N. 154 SENTENZA 24 - 26 maggio 2004

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Presidente   della   Repubblica   -   Immunita'   -   Esternazioni  -
  Responsabilita'  civile  -  Sentenze  della  Corte di cassazione di
  annullamento   con  rinvio  di  altrettante  sentenze  della  Corte
  d'appello di Roma Ricorso per conflitto tra poteri - Intervento nel
  giudizio  costituzionale  delle parti attrici nel giudizio civile -
  Ammissibilita'.
- Costituzione,  artt. 24  e 111; convenzione per la salvaguardia dei
  diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 6.
Presidente   della   Repubblica   -   Immunita'   -   Esternazioni  -
  Responsabilita'  civile  -  Sentenze  della  Corte di cassazione di
  annullamento   con  rinvio  di  altrettante  sentenze  della  Corte
  d'appello  di Roma - Ricorso per conflitto tra poteri - Prospettata
  lesione  di attribuzioni costituzionali - Sussistenza del requisito
  oggettivo - Ammissibilita' del ricorso.
- Legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 37, primo comma.
Presidente   della   Repubblica   -   Immunita'   -   Esternazioni  -
  Responsabilita'  civile  -  Sentenze  della  Corte di cassazione di
  annullamento   con  rinvio  di  altrettante  sentenze  della  Corte
  d'appello  di  Roma  -  Ricorso  per conflitto tra poteri - Oggetto
  della  domanda  giudiziale  -  Mancanza  di un esplicito petitum di
  merito  -  Possibilita'  di  ricavarlo  in  modo univoco dagli atti
  processuali relativi al giudizio dinanzi alla Corte di cassazione -
  Ammissibilita' del ricorso.
Ricorso  per  conflitto  tra  poteri  - Presidente della Repubblica -
  Legittimazione  attiva - Spettanza al titolare attuale della carica
  - Estensione al soggetto cessato dalla carica - Limiti.
Presidente   della   Repubblica   -   Immunita'   -   Esternazioni  -
  Responsabilita' civile per dichiarazioni rese nel corso del mandato
  -  Sentenze  della Corte di cassazione che annullano con rinvio due
  sentenze  della  Corte  d'appello  di  Roma  - Ricorso proposto dal
  Presidente    della   Repubblica   nei   confronti   dell'autorita'
  giudiziaria  -  Asserita  eccedenza del potere giudiziario, lesione
  della prerogativa della irresponsabilita' presidenziale - Spettanza
  all'autorita'   giudiziaria  del  potere  di  accertare  la  natura
  funzionale  o  extrafunzionale  dell'atto  compiuto  e di ritenerlo
  coperto o non dalla immunita' garantita costituzionalmente.
- Sentenze  della  Corte di cassazione, sezione III civile, n. 8733 e
  n. 8734 del 27 giugno 2000.
- Costituzione, art. 90.
Presidente   della   Repubblica   -   Immunita'   -   Esternazioni  -
  Responsabilita'  civile  del  Presidente per dichiarazioni rese nel
  corso  del  mandato  -  Sentenze  della  Corte  di  cassazione  che
  annullano  con  rinvio due sentenze della Corte d'appello di Roma -
  Ricorso  proposto  dal  Presidente  della  Repubblica nei confronti
  dell'autorita'  giudiziaria - Censure sulla natura funzionale delle
  esternazioni  -  Sentenze  di  mera  cassazione  della pronuncia di
  merito,  contenente  i  principi  di  diritto cui deve attenersi il
  giudice   del   rinvio   -  Carattere  prematuro  delle  censure  -
  Inammissibilita' del ricorso.
- Sentenze  della  Corte di cassazione, sezione III civile, n. 8733 e
  n. 8734 del 27 giugno 2000.
Presidente   della   Repubblica   -   Immunita'   -   Esternazioni  -
  Responsabilita'  civile  del  Presidente per dichiarazioni rese nel
  corso  del  mandato  -  Sentenze  della  Corte  di  cassazione  che
  annullano  con  rinvio due sentenze della Corte d'appello di Roma -
  Ricorso  proposto  dal  Presidente  della  Repubblica nei confronti
  dell'autorita'  giudiziaria - Censure e affermazioni del ricorrente
  sulla   liceita'   delle   dichiarazioni  per  cui  e'  giudizio  -
  Estraneita'  all'ambito del giudizio costituzionale per conflitto -
  Inammissibilita' del ricorso.
- Sentenze  della  Corte di cassazione, sezione III civile, n. 8733 e
  n. 8734 del 27 giugno 2000.
(GU n.1001 del 3-6-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:  Valerio ONIDA, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero
Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni Maria
FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo
MADDALENA, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito delle sentenze emesse dalla Corte di cassazione, sez.
III civile, n. 8733 e n. 8734 del 27 giugno 2000, di annullamento con
rinvio  di  due  decisioni  dellaCorte  d'appello  di  Roma,  in data
21 aprile  1997  e  16 marzo  1998,  concernenti la irresponsabilita'
dell'allora    Presidente    della   Repubblica   Francesco   Cossiga
relativamente  alle  opinioni espresse nei confronti dei parlamentari
Sergio  Flamigni  e  Pierluigi  Onorato,  promosso  con  ricorso  del
senatore  a  vita  Francesco Cossiga, nella qualita' di ex Presidente
della  Repubblica,  notificato  il  12 dicembre  2002,  depositato in
cancelleria  il  19  successivo  ed  iscritto  al  n. 44 del registro
conflitti 2002.
    Visti  l'atto  di  costituzione della Corte di cassazione e della
III sezione civile della medesima Corte di cassazione, nonche' l'atto
di  costituzione  del  Presidente  della  Repubblica,  e  gli atti di
intervento di Pierluigi Onorato e di Sergio Flamigni;
    Udito nell'udienza pubblica del 23 marzo 2004 il giudice relatore
Valerio Onida;
    Uditi  gli  avvocati Franco Coppi, Giuseppe Morbidelli e Agostino
Gambino  per il senatore a vita Francesco Cossiga, nella sua qualita'
di  ex Presidente della Repubblica, l'avvocato dello Stato Ignazio F.
Caramazza  per  il  Presidente della Repubblica, gli avvocati Massimo
Luciani  e  Federico  Sorrentino  per  Pierluigi Onorato e l'avvocato
Giuseppe Zupo per Sergio Flamigni.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con ricorso depositato l'11 febbraio 2002 il senatore a vita
Francesco   Cossiga,  nella  sua  qualita'  di  ex  Presidente  della
Repubblica,  ha  sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato  nei  confronti  della Corte suprema di cassazione, III sezione
civile, chiedendo l'annullamento delle sentenze n. 8733 e n. 8734 del
27  giugno 2000,  rese nell'ambito di due distinti giudizi civili per
risarcimento  dei  danni intentati nei confronti del senatore Cossiga
stesso,  rispettivamente,  dai  senatori  Sergio Flamigni e Pierluigi
Onorato,  a  causa di dichiarazioni pronunciate nel corso del mandato
presidenziale   che   questi  ultimi  assumono  essere  ingiuriose  e
diffamatorie nei loro riguardi.
    Le   decisioni   della   Corte   di   cassazione  hanno  disposto
l'annullamento  con  rinvio  di due sentenze della Corte d'appello di
Roma  -  rispettivamente  del 21 aprile 1997 e del 16 marzo 1998, che
avevano  a loro volta riformato due pronunce di condanna del senatore
Cossiga,  emesse  dal Tribunale di Roma adito per il risarcimento dei
danni  dai  due  parlamentari  -  affermando  i  seguenti principi di
diritto:
        «a)  Ai  sensi  dell'art. 90, primo comma della Costituzione,
l'immunita'  del  Presidente  della  Repubblica (che attiene sia alla
responsabilita'  penale  che  civile o amministrativa) copre solo gli
atti   compiuti   nell'esercizio  delle  sue  funzioni  (nelle  quali
rientrano,  oltre  quelle  previste  dall'art. 89 della Costituzione,
anche  quelle  di cui all'art. 87 della Costituzione, tra le quali la
stessa   rappresentanza   dell'unita'   nazionale)   e   non   quelli
"extrafunzionali";   ne'   la  continuita'  del  munus  comporta  che
l'immunita'  riguardi  ogni  atto  compiuto  dalla  persona che ha la
titolarita' dell'organo per quanto monocratico.
        b) Tra  le  funzioni del Presidente della Repubblica, coperte
dall'immunita',  puo'  annoverarsi  anche  l'"autodifesa" dell'organo
costituzionale,  ma  solo  allorche'  l'ordinamento non assegni detta
difesa alle funzioni di altri organi ovvero nel caso in cui oggettive
circostanze concrete impongano l'immediatezza dell'autodifesa.
        c) L'autorita'  giudiziaria  ha  il  potere  di  accertare se
l'atto  compiuto  sia funzionale o extrafunzionale, salva la facolta'
per  il  Presidente  della  Repubblica  di  sollevare il conflitto di
attribuzione per menomazione.
        d) Pur  non  essendo il Presidente della Repubblica vincolato
ad  esprimersi  solo  con  messaggi  formali  (controfirmati  a norma
dell'art. 89   della   Costituzione),   il   suo   c.d.   "potere  di
esternazione", che non e' equiparabile alla libera manifestazione del
pensiero  di  cui  all'art. 21 della Costituzione, non integra di per
se'  una  funzione,  per  cui  e'  necessario  che l'esternazione sia
strumentale o accessoria ad una funzione presidenziale, perche' possa
beneficiare dell'immunita'.
        e) Le  ingiurie  o  le  diffamazioni  commesse  nel  corso di
un'esternazione  presidenziale  beneficiano  dell'immunita'  solo  se
commesse  «a  causa»  della  funzione,  e  cioe' come estrinsecazione
modale  della  stessa, non essendo sufficiente la mera contestualita'
cronologica, che da' luogo solo ad atto arbitrario concomitante.
        f) Il    legittimo    esercizio   della   critica   politica,
riconosciuto  ad  ogni cittadino, pur potendo sopportare toni aspri e
di  disapprovazione,  non  puo'  trasmodare  nell'attacco personale e
nella   pura   contumelia,   con   lesione   del   diritto  di  altri
all'integrita' morale».
    Il  ricorrente ripercorre i passaggi centrali delle decisioni, da
quelle  di  primo  grado  -  basate  su  una  lettura «stretta» della
disciplina  dell'immunita' del Presidente della Repubblica ex art. 90
della  Costituzione, ricollegata ai soli atti espressivi di esercizio
delle  funzioni  presidenziali  proprie  -,  a  quelle  di  appello -
viceversa  fondate  su  una concezione ampia della prerogativa, anche
alla stregua delle prassi costituzionali recentemente poste in essere
-,  fino  a  quelle  della Cassazione, che hanno, per la prima volta,
delineato  ambito  e  contenuti  della responsabilita' del Capo dello
Stato.
    Secondo il ricorrente, la Corte di cassazione in tali sentenze si
sarebbe  attenuta  ai  seguenti  criteri:  (a)  una lettura ampia dei
poteri  del  Presidente  della  Repubblica,  titolare  non solo delle
funzioni   elencate   nell'art. 87   della   Costituzione   ma  anche
legittimato  al  compimento  di  atti  o dichiarazioni non tipizzati,
correlati  a  dette funzioni, tra cui le espressioni del c.d. «potere
di  esternazione»,  convalidato  dalla  prassi  costituzionale  e dal
«diritto  vivente»;  (b) per converso, e in contrario avviso rispetto
all'impostazione    dei    giudici   d'appello,   la   sottolineatura
dell'esigenza  di  agganciare  la  irresponsabilita'  penale, civile,
amministrativa alla sussistenza di un nesso funzionale tra l'illecito
commesso  e  i  poteri  propri del Presidente, dovendosi ammettere la
possibilita'  di  «esternazioni»  solo  alla  condizione  della  loro
strumentalita'  rispetto a un compito presidenziale, ratione materiae
dunque, e non ratione personae, diversamente che nella forma di Stato
monarchica;  (c) l'affermazione che l'irresponsabilita' giuridica del
Capo dello  Stato  puo' essere pertanto riconosciuta solo in presenza
di  atti e comportamenti che siano diretto esercizio delle funzioni o
che  trovino  la  loro  causa  in queste, escludendosi in tal modo le
attivita'  «extrafunzionali»;  (d)  il rilievo per il quale spetta al
giudice comune accertare l'esistenza di detto nesso funzionale, salva
la   facolta'  del  Presidente  della  Repubblica  di  promuovere  il
conflitto  di  attribuzioni  di fronte alla Corte costituzionale; (e)
l'osservazione    secondo    cui   le   dichiarazioni   eventualmente
diffamatorie  pronunciate dal Capo dello Stato, se connesse nel senso
detto  alla  funzione,  non hanno a che fare con il diritto di libera
manifestazione  del  pensiero ex art. 21 della Costituzione, al quale
si  riconnette  la  critica politica che e' facolta' comune a tutti i
cittadini,   ma   che   deve  comunque  essere  contenuta  in  limiti
espressivi, comuni anch'essi alla generalita' dei cittadini.
    Cio'  premesso,  il  ricorrente  svolge  in  primo  luogo  alcune
considerazioni  in  punto  di  ammissibilita'  del  ricorso, sotto il
profilo  della legittimazione a ricorrere di chi sia stato Presidente
della Repubblica.
    Posta  l'elasticita'  della  nozione  di  «potere»  ai  fini  del
promovimento  del  conflitto,  che si tradurrebbe nella necessita' di
valutare  caso  per  caso  l'individuazione  del potere confliggente,
nell'ambito  del  pluralismo istituzionale che contrassegna il quadro
costituzionale,  il  ricorrente  ritiene di trarre argomenti in senso
favorevole  dalla  piu' recente giurisprudenza costituzionale resa in
materia di insindacabilita' ex art. 68 della Costituzione a fronte di
ricorsi  proposti da singoli parlamentari, nella quale, pur ribadendo
l'attinenza   della   prerogativa   alla  Camera  e  non  al  singolo
parlamentare,   la   Corte  avrebbe  mostrato  talune  aperture  alla
possibilita' che in concreto si diano ipotesi in cui si configuri una
attribuzione  costituzionale di potere individuale, per la cui tutela
pertanto sia legittimato a ricorrere il singolo (ordinanze n. 177 del
1998  e  n. 101  del  2000).  Cio'  equivarrebbe a dire che l'aspetto
centrale  e'  quello  «oggettivo»  del conflitto, essendo impossibile
predefinire i soggetti che possono entrare in conflitto e che possono
ricevere tutela in sede di giurisdizione costituzionale.
    Alla  stregua di questi rilievi, il fatto che il senatore Cossiga
non  rivesta  piu'  la  carica  di Presidente della Repubblica non ne
escluderebbe  la  legittimazione, tanto piu' considerando che egli e'
stato  citato  in  giudizio durante il mandato e che attualmente, pur
pendendo  i  giudizi  civili, non potrebbe far valere le garanzie che
gli  spettano  qualora  si  adottasse  una  nozione  formalistica  di
«potere».
    In  questa  direzione, assumerebbe rilievo la posizione peculiare
rivestita  da  colui che abbia ricoperto un ufficio pubblico e per il
quale, conseguentemente, la qualita' di «ex» abbia rilievo giuridico,
come  elemento  impeditivo rispetto a ulteriori munera, o all'inverso
come  requisito  o  come  vera  e  propria  condizione per accedere a
ulteriori cariche.
    In  questo  ordine  di  idee,  l'art. 59  della Costituzione, che
stabilisce che e' senatore di diritto a vita chi sia stato Presidente
della  Repubblica,  testimonierebbe  esplicitamente che anche dopo la
scadenza del mandato presidenziale il titolare conserva una posizione
giuridicamente   rilevante  sul  piano  costituzionale,  essendo  tra
l'altro  tenuto  al  segreto  d'ufficio  sui fatti appresi durante il
settennato.
    Si   potrebbe   percio'   desumere  dal  contesto  costituzionale
complessivo  che  l'avere  rivestito  la  carica  di Capo dello Stato
produce  una  sorta  di «effetto di irradiamento» sulla posizione del
soggetto  cessato  dalla  carica,  e  che  non puo' dunque negarsi la
legittimazione  al  ricorso,  tanto  piu' in relazione ad un giudizio
pendente  su  fatti  che riguardavano l'ufficio presidenziale durante
l'esercizio del mandato.
    Quanto  al profilo oggettivo del conflitto, osserva il ricorrente
che  si  e'  in  presenza di un conflitto da menomazione, che avrebbe
origine  da  «eccedenze»  del  potere  giudiziario  e  in particolare
dall'attribuzione   di  responsabilita'  civile  per  condotte,  come
l'esercizio  del potere di esternazione, che sarebbero da ricollegare
alla  funzione  presidenziale  e  che  dunque non ammetterebbero tale
ascrizione  di  responsabilita', secondo la disciplina dell'immunita'
delineata in Costituzione (art. 90).
    Peraltro, «nel nostro ordinamento», sostiene il ricorrente, «deve
essere la Corte costituzionale, e nessun altro organo, a risolvere le
controversie  che  possono  insorgere tra gli organi giudiziari e gli
organi  titolari  delle  immunita»,  sicche'  farebbe «molto dubitare
l'asserita compatibilita' costituzionale di una verifica effettiva di
cio' che sia esercizio delle funzioni presidenziali e di cio' che non
lo sia, lasciata alla giurisdizione ordinaria».
    In   ordine   ai  confini  della  responsabilita'  giuridica  del
Presidente   della   Repubblica   vi  sarebbe  inoltre  una  notevole
incertezza  interpretativa,  avendo questa materia ricevuto nel testo
costituzionale una disciplina particolarmente «ambigua».
    Muovendo  dalle  origini  storiche  dell'istituto,  nel passaggio
dall'inviolabilita'   personale   del   Re   propria  dell'esperienza
monarchica  -  espressione  della  sacralita'  del  titolare  e della
necessita'  che  un  soggetto  responsabile  affiancasse  l'agire del
sovrano,  imputandosene  la  responsabilita',  donde  l'origine della
controfirma  del ministro per l'atto del sovrano - al principio della
irresponsabilita'   non  piu'  personificata  ma  «oggettivata  nella
funzione»,  il ricorrente sottolinea come nel disegno costituzionale,
una  volta  effettuata la scelta per la forma repubblicana, la figura
del  Presidente  della  Repubblica  presenti tuttavia una persistente
difficolta'  di  ricostruzione  unitaria  e  generalmente  accettata,
coesistendo in essa aspetti di un organo «governante» e aspetti di un
organo  «garante»:  per i primi rileva la astrattezza di una tesi che
configuri un organo totalmente super partes, data la valenza politica
della  carica,  per  i secondi rileva una ulteriore sottodistinzione,
tra chi riconosce in capo al Presidente della Repubblica un ambito di
indirizzo  politico-costituzionale  rivolto  a  dare  attuazione  - e
appunto  a  garantire  - principi e fini costituzionali, per tutelare
gli  aspetti fondamentali e permanenti della comunita' statale, e chi
accentua invece la funzione di stretta garanzia; non senza registrare
ulteriori  disparita' di accenti e di vedute circa l'essenza di detta
funzione garante.
    Da  cio'  l'eterogeneita'  di  letture  sul  connesso  tema della
responsabilita',   accentuandosi  l'esigenza  della  piena  e  totale
irresponsabilita'   nell'ottica   della   funzione   «governante»   e
restringendosi  invece  tale  prerogativa  nell'ambito del profilo di
garanzia,  con  una gamma di ricostruzioni che vanno dalla tesi della
totale  immunita',  di  diritto  sostanziale e processuale, durante e
dopo  il  mandato, alla tesi della responsabilita' piena e secondo il
diritto comune per tutte le attivita' del Capo dello Stato che non si
possano  ricondurre  alla funzione assegnata ed esercitata secondo la
Costituzione.
    E'  in  questo  composito  e  non  stabilizzato  quadro  teorico,
prosegue  il  ricorrente,  che  la Corte costituzionale e' chiamata a
valutare  se  delle dichiarazioni per le quali il senatore Cossiga e'
stato  citato  in giudizio egli debba rispondere. Questa verifica, si
precisa, era stata gia' effettuata dalla Corte d'appello di Roma, che
aveva  vagliato  la  portata  «offensiva»  delle  dichiarazioni,  per
pervenire  a  escludere  ogni  responsabilita'  in  base  a una - dal
ricorrente  condivisa  e  fatta  propria  - ricostruzione del ruolo e
delle  funzioni  del  Presidente  della Repubblica quale si e' venuta
delineando  nella  forma di governo e nella prassi costituzionale. Un
risultato,  questo,  che  tra  l'altro  impedisce il paradosso di una
garanzia  del  Capo dello  Stato  di  livello  inferiore a quella dei
parlamentari,  e  che  tutela  le  comunicazioni  del  Presidente con
l'immunita',  quale  aspetto  della  assoluta indipendenza di esso di
fronte   a   qualsiasi  altro  organo  o  potere,  superando  l'idea,
inattuale,  di  un  Presidente avulso dalla formazione dell'indirizzo
politico-costituzionale.
    Quanto   al   potere   di  «esternazione»  del  Presidente  della
Repubblica,  esso  dovrebbe  oramai  ritenersi riconosciuto in via di
principio,   quale   facolta'  di  svolgere  e  chiarire  le  proprie
valutazioni e i propri orientamenti se reputati indispensabili per lo
svolgimento  delle funzioni attribuite dalla Costituzione, tra cui in
primo  luogo  l'indirizzo,  autonomo, volto a garantire il rispetto e
l'attuazione  dei principi costituzionali che appartengono all'intera
comunita'.
    Cio'  discenderebbe  dalla  nuova  e  differente collocazione del
Capo dello   Stato,   che  finisce  per  trovarsi  in  un  ambito  di
«frontiera»  rispetto  agli  altri  organi  definiti  politici, e che
risentirebbe del mutare degli assetti che si danno nelle altre «zone»
dell'ordinamento   costituzionale,   cosi'   che   la  caratteristica
monocratica   della  carica  ha  finito  per  differenziare  ruolo  e
caratteristiche  dell'organo,  in  una  logica di «personalizzazione»
intrinseca a questa figura.
    Caratteristica  evidente  della  presidenza  del senatore Cossiga
sarebbe  stata  appunto  la prassi delle «esternazioni», attraverso i
media  e  in  vista  di una comunicazione diretta e non mediata con i
cittadini e la pubblica opinione.
    Questo  potere, prosegue il ricorrente, e' oggetto di discussione
teorica,  e  la sua configurazione e' in continua evoluzione, di pari
passo  con  lo sviluppo pluralistico della societa' e con l'aumentata
importanza  della  comunicazione  politica,  in  un  circuito volto a
ricercare  l'adesione  della  pubblica  opinione  intorno  a  temi di
rilevanza  costituzionale;  e  cio',  si conclude sul punto, non puo'
certo   essere   oggetto   di   sindacato   da  parte  dell'autorita'
giudiziaria.
    Sotto   altro  aspetto,  poi,  il  ricorrente  osserva  come  sia
estremamente difficile una rigorosa distinzione tra le manifestazioni
del  pensiero  uti  singulus  e  le  enunciazioni  riconducibili alla
funzione,  in particolare quando, nel circuito comunicativo che si e'
sopra  detto,  le esternazioni si sottraggono alla dimensione formale
dello scritto: anche questo aspetto, prosegue il ricorrente, e' stato
affrontato  dalla  Corte  d'appello  di  Roma,  che  ha  concluso per
l'irresponsabilita'  di  esse,  in  quanto  comunque  riferibili alla
realizzazione  dell'indirizzo  politico-costituzionale,  ai poteri di
stimolo   e   di   persuasione,  alle  forme  di  «autotutela»  della
istituzione   presidenziale,  prescindendosi  dunque  del  tutto  dal
formalistico  collegamento  -  istituito  invece dai giudici di primo
grado - tra irresponsabilita' e controfirma ministeriale.
    Questa  conclusione,  afferma  il  ricorrente,  deve  ora  essere
ribadita, per «superare l'anacronistica concezione dei poteri e delle
prerogative  presidenziali  dei  Costituenti,  costantemente smentita
nella prassi recente e non piu' compatibile con la logica del sistema
costituzionale»:  deve  affermarsi che sono coperte dall'immunita' le
esternazioni  non  direttamente  ascrivibili  a  una  delle  funzioni
tipizzate   del   Capo dello   Stato,  ma  comunque  riferibili  alla
dimensione   politico-rappresentativa   che   a   questa   carica  e'
connaturata.
    Alla stregua di tali premesse, le dichiarazioni rese dal senatore
Cossiga  nei confronti dei senatori Flamigni e Onorato non potrebbero
essere  qualificate come atti privati, trattandosi della reazione del
titolare  della  piu' elevata carica della Repubblica agli attacchi a
essa  rivolti  suo  tramite;  ne'  - prosegue il ricorrente - avrebbe
serio  fondamento  il  tentativo di sostenere la non riconducibilita'
delle  reazioni  del  Presidente della Repubblica all'esercizio delle
funzioni,  essendo  una  mera  «finzione»  la  distinzione  tra sfera
privata  e  sfera  pubblica nelle comunicazioni di valore e contenuto
politico  da  parte  di  un  organo  monocratico,  il cui titolare e'
investito   del  munus  in  modo  permanente,  non  a  date  e  orari
prestabiliti.
    Nella  specie,  talune  delle frasi pronunciate nei confronti del
senatore  Onorato  costituirebbero  la  reazione  -  «franca  e senza
ipocrisie»,  ma  non  gratuitamente  denigratoria  -  nei riguardi di
posizioni  espresse  dal  medesimo  su  temi di straordinario rilievo
istituzionale,  come  la  collocazione  dell'Italia  nel  sistema  di
alleanze  internazionali  in occasione della guerra del Golfo, e come
la  vicenda  «Gladio»,  in  relazione alla quale il parlamentare, con
altri, aveva sollecitato una messa in stato di accusa del Presidente,
cio'  che  comportava  un  attacco evidente alla massima carica dello
Stato,  finalizzato  a  screditarne  il titolare; altre frasi rivolte
sempre al senatore Onorato - quali quelle circa la «faziosita», cioe'
l'essere  di  parte,  o  quelle  circa  il  senso dello Stato e della
Patria, oltretutto reciproche - dovrebbero reputarsi perfino prive di
contenuto  offensivo;  mentre  le  frasi pronunciate nei riguardi del
senatore  Flamigni  costituirebbero reazione alle posizioni da costui
espresse,  sia  in  sede di commissione parlamentare di inchiesta sul
caso  Moro  sia  in  un  libro,  relativamente a vicende anch'esse di
indubbia   rilevanza   politico-costituzionale,   come   il  presunto
coinvolgimento del senatore Cossiga, allora Ministro dell'interno, in
trame  legate,  nell'ambito della vicenda Moro, alla loggia massonica
P2 e ai servizi segreti deviati.
    Il  ricorrente  rileva quindi la riconducibilita' di tutte queste
«esternazioni»  all'immunita'  ex  art. 90  della Costituzione, anche
alla  luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale
nel   contiguo  settore  dell'insindacabilita'  dei  parlamentari  ex
art. 68   della   Costituzione,  attraverso  il  criterio  del  nesso
funzionale tra opinioni e attivita' parlamentare tipica.
    Infine, il ricorrente affronta l'aspetto del regime dei c.d. atti
«extrafunzionali»  del  Presidente della Repubblica, disciplinando la
Costituzione  solo  quelli  «funzionali», cioe' compiuti, come recita
l'art. 90  della  Costituzione,  «nell'esercizio delle sue funzioni»:
richiamati   i   lavori  sul  punto  dell'Assemblea  costituente,  si
sottolinea  come  alla  fine  prevalse,  per ragioni di opportunita',
l'idea  di non disporre espressamente alcunche' sulla responsabilita'
del Capo dello Stato per illeciti comuni.
    Al  riguardo  -  sottolinea  il ricorrente - anche le opinioni di
dottrina  maggiormente  propense,  per non trasformare la garanzia in
privilegio,  a  delimitare un'area «stretta» di irresponsabilita' del
Presidente   della   Repubblica,   devono   pur   sempre  riconoscere
l'esistenza di aspetti particolari, specie nel settore delle opinioni
o  «esternazioni»,  aspetti  che  male  si  prestano  a  una generica
riconduzione  alla  responsabilita'  comune  tout  court;  di  qui la
ricostruzione,  proposta  da una dottrina ampiamente citata nell'atto
introduttivo  e  fatta  propria  dal  ricorrente, che, partendo dalla
identificazione  tra  carica monocratica e soggetto ad essa preposto,
afferma   che   l'integrita'   della   persona   vale,   data  questa
identificazione, anche a tutela dell'istituzione. In questo senso, la
lacuna  costituzionale  nella  disciplina  dell'irresponsabilita' del
Presidente  della  Repubblica  viene  colmata  con l'affermazione che
l'immunita'  presidenziale  preserva da ogni procedimento giudiziario
che  possa  limitare la liberta' d'azione del titolare o che lo ponga
in  condizione  di  soggezione o subalternita' di fronte ad un potere
diverso;  e la residua responsabilita' comune, certo sussistente, non
potra'  essere  fatta  valere durante l'esercizio del mandato: in una
logica  secondo  cui  e'  rovesciata la tesi che le immunita' debbano
configurarsi  come eccezioni al diritto comune, essendo esse - sempre
nella  ricostruzione proposta - un postulato coessenziale agli organi
supremi costituzionali.
    Il  ricorrente  conclude  «affinche'  codesta ecc.ma Corte voglia
dichiarare ammissibile» il ricorso.
    2.  -  Con  memoria  depositata  nell'imminenza della delibazione
sull'ammissibilita'   del   conflitto   il  ricorrente  ha  insistito
«affinche'  questa  Corte,  previa declaratoria di ammissibilita» del
ricorso, «annulli le sentenze» della Corte di cassazione.
    A   conforto   dell'ammissibilita'  del  ricorso,  il  ricorrente
sostiene  che  si  verta  in  una  situazione  di  «ultrattivita' del
potere»,  analoga  a  quella che questa Corte ebbe a risolvere con la
sentenza  n. 7  del  1996, concernente il conflitto sollevato dall'ex
Ministro della giustizia.
    Nel  caso  di  specie, il senatore Cossiga, convenuto in giudizio
«in  prossimita' dello spirare del mandato settennale», «non e' stato
neppure  destinatario, in pendenza della funzione, di un atto o di un
provvedimento  proveniente  da  altro  Potere  dello  Stato», tale da
consentirgli di sollevare contro di esso conflitto di attribuzione.
    Negare successivamente tale facolta' significherebbe, prosegue il
ricorrente, «privare il soggetto titolare della funzione di qualsiasi
tutela»,   legando  quest'ultima  ad  un  evento  indipendente  dalla
volonta' del titolare del potere, quale la durata del processo.
    Il  ricorrente  aggiunge  che  solo a seguito delle sentenze rese
dalla   Corte  di  cassazione  il  conflitto  avrebbe  potuto  essere
sollevato,  poiche'  si  tratta  dell'organo  che  esprime  «l'ultima
parola»  del potere giudiziario, e perche', in ogni caso, la sentenza
di  primo  grado  e'  intervenuta  successivamente  allo  spirare del
mandato presidenziale.
    3.  -  Con  ordinanza  n. 455 del 2002 questa Corte ha dichiarato
l'ammissibilita'  del  conflitto  ai  sensi  dell'art. 37 della legge
11 marzo  1953,  n. 87, disponendo l'integrazione del contraddittorio
anche   nei  confronti  del  Presidente  della  Repubblica,  «la  cui
posizione  costituzionale,  in  relazione alle questioni di principio
circa  l'immunita'  di cui all'art. 90 della Costituzione, e' oggetto
delle  due  decisioni  della  Corte  di  cassazione e del ricorso per
conflitto» proposto nei confronti di esse.
    Il  ricorso  e  l'ordinanza  sono stati notificati nei termini ai
contraddittori cosi' individuati.
    4. - Si e' costituito in giudizio il Presidente della Repubblica,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
riservando «al prosieguo la formulazione delle proprie conclusioni».
    Osserva   il   Presidente   della   Repubblica  di  essere  stato
destinatario   della   notifica   dell'ordinanza   di   questa  Corte
dichiarativa   dell'ammissibilita'   del   conflitto,  non  tanto  in
relazione  «al profilo contingente (...) collegato ad eventi puntuali
e   ad   altrettanto   puntuali   interessi,   sia   pur  di  rilievo
costituzionale,   contrapposti»,  quanto  in  relazione  al  «profilo
immanente di una "actio finium regundorum" fra potere presidenziale e
potere giudiziario».
    Per  tale  ragione, «ogni argomentazione e conclusione non potra'
quindi  prescindere  dalla  posizione  che  assumera'  in giudizio il
potere   giudiziario  nella  sua  epifania  della  Suprema  Corte  di
cassazione».
    5.  -  Con  atto  denominato  «di intervento» si e' costituita in
giudizio  la Corte di cassazione, in persona del Primo Presidente pro
tempore, e, «per quanto possa occorrere», la Sezione III civile della
Corte   di   cassazione,  in  persona  del  Presidente  pro  tempore,
rappresentate   e   difese   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
concludendo per il rigetto del ricorso.
    L'Avvocatura  ritiene  sufficiente ripercorrere l'iter logico cui
si  sono  attenute  le  due  sentenze della Suprema Corte oggetto del
conflitto.
    La  Cassazione  sarebbe  partita  dalla  premessa secondo cui, ai
sensi dell'art. 90 della Costituzione, il Presidente della Repubblica
gode  di  immunita' «penale, civile o amministrativa» per i soli atti
compiuti nell'esercizio delle funzioni.
    Tra questi non si potrebbero ricomprendere i soli «atti ufficiali
controfirmati»,   ma   le   stesse   manifestazioni   del  potere  di
esternazione,  purche'  strumentale  ed  accessorio  ad  una funzione
presidenziale.
    Esso  costituirebbe,  infatti,  non una funzione, bensi' «solo un
mezzo,  cioe'  uno  dei  possibili  strumenti  con  cui il Presidente
provvede all'esercizio di alcune funzioni presidenziali».
    Altro  sarebbe,  invece,  la  manifestazione  del  pensiero della
persona fisica che ricopre la carica.
    Tra  le  funzioni  presidenziali,  cui  si  connette il potere di
esternazione,    la    Suprema   Corte   avrebbe   annoverato   anche
«l'autodifesa»   delle   prerogative   e  del  prestigio  dell'organo
costituzionale, a fronte di lesioni arrecatevi da terzi.
    Tuttavia, il compito di tutelare sotto tale profilo il Presidente
sarebbe  in via ordinaria assegnato dall'ordinamento ad altri «organi
istituzionali»  (articoli 278  e  313 del codice penale; art. 343 del
codice  di  procedura  penale),  salva l'ipotesi residuale «in cui le
oggettive circostanze concrete impongano al Presidente l'immediatezza
nel respingere gli attacchi offensivi».
    Spetterebbe  all'autorita'  giudiziaria valutare se, in concreto,
si  versi  nella  sfera  di  immunita'  cosi' delineata; salvo che il
Presidente  della Repubblica non si esprima sul punto egli stesso con
«un  atto  valutativo presidenziale», impugnabile solo tramite la via
del conflitto di attribuzione.
    Nel  caso  di  specie, in mancanza di cio' (posto che a tale atto
non  sarebbe  equiparabile  l'eccezione  proposta nel giudizio civile
tramite  memoria  di  difesa), toccherebbe al Presidente sollevare il
conflitto, avverso la pronuncia dell'autorita' giudiziaria, mentre e'
compito  del  giudice  di  merito,  innanzi a cui le cause sono state
rinviate,  stabilire  se  ricorra  oppure no l'esimente del legittimo
esercizio della critica politica.
    Sulla  circostanza  secondo  cui l'odierno conflitto non e' stato
sollevato  avverso  le sentenze del Tribunale di Roma che affermarono
in  primo  grado  la responsabilita' del senatore Cossiga, nonche' su
«ogni   altro   punto  riguardante  l'ammissibilita'  definitiva  del
ricorso», l'Avvocatura «si rimette al giudizio» di questa Corte.
    6.  - E' intervenuto in giudizio Pierluigi Onorato, attore in uno
dei giudizi che hanno originato il conflitto.
    L'interveniente  ritiene di essere legittimato all'intervento, in
quanto   «titolare  di  un  interesse  giuridicamente  qualificato  e
differenziato, che puo' essere compromesso (o soddisfatto) dall'esito
della   controversia»,   e  chiede  che  il  ricorso  sia  dichiarato
inammissibile e in subordine infondato.
    7.  -  In  prossimita'  dell'udienza  il ricorrente ha depositato
ampia  memoria  illustrativa  con  la  quale,  dopo aver ripercorso i
passaggi  della vicenda ed i temi implicati nel conflitto, chiede che
siano annullate «le sentenze della Suprema Corte di cassazione per la
non  spettanza all'autorita' giudiziaria del potere di individuare il
contenuto  delle  immunita'  presidenziali  di  cui all'art. 90 della
Costituzione,   nonche'   di  giudicare  se  gli  atti  compiuti  dal
Presidente    della    Repubblica   abbiano   natura   funzionale   o
extrafunzionale»,  previa  definitiva pronuncia di ammissibilita' del
ricorso.
    Il   ricorrente   ribadisce,  in  ordine  all'ammissibilita'  del
conflitto,  l'analogia  fra  il presente conflitto e quelli sollevati
dal Ministro della giustizia nel caso deciso con la sentenza n. 7 del
1996,  osservando  che  le  citazioni  -  riguardanti il contenuto di
esternazioni  pronunciate durante il mandato presidenziale e ritenute
offensive  -  proposte  dagli  attori  nei  suoi confronti davanti al
Tribunale  di  Roma  gli  erano  state  notificate durante il mandato
presidenziale ed in prossimita' della scadenza di esso, ma che nessun
provvedimento  menomativo  della  propria  sfera  di attribuzioni era
stato  adottato  dall'autorita'  giudiziaria in pendenza del mandato,
sicche'  non vi erano stati ne' l'interesse da parte del Presidente a
sollevare  conflitti  di  attribuzione,  cioe' a difendere le proprie
prerogative  costituzionali,  ne', a maggior ragione, la necessita' e
la materiale possibilita' di farlo.
    Se dunque non si consentisse oggi ad esso ricorrente di sollevare
conflitto nei confronti dell'autorita' giudiziaria di ultima istanza,
si priverebbe il soggetto, scaduto dalla carica, della benche' minima
tutela,  perche' la possibilita' di sollevare o meno il conflitto per
fatti  inerenti  alla  carica  non sarebbe piu' collegata alla libera
scelta  del titolare del potere, ma ad un mero criterio di decorrenza
temporale.
    Quanto   al   merito,  il  ricorrente  ribadisce  e  sviluppa  le
argomentazioni   gia'   svolte   nel   ricorso  introduttivo,  ed  in
particolare  si  sofferma sulla necessita' di negare ogni distinzione
tra   le   manifestazioni  di  pensiero  compiute  uti  singulus  dal
Presidente   e  le  enunciazioni  riconducibili  all'esercizio  della
carica.
    Il   titolare  di  un  organo  monocratico  di  vertice  come  il
Presidente,  si  osserva  in  proposito,  non  avrebbe una dimensione
politica   privata   -   la  sfera  delle  esternazioni  informali  -
contrapposta  ad  una dimensione pubblica, ma una sfera assolutamente
privata  - nella quale rientrerebbero, ad esempio, l'intervista ad un
giornale  sulle proprie preferenze calcistiche o le dichiarazioni sui
propri  gusti  letterari  in occasione della consegna di un premio -,
nella  quale  egli  e'  pienamente  responsabile, contrapposta ad una
sfera  pubblica nella quale esercita le sue funzioni, che sono quelle
previste,  esplicitamente  o  implicitamente, dalla Costituzione: «le
esternazioni, di conseguenza, o riguardano le funzioni tipiche oppure
no»,  essendo  inserite in un circuito politico-culturale e collegate
al  ruolo svolto dal Presidente quale organo «moderatore» del sistema
politico,   di   «stimolo»,   di   «persuasione»,   di  «monito»,  di
«influenza»,    di    «garante»   dei   valori   costituzionali,   di
«rappresentante» dell'unita' nazionale.
    Quanto  al  tema  del  regime  dei  c.d. atti extrafunzionali del
Presidente  della  Repubblica, nella disciplina della responsabilita'
per  fatti  estranei  all'esercizio  di  funzioni  si rivelerebbe una
lacuna   che   lascia  esposto  il  Presidente  alle  conseguenze  di
iniziative arbitrarie o destabilizzanti.
    Non  sarebbe  pertanto  ammissibile  che  l'autorita' giudiziaria
possa  sostituirsi al Presidente nel valutare la congruita' dei mezzi
per  soddisfare gli interessi istituzionali affidati alla sua tutela,
non  prestandosi  tale  valutazione - per l'indiscutibile politicita'
che  comporta  -  ad  essere  svolta  da  organi la cui azione non e'
discrezionale  ma  vincolata,  e  che, comunque, non sono titolati ad
affrontare  e  decidere  questioni  di tono costituzionale, in quanto
cio'  determinerebbe  una  lesione  del principio della divisione dei
poteri.
    8. - Ha depositato memoria il Presidente della Repubblica, che si
e'  rimesso  «integralmente  al  giudizio di questa Corte» sia per la
questione  pregiudiziale  di  ammissibilita'  del conflitto, sia, «in
caso  di  soluzione  positiva  della  stessa, per quanto attiene alla
perimetrazione   dei   confini   funzionali   della   responsabilita'
presidenziale».
    La difesa del Presidente, richiamando la sentenza di questa Corte
n. 116  del  2003,  osserva  che  «i conflitti fra poteri dello Stato
vedono   assai   spesso   il   profilo   giuridico  indissolubilmente
intrecciato  con quello politico e talvolta accade addirittura che in
essi  la  dimensione  giuridica della controversia finisca per essere
assorbita  da  quella  politica»;  e rileva che «in conflitti di tale
natura  oltretutto  possono emergere risvolti personali indotti dalla
natura  monocratica  dell'organo  che impersona il potere chiamato in
causa».
    Sulla   base   di   tali   premesse,  conclude  essere  «pertanto
intendimento  del  Potere  evocato in giudizio astenersi dal prendere
posizione sulle questioni pregiudiziali di ammissibilita' del ricorso
e  limitare  la  propria  presa  di  posizione  alla condivisione del
principio   del  necessario  collegamento  fra  irresponsabilita'  ed
esercizio  della  funzione.  Principio  non  revocato  in  dubbio dal
ricorrente.».
    9.  -  Ha  altresi' depositato memoria il sen. Pierluigi Onorato,
insistendo nelle conclusioni rassegnate nell'atto di intervento.
    L'interveniente  anzitutto  illustra  i  motivi  a sostegno della
ammissibilita'   dell'intervento   di   un   terzo   dalla  posizione
qualificata  nel  giudizio  per conflitto di attribuzione fra poteri,
valorizzando, tra l'altro, il caso, relativo ad un conflitto tra enti
(sentenza  n. 76  del  2001),  nel  quale  tale  intervento e' stato,
appunto,   ritenuto   ammissibile.   Confuta  quindi  la  tesi  della
tardivita' dell'intervento nella fattispecie, dovendo necessariamente
decorrere  il  termine  per lo stesso dalla pubblicazione del ricorso
nella Gazzetta Ufficiale.
    Dopo  aver  ricordato  i  fatti all'origine del giudizio promosso
davanti   al   giudice   civile,   eccepisce  l'inammissibilita'  del
conflitto,  tanto  sotto  il  profilo oggettivo - segnatamente per la
mancanza di un petitum e dell'indicazione delle attribuzioni lese nel
ricorso  -,  che  sotto  quello  soggettivo,  per piu' ragioni, ed in
particolare  in  quanto  le  prerogative di una carica non potrebbero
nella  presente  sede  essere tutelate che ad iniziativa dell'attuale
titolare di essa.
    Nel merito, ad avviso dell'interveniente, piena adesione meritano
i  principi  affermati  dalle sentenze della Corte di cassazione, che
disegnerebbero   una   nozione  dell'irresponsabilita'  presidenziale
tutt'altro  che  restrittiva,  la quale valorizza al massimo il ruolo
presidenziale di rappresentante dell'unita' nazionale.
    10. - In prossimita' dell'udienza pubblica ha depositato «atto di
intervento  in  giudizio»  il sen. Sergio Flamigni, attore nell'altro
giudizio  civile  all'origine  del  conflitto, il quale, assumendo di
averne tardivamente avuto notizia informale, chiede, in ragione della
propria  posizione  nel  detto  giudizio,  che rischierebbe di essere
compromessa  o  soddisfatta all'esito del giudizio in corso davanti a
questa Corte, di essere ammesso a parteciparvi, concludendo affinche'
il ricorso sia dichiarato inammissibile e in subordine infondato.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello
Stato  e'  proposto  dal  sen.  Francesco  Cossiga  in qualita' di ex
Presidente  della  Repubblica  (il  suo  mandato,  esplicatosi  negli
anni 1985-1992,  e'  terminato  il  28 aprile  1992)  contro la Corte
suprema  di  cassazione,  III  sezione  civile,  in  relazione  a due
sentenze  da  questa pronunciate il 27 giugno 2000, n. 8733 (in causa
Flamigni contro Cossiga) e n. 8734 (in causa Onorato contro Cossiga).
    Le  due  sentenze,  largamente  analoghe  nella motivazione, sono
state  rese  in  due  giudizi civili instaurati, rispettivamente, dal
sen.  Sergio  Flamigni e dal sen. Pierluigi Onorato nei confronti del
sen.  Cossiga,  per  ottenere  il  risarcimento  del danno morale che
sarebbe  derivato  agli  attori da alcune dichiarazioni asseritamente
diffamatorie o ingiuriose rese dal medesimo sen. Cossiga, allorquando
ricopriva   la  carica  di  Presidente  della  Repubblica.  Esse,  in
accoglimento dei ricorsi principali degli attori, nonche' dei ricorsi
incidentali  del  convenuto,  annullano con rinvio due sentenze della
Corte  d'appello  di Roma (rese rispettivamente il 16 marzo 1998 e il
21 aprile  1997),  le  quali, riformando le pronunce del Tribunale di
Roma,  di  condanna  del  convenuto  sen. Cossiga, avevano dichiarato
improponibili le domande giudiziali dei sen. Flamigni e Onorato.
    Nei due giudizi, instaurati quando ancora era in corso il mandato
presidenziale  del  sen.  Cossiga, ma che erano proseguiti, giungendo
alle  decisioni  del  Tribunale, dopo la scadenza di tale mandato, il
convenuto  sen.  Cossiga - costituendosi, nel primo caso, prima della
scadenza  del  mandato presidenziale (con atto del 14 febbraio 1992),
nel  secondo  caso,  nello stesso giorno della sua scadenza (con atto
del   28 aprile   1992)   -   aveva   eccepito,  preliminarmente,  la
improponibilita'   o   la  inammissibilita'  delle  domande  in  base
all'art. 90  della  Costituzione, sostenendo che le dichiarazioni per
cui  era giudizio fossero coperte dalla immunita' ivi sancita per gli
atti  del  Presidente  della Repubblica compiuti nell'esercizio delle
sue  funzioni:  tesi  respinta  dai giudici di primo grado, e accolta
invece in appello.
    La Corte di cassazione, nel rinviare le cause ai nuovi giudici di
merito, ha stabilito i punti di diritto (identici nelle due pronunce)
che  si  sono integralmente riportati nell'esposizione in fatto della
presente sentenza. Essi, in sintesi, si sostanziano nell'affermazione
che  l'immunita' di cui all'art. 90 della Costituzione copre solo gli
atti «funzionali» del Presidente della Repubblica, comprendendosi fra
questi    quelli    compiuti   nell'esercizio   della   funzione   di
rappresentanza   dell'unita'   nazionale  di  cui  all'art. 87  della
Costituzione,   nonche'   gli   atti   di   «autodifesa»  dell'organo
costituzionale  quando  l'ordinamento  non  assegni detta difesa alle
funzioni  di  altri  organi  ovvero  nel  caso  in cui in concreto si
imponga    l'immediatezza    dell'autodifesa    medesima;    che   le
«esternazioni»  del  Presidente  della Repubblica, non equiparabili a
libere   manifestazioni  di  pensiero  ai  sensi  dell'art. 21  della
Costituzione, sono coperte da immunita' solo quando siano strumentali
o  accessorie  ad  una  funzione  presidenziale; che le ingiurie o le
diffamazioni  commesse  nel  corso  di una esternazione presidenziale
sono  coperte  da  immunita'  solo  se commesse come «estrinsecazione
modale»  della  funzione; che l'autorita' giudiziaria ha il potere di
accertare  se l'atto compiuto sia funzionale o extrafunzionale, salva
la  facolta' per il Presidente di sollevare conflitto di attribuzioni
per  «menomazione»; che, infine, il legittimo esercizio della critica
politica, riconosciuto ad ogni cittadino, pur potendo sopportare toni
aspri   e   di  disapprovazione,  non  puo'  trasmodare  nell'attacco
personale  e  nella  pura contumelia, con lesione dell'altrui diritto
all'integrita' morale.
    Il  ricorrente,  nell'articolare  diffusamente le proprie censure
nei  confronti  delle pronunce del giudice di legittimita', prospetta
sostanzialmente  due  tesi  principali  ed  una  subordinata.  In via
principale   egli   sostiene,   in  primo  luogo,  che  non  potrebbe
riconoscersi   all'autorita'   giudiziaria,   ma   solo   alla  Corte
costituzionale,  il  potere  di  tracciare  la  distinzione  fra atti
coperti  e atti non coperti dalla prerogativa di irresponsabilita' di
cui  all'art. 90  della Costituzione. Si dovrebbe pertanto affermare,
secondo   la   testuale   conclusione  formulata  nella  memoria  del
ricorrente, «la non spettanza all'autorita' giudiziaria del potere di
individuare   il  contenuto  delle  immunita'  presidenziali  di  cui
all'art. 90  Costituzione,  nonche' di giudicare se gli atti compiuti
dal   Presidente   della   Repubblica  abbiano  natura  funzionale  o
extrafunzionale».  In  secondo  luogo,  e sul terreno sostanziale, la
tesi  del  ricorrente e' che non si potrebbe fare alcuna distinzione,
nell'ambito   delle   esternazioni   non   appartenenti  alla  «sfera
assolutamente  privata» del Presidente ma in qualche modo «riferibili
o   genericamente   connesse   alla   carica   rappresentativa»,  fra
manifestazioni  di  pensiero  compiute  uti  singulus ed enunciazioni
riconducibili  all'esercizio della carica; o, sotto un altro profilo,
che la garanzia di assoluta indipendenza del Presidente nei confronti
di  qualsiasi atto proveniente da altro organo o potere richiederebbe
che l'immunita' si estenda «anche alla persona del titolare, e quindi
alla sfera della sua responsabilita' extra-funzioni».
    In  via non formalmente, ma logicamente subordinata rispetto alle
tesi  ora  esposte,  il  ricorrente  argomenta circa la necessita' di
riconoscere che le dichiarazioni alle quali si riferiscono le domande
giudiziali  del  sen.  Flamigni  e del sen. Onorato sono da ritenersi
ricomprese  nella  sfera  della  irresponsabilita'  presidenziale, in
quanto  espressione  di  legittima  reazione  di natura politica e di
autodifesa  da  attacchi  portati  alla istituzione presidenziale, in
relazione a posizioni espresse dagli attori con riguardo a vicende di
straordinaria  valenza  istituzionale (rapimento e uccisione dell'on.
Moro,  posizione italiana nella «guerra del Golfo», vicenda «Gladio»,
richieste   di   messa   in   stato  d'accusa  del  Presidente  della
Repubblica),  e  in  quanto  dunque  strumentali  al ruolo «pubblico,
politico  ed  istituzionale»  del  Presidente  e di «indubbia valenza
politica».  Inoltre  il  ricorrente,  con riguardo al giudizio che lo
vede  opposto  al  sen.  Onorato,  nega il «carattere denigratorio ed
offensivo»   delle   dichiarazioni  addebitategli  e  nega  che  esse
superassero i limiti del legittimo diritto di critica politica.
    2.  -  Devono  essere  innanzitutto  dichiarati  ammissibili  gli
interventi spiegati nel presente giudizio dalle parti attrici nei due
giudizi  civili  in  cui  sono state rese le impugnate sentenze della
Corte di cassazione.
    Questa  Corte,  pur  confermando  che  di  norma  nei giudizi per
conflitto  di  attribuzioni  non  e' ammesso l'intervento di soggetti
diversi   da  quelli  legittimati  a  promuovere  il  conflitto  o  a
resistervi,  ha  riconosciuto  che  tale preclusione non opera quando
l'oggetto   del   giudizio   per  conflitto  consista  proprio  nella
affermazione o negazione dello stesso diritto di agire in giudizio di
chi  pretende  di essere stato leso da una condotta in relazione alla
quale si controverte, nel giudizio costituzionale, se essa sia o meno
da  ritenersi  coperta  dalle  eccezionali  immunita'  previste dalla
Costituzione  (sentenza  n. 76 del 2001). Tale conclusione, raggiunta
dalla   Corte   con  riguardo  ad  un  conflitto  avente  ad  oggetto
l'applicabilita'   della   immunita'   prevista  dall'art. 122  della
Costituzione  per  le opinioni espresse e i voti dati dai consiglieri
regionali nell'esercizio delle loro funzioni (e dunque implicitamente
riferibile anche all'analoga ipotesi concernente l'applicazione della
prerogativa  della  insindacabilita'  di  cui  godono  i  membri  del
Parlamento  ai  sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione),
non  puo'  non estendersi, per l'evidente identita' di ratio, al caso
presente, in cui il conflitto riguarda l'applicabilita' della ipotesi
di  immunita'  prevista  dall'art. 90 della Costituzione per gli atti
del  Presidente  della  Repubblica  compiuti nell'esercizio delle sue
funzioni.
    In  siffatte  ipotesi, infatti, negare ingresso alla difesa delle
parti  del  giudizio  comune, in cui si controverte sull'applicazione
della    immunita',    significherebbe    esporre    tali    soggetti
all'eventualita' di dover subire, senza possibilita' di far valere le
proprie  ragioni, una pronuncia il cui effetto potrebbe essere quello
di  precludere definitivamente la proponibilita' dell'azione promossa
davanti  alla  giurisdizione:  il  che contrasterebbe con la garanzia
costituzionale  del diritto al giudice e ad un pieno contraddittorio,
che  discende  dagli  articoli 24  e  111  della  Costituzione, ed e'
protetto  altresi'  dall'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia
dei  diritti  dell'uomo e delle liberta' fondamentali, come applicato
dalla  giurisprudenza  della  Corte  europea  di Strasburgo (cfr., da
ultimo,   sentenze   30 gennaio  2003,  Cordova  c.  Italia  I,  ric.
n. 40877/1998, e Cordova c. Italia II, ric. n. 45649/1998).
    3.  -  Il  ricorso  e'  rivolto  contro  pronunce  dell'autorita'
giudiziaria  che  si  sostiene  abbiano  leso  la  prerogativa  della
irresponsabilita'    presidenziale    sancita    dall'art. 90   della
Costituzione:  sotto  il  profilo  oggettivo,  dunque, esso prospetta
indubbiamente  un  conflitto  «per  la  delimitazione  della sfera di
attribuzioni  determinata  per i vari poteri da norme costituzionali»
(art. 37,  primo  comma,  della  legge  n. 87  del 1953), alla stessa
stregua  degli  altri  casi  gia'  presentatisi in passato, in cui la
Corte  ha riconosciuto l'ammissibilita' di ricorsi con i quali organi
costituzionali  (in  un  caso  anche  il Presidente della Repubblica)
contestavano  atti di autorita' giurisdizionali ritenuti lesivi della
propria  posizione  costituzionale  (cfr.  ad es. sentenze n. 129 del
1981,  n. 435  del 1995, n. 379 del 1996, n. 225 del 2001, n. 263 del
2003 e n. 58 del 2004).
    Ne'  possono  sorgere  incertezze  circa  l'oggetto della domanda
giudiziale,  ancorche'  l'atto introduttivo non contenga un esplicito
petitum  di  merito  ma  si  limiti  a chiedere che la Corte dichiari
ammissibile  il  ricorso  medesimo: infatti dal ricorso, proposto per
l'annullamento  delle sentenze impugnate, si ricavano in modo univoco
le  ragioni  per le quali il ricorrente ritiene dette sentenze lesive
delle prerogative costituzionali dell'istituzione presidenziale.
    4.  -  Essendo  parimenti  fuori  discussione  la  legittimazione
passiva  della Corte di cassazione che ha reso le pronunce impugnate,
la   Corte   deve   invece   interrogarsi   sulla  sussistenza  della
legittimazione  attiva del ricorrente, che nella specie e' la persona
fisica  che  ricopriva  la  carica  di  Presidente  della  Repubblica
all'epoca  in  cui  effettuo'  le dichiarazioni a lui addebitate come
fonte di responsabilita' per danni, ma che al momento dell'emanazione
degli  atti  impugnati  e  della proposizione del ricorso era cessato
dalla carica medesima.
    Non  e' qui in gioco la posizione costituzionale dell'ex titolare
della  carica  in  quanto  tale,  ne'  lo sono eventuali attribuzioni
costituzionali  a  lui  spettanti  in  tale  qualita'.  L'oggetto del
conflitto   e'  infatti  una  prerogativa  e  dunque  un'attribuzione
spettante alla istituzione presidenziale e ad essa sola.
    E'  ovvio che, di norma, legittimato a ricorrere per conflitto di
attribuzioni   e'   soltanto   chi  impersona  il  potere  delle  cui
attribuzioni  si  discute,  nel  momento  in  cui  il  ricorso  viene
proposto.
    Tuttavia, la Corte ritiene che la legittimazione possa estendersi
a   chi   ha  cessato  di  ricoprire  la  carica,  nelle  particolari
situazioni,  come  quella  che  si verifica nel presente caso, in cui
concorrono  le  seguenti  due  circostanze:  a) la controversia sulle
attribuzioni  e  sulla  loro  ipotizzata  lesione  coincide  con  una
controversia  circa l'applicabilita', nel caso concreto, di una norma
costituzionale  la  cui  portata  si  sostanzia  nell'escludere o nel
limitare, in via di eccezionale prerogativa, la responsabilita' della
persona  fisica titolare della carica costituzionale per atti da essa
compiuti;  b)  vi  e'  coincidenza  fra  la  persona fisica della cui
responsabilita'  si  discute,  e  il  titolare, nel momento in cui e'
stato  compiuto  l'atto  da  cui si fa discendere la responsabilita',
della  carica  monocratica alla quale la norma costituzionale collega
la prerogativa della immunita'.
    Infatti  tale  prerogativa  e'  bensi' connessa ad atti di organi
costituzionali,  ma,  riguardando  la  persona fisica, si estende nel
tempo  anche al di la' della cessazione dalla carica di chi tali atti
ha  posto in essere. E poiche' l'applicazione in giudizio della norma
che  sancisce  la  prerogativa  avviene  per sua natura a posteriori,
anche  a  distanza  di  tempo  dal momento in cui gli atti forieri di
responsabilita'  sono  stati compiuti («ora per allora»), e' evidente
come  possa  accadere  che  il  giudizio  sulla  responsabilita',  in
coincidenza  col  quale  si  prospetta la controversia costituzionale
sulle  attribuzioni,  si  svolga  quando  la persona fisica della cui
responsabilita'   si  discute  non  e'  piu'  titolare  della  carica
costituzionale.
    Il giudizio per conflitto di attribuzioni e' bensi' uno strumento
apprestato  dalla  Costituzione  a  tutela delle attribuzioni proprie
della  carica  di  Presidente  della  Repubblica,  ma tale tutela, in
queste  situazioni,  coincide  con la protezione della persona fisica
dalla  responsabilita',  in  forza  della  prerogativa;  e  quindi il
conflitto  opera  anche o principalmente come strumento di difesa nei
confronti  di  possibili  applicazioni  giudiziali delle norme che si
traducano in violazioni della prerogativa.
    Non  appare  allora  ragionevole che la possibilita' di sollevare
conflitto,  di  cui  il  titolare  della  carica gode finche' dura il
mandato,  in  relazione agli atti da lui compiuti, sia invece rimessa
alle   scelte   di   un   titolare   diverso   da  quello  della  cui
responsabilita'  si discute per il solo fatto casuale che il giudizio
di  responsabilita' - che riguarda sempre la persona fisica - insorga
dopo,  anziche'  prima della scadenza di detto mandato: tenendo anche
conto  del  fatto  che non solo diversi titolari della carica possono
valutare in modo diverso la portata o l'applicabilita' concreta della
norma  sulla  prerogativa,  ma  che,  per un nuovo e diverso titolare
della  carica, la scelta del ricorrere per conflitto non si configura
come  atto dovuto, ma piuttosto come scelta di opportunita' politica,
da  cui  verrebbe pero' a dipendere l'attivazione, in concreto, dello
strumento di difesa della prerogativa di immunita'.
    Si  deve  dunque  concludere  che,  verificandosi  la  situazione
indicata, la legittimazione a ricorrere - ovviamente sempre spettante
al  titolare  attuale  della  carica  -  spetta  anche  ai precedenti
titolari.  Una  legittimazione  -  quella  dei precedenti titolari -,
peraltro,  limitata  strettamente  non  solo ai conflitti concernenti
atti da loro stessi compiuti durante il mandato, ma a quelli soltanto
nei  quali  la  lesione lamentata consista proprio nella negazione in
concreto, nei loro confronti, della prerogativa di irresponsabilita':
in  cui quindi l'interesse al ricorso nasca dal fatto che oggetto del
conflitto sia l'affermazione o la negazione della possibilita' di far
valere in concreto la responsabilita' per detti atti.
    Nonostante  la  scissione  e quindi la possibile duplicita' della
legittimazione  a  ricorrere  in  questi casi, le regole del giudizio
costituzionale,  il  contraddittorio  che  in  esso  si  svolge, e in
definitiva  la decisione della Corte, consentirebbero in ogni modo di
dare soluzione alle possibili ipotesi di divaricazione o di contrasto
fra  le  posizioni  processuali e le tesi sostanziali del titolare in
carica    dell'organo   e   del   precedente   titolare   della   cui
responsabilita'  si  discute.  Nella  specie, peraltro, il Presidente
della  Repubblica, evocato in giudizio per iniziativa di questa Corte
(ordinanza  n. 455  del  2002), si e' costituito senza nulla eccepire
quanto  alla legittimazione del ricorrente, mentre, nel merito, si e'
limitato  a  dichiarare  la  propria  «condivisione del principio del
necessario  collegamento  fra  irresponsabilita'  ed  esercizio della
funzione».
    5.  -  Il ricorso e' in parte non fondato, in parte inammissibile
sotto un profilo diverso da quello precedentemente esaminato.
    Non  puo'  accogliersi,  in  primo  luogo,  la  tesi  secondo cui
l'autorita'   giudiziaria   ordinaria  difetterebbe  radicalmente  di
competenza  giurisdizionale  in ordine alla qualificazione degli atti
del    Presidente   della   Repubblica,   al   fine   di   verificare
l'applicabilita'   o   meno   della   clausola  di  esclusione  della
responsabilita' di cui all'art. 90 della Costituzione.
    Tale  clausola  non  fa  che  recare, infatti, una eccezione alla
regola  della  responsabilita'  di  ciascuno per gli atti compiuti in
violazione  di  diritti  altrui.  Questa  regola,  che discende dallo
stesso  principio  di  legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, e
che  per i pubblici funzionari e' espressamente ribadita dall'art. 28
della   Costituzione,   col  rinvio  alle  «leggi  penali,  civili  e
amministrative»   caso   per  caso  applicabili,  fonda  la  generale
competenza   delle   autorita'   giudiziarie   all'accertamento   dei
presupposti  della  responsabilita'  e alla pronuncia delle eventuali
misure sanzionatorie, restitutorie o risarcitorie conseguenti.
    E'  pertanto  alla  stessa  autorita'  giudiziaria che spetta, in
prima  istanza,  decidere  circa  l'applicabilita'  in  concreto,  in
rapporto  alle  circostanze  del fatto, della clausola eccezionale di
esclusione  della  responsabilita'.  Se  nel  decidere  in  proposito
l'autorita' giudiziaria venisse ad apprezzare erroneamente la portata
della  clausola  o  a  negare  ad essa erroneamente applicazione, con
conseguente  lesione  della  prerogativa  e  dunque dell'attribuzione
presidenziale,  oltre ai normali rimedi apprestati dagli istituti che
consentono il controllo sulle decisioni giudiziarie ad opera di altre
istanze   pure  giudiziarie,  varra'  il  rimedio  del  conflitto  di
attribuzioni  davanti  a  questa  Corte. Ma non puo' essere negata la
competenza  dell'autorita' giudiziaria a pronunciarsi, nell'esercizio
della sua generale funzione di applicazione delle norme, ivi comprese
quelle della Costituzione.
    La  competenza  di  questa  Corte  a  risolvere  i  conflitti  di
attribuzione  non  puo'  sostituirsi  a quella del giudice comune per
l'accertamento  in  concreto  dell'applicabilita'  della  clausola di
esclusione    della   responsabilita'.   Infatti   la   giurisdizione
costituzionale   sui   conflitti  non  e'  istituto  che  sostituisca
l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale la' dove siano in gioco
diritti  dei soggetti di cui si chieda l'accertamento e il ristoro (e
l'azione di responsabilita' integra tipicamente tale fattispecie), ma
vale   solo   a   restaurare   la  corretta  osservanza  delle  norme
costituzionali  nei  casi  in cui, in concreto, a causa di un cattivo
esercizio  della funzione giurisdizionale, questa abbia dato luogo ad
una  illegittima  menomazione delle attribuzioni costituzionali di un
altro potere.
    Nemmeno  potrebbe  ipotizzarsi  un  qualsiasi  effetto inibitorio
dell'esplicarsi   dell'esercizio   della   funzione  giurisdizionale,
collegabile  alla  semplice  affermazione,  da  parte di colui la cui
responsabilita' viene evocata in giudizio, della applicabilita' della
prerogativa,   stante   la  non  configurabilita'  di  un  potere  di
definizione  unilaterale,  in causa propria, dei limiti della propria
responsabilita'.
    La  garanzia  del  rispetto della norma costituzionale, anche nei
confronti  di  eventuali erronee applicazioni da parte dell'autorita'
giudiziaria,  non  sta  nell'esclusione  a priori della competenza di
questa  -  che  verrebbe in pratica a configurare una esenzione senza
limiti  dalla  giurisdizione  e  un  privilegio  personale  privo  di
fondamento  costituzionale  -  ma  nella possibilita' (esplicitamente
riconosciuta, del resto, anche dalle pronunce impugnate) di sollevare
conflitto  di  attribuzioni  contro  le determinazioni dell'autorita'
giudiziaria.
    6.  -  Nemmeno  puo' condividersi, sul piano sostanziale, la tesi
secondo  cui  anche  gli  atti  extrafunzionali,  o  almeno  tutte le
dichiarazioni  non  afferenti  esclusivamente alla sfera privata, del
Presidente   della   Repubblica   dovrebbero   ritenersi  coperti  da
irresponsabilita',  a  garanzia della completa indipendenza dell'alto
ufficio   da   interferenze   di  altri  poteri,  o  in  forza  della
impossibilita'  di  distinguere,  in  relazione alle esternazioni, il
munus dalla persona fisica.
    E'   appena   il   caso   di  precisare  che  non  viene  qui  in
considerazione  il diverso e discusso problema degli eventuali limiti
alla  procedibilita' di giudizi (in particolare penali) nei confronti
della  persona fisica del Capo dello Stato durante il mandato, limiti
che,  se  anche  sussistessero,  non varrebbero, appunto, se non fino
alla  cessazione della carica. Qui si discute invece dei limiti della
responsabilita',  che  come tali valgono allo stesso modo sia durante
il  mandato  presidenziale,  sia,  per  gli  atti compiuti durante il
mandato, dopo la sua scadenza.
    A questo riguardo, quale che sia la definizione piu' o meno ampia
che  si  accolga  delle  funzioni  del  Presidente  quale  che sia il
rapporto  che  si debba ritenere esistente fra l'irresponsabilita' di
cui  all'art. 90 della Costituzione e la responsabilita' ministeriale
di  cui all'art. 89, e, ancora, quale che sia la ricostruzione che si
adotti   in   relazione   ai  limiti  della  cosiddetta  facolta'  di
esternazione  non  formale  del  Capo dello  Stato, una cosa e' fuori
discussione:     l'art. 90    della    Costituzione    sancisce    la
irresponsabilita' del Presidente - salve le ipotesi estreme dell'alto
tradimento  e  dell'attentato  alla Costituzione - solo per gli «atti
compiuti nell'esercizio delle sue funzioni».
    E'  dunque  necessario  tenere  ferma  la  distinzione fra atti e
dichiarazioni   inerenti  all'esercizio  delle  funzioni,  e  atti  e
dichiarazioni  che,  per  non  essere  esplicazione di tali funzioni,
restano  addebitabili,  ove  forieri di responsabilita', alla persona
fisica del titolare della carica, che conserva la sua soggettivita' e
la  sua  sfera  di rapporti giuridici, senza confondersi con l'organo
che pro tempore impersona.
    Si puo' riconoscere che operare la distinzione, nell'ambito delle
«esternazioni», fra quelle riconducibili all'esercizio delle funzioni
presidenziali  e  quelle  ad  esse estranee puo' risultare, in fatto,
piu'   difficile   di  quanto  non  sia  distinguere  nel  campo  dei
comportamenti  o  degli  atti  materiali,  o  anche di quanto non sia
distinguere  fra  opinioni «funzionali» ed «extrafunzionali» espresse
dai  membri di un'assemblea rappresentativa, che si differenzia dagli
individui  che  ne  fanno  parte,  laddove  nel  caso  del Presidente
l'organo  e'  impersonato  dallo  stesso  individuo:  ma  l'eventuale
maggiore  difficolta'  della  distinzione  non  toglie  che  essa sia
necessaria.
    Quando  dunque  la Corte di cassazione, nelle pronunce impugnate,
stabilisce   i  principi  di  diritto  secondo  cui  l'immunita'  del
Presidente  della Repubblica riguarda solo gli atti che costituiscono
esercizio delle funzioni presidenziali e le dichiarazioni strumentali
o  accessorie  rispetto  a  tale  esercizio,  coglie correttamente la
portata  dell'art. 90  della  Costituzione  e  non  reca lesione alle
prerogative del Presidente.
    Anche   la  possibilita'  che  nell'ambito  dell'esercizio  delle
funzioni  possano  rientrare,  in  determinate  ipotesi,  attivita' o
dichiarazioni intese a difendere l'istituzione presidenziale non puo'
mai  tradursi  automaticamente  in  una  estensione della immunita' a
dichiarazioni  extrafunzionali per la sola circostanza che esse siano
volte a difendere la persona fisica del titolare della carica e, come
tali,  possano  indirettamente influire sul suo prestigio o sulla sua
«legittimazione» politica.
    7.  -  Restano da considerare le censure, avanzate dal ricorrente
in  via  logicamente  subordinata,  con  le  quali si sostiene che le
dichiarazioni nella specie addebitate al sen. Cossiga sarebbero tutte
legate   da   «nesso   funzionale»  con  l'esercizio  delle  funzioni
presidenziali, e come tali tutte coperte dalla clausola di immunita'.
    Ma su questo terreno e con riguardo a questi motivi il ricorso e'
inammissibile  in quanto rivolto contro pronunce che non affermano in
concreto  la responsabilita' del sen. Cossiga, e nemmeno escludono in
concreto che le dichiarazioni a lui addebitate possano, in tutto o in
parte,  risultare  coperte  dalla  immunita' alla stregua dei criteri
indicati,  ma  si limitano a fissare i principi di diritto cui dovra'
attenersi  il  giudice  di  merito  in  sede  di  giudizio di rinvio,
esplicitamente  affermando,  inoltre,  che  contro  l'accertamento da
parte  dell'autorita'  giudiziaria puo' essere sollevato conflitto di
attribuzione «per menomazione» davanti a questa Corte.
    Le  censure in esame sono dunque premature, potendo, se del caso,
essere  proposte  solo  nei  confronti  delle  pronunce  con le quali
l'autorita'  giudiziaria  abbia  giudicato  nel merito sugli addebiti
mossi  al  sen.  Cossiga,  escludendo  che  essi  siano coperti dalla
immunita'.
    8.  -  Restano  fuori dall'ambito del giudizio costituzionale per
conflitto  le  censure  e  le affermazioni del ricorrente relative al
carattere,  che si sostiene non denigratorio ne' offensivo, di talune
fra le dichiarazioni per cui e' giudizio, che non travalicherebbero i
limiti  della  «continenza» come espressione del legittimo diritto di
critica  politica.  Si  tratta  infatti di profili (apparentemente da
riferire  all'ultimo dei principi di diritto enunciati dalla Corte di
cassazione)  che  non possono venire in considerazione nella presente
controversia   sulle   attribuzioni,   e   attengono  piuttosto  alla
valutazione, spettante all'autorita' giudiziaria, delle dichiarazioni
che,  in  ipotesi,  dovessero  essere  in  concreto riconosciute come
estranee  all'ambito  dell'immunita'  costituzionale.  Onde anche per
questo aspetto il ricorso e' inammissibile.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
        a) Dichiara  che  spetta all'autorita' giudiziaria, investita
di controversie sulla responsabilita' del Presidente della Repubblica
in  relazione  a  dichiarazioni  da  lui  rese  durante  il  mandato,
accertare  se le dichiarazioni medesime costituiscano esercizio delle
funzioni,   o   siano  strumentali  ed  accessorie  ad  una  funzione
presidenziale,  e  solo  in  caso  di accertamento positivo ritenerle
coperte  dalla  immunita'  del  Presidente  della  Repubblica, di cui
all'art. 90 della Costituzione;
        b) Dichiara  inammissibile,  quanto  ai  restanti  motivi, il
ricorso per conflitto di attribuzioni indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 maggio 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                         Il redattore: Onida
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 26 maggio 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
04C0652