 1998 e comunicato l'avvio di un nuovo procedimento tendente
alla  approvazione del programma costruttivo - deducevano le seguenti
ulteriori censure:
        13)   violazione   dell'art. 2,   primo  comma,  della  legge
regionale   n. 10/1991,   in  quanto  l'Amministrazione  non  avrebbe
completato   il   procedimento   di   riapprovazione   del  programma
costruttivo come invece preannunziato nella relativa comunicazione di
avvio del procedimento;
        14)  eccesso  di  potere  per contraddittorieta' e difetto di
motivazione,   non   comprendendosi   le   ragioni   per   le   quali
l'Amministrazione  aveva  superato  le  rilevate illegittimita' della
delibera  commissariale  n. 57  del  1998  e  aveva  dato  corso alla
occupazione d'urgenza;
        15)  violazione  e falsa applicazione dell'art. 4 della legge
regionale  n. 86/1981,  sul  rilievo  che l'Amministrazione intendeva
dare  esecuzione  al  programma  costruttivo pur successivamente alla
scadenza del termine biennale di validita'.
    Si  costituivano  in  giudizio  l'Amministrazione  regionale,  il
Comune di Palermo e la Cooperativa Acquario.
    Quest'ultima  eccepiva,  tra  l'altro, l'inammissibilita' sia del
ricorso principale che di quelli per motivi aggiunti, sul rilievo che
il  primo  non era stato notificato al commissario ad acta (autorita'
che  aveva  approvato  il programma costruttivo) e che ne' il ricorso
introduttivo ne' i motivi aggiunti erano stati notificati ritualmente
alle cooperative controinteressate.
    Con  sentenza  interlocutoria  n. 940  in data 10 aprile 2002, il
Tribunale  amministrativo  regionale  della  Sicilia,  Palermo, I, ha
riconosciuto   la   sussistenza   delle  irritualita'  dedotte  dalla
Cooperativa  Acquario,  ma ha rimesso in termini le ricorrenti per la
rituale  notifica sia al commissario ad acta sia alle Cooperative. Ha
poi disposto incombenti istruttori.
    2. - La  sentenza  e' stata appellata dalle Cooperative Acquario,
House  e Likelia, che hanno puntualmente contestato la determinazione
del  Tribunale  amministrativo regionale in ordine alla rimessione in
termini  e  hanno  chiesto  l'annullamento  della  sentenza,  con  la
declaratoria  di  inammissibilita' del ricorso introduttivo del primo
grado e dei relativi motivi aggiunti.
    Si  sono  costituite  in  giudizio  le  signore D'Alba, che hanno
svolto puntuali controdeduzioni.
    Si   sono   costituite  in  giudizio  anche  le  Amministrazioni,
regionale e comunale.
    Sia  le  cooperative  che  le  signore D'Alba hanno ulteriormente
illustrato le proprie tesi in memoria difensiva.
    3. - In  particolare  le resistenti, con memoria depositata il 19
gennaio 2004, hanno eccepito profili di illegittimita' costituzionale
dell'art. 4,  commi  1 e 2; dell'art. 6, commi 3, 4 e 5 e dell'art. 7
del  decreto legislativo 24 dicembre 2003, n. 373, laddove si prevede
la  composizione mista della Sezione giurisdizionale del Consiglio di
giustizia  amministrativa per la Regione Sicilia, con la presenza nel
collegio  (oltre  a  magistrati  del  Consiglio  di  Stato)  anche di
componenti di designazione regionale.
    Piu'  esattamente  l'eccezione  viene  sollevata sotto i seguenti
profili:
        1)  in rapporto all'art. 23, comma 1, dello Statuto siciliano
ed  in  rapporto  al  comma 1 della VI disposizione transitoria della
Costituzione   che  esclude  dalla  revisione  la  giurisdizione  del
Consiglio di Stato;
        2) in rapporto all'art. 23, comma 1, dello Statuto siciliano,
nonche'  in  rapporto all'art. 102, comma 2, e 108, commi 1 e 2 della
Costituzione,  non essendo consentito istituire sezioni specializzate
nell'ambito dei giudici speciali;
        3)  in rapporto all'art. 23, comma 1, dello Statuto siciliano
e  all'art. 102,  comma  1,  e  108,  comma 1, della Costituzione, in
quanto  l'art. 23  dello  Statuto siciliano non prevede alcuna deroga
alla  composizione  ordinaria delle sezioni del Consiglio di Stato da
localizzare in Sicilia, e in rapporto agli artt. 102, comma 1, e 108,
comma 2,  della  Costituzione,  in  quanto disciplina riservata dalla
Costituzione  alla  legge statale, per cui eventuali deroghe a favore
dell'autonomia  regionale  debbono  essere supportate da una espressa
previsione  di  pari  rango  costituzionale  che  non  e' rinvenibile
nell'art. 23, comma 1, dello Statuto siciliano;
        4)  in rapporto all'art. 23, comma 1, dello Statuto siciliano
che  non  prevede  ne' una sezione specializzata del giudice speciale
ne'  una  composizione  collegiale diversa da quella ordinaria e cio'
anche in relazione, quale tertia comparationis, all'art. 24, comma 1,
dello  Statuto siciliano concernente la composizione dell'Alta Corte,
nonche'  all'art. 23,  comma  3,  del  medesimo  Statuto,  al decreto
legislativo  6  maggio  1948,  n. 655  concernente  la istituzione di
sezioni  della  Corte  dei  conti  per  la Regione siciliana, ed agli
artt. 90 e 91, comma 2, del Testo unico delle leggi costituzionali di
cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Trentino Alto Adige).
    La  difesa delle resistenti ha richiamato le precedenti ordinanze
(in  particolare la ordinanza n. 185 del 13 maggio 2003) con le quali
il  Consiglio  di  giustizia  amministrativa aveva rimesso alla Corte
costituzionale  alcune  questioni  di  costituzionalita'  del decreto
legislativo  6 maggio 1948, n. 654, attuativo dello Statuto siciliano
e  concernente la istituzione del Consiglio medesimo, ed ha osservato
come  il  sopravvenuto  decreto legislativo 24 dicembre 2003, n. 373,
che  ha  abrogato  il  d.lgs.  n. 654/1948,  abbia «fatto venire meno
soltanto   alcune,   peraltro   le   meno   rilevanti,  questioni  di
costituzionalita' sollevate da codesto Consiglio con ordinanza n. 185
del  13  maggio  2003 e con ordinanze successive, mentre non ha fatto
venire meno quelle piu' importanti».
    Infatti  e'  rimasta  ferma  la  composizione  mista.  Per quanto
concerne la Sezione giurisdizionale, il Collegio viene composto, come
gia'  secondo  le  disposizioni di cui all'abrogato d.lgs. n. 654 del
1948,  come  modificato  con  d.P.R.  n. 204  del 1978; della Sezione
giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa fanno parte
oltre  che il Presidente dello stesso ed il Presidente assegnato alla
Sezione  giurisdizionale  ed  a quattro consiglieri di Stato, quattro
componenti  designati  dal  Presidente  della  Regione e nominati con
d.P.R. su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito
il  Consiglio  di  Presidenza  della giustizia amministrativa, previa
deliberazione  del  Consiglio  del  Ministri  (art. 4,  comma 1, e 6,
comma 2  e  3).  Il  Collegio  giudicante  e' composto da uno dei due
presidenti  della  Sezione,  da due Consiglieri di Stato e da due dei
membri designati dal Presidente della Regione.
    Non  appare dubbio che, sotto tale profilo, le nuove disposizioni
sono  affette  dalle medesime ragioni di incostituzionalita' che sono
poste a base delle citate ordinanze di codesto Consiglio.
    Dopo  queste  premesse,  la difesa delle resistenti ha richiamato
molte  delle  tesi  sviluppate  nella ordinanza n. 185/2003 di questo
Consiglio,   e  ha  evidenziato,  con  annotazioni  e  considerazioni
aggiuntive,  come  le  stesse  siano  valide  anche nel nuovo assetto
ordinamentale ex d.lgs. n. 373/2003.
    Sul  punto  le  altre  parti  costituite  nell'odierno  grado  di
giudizio non hanno svolto considerazioni.
    4. - Alla  pubblica  udienza del 10 marzo 2004, uditi i difensori
delle  parti,  l'appello  e' passato in decisione. Il difensore delle
resistenti,   in   particolare,   ha  insistito  nelle  eccezioni  di
incostituzionalita' gia' sollevate nell'ultima memoria difensiva.

                            D i r i t t o

    1. - Il  Collegio,  chiamato a decidere sull'appello in epigrafe,
avuto  riguardo  anche  alle  eccezioni  sollevate dalla difesa delle
resistenti  signore  Giovanna  D'Alba in Masara' e Giuseppa D'Alba in
Barone,  ritiene  innanzitutto  di  dover  affrontare taluni dubbi di
costituzionalita'  relativamente  al  decreto legislativo 24 dicembre
2003,  n. 373, nella parte in cui prevede una composizione mista (per
la  presenza  non solo di magistrati del Consiglio di Stato, ma anche
di componenti designati dal Presidente della Regione siciliana) della
Sezione    giurisdizionale   di   questo   Consiglio   di   giustizia
amministrativa per la Regione siciliana.
    2. - In via di premessa va rilevato che il Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la  Regione  siciliana  e'  stato  istituito  in
attuazione  dell'art. 23  dello Statuto siciliano (r.d.lgs. 15 maggio
1946,  n. 455  convertito in legge costituzionale con l'art. 1, primo
comma della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2), a norma del
quale:
        gli  organi  giurisdizionali  centrali  avranno in Sicilia le
rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione;
        le  Sezioni  del  Consiglio  di Stato e della Corte dei conti
svolgeranno  altresi'  le  funzioni, rispettivamente, consultive e di
controllo amministrativo e contabile;
        i magistrati della Corte dei conti sono nominati, di accordo,
dai Governi dello Stato e della Regione.
        i  ricorsi  amministrativi,  avanzati  in linea straordinaria
contro  atti  amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente
regionale sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato.
    Quanto  alla  sua  attuazione,  l'art. 43 dello Statuto siciliano
stabilisce che una Commissione paritetica (di quattro membri nominati
dai   Governi   regionale  e  statale),  determinera'  le  norme  per
l'attuazione del presente Statuto.
    Si  tratta di procedura legislativa rinforzata prevista anche per
altre Regioni a statuto speciale.
    Per   consolidato  insegnamento  della  Corte  costituzionale  la
relativa  competenza  si  esercita  non  solo  in occasione del primo
passaggio   di   funzioni,  ma  anche  successivamente  (Corte  cost.
180/1980; 212/1984).
    E' stato altresi' sottolineato che in sede di attuazione non puo'
prescindersi  dallo speciale procedimento posto, con norma di rilievo
costituzionale,  a garanzia del ruolo e delle funzioni spettanti alla
commissione paritetica (Corte cost. 206/1975; 95/1984; 137/1998).
    3. - L'art. 23   dello  Statuto,  come  emerge  dal  testo  sopra
riportato  e  per quel che qui rileva, contempla la localizzazione in
Sicilia,  per  gli  affari  concernenti  la Regione, di sezioni degli
organi giurisdizionali centrali.
    In  punto  di fatto, il decentramento non e' mai stato realizzato
per  la Corte di cassazione, la quale ha sempre respinto le questioni
di costituzionalita' delle disposizioni dell'ordinamento giudiziario,
nella parte in cui non prevedono l'istituzione di due sezioni, civile
e  penale, della Corte di cassazione con sede in Palermo, sul rilievo
che  la  norma  statutaria  siciliana  ha  natura programmatica e non
assume  rilevanza  nell'ordinamento  in relazione al principio di cui
all'art. 25  cost.  (v.  Cass.  12  settembre 1991, n. 9534; 8 aprile
1992, n. 4270).
    Non  sono  state  decentrate  neppure  la  Commissione tributaria
centrale e il Tribunale superiore delle acque pubbliche.
    Il  decentramento  e'  stato  invece  attuato per il Consiglio di
Stato  e  la  Corte  dei  conti con i coevi decreti legislativi del 6
maggio 1948 rispettivamente n. 654 e n. 655.
    Per  quanto  riguarda  il  Consiglio  di  Stato,  le disposizioni
attuative,   con   la   istituzione   del   Consiglio   di  giustizia
amministrativa  per  la  Regione  siciliana,  sono  state a suo tempo
oggetto  di dubbi di costituzionalita' e di modifiche normative (cfr.
d.P.R.  5  aprile 1978, n. 204), che pero' non sono sembrate a questo
Consiglio sufficienti ad escludere ogni perplessita' in proposito.
    4. - Questo  Consiglio,  infatti,  con  ordinanza n. 185/2003, in
data  13  maggio  2003,  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale - prima
serie  speciale  -  n. 28  del  16  luglio  2003  ha sollevato talune
questioni  di  costituzionalita'  del  d.lgs.  n. 654/1948 sotto vari
profili  in  rapporto  a  numerose  disposizioni  sia  dello  Statuto
siciliano sia della Costituzione.
    Tali  questioni  sono  state  successivamente sollevate anche con
ordinanza  n. 303/2003,  in  data  9 settembre 2003, pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  -  prima  serie speciale - n. 45 del 12 novembre
2003.
    Nelle more dei giudizi innanzi alla Corte costituzionale e' stato
emanato  il  d.lgs.  n. 373/2003  il  quale,  come  recita l'art. 14,
sostituisce  integralmente  il  d.lgs.  n. 654/1948  ed il decreto di
modifica dello stesso, e cioe' il d.P.R. n. 204/1978.
    Non pochi interrogativi posti nelle anzidette ordinanze di questo
Consiglio sono stati superati dalle nuove disposizioni.
    In particolare, e' venuto meno un gruppo di questioni concernenti
la  supposta  violazione  di  principi  costituzionali sia in tema di
delega  legislativa  sia dell'art. 43 dello Statuto siciliano, e cio'
poiche'  il  d.lgs. n. 654/1948 sarebbe stato emanato in base a norme
di   delega   a   contenuto  indeterminato  e  comunque  prescindendo
dall'intervento della commissione paritetica di cui all'art. 43 dello
Statuto siciliano.
    Un  altro  gruppo  di  censure  concerneva altri supposti vizi di
costituzionalita' dell'art. 2 del d.lgs. n. 654/1948 (come sostituito
dal d.P.R. n. 204/1978) in relazione a taluni principi costituzionali
per   non   essere   assicurate   ai   membri   laici  della  sezione
giurisdizionale  del  Consiglio  di  giustizia  amministrativa per la
Regione   siciliana   sufficienti   garanzie  di  indipendenza  e  di
imparzialita'  e  per  non  essere  previsto  un  termine per la loro
designazione nonche' meccanismi sostitutivi.
    Anche   tali   interrogativi   sono  stati  superati  dal  d.lgs.
n. 373/2003 e, in particolare, dalle previsioni degli artt. 6 e 7 che
hanno  esteso  ai  membri  laici  il regime giuridico e disciplinare,
nonche'  il  trattamento  economico dei togati e ne hanno previsto la
cessazione automatica al termine del sessennio di nomina.
    Peraltro  il  d.lgs.  n. 373/2003  non  ha eliminato un dubbio di
costituzionalita',  gia'  adombrato  nelle  ordinanze  n. 185/2003  e
n. 303/2003,  e  concernente, in particolare, la questione se in sede
di  norme  di  attuazione  dell'art. 23  dello  Statuto siciliano sia
possibile  prevedere  una  composizione  mista  di laici e togati del
Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per la Regione siciliana in
sede giurisdizionale.
    Vengono   in   rilievo   le   seguenti  disposizioni  del  d.lgs.
n. 373/2003:
        l'art. 4,  comma 1, laddove, nel disciplinare la composizione
della    Sezione   giurisdizionale   del   Consiglio   di   giustizia
amministrativa,  oltre  al  presidente  del  consesso,  al presidente
assegnato  alla  Sezione  giurisdizionale  e a quattro consiglieri di
Stato,  alla  lettera  d) si prevedono quattro componenti in possesso
dei  requisiti  di  cui all'art. 106, terzo comma, della Costituzione
per  la nomina a consigliere di Cassazione ovvero di cui all'art. 19,
primo comma, numero 2) della legge 27 aprile 1982, n. 186;
        l'art. 4,  comma 2, in forza del quale il collegio giudicante
e'  composto  da  uno  dei  due  presidenti  della  Sezione,  da  due
consiglieri  di  Stato  e da due dei membri indicati nella lettera d)
del comma 1;
        l'art. 6,  comma  2,  laddove  si demanda al Presidente della
Regione  Sicilia  la  designazione  dei componenti di cui all'art. 4,
comma 1, lettera d);
        l'art. 15,  commi  1  e  2,  laddove  in  via  transitoria si
disciplina  la permanenza in carica dei membri laici (giuristi) della
Sezione giurisdizionale.
    In  via  derivata tale dubbio di costituzionalita' si riflette in
parte   sull'art. 6   del  decreto-legge  24  dicembre  2003,  n. 354
convertito  nella  legge  26 febbraio 2004, n. 45, in forza del quale
per   assicurare   il   funzionamento   del  Consiglio  di  Giustizia
amministrativa per la Regione siciliana, anche mediante potenziamento
della  sua  composizione,  e'  autorizzata la spesa di euro 700.000 a
decorrere dall'anno 2004.
    Le  questioni  hanno  costituito  gia' oggetto di rimessione alla
Corte  costituzionale  con  decreti  presidenziali  n. 77  in data 13
febbraio  2004  e  n. 81  in  data 26 febbraio 2004, pubblicati nella
Gazzetta Ufficiale - prima serie speciale - n. 12 del 24 marzo 2004.
    5. - Tali  questioni  sono rilevanti ai fini dell'esercizio della
giurisdizione e preliminari ad ogni decisione in rito e in merito, in
quanto la legittimita' costituzionale della composizione del Collegio
costituisce,   di   per   se',   un  presupposto  per  l'adozione  di
qualsivoglia decisione (v. da ultimo Corte cost. n. 353/2002).
    Esse,  poi,  non  appaiono manifestamente infondate per quanto di
seguito verra' esposto.

                                 II

    1. -   Osserva  anzitutto il Collegio che l'art. 23 dello Statuto
siciliano,  norma  di rango costituzionale, non prevede alcuna deroga
ne'  alla  composizione  ordinaria  degli  organi  giurisdizionali da
localizzare  in  Sicilia,  ne',  in via di principio, alla nomina dei
rispettivi componenti.
    Nel  primo  comma si dispone infatti semplicemente che gli organi
giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per
gli affari concernenti la Regione.
    In   particolare   non   e'  contemplata,  come  conseguenza  del
decentramento,   alcuna   diversa  composizione,  rispetto  a  quella
ordinaria,  della  Sezione regionale giurisdizionale del Consiglio di
Stato.
    Nell'art. 23  e'  prevista un'unica eccezione alla organizzazione
ordinaria,  a  carattere  funzionale  e  non  strutturale, laddove al
quarto   comma   si   prevede   la   partecipazione   della   Sezione
giurisdizionale  alla  funzione  consultiva  in  materia  di  ricorsi
straordinari   (i   ricorsi   amministrativi,   avanzati   in   linea
straordinaria  contro  atti  amministrativi regionali, saranno decisi
dal  Presidente  regionale sentite le Sezioni regionali del Consiglio
di Stato; cfr. art. 23, comma quarto dello Statuto).
    Si  tratta  di  eccezione, che, come appare evidente, e' estranea
alla  composizione  della Sezione giurisdizionale e alle modalita' di
nomina  dei  suoi  componenti,  e  che riguarda esclusivamente la sua
partecipazione  ad  alcune funzioni consultive del consesso: i pareri
in   sede   di   decisione   dei  ricorsi  straordinari  contro  atti
amministrativi   regionali  non  sono  demandati  alla  sola  Sezione
consultiva del Consiglio, come avviene nella organizzazione ordinaria
del   Consiglio   di   Stato,  ma  alle  Sezioni  regionali  riunite,
giurisdizionale e consultiva.
    Il  rilievo  letterale e' confermato dal dato storico. Dagli atti
relativi  ai lavori preparatori emerge con chiarezza che mai nessuno,
in  sede  di  redazione  dello  Statuto, penso' ad una organizzazione
delle  magistrature  superiori  diversa  da quella disciplinata dalla
legge  statale  e  che,  se  vi  fu  un  accenno di specialita', esso
riguarda   solo  il  giudice  contabile  (cfr.  per  una  dettagliata
ricostruzione  del  quadro  storico l'ordinanza n. 185/2003 di questo
Consiglio).
    Anche il dato sistematico converge con quello letterale e storico
della interpretazione.
    Elementi  di partecipazione regionale nella provvista dell'organo
decentrato  sono previsti statutariamente solo per la Corte dei conti
(art. 23, comma terzo).
    Il   d.lgs.  n. 373/2003,  nella  parte  in  cui  disciplina  una
composizione  mista  della  Sezione  giurisdizionale del Consiglio di
giustizia  amministrativa, con la nomina di componenti regionali, non
puo' dunque considerarsi secundum statutum.
    2. - Si  tratta  quindi di stabilire se, pur non essendo prevista
dall'art.23  dello  Statuto  siciliano,  la  composizione mista della
Sezione  giurisdizionale di questo Consiglio possa ritenersi comunque
correttamente   introdotta   con   norme   contenute  in  un  decreto
legislativo attuativo dello Statuto.
    Come  noto  i  decreti legislativi di attuazione statutaria da un
lato  hanno il valore di legge statale, rinforzata (per la Sicilia ex
art. 43  dello  Statuto) quanto alla procedura dall'intervento di una
Commissione  paritetica  Stato-Regioni  (cfr.  Corte  cost. 14 luglio
1956,  nn. 14,  15, 16; 16 luglio 1956, n. 20; 19 luglio 1956, n. 22;
26 gennaio 1957, n. 15; 18 maggio 1959, n. 30; 18 maggio 1959, n. 30,
Corte   cost.   n. 13/1974);   dall'altro  sono  espressione  di  una
competenza separata e riservata rispetto alle leggi statali ordinarie
(cfr.    Corte    cost.    n. 180/1980,   n. 237/1983,   n. 212/1984,
n. 137/1998),  in  quanto  il  loro  contenuto  e' circoscritto dalla
finalita' attuativa dello Statuto.
    In  approfondimento  di  questi  principi va ricordato che, da un
lato,  con  riferimento  al  d.lgs.  n. 654/1948  (corrispondente per
natura  al  d.lgs.  n. 373/2003) la Corte costituzionale ha affermato
«che  il  predetto  decreto legislativo ha valore di legge ordinaria»
(Corte cost. n. 61/1975).
    Inoltre,  piu' in generale, la Corte ha affermato che le norme di
attuazione  degli  Statuti  speciali «hanno... valore di legge, e per
alcuni   Statuti,   come  per  quello  sardo,  e'  prevista  la  loro
compilazione da parte di una commissione paritetica e occorre sentire
il parere di alcuni organi regionali. Sia per ragioni formali che per
ragioni  sostanziali,  esse  si  pongono dunque su un piano diverso e
superiore  rispetto  alle  leggi  da  emanare  nelle  materie da esse
regolate;  ma  non per questo si puo' ad esse attribuire il carattere
di leggi costituzionali» (v. Corte cost. n. 30/1959 cit.).
    Dall'altro  la  Corte  costituzionale  ha sottolineato che, anche
laddove  gli Statuti prevedano in via generica la emanazione di norme
di  attuazione,  sarebbe  illogico ritenere che queste ultime debbano
essere emanate per tutte le materie statutarie perche' in tal modo si
perverrebbe  «all'assurdo  di  giudicare che esse sono state previste
anche  in  caso  in cui il testo statutario avesse avuto in se' piena
completezza  e non avesse reclamato integrazioni o specificazioni. In
tali  ipotesi  le norme di attuazione non potrebbero mai emanarsi per
mancanza di oggetto» (Corte cost. 1° luglio 1969, n. 136).
    Si  pone  in tal modo il problema del limite contenutistico delle
norme  attuative  degli Statuti regionali, problema che va risolto in
base ad un principio di aderenza.
    La  Corte  costituzionale  (nella citata decisione n. 20/1956) ha
affermato al riguardo che se poi le norme di attuazione siano praeter
legem,  nel senso che abbiano integrato le disposizioni statutarie od
abbiano   aggiunto   ad   esse  qualche  cosa  che  le  medesime  non
contenevano,  bisogna  vedere  se  queste  integrazioni  od  aggiunte
concordino  innanzi  tutto  con  le  disposizioni  statutarie  e  col
fondamentale principio dell'autonomia della Regione, e se inoltre sia
giustificata la loro emanazione dalla finalita' dell'attuazione dello
Statuto.
    Questo  insegnamento e stato mantenuto fermo fino ad ora e, sullo
specifico  punto,  la  decisione  n. 20/1956  e'  stata costantemente
richiamata  dalla  successiva  giurisprudenza  costituzionale  (v. da
ultimo Corte Cost. n. 353/2001).
    3. - La   necessaria   aderenza,   allo   Statuto,   delle  norme
integrative nella specie non sembra ravvisabile.
    Come  detto, essa puo' ritenersi sussistente ove si configurino i
seguenti   requisiti:   la  concordanza  delle  integrazioni  con  le
disposizioni  statutarie  e col fondamentale principio dell'autonomia
della  Regione  e la necessita' della loro emanazione ai fini di dare
attuazione allo Statuto.
    Sotto   il   primo   profilo  (concordanza  con  le  disposizioni
statutarie),  va  osservato  che  lo  Statuto siciliano, non solo non
prevede  la  istituzione di una Sezione giurisdizionale del Consiglio
di  Stato  a  composizione  mista,  ma  neppure  delega alle norme di
attuazione la disciplina dell'ordinamento di detta Sezione.
    Ne'  potrebbe  sostenersi  (quanto alla concordanza col principio
della autonomia regionale), che la presenza in Collegio di magistrati
laici  di  designazione  regionale  costituisca  la logica e naturale
conseguenza,  se  non  della  lettera,  almeno  dello spirito e delle
finalita' autonomistiche dello Statuto siciliano.
    Un  conto  infatti e' la localizzazione di una funzione, un altro
e'  la  organizzazione  della  funzione.  Sono  due aspetti del tutto
diversi   che   il   legislatore   costituzionale  puo'  disciplinare
diversamente  a  seconda  dei casi cosi' come dimostra lo Statuto del
Trentino  Alto  Adige  (istituzione  espressa  dell'organo  speciale,
delega espressa alle norme di attuazione, localizzazione e previsione
di  giudici  laici),  quello della Valle d'Aosta (limitata competenza
per gli uffici di conciliazione), quello della Regione Sardegna e del
Friuli-Venezia Giulia (nessuna disposizione sulla giurisdizione).
    Per  la Sicilia, come detto, in via di principio e' prevista solo
la  localizzazione degli organi ordinari, mentre appare estranea alla
previsione  statutaria  e  alle autonomie regionali in essa affermate
una diversa composizione degli organi giurisdizionali centrali.
    Esiste  quindi  un  limite  interno all'art. 23 dello Statuto che
impedisce  all'attuazione  di  incidere sugli assetti giurisdizionali
della Sezione decentrata.
    In   questa   prospettiva   l'autonomia   regionale   non   trova
nell'art. 23,   ne'   per  dato  letterale  ne'  per  dato  logico  e
sistematico,  sviluppi  che consentano e tanto meno rendano necessari
assetti   normativi   quali   quelli   contenuti   nelle   richiamate
disposizioni del d.lgs. n. 373/2003.
    Tale decreto legislativo ha quindi ampliato la sfera di autonomia
regionale,  ma cio' ha fatto vulnerando non solo la lettera, quanto e
soprattutto  lo spirito della disposizione costituzionale statutaria,
che   riguardava  solo  la  presenza  in  Sicilia  di  sezioni  delle
magistrature  superiori, senza alcuna intenzione di alterarne, in via
di  principio,  la  struttura  e  le  funzioni  (v.  in  questo senso
l'ordinanza 6 marzo 1975 con cui l'Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato  rimise  alla  Corte  costituzionale  la  questione  su cui poi
intervenne la dec. n. 25/1976).
    Queste   considerazioni   escludono   anche  il  terzo  requisito
legittimante  la  normazione  attuativa  praeter legem (la necessita'
della  sua emanazione in relazione alla finalita' di attuazione dello
Statuto).
    In  conclusione  dunque il decreto legislativo n. 373/2003 appare
«contra statutum» poiche', al pari del d.lgs. n. 654/1948, istituisce
in  Sicilia  «un organo di giustizia amministrativa caratterizzato da
una propria fisionomia e struttura» (Corte cost. n. 25/1976), diverso
da  quello  ordinario,  in quanto composto anche con giudici laici di
designazione regionale.
    4. - Merita  di  essere  richiamata,  per  un approfondimento sul
punto, la decisione 12 luglio 1984, n. 212 della Corte costituzionale
che,   nel   dichiarare   la   illegittimita'   costituzionale  della
istituzione  di  una  sezione  giurisdizionale  e delle Sezioni unite
della  Corte  dei  conti in Sardegna, ha argomentato con il fatto che
ne'  dalla  lettera dello Statuto regionale, ne' dal suo spirito, ne'
dalle  sue finalita' era in alcun modo ricavabile che si fosse inteso
prevedere,  neppure per implicito, Sezioni di organi centrali neppure
nei limiti degli affari concernenti la Regione e cio' a differenza di
quanto  stabilito  per  altre  Regioni, richiamando appunto l'art. 23
dello  Statuto  siciliano e l'art. 90 dello Statuto del Trentino Alto
Adige.
    Al  riguardo  tuttavia  non  puo' non sottolinearsi la differenza
fondamentale  tra  lo  Statuto  siciliano  e quello del Trentino Alto
Adige  i  quali,  ai  fini  in  esame, non possono porsi sullo stesso
piano.
    Infatti,  mentre  lo  Statuto  siciliano  si  limita  alla pura e
semplice  localizzazione in Sicilia delle sezioni delle giurisdizioni
superiori,  lo  Statuto  del  Trentino  Alto  Adige e' di ben diverso
contenuto.
    Innanzitutto,    l'art. 90    del   Testo   Unico   delle   leggi
costituzionali   di   cui   al   d.P.R.   31 agosto   1972,   n. 670,
nell'istituire  il  Tribunale  regionale  di giustizia amministrativa
(T.R.G.A.)  con  una  sezione  autonoma  per la Provincia di Bolzano,
espressamente  rinvia alle norme di attuazione per il suo ordinamento
(secondo  l'ordinamento  che verra' stabilito al riguardo) sia per la
sede di Trento che per quella di Bolzano (cfr. Consiglio di Stato, V,
13 novembre  1995,  n. 1546).  Inoltre, il successivo art. 91, sempre
espressamente,    disciplina    la    composizione    della   sezione
giurisdizionale  per  la provincia di Bolzano del T.R.G.A. cosi' come
prevede  che  la  meta'  dei  componenti  la  Sezione e' nominata dal
Consiglio provinciale di Bolzano (art. 91, secondo comma).
    Le  norme  di  attuazione  dello  Statuto del Trentino Alto Adige
(d.P.R.  6  aprile  1984,  n. 426)  di  conseguenza,  essendo  a cio'
espressamente  delegate  dallo  Statuto, disciplinano le modalita' di
scelta dei magistrati cosiddetti laici, individuando le categorie tra
cui  questi  debbono  essere  scelti,  il ruolo in cui debbono essere
collocati,  le  garanzie  che  li  assistono, lo stato giuridico e il
trattamento  economico  (artt. 1,  2,  4,  5,  d.P.R.  6 aprile 1984,
n. 426).
    In proposito, nella decisione 137/1998 la Corte costituzionale ha
espressamente rilevato come la specialita' del T.R.G.A. risieda nella
delega   contenuta   nell'art. 90   dello  Statuto  speciale  da  cui
legittimamente  discendono  le  norme  di  attuazione adottate con lo
speciale procedimento della commissione paritetica.
    Il  d.lgs.  n. 373/2003  di  attuazione  dello  Statuto siciliano
contiene,  agli artt. 4 e 6, norme di contenuto analogo alle norme di
attuazione  dello  Statuto  del  Trentino,  ma  con  la  fondamentale
differenza  che  l'art. 23 della Statuto siciliano non prevede alcuna
delega   attuativa,   ne'   (a   parte   il   decentramento)  deroghe
all'ordinamento statale della giurisdizione amministrativa.
    5. - Per contro, come emerge in particolare dal dato sistematico,
tali deroghe dovrebbero essere contemplate nello Statuto siciliano.
    Al riguardo va osservato che quando si e' voluta una composizione
mista, lo Statuto siciliano lo ha espressamente sancito, come risulta
dal  confronto dell'art. 23 con l'art. 24, primo comma, secondo cui i
membri dell'Alta Corte dovevano essere nominati «in pari numero dalle
assemblee legislative della Stato e della Regione».
    Inoltre,  come  accennato,  un  ulteriore argomento si ricava dal
testuale  tenore dello stesso art. 23 della Statuto. Invero, il terzo
comma  si  da'  carico  di precisare che i magistrati della Corte dei
conti  sono  nominati  «d'accordo  dai  Governi  della  Stato e della
Regione».
    Il  legislatore  costituzionale  ha  talmente avvertito l'effetto
derogatorio,  al  normale  e  limitato  assetto  organizzativo, della
designazione del giudice contabile togato, da ritenerne necessaria la
specificazione nello Statuto.
    Orbene,  di  fronte  a tale espressa specificazione dello Statuto
per  una  delle  magistrature  superiori,  non  si vede come si possa
sostenere  che  invece  l'assoluto  silenzio dello stesso legislatore
circa  le altre possa essere interpretato come una implicita delega a
disciplinare,  in  sede di attuazione, la nomina, la composizione, la
stessa  struttura  del  giudice  amministrativo in una organizzazione
giurisdizionale del tutto difforme da quella ordinaria.
    Inoltre,  ai  fini  del  mero  trasferimento  di  una sezione del
Consiglio   di   Stato   in  Sicilia  -  poiche'  tale  e'  l'oggetto
dell'art. 23  dello  Statuto  siciliano  (Corte  cost.  n. 189/1992 e
n. 61/1975)  -  non  si  vede  perche'  fosse  necessario cambiare la
composizione  ordinaria della Sezione con l'introduzione nel Collegio
giudicante  di  giudici  laici  di  designazione  regionale. E' stato
infatti  affermato  che la norma di attuazione, intanto puo' porsi in
funzione  di  integrazione dello Statuto «sempreche' sia giustificata
da  un  rapporto  di strumentalita' logica rispetto all'attuazione di
disposizioni  del  medesimo» (Corte Cost. n. 260/1990). Diversamente,
ove  il  testo  statutario  sia  completo,  le  norme  di  attuazione
sarebbero prive di oggetto (Corte Cost. n. 136/1969 cit.).
    6. - Neppure potrebbe sostenersi, sotto altro profilo, che, nella
previsione  statutaria  siciliana,  limitata alla localizzazione, sia
implicita  la  disciplina  della  organizzazione  giurisdizionale. Al
contrario  i principi costituzionali emergenti dagli artt. 102, comma
primo,  e (in particolare) 108 comma prima, portata ad affermare che,
in  relazione  alla  riserva  di  legge statale sancita in materia di
organizzazione giudiziaria, la previsione di decentramento ex art. 23
della  Statuto  siciliano  e'  eccezionale  e  non e' suscettibile di
interpretazioni estensive.
    In particolare la Corte costituzionale ha sempre affermato che in
materia  di  ordinamento  giudiziario  esiste, ex art. 108 Cost., una
riserva   di   legge  statale  (Corte  Cost.  n. 4/1956,  n. 76/1995,
n. 134/1998,  n. 86/1999).  Tale  riserva  concerne «la disciplina di
tutto quanto concerne l'Amministrazione della giustizia, sia riguardo
alla  istituzione  del  giudici,  che  alle  loro  funzioni  ed  alle
modalita' del correlativo esercizio» (v. Corte Cost. n. 4/1956).
    La  riserva  in  questione  esclude  in  via  di principio che le
Regioni,  al  di fuori di speciali disposizioni derogatorie, di rango
costituzionale,   possano  incidere  sulla  legislazione  statale  di
settore,  sia  attraverso  la  propria  legislazione,  sia attraverso
determinazioni  paritetiche  in  sede  di  attuazione  degli  statuti
speciali.
    Il   rigoroso  limite  all'intervento  regionale  in  materia  di
giurisdizione   e'   sottolineato  in  varie  decisioni  della  Corte
costituzionale.
    E'  stato cosi' affermato che il disegno del costituente e' stato
«di  procedere  bensi'  per  determinate  materie ad un decentramento
istituzionale  nel  campo  legislativo  ed  amministrativo  a  favore
dell'Ente Regione, ma di escludere dal decentramento tutto il settore
giudiziario  e  di  sottrarlo,  quindi,  a qualsiasi competenza delle
Regioni,  anche  di  quelle  a Statuto speciale dettando cosi' uno di
quei    principi   dell'ordinamento   giuridico   dello   Stato   che
costituiscano  limite  insuperabile  all'attivita'  legislativa delle
Regioni» (Corte cost. n. 4/1956, v. anche Corte cost. n. 43/1982).
    Quanto  alla  legislazione  regionale,  tale  principio  e' stato
sempre  tenuto fermo dalla giurisprudenza della Corte che ne ha fatto
rigorosa  applicazione  numerose volte anche in Sicilia sino al punto
di affermare la incostituzionalita' anche di norme soltanto meramente
riproduttive della disciplina nazionale (v. Corte cost. nn. 154/1995,
115/1972),  nonche'  di  norme  che  anche  soltanto in via indiretta
interferivano  con  l'esercizio della funzione giurisdizionale (Corte
Cost.  n. 94/1995).  In  proposito  va  altresi'  ricordato  che alle
censure  di  costituzionalita'  riguardo alla giurisdizione non si e'
sottratto  neppure  lo  stesso  Statuto  siciliano  di cui sono stati
dichiarati  incostituzionali  gli  artt. 26  e 27 sulla giurisdizione
penale dell'Alta Corte (Corte Cost. n. 6/1970).
    Neppure potrebbe sostenersi che lo Stato e la Regione, in sede di
commissione  paritetica,  possano  d'  accordo  attribuire alla norma
statutaria  una  portata  maggiore  di  quella  risultante dal tenore
letterale della stessa.
    In  altri  termini,  non  e' possibile che in sede di commissione
paritetica  lo  Stato  autorizzi  una limitazione dei suoi poteri, in
assenza  di  qualsiasi  previsione  statutaria,  ed  al  di la' delle
finalita'  tipiche  delle norme di attuazione (decentramento), specie
poi  se  rapportate  alla  chiara  previsione statutaria nel medesimo
senso.
    Va infatti considerato che a tale abdicazione corrisponderebbe un
parallelo  ampliamento  dei  poteri regionali e, quindi, in sostanza,
una surrettizia modifica dello Statuto speciale.
    Gli   Statuti   speciali  sono  norme  costituzionali  e  non  e'
ammissibile  che  una  fonte  di rango subordinato, quale le norme di
attuazione, possa modificare una normativa di rango costituzionale.
    Neppure  sembrerebbe  possibile  sostenere  che nel nuovo assetto
costituzionale  equiordinato  (art. 114,  prima  comma)  i  vari enti
possano  esercitare qualsiasi potere loro attribuito purche' in forma
di  collaborazione  e  cioe' anche prescindendo dalla ripartizione di
competenze normative di cui all'art. 117.
    In  effetti una simile possibilita' non e' prevista neppure negli
ordinamenti propriamente federali ed a Costituzione flessibile.
    Il  nuovo  Titolo V  prevede  in  molti casi l'intesa tra Stato e
Regioni,  ma,  nessuno  di  essi,  neppure in forza della clausola di
maggior favore, di cui all'art. 10 della legge cost. 3/2001, potrebbe
sovrapporsi  o comunque modificare il regime e le caratteristiche del
sistema  di  cooperazione  tipico  del  procedimento  delle  norme di
attuazione dello Statuto speciale siciliano in subiecta materia.
    L'art. 116,  ultimo comma, l'art. 117, quinto comma e l'art. 118,
terzo  comma, della Costituzione riguardano infatti materie diverse e
presuppongono comunque la preesistenza di una legge ad hoc.
    Neppure   sarebbe   ipotizzabile   una  intesa  Stato-Regione  ex
art. 118, primo comma.
    Invero,  ai  sensi  di  tale  disposizione  l'intesa  tra Stato e
Regioni puo' solo concorrere a spostare verso l'alto, e cio' in vista
di  esigenze  unitarie,  funzioni  amministrative tipicamente locali.
Tale  principio  e'  stato esteso dalla giurisprudenza costituzionale
anche   alla  funzione  piu'  propriamente  legislativa,  ma  solo  a
condizione  che  quest'ultima  avesse  ad  oggetto  esclusivamente la
organizzazione e regolazione di quelle stesse funzioni amministrative
assunte  dallo  Stato  in  forza  del principio di sussidiarieta'. La
deroga  al  riparto  delle competenze legislative sarebbe quindi piu'
apparente  che reale presentandosi invece come una logica conseguenza
del  nuovo  principio costituzionale di sussidiarieta'. Peraltro, ove
non ricorrano i presupposti della sussidiarieta' e non venga previsto
un  procedimento  di  coordinamento orizzontale, riprenderebbe vigore
quanto  alla  distribuzione di competenze legislative il principio di
«rigidita'  della  Costituzione»  (Corte  Cost. n. 303/2003, v. anche
Corte Cost. n. 376/2003).
    Nulla di tutto cio' e' ravvisabile nella fattispecie in esame.
    Innanzitutto  non sembra previsto dall'art. 118, primo comma, che
l'attrazione  di  competenza  venga  spostata  a  favore  del livello
inferiore.
    In   secondo   luogo  difetta  il  presupposto  fondamentale  del
principio  di  sussidiarieta'  e  cioe'  l'esigenza  di assicurare un
esercizio  unitario  della  funzione  giurisdizionale amministrativa,
esercizio la cui unitarieta' verrebbe anzi pregiudicata.
    In  terzo  luogo  la  materia  de qua (composizione dei Collegi e
stato  giuridico  dei giudici) sotto nessun profilo puo' essere fatta
rientrare  nella  categoria delle funzioni amministrative, ma rientra
invece  nella  funzione  giurisdizionale  (Corte  Cost.  n. 25/1976 e
n. 224/1999 cit.).
    In  conclusione,  quindi, il procedimento (e i limiti intrinseci)
afferenti   la   adozione   delle  norme  di  attuazione  tramite  le
commissioni paritetiche, continuano ad applicarsi anche nelle ipotesi
in  cui  fosse  invocabile  (ma  non e' questo il caso) la cosiddetta
clausola   di   maggior  favore  (v.  in  questo  senso  testualmente
l'art. 11, secondo e terzo comma della legge 5 giugno 2003, n. 131).
    7. - In  un  approfondimento  del  tema  (rapporto  tra autonomia
regionale  e  riserva  di  legge statale in materia di giurisdizione)
appare  oltremodo  significativa  la  sentenza  n. 150/1993 in cui si
trattava  di  stabilire  la  legittimita'  costituzionale della legge
statale  n. 374/1991  istitutiva  del  giudice  di pace asseritamente
lesiva  delle  competenze  statutarie  della  Regione  Valle  d'Aosta
disciplinanti  la istituzione degli uffici di conciliazione (art. 41,
legge cost. 4/1948).
    In quella occasione la Corte ha affermato che:
    La  norma  statutaria,  per  il  suo contenuto precettivo, incide
sull'ordinamento   giudiziario   e   sullo  «status»  di  un  giudice
dell'ordine giudiziario.
    Sotto  il primo profilo (incidenza sull'ordinamento giudiziario),
va  innanzitutto  ribadito  che in tale materia c'e' riserva di legge
(art. 108  Cost.)  e  questa  Corte  ha gia' piu' volte puntualizzato
trattarsi  di riserva di legge statale, con conseguente esclusione di
qualsivoglia interferenza della normativa regionale (sent. n. 767 del
1988,  sent.  n. 43  del  1982,  sent. n. 81 del 1976, sent. n. 4 del
1956).  Deve  quindi ripetersi che alla legge statale «compete in via
esclusiva  disciplinare  in  modo  uniforme  per  l'intero territorio
nazionale  e nei confronti di tutti (art. 3 Cost.) i mezzi e le forme
di  tutela  giurisdizionale  dei  diritti e degli interessi legittimi
(artt. 24, primo comma, e 113 Cost.)» (sent. n. 81 del 1976, citata).
Tale    riserva    abbraccia   sia   la   disciplina   degli   organi
giurisdizionali,  sia  la  normativa processuale, anch'essa riservata
esclusivamente  alla  legge  statale  (sent.  n. 505  del 1991, sent.
n. 489 del 1991).
    Come  la legge processuale (secondo il disegno costituzionale del
nostro   ordinamento),   cosi'   anche   la  normativa  degli  organi
giurisdizionali  non  puo' che essere uniforme su tutto il territorio
nazionale,  dovendo  a  tutti  essere  garantiti  pari  condizioni  e
strumenti  nel  momento  di  accesso  alla  fruizione  della funzione
giurisdizionale,  il  cui  esercizio  e'  imprescindibilmente neutro,
perche'  insensibile  alla localizzazione in questa a quella Regione,
oltre che neutrale, perche' svolto in posizione di terzieta' rispetto
ai poteri della Stato, non escluso il potere esecutivo delle Regioni.
    Pertanto   le   attribuzioni  regionali  in  materia  di  giudice
conciliatore,  in  quanto  incidenti in materia soggetta a riserva di
legge statale, hanno carattere di specialita' sicche' l'art. 41 della
legge cost.  n. 4  del  1948  (Statuto)  si  pone  come deroga a tali
principi,  consentita  soltanto  dal rango costituzionale della norma
stessa;    deroga    doppiamente    eccezionale   perche'   contempla
un'interferenza  regionale in materia di esclusiva competenza statale
e  perche' tale interferenza nell'ordinamento giudiziario si realizza
a  livella non gia' di legge regionale, bensi' esclusivamente di atti
dell'esecutivo.  Tale  connotazione  di  eccezionalita'  non puo' che
confinare  la  norma  statutaria  nel ristretto ambito del suo tenore
letterale sicche' in Valle d'Aosta e' solo il «giudice conciliatore»,
e  non anche il «giudice onorario» ex art. 106, secondo comma, Cost.,
ad  essere  in  qualche  misura  diverso dal giudice conciliatore sul
restante territorio del Paese.
    Il  rilevato  carattere  derogatorio  si appalesa poi ancora piu'
marcato  se  si  considera il contenuto della norma statutaria, che -
seppur  su  delegazione del Presidente della Repubblica - prevede una
serie di provvedimenti di competenza dell'esecutivo della Regione che
incidono   in   radice   sullo   «status»  di  giudice  conciliatore,
condizionandone la nomina, la decadenza, la revoca e la dispensa.
    Anche   sotto   questo   secondo   profilo  giova  richiamare  la
giurisprudenza  di questa Corte che ha evidenziato come la riserva di
legge  in  materia  di  ordinamento  giudiziario e' posta «a garanzia
dell'indipendenza   della   magistratura»  (sent.  n. 72  del  1991);
indipendenza  che  costituisce  valore  centrale  per  uno  stato  di
diritto,  sicche'  l'eventuale  difetto  di presidi a sua difesa puo'
ridondare  in  vizio  di  incostituzionalita'  (sent. n. 6 del 1970);
indipendenza  che  e'  assicurata in generale, ma anche con specifico
riferimento  al  giudice  onorario,  dalle  competenze  del Consiglio
superiore della Magistratura, sicche' anche per la nomina dei giudici
di  pace e' in generale prevista la previa deliberazione dello stesso
(art. 4 della legge n. 374 del 1991).
    Quindi,  anche  sotto  questo  profilo  dell'esigenza di garanzia
dell'indipendenza  del giudice, la previsione, contenuta nell'art. 41
della legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto Valle d'Aosta), del
potere (seppur delegato) del Presidente della giunta di dichiarare la
decadenza  e  la  dispensa del giudice conciliatore, e soprattutto il
potere  di revocarne la nomina, denuncia il suo carattere singolare e
del   tutto   eccezionale,   nella   specie   consentito   dal  rango
costituzionale della norma stessa».
    Il  primo  principio  ricavabile dalla anzidetta decisione sembra
molto  chiaro  innanzitutto  nel  senso  che  la  deroga alla riserva
costituzionale  di  legge  statale  in  materia  di  giurisdizione e'
consentita  solo  se  espressamente prevista da una norma speciale di
pari  rango  costituzionale  e,  in  secondo  luogo, nel senso che le
disposizioni degli Statuti speciali in materia di giurisdizione hanno
carattere  eccezionale  e  che quindi, come si esprime la Corte «tale
connotazione  di  eccezionalita'  non  puo'  che  confinare  la norma
statutaria nel suo ristretto ambito del tenore letterale».
    Nella  specie,  per  contro, l'art. 23 dello Statuto siciliano, a
differenza  della  Statuto  del  Trentino Alto Adige non contiene, in
materia  di  composizione dei Collegi e di status dei magistrati, ne'
una   delega  alle  norme  di  attuazione,  ne'  alcun  accenno  alla
possibilita'  di  nomina  regionale  di  giudici  laici «poiche' esso
stabilisce  soltanto  che gli organi giurisdizionali centrali debbano
avere  in  Sicilia  le Sezioni per gli affari concernenti la Regione»
(Corte  Cost. n. 189/1992) ed inoltre «l'art. 23 del R.D.L. 15 maggio
1946,   n. 455,   attiene  soltanto  al  decentramento  degli  organi
giurisdizionali  centrali  per  gli  affari  concernenti  la Regione»
(Corte Cost. n. 61/1975).
    Non meno importante, ai fini che qui interessano, e' la ulteriore
affermazione contenuta nella sentenza n. 150/1993 circa la necessaria
uniformita'  su  tutto il territorio nazionale della «normativa degli
organi  giudiziari» che viene ricondotta alla necessita' di garantire
a  tutti  i  cittadini  pari  condizioni  e strumenti di accesso alla
funzione  giurisdizionale  di cui viene affermato il carattere neutro
ed  insensibile  alle  localizzazioni  in  una piuttosto che in altra
Regione.
    Il  tema  verra'  ripreso piu' avanti (paragrafo 9), ma sin d'ora
non  puo' non rilevarsi, in proposito, la stringente analogia di tali
affermazioni  con  quelle  concernenti la attuale tematica dei limiti
alle  potesta' normative regionali derivanti dalle cosiddette materie
trasversali  (Corte  Cost. nn. 282/2002, 407/2002, 536/2002, 88/2003,
303/2003)   e   cio'   per   la   tutela   di  esigenze  unitarie  ed
infrazionabili.
    8. - A  dimostrazione  poi  che  la  materia  disciplinata  dagli
artt. 4  e 6  del  d.lgs.  373/2003  rientra  nella  riserva di legge
statale  in  materia  di  giurisdizione  e'  utile  rammentare  anche
l'insegnamento  della  Corte costituzionale nelle decisioni 585/1989,
224/1999 e 25/1976.
    Nella prima, che si riferiva alla Regione Trentino-Alto Adige, si
e'  affermato che, salvo il principio della proporzionale etnica, che
non  veniva  peraltro  messo  in  discussione,  spettava  allo  Stato
stabilire  le  variazioni  qualitative  e  quantitative  della pianta
organica   dei   magistrati  addetti  agli  uffici  giudiziari  della
Provincia di Bolzano.
    Nella  seconda,  con  riferimento  alla  Regione  Sicilia,  si  e
affermato  che anche la disciplina degli incarichi extraistituzionali
a  magistrati del Consiglio di Stato e della Corte dei conti operanti
in  Sicilia  rientra  nella  competenza  esclusiva  statale in quanto
attinente al loro stato giuridico.
    Ancora   piu'   significativa  la  affermazione  contenuta  nella
decisione  25/1976  in  cui, con espresso riferimento alla nomina dei
componenti  laici  del  Consiglio  di giustizia amministrativa per la
Regione siciliana la Corte costituzionale ha rilevato che trattasi di
«questione che incide in modo diretto sulla giurisdizione dell'organo
o, quanto meno, sull'esercizio della medesima».
    9. - D'altra  parte  neppure potrebbe ritenersi che la riserva di
legge  statale  possa  essere intesa in senso solamente formale e non
anche  sostanziale.  In altri termini non e' possibile sostenere che,
ai  fini  in esame, sia sufficiente la adozione di una legge da parte
dello  Stato  il quale, assolto cosi' l'onere della riserva di legge,
potrebbe ad libitum dettare composizioni degli organi giurisdizionali
differenti da Regione a Regione.
    Una  simile  esegesi  sarebbe  insostenibile  poiche' contraria a
specifici  principi  costituzionali  ed alla costante interpretazione
fornitane dalla Corte costituzionale.
    Invero,   se   si   affermasse   il  principio,  dianzi  soltanto
ipotizzato,  che  nella materia de qua sia ammissibile una riserva di
legge  in senso soltanto formale, quale ulteriore corollario dovrebbe
anche  ammettersi  che  il  legislatore statale potrebbe incidere non
solo  sulla  struttura  dei  Collegi, disciplinandoli diversamente da
Regione  a  Regione,  ma  potrebbe  differenziare a livello regionale
anche  la  struttura  dei processi (civile, penale, amministrativo) e
cio', non solo in relazione alle Regioni a Statuto speciale, ma anche
con riferimento alle Regioni a Statuto ordinario.
    Verrebbero pregiudicati cosi' i canoni costituzionali di cui agli
artt. 3,  24 primo comma, 113 primo comma, 102 primo e secondo comma,
108  primo  comma della Costituzione differenziando irragionevolmente
l'esercizio   della  giurisdizione  in  funzione  della  residenza  e
violando  cosi' i principi di uguaglianza (art. 3) e della parita' di
tutela  dei  diritti  ed  interessi  legittimi (art. 24, primo comma,
art. 113  primo comma). Piu' in generale, verrebbe anche vulnerato il
principio  dell'unita' dell'ordinamento giuridico il cui valore, gia'
riconosciuto  in  passato in forza dell'art. 5 della Costituzione, e'
attualmente  ribadito,  a livello costituzionale, anche dall'art. 120
secondo   comma  nel  testo  introdotto  dalla  legge  costituzionale
n. 3/2001.  La  Corte  costituzionale ha infatti sempre affermato che
«le  modalita'  di  esercizio del fondamentale principio della tutela
giurisdizionale non possono essere diverse in una Regione rispetto al
restante territorio nazionale» (Corte Cost. n. 113/1993) e che esiste
una  «esigenza  di  uniformita'  di  tutela  in  ordine  a situazioni
soggettive di identica natura» (Corte Cost. n. 42/1991).
    In altri termini va riconosciuto che la unitarieta' della materia
giurisdizionale  non puo' non ricomprendere tutti i suoi aspetti, ivi
compresi  quelli  concernenti  il  reclutamento  la nomina e lo stato
giuridico  dei giudici (Corte Cost. nn. 224/1999, 25/1976 cit.), che,
ovviamente, devono restare identici su tutto il territorio nazionale.
Sotto  questo  profilo,  pertanto,  la normativa statale non potrebbe
introdurre  differenziazioni  a  livello regionale senza incorrere in
censure e vizi di costituzionalita'.
    L'unica  deroga, come piu' volte sottolineato, e' ammessa solo in
base   ad   una   disposizione   di  pari  rango  costituzionale,  da
interpretare   inoltre,  in  quanto  deroga,  in  senso  strettamente
letterale.
    Pertanto,  e  in  conclusione  su  questo  punto, l'art. 23 dello
Statuto  siciliano  nella  sua  chiara previsione, limitata alla sola
localizzazione  della  funzione giurisdizionale, rappresenta un punto
fermo e insuperabile di modo che ne' la commissione paritetica ne' lo
Stato  (autonomamente a in sede di commissione paritetica) potrebbero
adottare  una  disciplina derogatoria rispetto a quella ordinaria che
incida su aspetti della funzione giurisdizionale diversi dalla pura e
semplice localizzazione.
    10. - Il   Collegio  e'  consapevole  della  circostanza  che  la
questione    della    composizione   del   Consiglio   di   giustizia
amministrativa  per  la  Regione  siciliana  e'  stata  ripetutamente
affrontata  anche  dalla Corte costituzionale, ma sempre sotto angoli
di valutazione diversi.
    Nella decisione n. 25/1976 la Corte costituzionale si e' occupata
del  problema,  con  riferimento  tuttavia soltanto all'art. 5, terzo
comma  del  d.lgs.  n. 654/1948  e  cioe'  all'istituto  dell'appello
all'Adunanza Plenaria delle decisioni emesse (prima della istituzione
dei  Tribunale amministrativo regionale) in unico grado del Consiglio
di giustizia amministrativa per la Regione siciliana.
    In  quell'occasione  la  Corte ha fatto altresi' riferimento alla
nota  decisione delle Sezioni Unite della Cassazione 11 ottobre 1955,
n. 2994  dichiarando  di  condividerla.  Nella anzidetta decisione la
Cassazione,  non  essendo ancora in funzione la Corte costituzionale,
si  pose  il  problema  della  costituzionalita'  in  generale  della
istituzione  del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana sotto un duplice aspetto: estrinseco ed intrinseco.
    Sotto il profilo estrinseco si trattava di accertare l'osservanza
o  meno  del principio di cui all'art. 76 della Costituzione e quindi
l'esistenza di una norma di delega, nonche' la attribuzione o meno di
una   competenza  legislativa  alla  commissione  paritetica  di  cui
all'art. 43   dello  Statuto  siciliano  anziche'  al  Governo.  Tale
profilo,  di  cui  si  e'  trattato  nelle  ordinanze  n. 185/2003  e
n. 303/2003   di  questo  Consiglio,  non  viene  in  discussione  in
relazione al d.lgs. n. 373/2003.
    Sotto il profilo intrinseco, invece, la costituzionalita' si pose
con  preciso  riferimento alla questione se il Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la Regione siciliana dovesse considerarsi a meno
un  giudice  speciale  (la  cui  istituzione  era  ed  e'  vietata ex
art. 102,   secondo   comma  della  Costituzione)  che  i  ricorrenti
ritenevano offrisse minori garanzie rispetto ad una ordinaria sezione
del Consiglio di Stato.
    A  riprova  della  specialita' venivano addotte la diversita' del
numero  dei  votanti  (5  anziche'  7)  e  la  differenza  di  talune
prerogative:  inamovibilita'  dei componenti le sezioni del Consiglio
di  Stato;  temporaneita'  dei  due  membri  designati  dalla  Giunta
regionale;   partecipazione   al  Collegio  esclusa  per  gli  allora
referendari del Consiglio di Stato.
    La   Cassazione,  com'e'  noto,  affermo'  che  il  Consiglio  di
giustizia   amministrativa   per  la  Regione  siciliana  non  poteva
considerarsi   quale   giudice  speciale,  ma  soltanto  una  sezione
specializzata  del  Consiglio  di  Stato  superando in questo modo la
eccezione di incostituzionalita'.
    Ne' nella decisione n. 25/1976 ne' successivamente e' stato posto
ex  professo alla Corte costituzionale il profilo del rapporto tra la
lettera  e  lo  spirito  dell'art. 23  della  Statuto  e  le norme di
attuazione  che  prevedono  la  designazione  regionale di magistrati
laici.
    Tuttavia, pur non essendo stata sollevata una specifica questione
in  tal  senso, se si esaminano i precedenti, emerge chiaramente, nel
pensiero e nelle parole della Corte costituzionale, la consapevolezza
che  il  d.lgs.  n. 654/1948 era andato ben al di la' della lettera e
dello spirito dell'art. 23 dello Statuto.
    Invero,  nella decisione n. 61/1975 la Corte - come gia' rilevato
-  afferma che «l'art. 23 del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 attiene
soltanto  al  decentramento degli organi giurisdizionali centrali per
gli affari concernenti la Regione».
    Nella stessa decisione 25/1976 occupandosi della indipendenza dei
membri laici del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana,   per   quanto   qui  interessa,  la  Corte  ha  affermato
testualmente  che  «certamente  l'art. 23 dello Statuto della Regione
siciliana  prevedeva  semplicemente  l'istituzione  in Sicilia di una
sezione  giurisdizionale  del Consiglio di Stato ed e' innegabile che
con  il  d.lgs.  n. 654/1948  e'  stato invece istituito un organo di
giustizia  amministrativa  caratterizzato  da una propria particolare
fisionomia e struttura».
    Nella decisione dianzi citata la Corte, come detto, ha confermato
l'orientamento  della  Cassazione  circa  la  natura del Consiglio di
giustizia   amministrativa   per   la   Regione   siciliana  (sezione
specializzata del Consiglio di Stato e non giudice speciale, anche se
la  anzidetta  definizione fa pensare piu' ad un giudice speciale che
ad  una  sezione  specializzata)  ma,  com'e'  noto,  cio'  non le ha
impedito  di  dichiarare incostituzionale il d.lgs. n. 654/1948 nella
parte  in  cui  (art. 3,  terzo  comma)  prevedeva la possibilita' di
rinnovo dei giudici laici.
    11. - D'altra parte, in relazione agli artt. 102, primo e secondo
comma  e  108,  primo  e  secondo  comma  della Costituzione, occorre
sottolineare   che  anche  qualificando  il  Consiglio  di  giustizia
amministrativa  per  la Regione siciliana come sezione specializzata,
la  istituzione  di  sezioni  specializzate  innanzitutto deve essere
prevista  da  una  legge statale, come si evince dall'art. 102, primo
comma  per  il  giudice  ordinario e dall'art. 108, primo comma per i
giudici speciali.
    Esiste,   quindi,  a  livello  costituzionale,  una  ancora  piu'
speciale  riserva  esclusiva di legge statale circa la istituzione di
sezioni  specializzate, derogabile solo in presenza di norma espressa
di pari rilevanza costituzionale (Corte Cost. n. 150/1993 cit.).
    Nella  specie  -  ripetesi  -  in nessun comma dell'art. 23 dello
Statuto  siciliano  e' contenuto il minimo accenno, ne' implicito ne'
esplicito  alla possibilita' che in Sicilia vengano istituite sezioni
specializzate ne' del Consiglio di Stato ne' delle altre magistrature
superiori.
    Il  decentramento  puro  e  semplice  (Corte  Cost.  n. 61/1975 e
n. 25/1976)  non  implica  affatto di per se' la creazione ex nova di
sezioni  specializzate  tanto piu' che l'unico accenno di specialita'
contenuto nell'art. 23 riguarda, come gia' osservato, il concerto tra
Stato e Regione, sulla nomina soltanto dei magistrati della Corte dei
conti.
    Va   poi  rammentato  che  la  Carta  costituzionale  prevede  la
istituzione  di  sezioni  specializzate  soltanto  nell'ambito  della
magistratura  ordinaria  (art. 102, secondo comma) per cui la sezione
specializzata  viene  considerata  «non  gia' un tertium genus fra la
giurisdizione  speciale  e  quella  ordinaria,  bensi' una species di
quest'ultima»   (Corte   Cost.   nn. 76/1961,  394/1998  e  ordinanza
n. 424/1989).
    E'  stato infatti rilevato che, a fronte del divieto di istituire
giudici  speciali,  la  deroga  costituzionale  a  favore  delle sole
Sezioni  specializzate,  dipende  proprio  dalla loro compenetrazione
istituzionale  con  il  giudice  ordinario  (Corte  Cost. nn. 4/1984,
424/1989).
    Pertanto,   se   la   istituzione  di  sezioni  specializzate  e'
consentita  dalla  Costituzione  (ex  art. 102,  secondo  comma) solo
nell'ambito  della magistratura ordinaria e cio' in ragione del nesso
organico  con  quest'ultima, se ne dovrebbe anche inferire che, cosi'
come  non  e' possibile istituire nuovi giudici speciali, alla stessa
stregua   non   sarebbe  possibile  istituire  sezioni  specializzate
all'interno dei giudici speciali attualmente esistenti.
    In  ogni  caso,  quando  anche si pervenisse alla conclusione che
l'art. 102,  secondo  comma  e  l'art. 108,  primo  comma  Cost.  non
implicano  di  per  se' il divieto di istituire sezioni specializzate
nell'ambito  del  giudice  speciale  gia' esistente, non sembra possa
dubitarsi  che  tale  possibilita'  sia  coperta  da riserva di legge
statale  ex  art. 102,  prima  comma  e  108, prima comma Cost. e che
comunque  la  riserva  di  legge  statale  non  potrebbe  dettare, in
subiecta  materia,  e in assenza di specifiche disposizioni di deroga
di  rango  costituzionale,  un  regime  differenziato  da  Regione  a
Regione.
    12. - Un   ulteriore   approfondimento   merita   l'affermazione,
contenuta  nella  gia'  citata  decisione  delle  Sezioni Unite della
Cassazione  n. 2994/1955,  circa  la  aderenza del d.lgs. n. 654/1948
allo spirito dell'art. 23 dello Statuto siciliano.
    In  particolare nella circostanza la Cassazione si e' preoccupata
di  chiarire  che  il  Consiglio  di  giustizia amministrativa per la
Regione  siciliana, per la sua composizione, non e' un giudice capite
deminutus quanto a quantita', qualita' e garanzia dei suoi membri.
    La  Cassazione  non  si  e' invece data carico della questione di
costituzionalita'  a  monte  e  cioe' se lo Statuto e la Costituzione
legittimavano   la   istituzione  (gia'  fortemente  criticata  dalla
dottrina   costituzionalistica  dell'epoca)  di  una  sezione,  sotto
molteplici  profili,  diversa  rispetto  a  una sezione ordinaria del
Consiglio di Stato, ma si e' limitata ad affermare che «le variazioni
morfologiche del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana sono in funzione di quella stessa esigenza di decentramento
che ha giustificato l'istituzione dell'Ente Regione».
    Tale   indirizzo   e'  stato  successivamente  ripreso  in  altre
decisioni delle Sezioni unite, che con riguardo alle disposizioni del
d.l.  6 maggio 1948, n. 654, sull'istituzione ed il funzionamento del
consiglio  di giustizia amministrativa della regione siciliana, hanno
ritenuto  manifestamente  infondate  la  questione  di illegittimita'
costituzionale  in  relazione  agli  art. 102,  103, 108 e 125 cost.,
nonche'   in   relazione  all'art. 23  dello  statuto  della  regione
siciliana  (l.  cost.  26 febbraio 1948, n. 2), nella parte in cui le
medesime introdurrebbero un nuovo organo di giustizia amministrativa,
distinta  dal  Consiglio  di  Stato,  con  l'assegnazione di funzioni
giurisdizionali   a   persone   estranee   all'amministrazione  della
giustizia,  atteso  che  il  suddetto  consiglio  di  giustizia della
regione  siciliana  non e' giudice speciale autonomo, bensi', pur con
alcune  peculiarita'  attinenti  al  suo  funzionamento  ed  alla sua
composizione,  una  sezione  giurisdizionale  del Consiglio di Stato,
considerato  come  giurisdizione  speciale unitaria, e che inoltre la
partecipazione  di  estranei  a  collegi  giudicanti  non trova nella
Costituzione alcuna limitazione agli organi giurisdizionali ordinari,
con  esclusione  di  quelli  speciali, sempreche' venga rispettato il
requisito  dell'indipendenza  dei  magistrati  (cfr.  in  particolare
Cassazione  civile,  sez.  un.,  19 ottobre 1983, n. 6127; cfr. anche
Cassazione   civile,  sez.  un.,  19 aprile  1984,  n. 2565,  ove  si
sottolinea   che   la  peculiare  composizione  del  Consiglio  trova
giustificazione nelle esigenze connesse all'autonomia della Sicilia).
    Le  ragioni che portano il Collegio a non condividere i suesposti
indirizzi  sono  state  gia'  esposte  nei  paragrafi  precedenti: le
anomalie  e  disarmonie nella composizione del Consiglio di giustizia
amministrativa,  alle  quali  fanno  riferimento  i cennati indirizzi
giurisprudenziali  (cfr.  ad esempio Cass. sez.un. n. 6127/1983), non
sono in aderenza con l'art. 23 dello Statuto siciliano.
    In  particolare,  come  gia' detto, dagli atti relativi ai lavori
preparatori  emerge  con  chiarezza  che  mai  nessuno,  in  sede  di
redazione   dello  Statuto,  penso'  di  collegare  il  decentramento
giurisdizionale  ad  una  organizzazione delle magistrature superiori
diversa da quella disciplinata dalla legge statale e che, se vi fu un
accenno di specialita', esso riguardo' solo il giudice contabile.
    Coerentemente  con  il  dato  storico,  quello letterale e logico
della  interpretazione  portano ad ammettere ex art. 23 delle Statuto
una  specialita' nelle modalita' di provvista unicamente per la Corte
dei conti.
    Quanto  a  quest'ultima, ad ulteriore integrazione di quanto gia'
esposto,  e' opportuno sottolineare, anche a chiarimento del richiamo
che   e'   stato  operato  quale  tertium  comparationis,  al  d.lgs.
n. 655/1948,   che,  nella  stessa  data  del  6 maggio  1948,  venne
adottato,  oltre  al decreto legislativo n. 654/1948, anche il d.lgs.
n. 655/1948  relativo  alla  istituzione  in  Sicilia  di una sezione
giurisdizionale e di controllo della Corte dei conti. Com'e' noto, il
predetto  d.lgs.  n. 655/1948  non  dispone  una  composizione  delle
Sezioni  diversa  da  quella  ordinaria,  ma  si  limita  a  ribadire
(art. 10,  primo  comma)  la  previsione  statutaria  (art. 23, terzo
comma)  della intesa tra Stato e Regione sulla nomina dei magistrati.
Va  ulteriormente  rimarcato  che  in sede di modifica delle norme di
attuazione del predetto d.lgs. n. 655/1948, il d.lgs. 18 giugno 1999,
n. 200,  adottato  questa  volta  su determinazione della commissione
paritetica   ex   art. 43  dello  Statuto  siciliano,  ha  introdotto
all'art. 1  del  d.lgs. n. 655/1948 un secondo comma che testualmente
dispone  che  «la  composizione  e  la  competenza delle sezioni sono
determinate dalle disposizioni della legge statale».
    Orbene,  nell'unico caso in cui l'art. 23 dello Statuto siciliano
prevedeva,  al  terza  comma, un accenno di specialita', ne' le prime
norme  di  attuazione (adottate senza la procedura dell'art. 43 dello
Statuto),  ne'  le  successive (adottate stavolta con il procedimento
speciale)   hanno   ritenuto   possibile   e  legittimo  alterare  la
composizione ordinaria delle sezioni della Corte dei conti.
    Sulla base delle argomentazioni addotte dalle Sezioni Unite della
Cassazione  nella  decisione  2994/1955  in merito alle «esigenze del
decentramento»  non  e'  agevole  giustificare  come  mai, in sede di
attuazione   della  stessa  norma  statutaria,  nei  confronti  della
clausola  di  una  qualche  maggiore  specialita' si sia mantenuta la
composizione  ordinaria della Corte dei conti, mentre, di fronte alla
clausola  dell'art. 23,  prima  comma, del tutto anodina sotto questo
profilo, si sia ritenuto di poter istituire una sezione specializzata
del Consiglio di Stato.
    Comunque,  le vicende del coevo d.lgs. n. 655/1948 e come pure le
successive  determinazioni  della  commissione  paritetica  del  1999
allorche'  e'  stato  introdotto  il  secondo  comma  all'art. 1  del
predetto   d.lgs.   n. 655/1948   concernente  la  Corte  dei  conti,
costituiscono  ulteriore riprova del fatto che le norme di attuazione
di  cui  al d.lgs. n. 373/2003, che riproducono, in parte qua, quelle
di  cui  al  d.lgs.  n. 654/1948, appaiono in palese contrasto con la
lettera e lo spirito dello Statuto siciliano.
    Ne'  potrebbe  addursi, a giustificare il differente regime tra i
due  decreti  legislativi del 6 maggio 1948, e, conseguentemente, del
d.lgs.  n. 373/2003,  l'argomento secondo cui non sarebbe ammissibile
che   nell'organo  controllante  (Corte  dei  conti)  siano  presenti
magistrati  designati  dal soggetto controllato (Regione). Va infatti
sottolineato  che  l'art. 23  della  Statuto  siciliano  e  il d.lgs.
n. 655/1948  prevedono  anche  la  localizzazione  in  Sicilia  della
sezione  giurisdizionale  per  i  giudizi di conto, responsabilita' e
pensionistici  e che la composizione di tale sezione non e' stata mai
modificata, neppure dalla recente legge 5 giugno 2003, n. 131. Questa
infatti,  all'art. 7,  ha  previsto  la mera possibilita' che le sole
sezioni  regionali di controllo della Corte dei conti siano integrate
con due componenti di nomina regionale. Non va poi dimenticato che la
norma  in esame e' contenuta in una legge statale di portata generale
ed  uniforme  su  tutto il territorio nazionale. Pertanto, qualora si
volesse  riconoscere  identico  carattere  giurisdizionale anche alla
funzione  di  controllo  della  Corte  dei  conti,  la  norma sarebbe
ugualmente  in  linea  con i principi costituzionali della riserva di
legge  statale  e della uniformita' della giurisdizione su ogni parte
del territorio nazionale.
    In   altri   termini  se  per  effetto  dell'art. 7  della  legge
n. 131/2003  (ove  applicabile  alle  regioni  a statuto speciale) la
sezione  di controllo della Corte dei conti in Sicilia dovesse essere
integrata  con  consiglieri  di  designazione regionale, cio' sarebbe
dovuto  all'efficacia  di  una  legge  statale  uniforme  su tutto il
territorio  nazionale, e non gia' in forza di una norma di attuazione
dello  Statuto  siciliano che avesse introdotto un regime derogatorio
rispetto a quello ordinario.
    13. - Un   ulteriore   dubbio   di   costituzionalita'  circa  le
richiamate   disposizioni   del  d.lgs.  n. 373/2003  emerge  ove  si
consideri la VI disposizione transitoria della Costituzione.
    La  stessa  prevedeva  di procedere, entro 5 anni, alla revisione
delle  giurisdizioni  speciali eccettuando espressamente il Consiglio
di  Stato,  la  Corte  dei  conti  e  i Tribunali militari. In questa
espressa  eccezione  trova  concordanza  la formulazione dell'art. 23
dello  Statuto  siciliano  che  si limitava al mero decentramento. Il
d.lgs. n. 654/1948 prima, e il d.lgs. n. 373/2003 poi, istituendo una
sezione  specializzata  (ove tale venga considerato questo Consiglio)
hanno  invece  apportato  sicuramente  una  modificazione  all'organo
giurisdizionale,  ponendosi  in  contrasto  oltre  che con lo Statuto
siciliano anche con il primo comma della VI disposizione transitoria.
    A  questa  proposito  l'assenza  del  coordinamento, previsto dal
r.d.lgs.  15 maggio  1946,  n. 455,  e  mai  avvenuto, tra lo Statuto
siciliano  e  la Costituzione si avverte in modo ancora piu' evidente
se  si considera che lo Statuto (art. 23, primo comma) contemplava un
decentramento  negli  organi  giurisdizionali centrali, decentramento
peraltro   neppure   generalizzato,   ma  limitato  ai  soli  «affari
concernenti  la  Regione».  Innanzitutto  non  era  e  non e' agevole
stabilire,  in sede di giurisdizione (civile, penale amministrativa e
contabile)  quali  siano  gli  «affari  concernenti  la  Regione» dal
momento  che  la  giurisdizione  e'  un  valore e una funzione neutra
«insensibile  alla  localizzazione in questa o quella Regione» (Corte
Cost. n. 150/1993 cit.). La riprova di tale difficolta' e' dimostrata
dal fatto che per le giurisdizioni civili, penali, tributarie e delle
acque  pubbliche  non  e'  mai  stata data attuazione alla previsione
statutaria  e  che  in  quella  amministrativa  si e' reso necessario
estendere la competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per
la  Regione  siciliana  anche  ad  atti  emessi  da autorita' statali
(art. 5, primo comma, d.lgs. n. 654/1948; art. 4, terzo comma, d.lgs.
n. 373/2003)  di  modo  che  attualmente,  atteso  che  la competenza
territoriale  del  giudice amministrativa e' derogabile, e' possibile
conoscere in Sicilia anche di ogni sorta di atti da chiunque emanati.
Inoltre,  per evitare di compromettere l'unita' del sistema giuridico
della   giustizia   amministrativa,   il   Consiglio   di   giustizia
amministrativa   per   la   Regione   siciliana   venne  configurato,
relativamente agli atti statali, come organo sottordinato rispetto al
Consiglio   di  Stato  al  quale  era  previsto  la  possibilita'  di
appellarsi (art. 5, terzo comma, d.lgs. n. 654/1948).
    Vale la pena di ricordare, in proposito, la decisione della Corte
costituzionale n. 25/1976. In quella occasione l'appello all'Adunanza
Plenaria  avverso  pronunce del Consiglio di giustizia amministrativa
per  la  Regione siciliana su atti statali veniva giustificato con il
venir  meno,  in  quel  caso,  delle  «ragioni  per cui gli era stata
conferita   quella   particolare  composizione  caratterizzata  dalla
presenza  di due giuristi designati dalla giunta regionale e poteva a
cio'  costituire  opportuno rimedio la previsione dell'impugnabilita'
delle sue decisioni». L'appello veniva inoltre giustificato non tanto
per  «attribuire  ai  ricorrenti  davanti  al  Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la  Regione siciliana una tutela giurisdizionale
maggiore  di  quella  riconosciuta  alla  generalita'  dei  cittadini
davanti  al  Consiglio  di  Stato quanto piuttosto per assicurare una
definitiva  uniformita' di controllo sugli atti delle amministrazioni
dello Stato».
    Tale  competenza  di primo grado e' venuta meno dapprima in forza
di  una  esegesi pretoria (Adunanza Plenaria n. 21/1978 e n. 18/1979)
ed  ora risulta espressamente sancita dal citato art. 4, terzo comma,
del  d.lgs.  n. 373/2003,  ma  rimane innegabile il superamento della
lettera  e dello spirito della norma statutaria che limitava e limita
la competenza ai soli «affari concernenti la Regione».
    Le   anzidette   considerazioni   dimostrano  le  difficolta'  di
adattamento della previsione statutaria anche con riferimento al solo
e  limitato  aspetto  della  localizzazione.  Pertanto,  estendere la
portata  dell'art. 23  sino  a  modificare  la  struttura dell'organo
giudicante  legittima  il  sospetto di una incostituzionale revisione
(sia pure parziale) della giurisdizione del Consiglio di Stato.
    14. - A giustificazione della composizione mista del Consiglio di
giustizia  amministrativa  per  la  Regione  siciliana confermata dal
decreto  legislativo n. 373/2003 neppure potrebbe invocarsi una sorta
di tacita consuetudine ovvero di convalescenza per decorso del tempo.
Si  tratterebbe  infatti,  in  ambedue i casi, di istituti a fonti di
integrazioni   sconosciute  al  livello  di  norme  costituzionali  e
comunque inammissibili in un sistema a costituzione rigida.
    In  altri  termini  non  sembrerebbe  passibile  sostenere  (come
talvolta  adombrato)  che la sussistenza della composizione mista del
C.G.A.  per  oltre  mezzo secolo costituirebbe di per se' una riprova
della  sua  costituzionalita'.  Innanzitutto,  va  rammentato  che il
periodo suindicato non e' decorso senza interrogativi. Invero, taluni
aspetti  di  tale composizione mista non hanno superato il vaglia del
giudice  delle  leggi  (Corte  Cost.  25/1976)  ovvero  hanno  subito
modificazioni,  piu'  o meno radicali, a seguito o in prospettiva del
giudizio  della  Corte  (v. il d.P.R. n. 204/1978 e lo stesso decreto
legislativo n. 373/2003).
    In  secondo  luogo  non  puo'  ritenersi che la permanenza di una
norma nell'ordinamento, per un periodo piu' o meno lungo, costituisca
garanzia  di  costituzionalita',  come  dimostrano  gli  esempi delle
giunte   provinciali  amministrative  (Corte  Cost.  n. 30/1967)  del
Tribunale   superiore  delle  acque  (Corte  Cost.  n. 305/2002)  dei
Tribunali  regionali  delle  acque  (Corte  Cost. n. 353/2002), della
Giunta  speciale  presso  la  Corte di appello di Napoli (Corte Cost.
n. 393/2002).
    Infine,    mentre    e'    possibile    adattare    una   esegesi
costituzionalmente   corretta   sulla   base   del  tenore  letterale
dell'art. 23,  primo  comma  dello Statuto siciliano, la tassativita'
delle disposizioni di cui sopra non consente di adattare, in subiecta
materia,    una   esegesi   contraria   ne'   sussiste   un   diritto
giurisprudenziale  vivente  che la supporti (v. da ultimo Corte Cost.
ord. 30 gennaio 2003, n. 19).
    15. - Neppure  sembrerebbe ostativo a questi fini, il richiamo al
mutato   quadro  istituzionale  introdotto  dal  decreto  legislativo
n. 373/2003 ed alla intervenuta assimilazione del regime giuridico ed
economico  dei membri laici del C.G.A. a quello dei laici nominati in
Consiglio di Stato.
    In  altri  termini,  non  sembrerebbe  possibile sostenere che il
superamento delle questioni concernenti sia i profili formali (delega
in  bianco  e  mancato  intervento  della Commissione paritetica) sia
taluni  di  quelli  sostanziali  (indipendenza, imparzialita', regime
giuridico  ed  economico  nonche' meccanismi di rinnovo dei laici del
C.G.A.)  valga  di  per  se'  a  dimostrare la sopravvenuta manifesta
infondatezza  della  questione  concernente  il contrasto tra la pura
localizzazione  prevista  dall'art. 23,  primo  comma,  dello Statuto
siciliano  e  la  composizione  mista  di  cui all'art. 4 del decreto
legislativo n. 373/2003.
    In  sostanza,  non potrebbe sostenersi che la anzidetta questione
risultava  non manifestamente infondata in un quadro normativo in cui
ai  laici  non erano assicurate imparzialita' ed indipendenza, mentre
non   apparirebbe  piu'  tale  nell'ambito  del  decreto  legislativo
n. 373/2003 in cui tali garanzie sono state assicurate.
    Tale  argomentazione  non  sembrerebbe convincente per un duplice
ordine di considerazioni.
    Innanzitutto  le questioni dianzi esaminate ed elencate non hanno
alcun riferimento alla maggiore o minore indipendenza a imparzialita'
dei  laici.  Invero,  la questione che ne occupa, similmente a quanto
ritenuto   nelle   ordinanze  n. 185/2003  e  n. 303/2003  di  questo
Consiglio,  consiste  nell'interrogativo  se, in assenza di copertura
costituzionale,  sia  possibile introdurre una forma di giurisdizione
differenziata solo su una parte del territorio nazionale.
    Su un piano poi piu' propriamente sostanziale, la circostanza che
ai   componenti   laici   sia   assicurato,  ex  decreto  legislativo
n. 373/2003,  lo  stesso trattamento giuridico ed economico dei laici
nominati  in  Consiglio  di Stato, non elimina il dato di fatto della
esistenza di una giurisdizione differenziata.
    Al  riguardo  e'  sufficiente rilevare innanzitutto che il regime
giuridico  non  e' identico poiche', trattandosi di nomine temporanee
per un sessennio, difetta, ad esempio, quel definitivo allontanamento
dalla   professione   (art. 3,   legge   n. 303/1998),  ovvero  dalla
amministrazione  di  provenienza  che  caratterizza  i Consiglieri di
Stato e della Corte dei conti di nomina politica.
    In  secondo  luogo,  ma  non  meno decisivo a dimostrazione della
esistenza  di  una  differenziata singolarita', si puo' richiamare il
disposto   dell'art. 4,   secondo   comma   del  decreto  legislativo
n. 373/2003  secondo  cui  il  collegio giudicante e' necessariamente
composto  con  due  membri laici di nomina politica regionale, il che
comporta una differenziazione, non solo formale, ma anche sostanziale
dell'esercizio della giurisdizione (Corte cost. n. 25/1976 cit.).
    Nei  collegi amministrativi tale tipo di composizione sottintende
la  necessita'  che  vengano  rappresentate  esigenze, prospettive, e
interessi  di  natura  locale,  il che, ovviamente, non ha ragione di
essere in un collegio giurisdizionale tenuto soltanto ad applicare le
norme  dell'ordinamento  quale  che  ne sia la fonte (internazionale,
comunitaria, nazionale, regionale etc.).
    L'unico esempio di collegio giurisdizionale amministrativo in cui
e'   stata  prevista  la  composizione  mista  e'  rappresentata  dal
T.R.G.A.,  ma  con  norma  di  rango  costituzionale  e  in base alla
dichiarata  e specifica finalita' di tutela delle minoranze etniche e
linguistiche  presenti  nella  regione  (v.  artt. 90,  91, 92 d.P.R.
n. 670/1972).
    Neppure   sembrerebbe   possibile,  a  questi  fini,  richiamarsi
all'incisa  di  cui all'art. 23, primo comma, dello Statuto siciliano
che fa riferimento agli «affari concernenti la Regione» interpretando
cioe'  la  formula  come  se questa implicitamente sottintenda che il
contenzioso  amministrativo  tra  un qualsiasi privato e le autorita'
amministrative locali siciliane debba essere risolto da un giudice in
composizione  speciale.  Infatti,  non  sarebbe  spiegabile come tale
esigenza avesse ragion d'essere solo in Sicilia e, quando anche cosi'
fosse,  come  non  sia  emersa al livello statutario, ed anzi risulti
ignorata nei lavori preparatori dello Statuto.
    In  proposito  neppure  sembra probante la argomentazione secondo
cui  la  composizione mista di cui al decreto legislativo n. 654/1948
prima,   ed   al   decreto   legislativo  n. 373/2003  poi,  potrebbe
giustificarsi  in  funzione  della autonomia regionale e della intima
connessione  della  giustizia  amministrativa  con  l'amministrazione
attiva.
    Invero,  per  quanto  concerne  la  autonomia  regionale  possono
richiamarsi   le   considerazioni   dianzi  esposte  in  merito  alla
necessita'   di   una   esegesi   letterale  delle  norme  statutarie
concernenti  la  funzione  giurisdizionale (Corte Cost. nn. 124/1957,
66/1964,  115/1972,  150/1993 cit.), e quelle circa la funzione delle
norme  di attuazione degli statuti speciali (Corte Cost. nn. 14/1956,
20/1956, 212/1984, 353/2001 cit.).
    Quanta  alla  supposta connessione della giustizia amministrativa
con  la  amministrazione  attiva  non  e' dato ravvisare, almeno allo
stato  attuale  della legislazione, una connessione tra il ruolo e la
funzione   del   giudice   amministrativo   e   quello  del  pubblico
amministratore.   Se   invece  la  affermazione  sottintende  che  la
giustizia amministrativa tocca prevalentemente interessi circoscritti
e  territorialmente localizzati, sembra evidente che cio' si verifica
con  la  stessa  frequenza  nei  giudizi ordinari civili e penali che
traggono   causa  o  presupposto  dagli  stessi  atti  amministrativi
direttamente  impugnabili  davanti  al giudice amministrativo, ma per
questi giudizi civili e penali, come e' noto, l'art. 23 della Statuto
siciliano  non  e'  mai stata attuata neppure nella forma di semplice
delocalizzazione.
    Del  pari  ininfluente  appare  la argomentazione, spesso da piu'
parti   prospettata,  secondo  cui  l'attuale  generale  tendenza  al
federalismo   potrebbe   supportare,  sul  piano  costituzionale,  la
disciplina di cui al decreto legislativo n. 373/2003.
    Al  riguardo  va  innanzitutto  sottolineata  la inattualita', al
livello  costituzionale,  di una scelta propriamente federalistica e,
in   secondo  luogo,  come  la  disciplina  del  decreto  legislativo
n. 373/2003  non  sarebbe  del tutto coerente neppure con tale futura
impostazione.
    Potrebbe  infatti  predicarsi,  anche in questo caso, quanto gia'
dianzi  osservato  in  relazione  alla  portata  generale ed uniforme
dell'art. 7  della  legge  n. 131/2003.  Invero, anche ammettendo, in
ipotesi, una scelta federalistica gia' in atto, non si comprenderebbe
perche'  questa  scelta debba giustificare un esercizio differenziato
della   giurisdizione   che   debba  valere  solo  per  la  giustizia
amministrativa,  solo  per  la Regione siciliana, e solo per l'ultimo
grado di giudizio.
    In  altri  termini, anche volendo ipotizzare, de jure condendo ed
in   una  visione  federalistica,  una  giurisdizione  amministrativa
diversa  da quella attuale, e cio', in una ottica di collegamento con
le  autonomie  locali, sembrerebbe evidente che tale riforma dovrebbe
trovare  specifica  disciplina  in  una  legge  statale  ex art. 117,
secondo  comma, lettera l) della Costituzione (Corte Cost. n. 29/2003
cit.).  Inoltre, in base ai principi costituzionali sulla uniformita'
della  giurisdizione  su  tutto  il  territorio  nazionale,  siffatta
riforma  dovrebbe  avere  portata  generale senza differenziazioni di
regime  da  Regione  a  Regione  (Corte  Cost. nn. 42/1991, 113/1993,
150/1993 cit.).
    Non   meno   irrilevante  e'  la  argomentazione,  peraltro  meta
giuridica, secondo cui sul decreto legislativo n. 373/2003 si sarebbe
espresso  favorevolmente,  nel  senso della sua costituzionalita', il
Consiglio di Stato nella Adunanza Generale del 2 ottobre 2003.
    In  proposito va evidenziato che in quella occasione il Consiglio
di   Stato,   preso   atto   della   pendenza   della   questione  di
costituzionalita'   sollevata   dall'ordinanza  di  questo  Consiglio
n. 185/2003,  ha espressamente rilevato «come l'Adunanza Generale non
abbia  titolo  ad  interloquire  in ordine all'ampia serie di censure
sollevate  dal  C.G.A.,  anche per un doveroso rispetto istituzionale
nei confronti della Corte costituzionale» (Allegato A).
    Una  assicurazione  in questo senso venne invece fornita, come da
procedura,   dall'Ufficio  legislativo  del  Ministero  di  grazia  e
giustizia  con  nota  11 luglio  2003,  prot.  n. 1499/-30/21-113. Il
Ministero   infatti   ha   testualmente   affermato   che  lo  schema
trasmessogli «appare complessivamente idoneo a superare le censure di
costituzionalita'  che il C.G.A. ha mosso alla vigente normativa, sia
per cio' che attiene ad eventuali eccessi di delega, sia per cio' che
attiene  alla composizione dell'organo giurisdizionale» (Allegato B).
Trattasi  di  formula  apodittica  alla quale, comunque, non potrebbe
essere riconosciuta alcuna efficacia preclusiva dell'attuale giudizio
di costituzionalita'.
    Per   le  suesposte  argomentazioni  si  ritiene  che  il  quadro
normativo  offerto  dal  decreto  legislativo  n. 373/2003, ancorche'
sostanzialmente  migliorativo rispetto al precedente, quanto a talune
garanzie  di  imparzialita'  ed  indipendenza  dei  membri  laici del
C.G.A.,  non  abbia  risolto  la  questione  di  fondo concernente la
legittimita'  della  istituzione  di  una  forma  di  esercizio della
giurisdizione   amministrativa  in  Sicilia  diversa  dal  resto  del
territorio  nazionale  in  assenza  -  ripetesi  -  di  una specifica
copertura costituzionale.
    Pertanto  si ritiene che il nuovo quadro normativo non valga, per
cio'  solo  a rendere manifestamente infondate le anzidette questioni
di  costituzionalita'  che  meritano  quindi  di essere riproposte al
vaglio del giudice delle leggi.
    16. - Il Collegio, a questo punto, non puo' non rilevare anche la
singolarita'  della  circostanza  occorsa  in  sede di emanazione del
decreto  legislativo  n. 373/2003 in esame, la cui norma di copertura
finanziaria  e' contenuta in un separato decreto-legge e precisamente
nell'art. 6  del  d.l.  24 dicembre  2003,  n. 354, la cui entrata in
vigore,  ai  sensi  del  successivo  art. 9,  e' stata fissata per il
1° gennaio  2004  ed  e' stato successivamente convertita nella legge
26 febbraio 2004, n. 45.
    Dalla   relazione   tecnica   allegata,   ex   art. 11-ter  legge
n. 468/1978,  al  d.l.  n. 354/2003  (v.  allegato C), risulta che il
maggior  onere  complessivo  a  carico  dello  Stato,  pari  ad  Euro
697.500,00,   veniva   ripartito   in  Euro 279.000  per  compensi  e
indennita'  per  un  presidente di sezione e due consiglieri di Stato
fuori  ruolo ed in Euro 418.500 per la meta' a carico dello Stato del
compenso   iniziale   di  consigliere  di  Stato  spettante  ai  nove
componenti laici.
    In  proposito,  il Collegio osserva che la norma di cui sopra non
incide   sulla   rilevabilita'   e   rilevanza   delle  questioni  di
costituzionalita'   dianzi   adombrate,   in  quanto  ne  rappresenta
semplicemente  i  conseguenziali  sviluppi  sul  piano  della finanza
statale,  ma  condiziona  tuttavia la operativita' delle disposizioni
della cui costituzionalita' si dubita.
    Di  qui  la  necessita' di denunciarne la incostituzionalita' sia
pure in via derivata e in parte qua.
    Va  infine  ricordato  che, ex art. 27 della legge n. 87/1953, e'
possibile una declaratoria di incostituzionalita' derivata.
    Pertanto  dalle censure rubricate di costituzionalita' come sopra
ritenute   non   manifestamente   infondate   dovrebbe  derivatamente
discendere   la   incostituzionalita'   anche  dell'art. 6  del  d.l.
n. 354/2003, convertito nella legge 26 febbraio 2004, n. 45, peraltro
limitatamente  alla  parte  in  cui assicura la copertura finanziaria
dello  Stato  in  misura  pari alla meta' dello stipendio iniziale di
consigliere  di  Stato per quattro componenti non togati e quindi per
Euro 186.000.
    17.   -   Ritiene  ancora  il  Collegio  che  il  vigente  regime
transitorio  ed  anche la futura possibilita' di diversa composizione
del Collegio per effetto di eventuali nuove nomine di laici regionali
ex  artt. 4,  6,  7  e  15 del d.lgs. n. 373/2003 non influisca sulla
rilevabilita' e rilevanza delle questioni sin qui prospettate.
    Innanzitutto  va osservato che il decreto legislativo n. 373/2003
e'  entrato in vigore il 29 gennaio 2004 e che, ai sensi dell'art. 14
dello stesso decreto da tale data sono abrogati il d.lgs. n. 654/1948
e  il  d.P.R. n. 204/1948 per cui, nessuna efficacia puo' piu' essere
riconosciuta alla anzidetta normativa.
    Per  quanto  invece  concerne  le  nomine effettuate sotto il suo
vigore  va  tuttavia  considerato  che, con espresso riferimento alle
nomine  precedenti,  la  norma  transitoria di cui all'art. 15, prima
comma  del  d.lgs.  n. 373/2003  consente  ai  laici componenti della
Sezione  giurisdizionale di rimanere in carica sino al compimento del
sessennio   a   decorrere   dal   rispettivo  giuramento,  (sia  pure
subordinatamente  ad  una  dichiarazione  di  insussistenza ovvero di
intervenuta  cessazione  delle  cause  di incompatibilita), mentre il
successivo  secondo  comma  consente  ai  medesimi  la  permanenza in
servizio  per  sessanta  giorni  dall'entrata  in  vigore del decreto
legislativo,  ancorche'  versino  in situazioni di incompatibilita' o
comunque gia' scaduti.
    Pertanto,  il  regime transitorio di cui al primo e secondo comma
dell'art. 15   del  d.lgs.  n. 373/2003  consente  l'esercizio  della
giurisdizione  di  questo C.G.A. nella composizione mista, atteso che
per  i  membri  laici presenti in questo Collegio il sessennio non e'
ancora  scaduto  (v.  allegato  D, D1, E, E1) e neppure e' scaduto il
termine  di  sessanta  giorni  dalla  entrata  in vigore del predetto
decreto legislativo (29 gennaio 2004).
    Conseguentemente,  le  anzidette  questioni  di costituzionalita'
possono  essere  sollevate  anche nei confronti del primo, cosi' come
del  secondo  comma  del  citato  art. 15 ovviamente, in parte qua, e
cioe'  con  esclusivo  riferimento  ai  membri  laici  della  Sezione
giurisdizionale   (giuristi   secondo   la   definizione  del  d.lgs.
n. 654/1948).
    Peraltro  va  anche  sottolineato  che si tratta di questioni che
riguardano  direttamente,  e  a  regime,  il  modo  di  essere  e  di
funzionare di questo Consiglio.
    Esse  invero  prescindono  nel  modo  piu'  completo  dalla varia
posizione  che  possano  rivestire gli attuali membri laici di questo
Consiglio  in  relazione  al regime transitorio e cioe' se proseguano
nell'incarico  ovvero  se  vengano  sostituiti  da  altri. Invero, le
questioni   prospettate  in  precedenza  riguardano  la  legittimita'
costituzionale  in  apicibus  di  una  composizione  mista  di questo
Consiglio,  questioni  nei  confronti  della  quale  e' irrilevante e
ininfluente  la  eventualita'  di  nuove  nomine  di  membri laici in
sostituzione a in aggiunta agli attuali.
    Inoltre,   e'   opportuno   richiamare  il  pacifico  e  costante
insegnamento  della  Corte  costituzionale  in  tema di autonomia del
processo  costituzionale  secondo  cui  «il requisito della rilevanza
riguarda   solo   il   momento   genetico   in   cui   il  dubbio  di
costituzionalita'  viene  sollevato e non anche il periodo successivo
alla  remissione  della  questione  alla Corte Costituzionale» (v. da
ultima Corte Cost. ord. n. 110/2000).
    Nella  medesima  ottica  e  stato  chiarito  che  «la vicenda del
processo  incidentale  di legittimita' costituzionale non puo' essere
influenzata  da  circostanze  di  fatto sopravvenute nel procedimento
principale:  e  cio'  in  quanto, svolgendosi il processo incidentale
nell'interesse  pubblico, e non in quello privato, una volta che esso
si  sia  validamente  instaurato  a norma dell'art. 23 legge 11 marzo
1953,   n. 87,  acquisisce  una  autonomia  che  la  pone  al  riparo
dall'ulteriore  atteggiarsi  della  fattispecie,  financo nel caso in
cui,  per qualsiasi causa, fosse venuto a cessare il giudizio rimasto
sospeso  (art. 22  delle norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale)» (Corte Cost. ord. nn. 300/1984, 383/2002, e v.
anche dec. nn. 135/1963, 701/1988, 52/1986).
    Quanto  poi  alla  ammissibilita'  delle  questioni  anzidette il
Collegio   si   richiama   parimenti   all'insegnamento  della  Corte
costituzionale  (Corte  Cost.  nn. 177/1973,  25/1976 e 266/1988). La
Corte ha infatti affermato che la possibilita' di una declaratoria di
incostituzionalita'  della  composizione  del  Collegio  non puo' far
venir  meno,  ex  ante, la ammissibilita' e rilevanza della questione
(Corte  Cost.  n. 177/1973)  poiche', in tal caso, siffatte questioni
non potrebbero mai venire sollevate (Corte Cost. n. 266/1988).
    18.  -  In  conclusione,  avuto  riguardo  anche  alla domanda di
rimessione   formulata   dalle   resistenti   e  alla  stregua  delle
considerazioni  esposte  nei  precedenti  paragrafi,  possono  essere
avanzate   nell'ordine  e  in  subordine  le  seguenti  questioni  di
costituzionalita':
    a)  dell'art. 4,  comma 1,  lettera d)  e del successivo comma 2,
nonche'  dell'art. 6,  comma 2,  del  d.lgs. 24 dicembre 2003, n. 373
limitatamente   alle   parole  «e  all'art. 4,  comma 1,  lettera d)»
nonche',   in  parte  qua,  dell'art. 15,  commi 1  e 2  del  decreto
legislativo  medesimo,  limitatamente  alla  possibile permanenza dei
membri laici della Sezione giurisdizionale e, derivatamente, in parte
qua,   dell'art. 6   del   decreto-legge  24 dicembre  2003,  n. 354,
convertito   nella   legge   26 febbraio  2004,  n. 45,  in  rapporto
all'art. 23  dello  Statuto  siciliano ed all'art. 102, primo comma e
108,  primo comma Cost. in quanto l'art. 23 dello Statuto non prevede
alcuna deroga alla composizione ordinaria delle sezioni del Consiglio
di  Stato  da  localizzare  in Sicilia, e in rapporto agli artt. 102,
primo  comma e 108, primo comma Cost. in quanto il d.lgs. n. 373/2003
citato disciplina una materia riservata dalla Costituzione alla legge
statale,  per cui eventuali deroghe a favore dell'autonomia regionale
debbono  essere  supportate  da una espressa previsione di pari rango
costituzionale;  nonche',  in  rapporto agli artt. 3, 24 primo comma,
113  primo  comma  Cost.,  in  quanto  introduce  una  ingiustificata
differenziazione dell'organo giudicante e quindi anche dell'esercizio
della giurisdizione su una parte del territorio nazionale;
    a1)   in   subordine   dell'art. 4,  comma 1,  lettera d)  e  del
successivo   comma 2,   nonche'   dell'art. 6   comma 2   del  d.lgs.
n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4, comma 1, lettera
d)»  nonche',  in  parte qua, dell'art. 15, commi 1 e 2 limitatamente
alla   possibile   permanenza   dei   membri   laici   della  Sezione
giurisdizionale  e, derivatamente, in parte qua, dell'art. 6 del d.l.
n. 354/2003  convertito  in legge n. 45/2004 in rapporto all'art. 23,
primo  comma  dello Statuto siciliano che non prevede ne' una sezione
specializzata  del  giudice  speciale ne' una composizione collegiale
diversa  da  quella ordinaria e cio' anche in relazione, quale tertia
comparationis,  (e  con  riferimento  all'art. 3  della Costituzione)
all'art. 24,  primo  comma  dello  Statuto  siciliano  concernente la
composizione  dell'Alta  Corte,  nonche' all'art. 23, terzo comma del
medesimo  Statuto,  all'art. 10  del  d.lgs.  6  maggio  1948, n. 655
concernente  la  istituzione  di sezioni della Corte dei conti per la
Regione  siciliana,  all'art. 1  del  d.lgs. 18 giugno 1999, n. 200 e
agli   articoli   90   e  91  secondo  comma  del  T.U.  delle  leggi
costituzionali di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670;
    A2)  in subordine dell'art. 4 comma 1 lettera d) e del successivo
comma   2,  nonche'  dell'art. 6,  comma  2  del  d.lgs.  n. 373/2003
limitatamente  alle  parole  «e  all'art. 4,  comma  1,  lettera  d)»
nonche',  in  parte  qua,  dell'art. 15  commi  1  e  2  del  decreto
legislativo  medesimo,  limitatamente  alla  possibile permanenza dei
membri laici della Sezione giurisdizionale e, derivatamente, in parte
qua,  dell'art. 6 del d.l. n. 354/2003 convertito in legge n. 45/2004
in rapporto allo stesso art. 23, primo comma dello Statuto siciliano,
nonche'  in  rapporto  all'art. 102,  secondo  comma  e,  108 primo e
secondo  comma  della  Costituzione, non essendo consentito istituire
Sezioni specializzate nell'ambito dei giudici speciali;
    A3)   in  subordine  dell'art. 4,  comma  1,  lettera  d)  e  del
successivo   comma   2,  nonche'  dell'art. 6,  comma  2  del  d.lgs.
n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4, comma 1, lettera
d)»  nonche',  in  parte  qua,  dell'art. 15  commi 1 e 2 del decreto
legislativo  medesimo,  limitatamente  alla  possibile permanenza dei
membri laici della Sezione giurisdizionale e, derivatamente, in parte
qua,  dell'art. 6 del d.l. n. 354/2003 convertito in legge n. 45/2004
in  rapporto  all'art. 23,  primo comma dello Statuto siciliano ed in
rapporto  al  primo  comma  della  VI  disposizione transitoria della
Costituzione   che  esclude  dalla  revisione  la  giurisdizione  del
Consiglio di Stato;

                                 III

    1. - Quanto  alla non manifesta infondatezza, il Collegio ritiene
che   tale   requisito   sussista  sia  con  riferimento  all'assetto
costituzionale  precedente,  sia  anche  con  riferimento all'assetto
costituzionale  quale  risulta  dopo  la  modifica del Titolo V della
Costituzione per effetto della legge Cost. n. 3/2001.
    2. - Va   innanzitutto   ricordato,  alla  stregua  del  pacifico
insegnamento della Corte costituzionale, inaugurato con la sua stessa
prima  decisione  (n. 1/1956), che le norme ordinarie, ancorche' nate
costituzionalmente    legittime,    possono    essere    affette   da
iliegittimita'  costituzionale  sopravvenuta  per contrasto con nuove
norme costituzionali (Corte Cost. n. 13/1974).
    Cio'  vale anche per lo Statuto siciliano, approvato con r.d.lgs.
15  maggio  1946, n. 455 prima della Costituzione repubblicana, i cui
artt.  26  e  27  -  come  gia'  accennato  -  sono  stati dichiarati
incostituzionali  malgrado  la  costituzionalizzazione  dello Statuto
fosse intervenuta successivamente (Corte Cost. n. 6/1970 cit.).
    In  altri  termini, non sarebbe possibile una lettura delle norme
statutarie in senso non conforme alla Costituzione e ai suoi principi
fondamentali  poiche',  in  tal  caso,  le  stesse  norme  statutarie
potrebbero  risultare affette da incostituzionalita' (Corte Cost. nn.
30/1971,   31/1971,  32/1971,  12/1972,  175/1973,  1/1977,  18/1982,
183/1983,  170/1984,  1146/1988).  Nella  specie,  peraltro, la norma
statutaria  in  esame, e cioe' l'art. 23, primo comma, nel suo tenore
letterale  e  nella  sua  ratio,  appare perfettamente coerente con i
principi  costituzionali  in  tema di uguaglianza dei cittadini nella
tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi,  nonche'  di uniformita'
dell'esercizio  della  giurisdizione  limitandosi  -  come piu' volte
osservato   -   al   puro   e  semplice  decentramento  degli  organi
giurisdizionali  superiori  nella  loro  composizione  ordinaria. Gli
interrogativi  non  riguardano  quindi  il  disposto  statutario,  ma
soltanto   la  sua  attuazione,  attuazione  che,  travalicando  tale
disposto,  ne  e'  stata fornita, dapprima con il decreto legislativo
654/1948,  ed  attualmente,  sotto il vigore del nuovo Titolo V della
Costituzione, con il decreto legislativo 373/2003;
    Cio'  premesso,  il  nuovo Titolo V della Costituzione, ad avviso
del   Collegio,   non   solo  non  fa  venir  meno  le  questioni  di
costituzionalita'  dinanzi  prospettate, ma rafforza, se mai, il peso
delle argomentazioni di cui sopra.
    Mantiene,   infatti,   identica   rilevanza   e   non   manifesta
infondatezza  la questione rubricata sub A3 concernente la violazione
del primo comma della VI disposizione transitoria della Costituzione.
    Quanto  agli  altri  profili,  puo'  ritenersi  anche per essi ha
perdurante rilevanza ed anzi ha maggiore fondatezza per effetto delle
disposizioni del nuovo Titolo V.
    Com'e'  noto,  l'art. 10  della legge Cost. n. 3/2001 dispone che
sino  all'adeguamento  dei  rispettivi  Statuti,  le disposizioni del
nuovo Titolo V si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale per
le  parti  in  cui prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto a
quelle gia' attribuite (cosiddetta clausola di maggior favore).
    Peraltro,  in  precedenza si e' denunciata la incostituzionalita'
di  talune  disposizioni  del  d.lgs.  373/2003  in  quanto  norme di
attuazione  statutaria  contra  legem,  o  comunque, praeter legem in
quanto  in  contrasto  con  la  lettera  e  lo  spirito dello Statuto
sicilano    oltreche'    con    principi   e   precise   disposizioni
costituzionali.
    Tuttavia,  tali  principi  e tall disposizioni sono contenuti nel
Titolo  IV  della  Costituzione  e  non  gia'  nel  Titolo  V  le cui
modifiche,  pertanto, dovrebbero risultare ininfluenti ai fini qui in
esame.   Peraltro,   per   indispensabile   completezza,   dovrebbero
esaminarsi  taluni  aspetti  della  riforma, aspetti che comunque non
incidono sulle conclusioni dianzi esposte ma, se mai, le rafforzano.
    Innanzitutto  va  premesso che nella specie si tratta di valutare
la  costituzionalita'  di  una normativa emanata successivamente alla
entrata  in  vigore  della  legge  costituzionale n. 3/2001. Quindi i
canoni  circa:  il  riparto  di  competenze  legislative  tra Stato e
Regioni  dovrebbero  essere  valutati  alla stregua del nuovo assetto
costituzionale  non  essendo  applicabile il principio di continuita'
dell'ordinamento (Corte Cost. n. 422/2002).
    Cio'  premesso  va  osservato  che nel vigore della distribuzione
delle  competenze  legislative anteriore alla riforma del Titolo V la
giurisprudenza  costituzionale  ha costantemente affermato, sin dalla
decisione 124/1957, la necessita' di distinguere lo Stato quale unico
ente  a  fini generali dalle Regioni (ordinarie o a Statuto speciale)
«enti  con  fini  predeterminati  e  inderogabilmente fissati» (Corte
Cost.  n. 66/1964).  Da tale esigenza e' stato ricavato il corollario
della impossibilita' di estendere in senso finalistico l'ambito delle
materie  elencate  negli  Statuti.  Pertanto,  anche  se  uno Statuto
speciale  avesse  attribuito  alla  competenza esclusiva regionale il
conseguimento   di  un  certo  fine,  questo  avrebbe  potuto  essere
conseguito   soltanto   nell'ambito  delle  materie  attribuite  alla
competenza  regionale.  E  cosi', esemplificando con riferimento alla
Regione  siciliana,  il fine statutario di cui all'art. 14 lettera e)
«incremento  della produzione agricola e industriale» pur attribuendo
alla  Regione  competenza  legislativa  esclusiva  in materia, non le
consentiva  tuttavia  di  conseguirlo  disciplinando  il regime delle
accise  e  dell'I.G.E.  poiche'  ha  materia dei tributi erariali non
risultava  attribuita  alla  Regione  (Corte Cost. n. 124/1957 cit.).
Identiche conclusioni, sempre con riferimento alla Regione siciliana,
sono state ribadite con riguardo alla giurisdizione, rilevandosi come
la  competenza esclusiva «e' strettamente limitata alle materie quali
sono elencate negli Statuti speciali restando escluso che, rispetto a
queste,  possano  valere  criteri  finalistici  che  non risultino da
valutazioni  del  tutto  obiettive  del  loro contenuto» (Corte Cost.
n. 66/1964).  Ed  inoltre che non sarebbe possibile una esegesi dell'
ambito   delle  varie  materie  «non  suffragata  dalla  formulazione
letterale  della  disposizione statutaria» (Corte Cost. n. 115/1972).
La necessita' di tracciare la linea di demarcazione tra le competenze
statali  e  quelle  regionali  «che  e'  necessario  tener ferma onde
salvaguardare  l'interesse  all'unita' dell'ordinamento» (Corte Cost.
n. 46/1962)  ha  portato  ad  escludere  sia una competenza normativa
regionale  in  ambiti  connessi  alle materie attribuite (Corte Cost.
n. 46/1962   cit.),   sia   una  esegesi  finalistica  delle  materie
attribuite  poiche'  «se  cosi'  non  fosse la competenza legislativa
delle  Regioni si estenderebbe, potenzialmente, a tutto l'ordinamento
giuridico  e, per converso, tutta la potesta' legislativa dello Stato
sarebbe  limitata  dalla potesta' della Regione di regolare qualunque
rapporto   giuridico   nel  campo  delle  attivita'  attribuite  alla
competenza  regionale,  in  modo  diverso dalla legislazione statale»
(Corte Cost. n. 66/1961).
    Il  quadro  e' mutato con il nuovo Titolo V, ma ha giurisprudenza
costituzionale sembra orientata su una linea di continuita'.
    Nelle  sue  prime pronunce sull'argomento la Corte costituzionale
infatti, da un lato ha sottolineato le novita' del quadro complessivo
dei   rapporti   tra   Stato   e  Regioni  nel  quale  «sono  apparsi
particolarmente  rilevanti l'art. 114, che pone sullo stesso piano lo
Stato  e  le  Regioni,  come  entita'  costitutive  della Repubblica,
accanto  ai  comuni,  alle  citta'  metropolitane  e  alle  Province;
l'art. 117,   che   ribalta  il  criterio  prima  accolto,  elencando
specificatamente le competenze legislative dello Stato e fissando una
clausola  residuale in favore delle Regioni; e infine l'art. 127, che
configura  il  ricorso  del  Governo  contro  le leggi regionali come
successivo,  e non piu' preventivo». Peraltro, pur nel mutato assetto
la  Corte  non  ha  mancato  di sottolineare come, «nel nuovo assetto
costituzionale  scaturito  dalla  riforma,  allo Stato sia pur sempre
riservata,  nell'ordinamento generale della Repubblica, una posizione
peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui
all'art. 5  della Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione di
un'istanza  unitaria,  manfestata  dal  richiamo  al  rispetto  della
Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti  dall'ordinamento
comunitario  e dagli obblighi internazionali, come limiti di tutte le
potesta'  legislative  (art. 117,  primo  comma) e dal riconoscimento
dell'esigenza   di   tutelare   l'unita'   giuridica   ed   economica
dell'ordinamento  stesso  (art. 120,  secondo  comma). E tale istanza
postula  necessariamente  che  nel  sistema  esista  un soggetto - lo
Stato,  avente  il  compito  di assicurarne il pieno soddisfacimento»
(Corte cost. n. 274/2003).
    Come  si e' visto, nella ripartizione di competenze stabilita dal
nuovo  art. 117 della Costituzione le Regioni (anche quelle a Statuto
speciale)  hanno  goduto  di  un significativo ampliamento della loro
sfera  di competenza legislativa che, ai sensi del quarto comma dell'
attuale art.  117, e' divenuta generale in via residuale invertendosi
l'originario  criterio.  Si  discute  quindi  sul carattere esclusivo
generale  di tale competenza, e cioe' ci si chiede se una materia non
riconducibile al secondo e terzo comma dell'art. 117 rientri, percio'
solo,  nella competenza generale residuale (v. Corte cost. 370/2003).
Ci  si chiede poi se i limiti a tale competenza siano soltanto quelli
generali  di  cui  all'  art. 117, primo comma o se ve ne siano anche
degli   altri.  Inoltre,  con  riferimento  alle  Regioni  a  Statuto
speciale,  ci  si  interroga  se la precedente competenza legislativa
primaria   sia   transitata   o   meno   nella   residuale   generale
dell'art. 117,  quarto comma e se ad essa debbano applicarsi i vecchi
limiti  presenti  negli  Statuti  speciali  ovvero i nuovi ricavabili
dall'art. 117, primo comma, e non solo da questo.
    In  riferimento  alle  problematiche  dianzi  rilevate  e  di non
agevole soluzione, che emergono dal nuovo Titolo V, e con riferimento
alla  questione in esame, sembra opportuno chiedersi, in primo luogo,
se, a fronte, dell'ampliamento delle competenze legislative regionali
derivante  dalla  attribuzione  di competenza generale residuale, non
debba  contrapporsi,  anche  per  le  Regioni  a Statuto speciale, la
riserva  di  legislazione  esclusiva  a favore dello Stato cosi' come
elencata all'art.  117, secondo comma.
    Al  riguardo,  la Corte ha pronunciato alcune decisioni in cui si
afferma  che  il nuovo Titolo V non si applica alle Regioni a Statuto
speciale,  se  non  nelle parti che prevedono forme di autonomie piu'
ampie  rispetto  a  quelle  gia'  attribuite  (v.  Corte  cost.  ord.
n. 377/2002  decisioni  nn. 408/2002,  533/2002,  48/2003, 103/2003).
Tuttavia,  in  un'altra decisione, concernente ha regione Sardegna, e
in  materia  di  caccia in cui tale Regione gode di potesta normativa
primaria,   le   argomentazioni   della  Corte  appaiono  molto  piu'
articolate  in  quanto  si  e' affermato (con riferimento espresso al
nuovo  Titolo  V)  che  «la  disciplina  statale  rivolta alla tutela
dell'ambiente  e  dell'ecosistema  puo'  incidere anche sulla materia
caccia   pur  riservata  alla  potesta'  legislativa  regionale,  ove
l'intervento  statale  sia  rivolto  a  garantire  standard  minimi e
unformi  di  tutela  della fauna trattandosi di limiti unificanti che
rispondono   ad  esigenze  riconducibili  ad  ambiti  riservati  alla
competenza esclusiva dello Stato» (Corte cost. n. 536/2002).
    Sembrerebbe quindi che ha Corte Costituzionale abbia riconosciuto
che  nel  nuovo  assetto  delle competenze legislative, delineato dal
nuovo  Titolo  V, le materie riservate in via esclusiva allo Stato si
impongono  anche alle competenze legislative primarie delle Regioni a
Statuto  speciale, ma non in toto, bensi' nel senso piu' ristretto di
poter  fissare  a  quelle  autonomie  regionali  nuovi  limiti  prima
inesistenti.  Tale orientamento e' stato poi ribadito dalla Corte sia
nei  confronti  (come  era  ovvio)  delle Regioni a Statuto ordinario
(decisione  227/2003)  sia  nei confronti della provincia autonoma di
Trento   dotata  di  competenza  esclusiva  in  materia  e  cio'  con
riferimento  ai  preesistenti  limiti  statutari  all'esercizio della
competenza anzidetta (decisione 226/2003).
    In  altri termini, nella esegesi della Corte sembra affermarsi il
concerto    che   le   esigenze   di   unitarieta'   ed   uniformita'
dell'ordinamento   (v.   anche   dec.  274/2003  cit.)  insite  nella
elencazione  delle  competenze  esclusive  statali e specie in quelle
trasversali   (e  cioe'  definibili  finalisticamente  piu'  che  per
l'oggetto,  quali  la  tutela  dell'ambiente,  della concorrenza, del
risparmio,  la  determinazione  dei livelli essenziali v. Corte Cost.
nn. 282/2002,  407/2002,  88/2003,  303/2003, 376/2003, 14/2004) sono
talmente  rilevanti  da  condizionare  ex  novo anche la operativita'
della clausola di maggior favore.
    Se  cio'  e'  esatto,  anche  qualora  ho Statuto sicilano avesse
attribuito  espressamente  alla  competenza primaria della Regione ha
organizzazione,  in  ambito regionale, della giustizia civile, penale
ed   amministrativa  di  ultima  istanza  (il  che  non  risulta  ne'
implicitamente ne' esplicitamente), ebbene, anche in questo ipotetico
caso,  la  maggiore  autonomia  statutaria  spettante  in  base  alla
clausola  di maggior favore ne uscirebbe ridimensionata nel senso che
non  potrebbe piu' disciplinare, in una forma derogatoria per la sola
Regione  siciliana,  aspetti della organizzazione giudiziaria che, ex
art. 117  secondo  comma  lettera l), debbono restare necessariamente
unitari  per l'ordinamento generale della giustizia (composizione dei
Collegi,  stato giuridico dei magistrati laici e togati etc.). Quanto
poi   al  carattere  finalistico  della  materia  «giurisdizione»  e'
sufficiente  osservare  come  questa attenga direttamente, ex art. 24
Cost.,  «alla  tutela  dei  propri  diritti ed interessi legittimi» e
quindi  non  sembrerebbe  dubitabile  che  anche essa appartenga alla
stessa  categoria trasversale e finalistica al parti della tutela del
risparmio,  della concorrenza, dell'ambiente ed altresi' (forse anche
nel  suo  contenuto)  a quella dei livelli essenziali di prestazioni,
come  sembrerebbe  gia'  adombrato nella citata decisione Corte cost.
150/1993.
    Potrebbe   invece   consolidarsi   una   diversa   esegesi  nella
applicazione  dell'art. 10  della legge cost. 3/2001, nel senso cioe'
che  le  materie  riservate  in  via  esclusiva  allo Stato dal nuovo
art. 117,  secondo  comma  non possono costituire od introdurre nuovi
limiti  ai  piu'  ampi  poteri  normativi  primari  che, nelle stesse
materie,  sono  previsti  negli  Statuti  speciali,  e,  che debbono,
semmai,  soltanto applicarsi i vecchi limiti statutari alla normativa
primaria.  Tuttavia,  anche  in questo caso, permarrebbe ha rilevanza
dei  dubbi  di  costituzionalita',  dianzi  enunciati  e  la loro non
manifesta   infondatezza.  Invero,  ha  Corte  costituzionale,  nella
decisione  48/2003  da  un lato ha affermato che l'applicazione della
clausola  di  maggior  favore (condotta sulla base di una valutazione
comparativa)  esclude  ovviamente le competenze normative statali, ma
ha  riconfermato  nella  specie,  per quanto qui interessa, il limite
statutario  della  armonia  con  la  Costituzione  e  con  i principi
dell'ordinamento  giuridico  della  Repubblica. Lo Statuto siciliano,
pur  anteriore  alla Costituzione, prevede similmente (art. 14, primo
comma)  che la competenza legislativa primaria si esercita nei limiti
delle  leggi costituzionali dello Stato. Non si e mai dubitato quindi
che  la competenza primaria della Regione siciliana dovesse osservare
i  principi  della  Costituzione  (Corte  cost. n. 66/1964, 115/1972)
cosi'  come  anche  i  principi  fondamentali  delle leggi di riforma
economicosociale  (Corte  cost.  nn. 545/1989,  4/2000, 314/2003). In
questo  caso  i  limiti  alla  possibilita'  di legiferare in tema di
giurisdizione  sarebbero  rappresentati, oltre che dall'art. 14 primo
comma  dello  Statuto  da quelli ricavabili, come sottolinea la Corte
costituzionale (dec. 274/2003 cit.) dall'art. 5, dall'art. 117, primo
comma, dall'art. 120, secondo comma della Costituzione.
    In   conclusione,  quindi,  i  principi  unitari,  unificanti  ed
infrazionabili   ricavabili   dalla  Costituzione,  tra  i  quali  va
annoverata  la  uniformita'.  della disciplina della giurisdizione in
ogni  suo  aspetto  su  tutto  il  territorio nazionale, si impongono
comunque  alle  Regioni a Statuto speciale in assenza di una espressa
deroga  statutaria  e, dopo la riforma del Titolo V, potrebbero anche
limitare la portata di una eventuale espressa deroga statutaria. Tale
prevalenza,  che prescinde anche dalla clausola di maggior favore, si
applica  sia  con  riferimento ai limiti alla normativa primaria gia'
presenti  negli  Statuti,  sia  ai  nuovi, e cio' sia con riferimento
all'assetto  antecedente  la  riforma  del  Titolo  V,  sia  a quello
successivo.  In proposito la Corte costituzionale ha affermato che il
potere  di disciplinare l'esercizio della giurisdizione «alla Regione
Sardegna  come alle altre Regioni a Statuto speciale od ordinario non
spetta,  restando  invece  riservato  alla competenza del legislatore
statale  (cfr.  sentenza  115 del 1972; e v. oggi l'art. 117, secondo
comma,  lettera  l)  della  Costituzione  come sostituito dalla legge
costituzionale n. 3 del 2001)» (Corte cost. n. 29/2003).
    Pertanto,  sia  la  riserva di legge statale di cui all'art. 117,
secondo   comma  lettera  l)  della  Costituzione,  sia  il  disposto
dell'art. 14,  primo  comma  dello  Statuto  siciliano  nonche' degli
artt. 5,  117  primo  comma  e 120, secondo comma della Costituzione,
inducono  tutti  a  ritenere  che  i  vizi  di  costituzionalita'  in
precedenza    denunciati   si   dovrebbero   ritenere   ulteriormente
confermati.  Al  limite,  qualora i dubbi di costituzionalita' dianzi
esposti avessero potuto essere superati con riferimento al precedente
assetto  costituzionale, gli stessi dovrebbero essere inevitabilmente
riconosciuti con riferimento al nuovo.
    Pertanto,  il  combinato disposto degli artt. 5, 102 primo comma,
108 primo comma, 117 primo e secondo comma, lettera l) e 120, secondo
comma   della   Costituzione   dovrebbe   ormai  dimostrare  in  modo
inconfutabile  che  le  norme di attuazione di cui al D.Lgs. 373/2003
sembrano  affette  da incostituzionalita' alla luce della riforma del
Titolo  V. In altri termini, l'art. 117 secondo comma rafforza, se ce
ne   fosse  bisogno,  la  necessita'  di  attenersi  ad  una  esegesi
strettamente  letterale dell'art. 23 dello Statuto siciliano. Invero,
nel  silenzio  totale  dello  Statuto  in  materia  di organizzazione
giudiziaria  (oltre  all'art. 23  v.  anche  gli  artt.  14  e 17) si
osserva,  innanzitutto,  che non puo' scattare la clausola di maggior
favore non essendo tale materia attribuita alla competenza regionale,
e, in secondo luogo, che comunque, qualsiasi iniziativa normativa che
dovesse  essere  assunta  in  proposito,  vuoi in sede di commissione
paritetica  vuoi  autonomamente dallo Stato o dalla Regione, dovrebbe
in  ogni  caso  tener conto dell'art. 117, primo comma secondo cui la
Costituzione  (e quindi la competenza esclusiva statale da esercitare
nella  materia  de  qua  con  caratteri di uniformita) costituisce un
limite insuperabile a qualsiasi categoria di normazione regionale sia
essa  primaria  che  concorrente  e  sia  anche  in  sede si norme di
attuazione  che  restano  pur  sempre subordinate alla Costituzione e
quindi anche alle esigenze unitarie canonizzate negli artt.  5 e 120,
secondo comma.
    3. - Pertanto in relazione alle questioni elencate sub A, A1, A2,
puo' essere posta anche la seguente:
A  4  in  subordine  qualora si potesse ritenere ha costituzionalita'
dell'art. 4,  comma  1,  lettera d) e del successivo comma 2, nonche'
dell'art. 6, comma 2 del d.lgs. 373/2003 limitatamente alle parole «e
all'art. 4, comma 1, lettera d)» nonche', in parte qua, dell'art. 15,
commi 1 e 2, limitatamente alla possibile permanenza dei membri laici
della   Sezione  giurisdizionale  e,  derivatamente,  in  parte  qua,
dell'art. 6  del  d.l. n. 354/2003 convertito in legge n. 45/2004, in
relazione alle questioni sollevate ai precedenti punti sub A, A1, A2,
si  ripropongono  le  stesse  questioni in rapporto anche al disposto
dell'art. 117,   secondo   comma,   lettera  l)  della  Costituzione,
dell'art. 14,  primo  comma  dello  Statuto  siciliano,  dell'art. 5,
dell'art. 117,  primo  comma  e  dell'art.   120, secondo comma della
Costituzione.
    Ritenuto   pertanto  che  l'appello  non  possa  essere  definito
prescindendo   dalla   risoluzione   sulle   anzidette  questioni  di
costituzionalita'.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art. 23  della  legge  11 marzo 1953, n. 87 il Collegio,
ritenute   rilevanti  e  non  manifestamente  infondate  le  seguenti
questioni di costituzionalita':
    A)  dell'art. 4,  comma  1,  lettera d) e del successivo comma 2,
nonche'  dell'art. 6,  comma  2,  del d.lgs. 24 dicembre 2003, n. 373
limitatamente  alle  parole  «e  all'art. 4,  comma  1,  lettera  d)»
nonche',  in  parte  qua,  dell'art. 15,  commi  1  e  2  del decreto
legislativo  medesimo,  limitatamente  alla  possibile permanenza dei
membri laici della Sezione giurisdizionale e, derivatamente, in parte
qua, dell'art. 6 del decreto legge 24 dicembre 2003 n. 354 convertito
nella  legge  26  febbraio 2004 n. 45, in rapporto all'art.  23 dello
Statuto  siciliano  ed  all'art. 102,  primo  comma e 108 primo comma
Cost,  in  quanto  l'art. 23  dello Statuto non prevede alcuna deroga
alla  composizione  ordinaria delle sezioni del Consiglio di Stato da
localizzare  in Sicilia, e in rapporto agli articoli 102, primo comma
e  108,  primo  comma  Cost.  in  quanto  il  d.lgs  n. 373/2003 cit.
disciplina  una  materia  riservata  dalla  Costituzione  alla  legge
statale,  per cui eventuali deroghe a favore dell'autonomia regionale
debbono  essere  supportate  da una espressa previsione di pari rango
costituzionale; nonche', in rapporto agli articoli 3, 24 primo comma,
113  primo  comma  Cost.,  in  quanto  introduce  una  ingiustificata
differenziazione dell'organo giudicante e quindi anche dell'esercizio
della giurisdizione su una parte del territorio nazionale;
    A1)   in  subordine  dell'art. 4,  comma  1,  lettera  d)  e  del
successivo  comma 2, nonche' dell'art. 6, comma 2 del d.lgs. 373/2003
limitatamente  alle  parole  «e  all'art. 4,  comma  1,  lettera  d)»
nonche',  in  parte  qua, dell'art. 15 commi 1 e 2 limitatamente alla
possibile  permanenza  dei membri laici della Sezione giurisdizionale
e,  derivatamente,  in  parte  qua,  dell'art. 6  del  d.l.  354/2003
convertito  in  legge n. 45/2004 in rapporto all'art. 23, primo comma
dello Statuto siciliano che non prevede ne' una sezione specializzata
del  giudice  speciale  ne'  una  composizione  collegiale diversa da
quella   ordinaria   e   cio'   anche   in  relazione,  quale  tertia
comparationis,  (e  con  riferimento  all'art. 3  della Costituzione)
all'art. 24,  primo  comma  dello  Statuto  sicilano  concernente  la
composizione  dell'Alta  Corte, nonche' all'art.  23, terzo comma del
medesimo  Statuto,  all'art. 10  del  d.lgs.  6  maggio  1948, n. 655
concernente  la  istituzione  di sezioni della Corte dei conti per la
Regione  siciliana,  all'art. 1  del d.lgs. 18 giugno 1999, n. 200 ed
agli   articoli   90  e  91,  secondo  comma  del  T.U.  delle  leggi
costituzionali di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670;
    A2)  in  subordine  dell'art.   4,  comma  1,  lettera  d)  e del
successivo  comma  2,  nonche'  dell'art.   6,  comma  2  del  d.lgs.
n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4, comma 1, lettera
d)»  nonche',  in  parte  qua,  dell'art. 15, commi 1 e 2 del decreto
legislativo  medesimo,  limitatamente  alla  possibile permanenza dei
membri laici della Sezione giurisdizionale e, derivatamente, in parte
qua,  dell'art. 6 del d.l. n. 354/2003 convertito in legge n. 45/2004
in rapporto allo stesso art. 23, primo comma dello Statuto siciliano,
nonche'  in rapporto all'art. 102 secondo comma e 108 primo e Secondo
comma  della  Costituzione,  non essendo consentito istituire Sezioni
specializzate nell'ambito dei giudici speciali;
    A3)  in  subordine  dell'art.  4,  comma  1,  lettera  d)  e  del
successivo   comma   2,  nonche'  dell'art. 6,  comma  2  del  d.lgs.
n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4, comma 1, lettera
d)»  nonche',  in  parte  qua,  dell'art. 15  commi 1 e 2 del decreto
legislativo  medesimo,  limitatamente  alla  possibile permanenza dei
membri laici della Sezione giurisdizionale e, derivatamente, in parte
qua,  dell'art. 6 del d.l. n. 354/2003 convertito in legge n. 45/2004
in  rapporto  all'art. 23,  primo comma dello Statuto siciliano ed in
rapporto  al  primo  comma  della  VI  disposizione transitoria della
Costituzione   che  esclude  dalla  revisione  la  giurisdizione  del
Consiglio di Stato;
    A4) in subordine qualora si potesse ritenere la costituzionahita'
dell'art.   4,  comma 1, lettera d) e del successivo comma 2, nonche'
dell'art. 6, comma 2 del d.lgs. n. 373/2003 limitatamente alle parole
«e   all'art. 4,   comma  1,  lettera  d)»  nonche',  in  parte  qua,
dell'art. 15  commi 1 e 2 limitatamente alla possibile permanenza dei
membri laici della Sezione giurisdizionale e, derivatamente, in parte
qua, dell'art. 6 del d.l. n. 354/2003 convertito in legge n. 45/2004,
in  relazione alle questioni sollevate ai precedenti punti sub A, A1,
A2, si ripropongono le stesse questioni in rapporto anche al disposto
dell'art. 117,   secondo   comma,   lettera  l)  della  Costituzione,
dell'art. 14,  primo  comma  dello  Statuto  siciliano,  dell'art. 5,
dell'art. 117,  primo  comma  e  dell'art. 120,  secondo  comma della
Costituzione;
    Sospende  ogni  pronuncia  in  rito  e  in  merito  e  dispone la
immediata trasmissione degli atti alla Conte costituzionale.
    Ordina  che  a  cura  della  Segreteria ha presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in giudizio, al Presidente del Consiglio dei
ministri,  nonche'  ai  Presidenti  della  Camera  e del Senato e sia
altresi'  notificata al Presidente della Giunta regionale siciliana e
al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana.
    Cosi'  deciso  in Palermo, nella Camera di Consiglio del 10 marzo
2004.
                        L'estensore: Trovato
04C0634