N. 487 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 ottobre 2003

Ordinanza   emessa   il   21   ottobre  2003  (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il  30 aprile  2004)  dal  tribunale  di  Firenze nel
procedimento penale a caricoSzerol Henryk

Straniero  -  Espulsione  amministrativa - Reato di trattenimento nel
  territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento,
  entro il termine di cinque giorni, impartito dal questore - Arresto
  obbligatorio  in flagranza - Rito direttissimo - Impossibilita' per
  il  giudice  di  emettere  una  pronuncia di merito (in conseguenza
  dell'obbligo  del  rilascio  del  nulla  osta  all'espulsione,  per
  l'inapplicabilita'   della   misura  della  custodia  cautelare  in
  carcere) - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione dei
  diritti  inviolabili  dell'uomo  e  della  tutela  della condizione
  giuridica  dello  straniero,  regolata  dalla  legge in conformita'
  delle norme e dei trattati internazionali (in particolare artt. 5 e
  6  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
  dell'uomo  e  delle liberta' fondamentali) - Violazione del diritto
  di  accesso  ad  un  giusto  processo  e  del  diritto  di difesa -
  Restrizione  della liberta' personale - Violazione del principio di
  soggezione del giudice soltanto alla legge.
- D.Lgs.  25 luglio  1998,  n. 286,  artt. 13  e 14, modificati dalla
  legge  30 luglio 2002, n. 189, in combinato disposto con l'art. 558
  cod. proc. pen.
- Costituzione, artt. 3, 10, 24, 101 e 111.
(GU n.22 del 9-6-2004 )
                            IL TRIBUNALE

    Vista   la  richiesta  di  convalida  dell'arresto,  operato  nei
confronti di Henryk Szerol, in atti generalizzato

                            O s s e r v a

    In  forza  del  combinato  disposto  degli artt. 558 c.p.p. e 14,
comma  5-quinquies,  d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (testo unico delle
norme  sull'immigrazione  e la condizione giuridica degli stranieri),
come  modificato  dalla  legge  30  luglio  2002,  n. 189,  l'arresto
dell'imputato,  effettuato  in relazione al reato di cui all'art. 14,
comma  5-ter t.u. cit., dovrebbe essere convalidato da questo giudice
e si dovrebbe provvedere a giudizio direttissimo. Si ritiene tuttavia
che  la  novella  alle  norme del testo unico presenti dei profili di
incostituzionalita'  rilevanti  gia'  nella  fase della convalida, in
quanto  attinenti  alla  stessa  costituzionalita'  della  previsione
dell'arresto  obbligatorio per la fattispecie di cui si tratta, e che
pertanto  la questione relativa debba essere sollevata gia' in questa
sede.
    Infatti,   la   novella   prevede  l'arresto  -  in  questo  caso
obbligatorio,  in  altri  facoltativo  -  per reati contravvenzionali
puniti  nel  massimo  con un anno di arresto, dunque con pena massima
edittale  lontana  per  difetto  da  quella  generale prevista per le
contravvenzioni,  il  che  e' significativo di una valutazione di non
eccessiva  gravita'  della  condotta  da  parte  del legislatore. Nel
codice  di  procedura penale, invece, l'arresto in flagranza - misura
fortemente  restrittiva  della  liberta'  personale  - in generale, e
salvi  i casi tassativamente previsti al secondo comma dell'art. 381,
non  e'  consentito per i delitti puniti con la pena della reclusione
pari  o inferiore, nel massimo, a tre anni. Ancor piu' ristretti sono
i  casi  di arresto obbligatorio previsti dall'art. 380 c.p.p., con i
quali  occorre  istituire il raffronto in questo caso, dato che, come
s'e'  gia'  detto,  la  novella prevede tale categoria di arresto. Il
sistema  penale,  in altri termini, prescrive l'obbligatorieta' della
misura restrittiva della liberta' personale solo per reali, obiettive
situazioni  di  singolare gravita(1); ma in questo caso, derogando in
maniera   evidente  alla  disciplina  generale,  introduce  l'arresto
obbligatorio per una contravvenzione neppure particolarmente grave.
    Ne'  puo'  obiettarsi  che  il principio di ragionevolezza, prima
implicitamente   richiamato,   che   trova  la  sua  fonte  normativa
costituzionale  nell'art. 3 della carta fondamentale, non puo' venire
in rilievo in quanto si tratta di normativa dettata solo in relazione
agli stranieri, dal momento che lo stesso art. 3 limita il suo ambito
di  applicazione  ai cittadini. Infatti, e' del tutto pacifico che la
norma   richiamata  deve  coordinarsi  con  gli  artt. 2  Cost.,  che
garantisce  i  diritti  inviolabili dell'uomo indipendentemente dalla
nazionalita',  e  con l'art. 10, secondo comma Cost., che prevede che
la  condizione  giuridica  dello straniero e' regolata dalla legge in
conformita' delle norme dei trattati internazionali. Ne consegue che,
ove  la  disciplina  giuridica  applicabile  allo straniero attenga a
diritti  inviolabili,  o  comunque  a  materie  oggetto  di  trattati
internazionali,  il  diverso  trattamento  deve  garantire  i diritti
inviolabili  dell'uomo  ed essere rispettoso dei principi dettati dai
trattati.   Cio'   e'   peraltro  ribadito,  in  linea  di  principio
dall'art. 2  del  testo  unico  citato, che appunto sancisce che allo
straniero  presente  nel  territorio  dello Stato sono riconosciuti i
diritti  fondamentali  della  persona  umana  previsti dalle norme di
diritto    internazionale   consuetudinario   e   dalle   convenzioni
internazionali, anche se il legislatore che ha recentemente novellato
il  testo  unico  sembra, come si dimostrera', essersene dimenticato.
Ora,  ampie  garanzie in materia di processo penale e di arresto sono
oggetto  degli  artt. 5 e 6 della convenzione per la salvaguardia dei
diritti   dell'uomo   e   delle   liberta'  fondamentali,  ratificata
dall'Italia   con  legge  4  agosto  1955,  n. 848,  per  cui  appare
inammissibile  la discriminazione dello straniero in relazione a tale
materia.
    Dubbi ancor piu' evidenti e gravi di incostituzionalita' emergono
in  relazione  al  rito direttissimo che dalla convalida dell'arresto
originerebbe.
    Infatti,   secondo   quanto   disposto  dal  legislatore,  appare
ineluttabile  una  pronuncia non di merito nei confronti dell'odierno
imputato.  Cio' emerge coordinando varie norme della novella, secondo
l'iter  logico che si passa ad illustrare. Il giudice monocratico non
puo'  applicare allo straniero arrestato in flagranza per il reato di
cui  si  giudica  la  misura della custodia cautelare in carcere, non
prevista per le contravvenzioni. Dunque, lo straniero potra' - o, per
meglio    dire,    dovra',   dati   i   ristrettissimi   margini   di
discrezionalita'  dell'autorita'  amministrativa - essere espulso, in
quanto   dall'art. 13,  terzo  comma  del  testo  unico,  cosi'  come
novellato,  risulta  evidente  che  solo  l'applicazione della misura
cautelare  indicata  costituisce  impedimento assoluto all'espulsione
disposta  dal  questore;  in  caso  di  mancata applicazione di essa,
invece,  opera  il  regime  del  nulla  osta  del giudice. Orbene, il
giudice  ha  uno  spazio di discrezionalita' minimo nel rilasciare il
nulla  osta:  «puo' negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze
processuali    valutate    in    relazione   all'accertamento   della
responsabilita'  di  eventuali  concorrenti  nel  reato o imputati di
procedimenti  connessi,  e  all'interesse  della  persona offesa»(2);
oppure  se si tratta dei reati previsti dall'art. 407, secondo comma,
lett. a c.p.p.. Nell'assoluta maggioranza dei casi, e comunque per il
reato  per  il  quale  si procede, in cui sembra difficile ipotizzare
forme  di  concorso  il  cui accertamento richieda la deposizione del
coimputato,  ne'  e'  individuabile  una persona offesa, l'attuazione
dell'espulsione  - che quale provvedimento amministrativo costituisce
lo  stesso  presupposto  del  reato  -  non  puo' essere impedita dal
giudice  ed  e'  dunque certa. In caso di espulsione, il giudice, «se
non  e' ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio»
- come avviene nel caso di giudizio direttissimo monocratico, che non
conosce  tale provvedimento, ben diversa essendo la forma e la natura
del  decreto  di  presentazione  dell'arrestato da parte del pubblico
ministero   di   cui   all'art. 558  c.p.p.  -  «acquisita  la  prova
dell'avvenuta  espulsione  (...)  pronuncia  sentenza  di non luogo a
procedere»(3).
    Emerge  quindi l'obbligatorieta', nella maggior parte dei casi di
reati commessi da immigrati espulsi e comunque - e' bene ripeterlo ai
fini  della  rilevanza  dell'eccezione  di costituzionalita' - per il
reato   contestato  all'odierno  imputato,  della  pronuncia  di  una
sentenza   di   improcedibilita'   dell'azione   penale  nei  giudizi
direttissimi   monocratici   a  carico  di  tali  soggetti.  Infatti,
interviene  a  rendere  obbligatoria la pronuncia la mera circostanza
estrinseca  dell'esecuzione  dell'espulsione  prima della conclusione
del giudizio, condizione che si realizza automaticamente, ad esempio,
a  seguito di richiesta di termini a difesa. Lo straniero viene cosi'
privato del diritto di accedere ad un giusto processo quanto ai fatti
contestati,   con  chiara  violazione  dell'art. 111  Cost.,  nonche'
dell'art. 24  Cost.  quanto  al  diritto  di  difesa, ed ancora degli
artt. 5  e  6  della  convenzione  per  la  salvaguardia  dei diritti
dell'uomo   gia'  citata  -  che  pacificamente  ha  rango  di  norma
costituzionale  in  forza  di quanto s'e' poc'anzi osservato circa il
richiamo  dell'art. 10, secondo comma, Cost.-, articoli che prevedono
il  diritto  per  ogni  persona privata della propria liberta' con un
arresto a presentare ricorso davanti ad un tribunale affinche' decida
sulla  legittimita'  della propria detenzione, ed ancora il diritto a
che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente ed in un
tempo ragionevole da parte di un tribunale indipendente ed imparziale
costituito  per legge quanto al fondamento di ogni accusa penale. Nel
meccanismo creato dalla novella, invece, la richiesta di un termine a
difesa,  che  realizza un altro dei diritti sanciti dall'art. 6 della
convenzione,  quello  dell'arrestato  di  «disporre del tempo e delle
facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa», previsto dalla
lett.  a  del  terzo  comma,  finisce con l'impedire una decisione di
merito,  con  evidente  contrasto con il diritto a provare la propria
innocenza:   infatti,   senza   chiedere  un  termine  a  difesa,  e'
impossibile  per  l'arrestato  in  flagranza  dimostrare  che  la sua
permanenza  nel  territorio dello stato e' legittima, giacche' non ha
modo di recuperare e produrre la documentazione necessaria alla prova
o  di  ottenere la citazione di testi a difesa. fl contrasto di tutto
cio'  con  l'art. 24  Cost.,  norma  che  tutela  «tutti», non solo i
cittadini italiani, appare evidente.
    (1)  Cosi'  la Corte costituzionale nella sentenza 11 marzo 1970,
n. 39,  dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 220
del  testo unico delle leggi di pubblica sicurezza nella parte in cui
prevedeva l'arresto obbligatorio in flagranza di chi contravveniva al
divieto di comparire mascherato in luogo pubblico.
    (2) Art. 13, terzo comma, richiamato dal comma 3-bis in relazione
all'arresto in flagranza.
    (3) Art. 13, comma 3-quater.
    Se  poi  si vuol dare dell'espressione «provvedimento che dispone
il   giudizio»   un'interpretazione   estensiva,   comprensiva  della
presentazione  del  pubblico  ministero  o dell'ordinanza del giudice
monocratico   che,   convalidato   l'arresto,   da'  inizio  al  rito
direttissimo,  si  risolverebbe il problema del contenuto necessitato
della  pronuncia,  ma  non  quello  della compressione del diritto di
difesa:  in  tal  caso,  infatti, non si verificherebbe la condizione
temporale  che  costituisce presupposto necessario della pronuncia di
non  doversi  procedere, ovvero lesecuzione dell'ordine di espulsione
prima  del  provvedimento  che  dispone  il  giudizio,  dato  che  lo
straniero  verrebbe  espulso dopo l'inizio del giudizio direttissimo;
tuttavia,  se  solo  il giudizio direttissimo non si concludesse, per
qualsiasi  ragione,  in  una  sola udienza, l'imputato sarebbe subito
espulso e non avrebbe modo di difendersi. Sarebbe cioe' processato in
absentia   per   un   fatto   esterno,  l'esecuzione  dell'ordine  di
espulsione,  che  in  nessun  modo  puo' equipararsi alla contumacia,
situazione  che  deriva dalla volonta' dell'imputato. Anche in questo
caso,  dunque,  il diritto di difesa viene, piu' che compresso, quasi
impedito:   lo  straniero  potrebbe  tentare  di  dimostrare  la  sua
innocenza solo nel caso in cui il processo si concludesse in una sola
udienza, subito dopo la convalida; se invece, per sua richiesta o per
altra  ragione, il processo viene rinviato, egli viene espulso, sulla
base del provvedimento che gli viene contestato di aver violato.
    Ulteriore   violazione   costituzionale   ravvisabile  in  questa
disciplina  attiene a quanto previsto dall'art. 13 Cost. Infatti - se
si  da'  dell'espressione  «provvedimento  che  dispone  il giudizio»
quell'interpretazione  restrittiva di cui s'e' detto, che sola appare
fondata  -  si  configura  un  caso  di  restrizione  della  liberta'
personale, cioe' un arresto obbligatorio, che non trova il suo natura
sbocco  nell'esercizio  dell'azione  penale  e nel conseguente vaglio
giurisdizionale sul merito dell'accusa, vaglio cui si sostituisce una
pronuncia   di   non   luogo  a  procedere  conseguente  all'avvenuta
esecuzione  dell'espulsione che consegue al rilascio, come s'e' visto
quasi  sempre  obbligatorio  ed  automatico,  del nulla osta da parte
dell'autorita'  giudiziaria.  Il  giudice  finisce cosi' con l'essere
espropriato dell'esercizio della giurisdizione e diviene soggetto non
alla  legge,  bensi'  ad  una  decisione amministrativa del questore,
dalla  quale deriva il contenuto necessitato della sua pronuncia, con
violazione anche dell'art. 101, secondo comma Cost.
    Alla rilevanza di tutti questi dubbi in questo procedimento si e'
gia'  accennato,  ma e' bene ulteriormente sottolineare che l'arresto
di  cui  si  tratta dovrebbe essere convalidato in forza di una norma
che  si  ritiene  sospetta  di  incostituzionalita'  e  che,  dopo la
convalida,   si   dovrebbe  procedere  ad  un  giudizio  direttissimo
decisamente   anomalo,   che   presenta   gli  ulteriori  profili  di
incostituzionalita'   poco   sopra   argomentati.   Conseguentemente,
l'incidente  di costituzionalita' dev'essere sollevato gia' in questa
fase,  con  la  sospensione  dello  stesso  giudizio di convalida. Ne
deriva  che  non  puo'  farsi  luogo al giudizio direttissimo, la cui
celebrazione  presuppone  l'avvenuta  convalida  dell'arresto, che in
questo caso manca, in forza della sospensione. Ulteriore conseguenza,
ad  avviso  di  questo  giudice,  e'  la  restituzione  degli atti al
pubblico  ministero perche' proceda con il rito ordinario. Non sembra
infatti  che  si possa sospendere anche il giudizio direttissimo, che
non e' ancora instaurato.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenutala  rilevante  per  la  decisione  di  questo giudizio di
convalida  e del giudizio direttissimo da iniziare, solleva questione
di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 558
c.p.p.,  13  e  14,  d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (testo unico delle
norme  sull'immigrazione  e la condizione giuridica degli stranieri),
come  modificato  dalla  legge  13  luglio  2002, n. 189, nelle parti
menzionate in motivazione, per contrasto con gli artt. 3, 10, 24, 101
e 111 Cost.
    Sospende  il  giudizio  ed  ordina l'immediata trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale.
    Ordina la notifica, a cura della cancelleria, di questa ordinanza
al  presidente  del  Consiglio dei ministri e la sua comunicazione ai
presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Ordina  restituirsi  gli  atti  al  pubblico  ministero affinche'
proceda con rito ordinario.
    Ordina  l'immediata  liberazione  dell'imputato se non detenuto o
ristretto per altra causa.
        Firenze, addi' 21 ottobre 2003
                        Il giudice: Lamberti
04C0662