N. 673 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 aprile 2004

Ordinanza  emessa  il  30  aprile  2004  dal  tribunale  di  Roma nel
procedimento  civile  vertente  tra Rummo Rossana contro il Ministero
per i beni e le attivita' culturali ed altri

Amministrazione pubblica - Incarichi dirigenziali di livello generale
  e di direttore generale - Prevista cessazione entro sessanta giorni
  dall'entrata  in  vigore  della  legge  (cd.  «spoil  system»), con
  efficacia retroattiva e prevalenza su diverse disposizioni pattizie
  e di contrattazione collettiva - Incidenza sul diritto fondamentale
  di  liberta'  ed  autonomia  negoziale  - Violazione del diritto al
  lavoro  -  Lesione  del  principio di tutela del lavoro nonche' del
  principio  di retribuzione proporzionata ed adeguata - Indebito uso
  dello  strumento  legislativo  per  conseguire finalita' proprie di
  provvedimento  amministrativo  (revoca) - Incidenza sui principi di
  imparzialita'  e  buon  andamento  della pubblica amministrazione -
  Violazione  del  principio  del servizio esclusivo alla Nazione dei
  pubblici impiegati.
- Legge   15 luglio   2002,   n. 145,   art. 3,   commi 1,   lett. b)
  [sostitutivo dell'art. 19, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165] e
  7 .
- Costituzione, artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 70, 97 e 98.
(GU n.33 del 25-8-2004 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella causa in primo grado
iscritta al n. 213387 del Ruolo generale affari contenziosi dell'anno
2003,  vertente tra Rossana Rummo, elettivamente domiciliata in Roma,
via  Bergamo  n. 3,  presso  lo  studio  dell'avv. Amos Andreoni che,
congiuntamente e disgiuntamente agli avvocati Luisa Torchia, Vittorio
Angiolini e Tommaso Di Nitto, la rappresenta e difende per procura in
atti, ricorrente;
    E  Ministero  per i beni e le attivita' culturali, in persona del
Ministro  pro  tempore,  Presidenza  del  Consiglio  dei ministri, in
persona  del  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri pro tempore, e
Dipartimento  della  funzione  pubblica,  in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12,
presso l'Avvocatura generale dello Stato che li rappresenta e difende
ex  lege, convenuti; nonche' Giovan Crisostamo Profita, elettivamente
domiciliato  in Roma, via Principessa Clotilde n. 2, presso lo studio
dell'avv. Nino  Paolantonio  che lo rappresenta e difende per procura
in atti, convenuto-controinteressato.
    Oggetto:  mansione  e  ius  variandi - dequalificazione da spoils
system  -  ripristino  incarico  equivalente  a  direttore generale -
risarcimento danni.
    Viti gli atti del giudizio;
    Sentite le parti in udienza;
    Considerato quanto segue.
    1.  -  Si  riepilogano preliminarmente i fatti di causa, si' come
emergenti  dagli  scritti  defensionali,  ai  fini della ricognizione
dell'ogetto del giudizio.
    1.1.  -  Con  ricorso  depositato il 10 giugno 2003 Rossana Rummo
espone:  di  aver ricoperto l'incarico di capo del dipartimento dello
spettacolo  del  Ministero  per i beni e le attivita' culturali dal 9
luglio  1999;  di  aver successivamente sottoscritto il 1° marzo 2001
contratto  a  tempo  determinato  ai  sensi  dell'art.  19,  d.lgs. 3
febbraio 1993,  n. 29  di conferimento di un incarico di direzione di
un   ufficio  di  livello  dirigenziale  (direttore  della  direzione
generale  per  il  cinema)  per  la  durata  di  cinque anni; di aver
espletato  l'incarico  in  modo  ampiamente  positivo, senza ricevere
contestazioni  in  ordine  all'inosservanza di direttive generali del
Ministro  o  ai  risultati  raggiunti;  di  essere  stata inserita in
commissioni   e   di   aver   svolto   incarichi   in  rappresentanza
dell'amministrazione; che peraltro in corso di rapporto e' entrata in
vigore  la  legge  15 luglio 2002, n. 145, il cui art. 3, comma 7, ha
introdotto  una  disciplina  transitoria  ed  altre  disposizioni  in
materia di incarichi di funzioni dirigenziali a modifica dell'art. 19
d.lgs.  30  marzo  2001,  n. 165;  che con nota prot. n. 12570 del 19
settembre 2002 il Ministero per i beni e le attivita' culturali le ha
comunicato  la  decadenza dall'incarico ricoperto ex art. 3, comma 7,
legge  n. 145/2002  e  l'avvio del procedimento di attribuzione di un
incarico  di  studio  per  la  durata  di  un  anno;  peraltro  senza
motivazione;  di aver poi sottoscritto con riserva il contratto del 2
ottobre  2002  relativo all'incarico di studio; che in pari data, con
nota  prot.  n. 13091,  l'amministrazione  ha proposto l'attribuzione
dell'incarico  di  direttore della direzione generale per il cinema a
Giovan   Crisostamo   Profita;   che   inoltre  l'amministrazione  ha
illegittimamente  attribuito tutti gli altri incarichi per i restanti
posti  di  funzione  dirigenziale  di livello equivalente, sicche' la
ricorrente  e'  rimasta  esclusa  da tali attribuzioni; che nel corso
dell'espletamento  dell'incarico  di studio non le sono state fornite
indicazioni  ai fini della definizione dello stesso e che, nondimeno,
ha   predisposto   un   rapporto   di   studio   provvisorio  inviato
all'amministrazione, ma rimasto senza riscontro.
    1.2.  -  Cio'  posto,  la  Rummo ha dedotto l'incostituzionalita'
dell'art. 3, comma 7, legge n. 145/2002.
    Ha   premesso   al   riguardo:  che  la  disciplina  della  legge
n. 145/2002,  pur  ribadendo  talune  scelte  strutturali operate dal
precedente  d.lgs.  n. 80/1998,  comporterebbe  una  drastica rottura
rispetto  al  regime  precedente  con  riferimento  alla durata degli
incarichi,  laddove ne riduce la durata massima e - soprattutto - non
prevede  piu'  una  durata  minima  dell'incarico; che in tal modo la
legge  n. 145/2002  avrebbe realizzato una sostanziale sudditanza del
dirigente  rispetto al potere politico, posto che l'incarico di pochi
mesi  non consentirebbe valutazione alcuna; che da cio' conseguirebbe
necessariamente  il  conferimento  ad  personam  affatto  fiduciario,
dell'incarico  malgrado  il disposto dell'art. 19 d.lgs. n. 165/2001,
vecchia  e  nuova versione; che tale innovazione normativa indurrebbe
quattro  effetti  negativi:  il  primo,  di  c.d.  precarizzazione  e
fidelizzazione  della  dirigenza; il secondo, di possibile espansione
di   tale   meccanismo   fiduciario   ai   livelli  inferiori  e  non
dirigenziali;  il  terzo,  di  impropria  restituzione al Ministro di
poteri    sostanzialmente    gestionali    senza    la    correlativa
responsabilita'   (amministrativa,   contabile  e  penale),  comunque
formalmente   dirigenziale:   il   quarto,   infine,  di  un'indebita
estensione  dei  poteri  della maggioranza parlamentare alla funzione
pubblica  neutrale  rappresentata dalla dirigenza. Argomenta altresi'
che  solo  per  gli  incarichi  di  funzione  dirigenziale generale -
automaticamente cessati al sessantesimo giorno dall'entrata in vigore
della legge n. 145/2002 (cioe' il 7 ottobre 2002) - si determinerebbe
un  integrale  ed  improprio  sistema di spoils system, consentendosi
soltanto  al  Governo in carica, ma non anche a quelli successivi, di
nominare  quali  dirigenti  generali  persone  di fiducia al posto di
quelle  in  carica  in  virtu' di assegnazioni effettuate dal Governo
precedente.
    Ha  svolto,  pertanto, le seguenti censure di incostituzionalita'
all'art. 3, comma 7, legge n. 145/2002:
        1) violazione  dell'art.  3 Cost. per irragionevolezza. Parte
ricorrente  ritiene  la norma transitoria intimamente contraddittoria
poiche'  o  i  dirigenti  generali hanno la stessa natura contigua al
potere  politico  al  pari dei segretari generali dei Ministeri e dei
capi  dipartimento  (ed  allora  lo  spoils  system  dovrebbe  essere
garantito  a  tutti  i  Governi),  oppure la dirigenza generale, come
quella  di secondo livello, partecipa alle funzioni di gestione e non
anche  di indirizzo politico (ed allora non si comprenderebbe perche'
la prima e' sottoposta a spoils system una tantum e non la seconda);
        2) violazione  degli  artt.  3,  4,  35 e 97 Cost. per deroga
ingiustificata  al  principio di stabilita' dei contratti individuali
di   lavoro.   La  norma  censurata  disciplinerebbe  un  illegittimo
meccanismo  di destituzione automatica del dirigente a prescindere da
ogni  valutazione  delle  attitudini e delle capacita' professionali,
nonche'   del   raggiungimento   degli  obiettivi  prefissati,  senza
previsione  di motivazione circa la cessazione dall'incarico, talche'
i dirigenti generali non potrebbero riporre affidamento nel contratto
stipulato   con   l'amministrazione   e  subirebbero  un  trattamento
deteriore  rispetto  a quello generalmente riservato agli lavoratori,
pubblici  e privati. In sostanza, posto che l'ordinamento non prevede
in  genere  la  recedibilita'  ad  nutum dai contratti individuali di
lavoro,  nel  caso  in esame la rimozione del dirigente avverrebbe in
carenza   di   motivazione,   senza   garanzia  procedimentale  o  di
contraddittorio;
        3) violazione  del  diritto  alla  personalita' professionale
(artt.  1,  2,  3  e  4  Cost.). Tale diritto sarebbe riconosciuto ai
dirigenti privati e negato, con la norma de qua, a quelli pubblici in
virtu'  del percorso discendente dalle (concrete) funzioni precedenti
all'incarico di studio (sostanzialmente privo di contenuti) fino alla
messa  in disponibilita' del dirigente. Inoltre, l'incarico di studio
non  sarebbe  rapportabile  a  quello  previsto  dall'art.  19 d.lgs.
n. 165/2001  nuovo  testo  in  via  istituzionale e permanente, quale
incarico  inserito  nella programmazione annuale, fornito di supporto
personale e materiale, valido per la progressione in carriera;
        4) violazione del diritto all'affidamento del cittadino (art.
3  Cost.).  La  norma censurata inciderebbe indebitamente su rapporti
contrattuali liberamente stretti dalle parti;
        5) violazione   degli  artt.  97  e  98  Cost.  in  relazione
all'effetto  di c.d. fidelizzazione di fatto del dirigente al Governo
in  carica. Detto effetto sarebbe indotto dal meccanismo di decadenza
automatica dagli incarichi e dalla loro durata breve, con conseguente
abbattimento  di  ogni  garanzia di autonomia del dirigente, al quale
non  sarebbe  consentito un esercizio imparziale dei compiti e quindi
di  assicurare  l'imparzialita'  dell'azione amministrativa. Inoltre,
sarebbe   annullata  ogni  distinzione  tra  attivita'  di  indirizzo
politico-amministrativo e attivita' gestionale;
        6) eccesso  di  potere  legislativo (artt. 70 e 97 Cost.). Il
Parlamento  avrebbe  adottato,  nella  specie,  una legge con effetti
propri  di  un atto amministrativo, per giunta incidente su un ambito
tipicamente    riservato    all'autonomia    privata   quale   quello
contrattuale.
    1.3.  -  Argomentato  ulteriormente per l'illegittimita' (anche a
prescindere  dal  giudizio di costituzionalita' dell'art. 3, comma 7,
legge   n. 145/2002)   della  mancata  attribuzione  di  un  incarico
equivalente  per carenza di istruttoria, di valutazione comparativa e
di   motivazione   in   ordine  alle  attitudini  ed  alla  capacita'
professionale,  la  ricorrente, premesse ulteriori notazioni in punto
di  conseguenze patrimoniali e risarcitorie per il lamentato danno da
demansionamento, ha concluso in via principale chiedendo ordinarsi al
Ministro  per  i beni e le attivita' culturali di ripristinarla nelle
originarie  funzioni  di  direttore  della  direzione generale per il
cinema   fino   al  31 dicembre  2006  e,  in  via  subordinata,  per
l'attribuzione  di  altro  incarico equivalente, con condanna in ogni
caso  alla corresponsione della retribuzione originariamente pattuita
ed  al  risarcimento  dei  danni  da  demansionamento,  da perdita di
chance, nonche' da lesione della reputazione personale, del prestigio
e della dignita' professionale.
    1.4. - Con comparsa di risposta depositata il 26 novembre 2003 si
sono  costituite  le amministrazioni convenute deducendo: che in sede
cautelare  ante  causam  era stata ritenuta la manifesta infondatezza
della  questione di legittimita' costituzionale; che la circolare del
dipartimento   della   funzione  pubblica  del  31  gennaio  2002  ha
enfatizzato   la   connotazione   provvedimentale   del  conferimento
dell'incarico  dirigenziale  nel  nuovo  assetto  ordinamentale della
dirigenza, marginalizzando il contratto come meramente accessivo; che
la  ratio  della  disciplina  transitoria di cui all'art. 3, comma 7,
legge n. 145/2002 risiederebbe nella finalita' di rendere applicabili
le   nuove   disposizioni  -  e  specificamente  quelle  in  tema  di
conferimento  di  incarichi  -  anche  ai  rapporti in essere; che la
ristrettezza  dei  termini  previsti  dall'art.  3,  comma  7,  legge
n. 145/2002   consentirebbe   forme   semplificate  di  comunicazione
partecipativa, come riportato nella circolare menzionata; che, sempre
sulla  scorta  della  circolare menzionata, non sussisterebbe nessuna
prelazione del dirigente cessato dall'incarico sui posti vacanti alla
data  di  entrata  in  vigore della legge, dovendo provvedersi ad una
complessiva e contestuale valutazione della tipologia degli incarichi
da  conferire;  che  alla  Rummo era stata comunicata, con nota prot.
n. 13165  del  2  ottobre  2002,  l'impossibilita'  di attribuirle un
incarico di livello retributivo equivalente al precedente per carenza
di  disponibilita'  di  idonei posti di funzione verificata all'esito
delle   altre   assegnazioni  agli  uffici  di  livello  dirigenziale
generale; che l'amministrazione sarebbe tenuta ad una valutazione dei
possibili  incarichi  da  attribuire  ai dirigenti non confermati, ex
post  successivamente cioe' alla definizione dell'assetto delle altre
assegnazioni agli uffici di livello dirigenziale; che il conferimento
dell'incarico  presupporrebbe  «da  un  lato, la valutazione da parte
dell'amministrazione   della   natura  e  delle  caratteristiche  dei
programmi   da   realizzare,   delle  attitudini  e  delle  capacita'
professionali del singolo dirigente e, dall'altro, la sussistenza del
carattere fiduciario del rapporto tra dirigente e apparato politico»;
che,   inoltre,   «il   dirigente   cessato  dall'incarico  non  puo'
sostituirsi all'apparato politico nella valutazione della tipologia e
della  natura  dell'incarico da attribuire: per tale ragione non puo'
essere  condiviso  l'assunto  della  ricorrente  in  base al quale la
medesima  sarebbe  stata  illegittimamente  pretermessa  nel  proprio
incarico a favore di altro dirigente» (il controinteressato Profita);
che,  in  definitiva,  alla  Rummo  era stato revocato l'incarico per
ragioni  strettamente  fiduciarie  e senza necessita' di motivazione,
mentre alla stessa non era stato conferito l'incarico equivalente per
la  carenza di disponibilita' di idonei posti di funzione, verificata
all'esito   delle   altre   assegnazioni   agli   uffici  di  livello
dirigenziale generale, «per una ragione, dunque, puramente oggettiva,
non  determinata da una valutazione delle capacita' e dell'esperienza
professionale»,  sicche' tra l'altro doveva ritenersi inconferente la
richiesta  della  ricorrente volta ad una valutazione comparativa del
suo  curriculum  vitae  con  quello  del Profita. Quanto alle domande
risarcitorie  l'avvocatura  ha poi dedotto che con nota prot. n. 9436
del  29 ottobre 2003 era stato conferito alla Rummo un nuovo incarico
di  studio  della  durata di un anno ai sensi dell'art. 19, comma 10,
d.lgs.   n. 165/2001,   sicche'   nella   specie   doveva   ritenersi
insussistente  il  demansionamento. Ha quindi concluso per il rigetto
del ricorso.
    1.5.  -  Con  memoria  depositata  il  20  novembre  2003  si  e'
costituito  Giovan  Crisostamo  Profita  contestando  partitamente le
deduzioni di controparte in punto di incostituzionalita' dell'art. 3,
comma  7,  legge  n. 145/2002.  Ha in ogni caso argomentato nel senso
della   sussistenza,   nella   specie,   di   pura  ed  insindacabile
discrezionalita'  legislativa  e che la ratio legis sarebbe quella di
affidare   gli   incarichi   dirigenziali  anche  sulla  base  di  un
consapevole    intuitus    personae,    volendosi    ricondurre    la
discrezionalita'  relativa  all'affidamento  degli  incarichi  ad  un
parametro  di  riferimento  rappresentato  dall'individuazione  degli
obiettivi  e  dei programmi per la cui attuazione si rende necessaria
l'attribuzione   di  ciascuna  funzione  dirigenziale,  con  connessa
garanzia   di   maggiore   economicita'   ed   efficacia   all'azione
amministrativa.  Ha  quindi sostenuto che l'incarico dirigenziale gli
era  stato  affidato  proprio  in  attuazione  di  siffatta esigenza.
Inoltre,  il  conferimento  in suo favore dell'incarico dirigenziale,
motivato    sulla    base    della    sua   provenienza   dal   mondo
dell'imprenditoria    privata,    non   avrebbe   comportato   nessun
disconoscimento  dei meriti della Rummo, meriti che comunque non sono
stati  -  ne'  dovevano  essere,  secondo  il  convenuto -  presi  in
considerazione. Concludeva per la reiezione del ricorso.
    2.  -  Appare  opportuno  ripercorrere i dati positivi oggetto di
verifica di costituzionalita'.
    2.1.  -  L'art.  3,  comma.  7, legge n. 145/2002, specificamente
censurato  da  parte  ricorrente,  dispone: «Fermo restando il numero
complessivo  degli  incarichi attribuibili, le disposizioni di cui al
presente  articolo  trovano immediata applicazione relativamente agli
incarichi  di funzione dirigenziale di livello generale e a quelli di
direttore  generale  degli  enti pubblici vigilati dallo Stato ove e'
prevista  tale  figura.  I predetti incarichi cessano il sessantesimo
giorno  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  presente  legge,
esercitando i titolari degli stessi in tale periodo esclusivamente le
attivita'  di  ordinaria  amministrazione.  Fermo  restando il numero
complessivo  degli  incarichi  attribuibili,  per  gli  incarichi  di
funzione dirigenziale di livello non generale, puo' procedersi, entro
novanta  giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge,
all'attribuzione  di  incarichi ai sensi delle disposizioni di cui al
presente articolo, secondo il criterio della rotazione degli stessi e
le  connesse  procedure previste dagli articoli 13 e 35 del contratto
collettivo  nazionale  di  lavoro  per  il  quadriennio 1998-2001 del
personale  dirigente dell'Area 1. Decorso tale termine, gli incarichi
si intendono confermati, ove nessun provvedimento sia stato adottato.
In sede di prima applicazione dell'art. 19 del decreto legislativo 30
marzo  2001,  n. 165,  come  modificato  dal  comma  1  del  presente
articolo,  ai  dirigenti  ai quali non sia riattribuito l'incarico in
precedenza  svolto  e'  conferito  un incarico di livello retributivo
equivalente al precedente. Ove cio' non sia possibile, per carenza di
disponibilita  di  idonei  posti  di  funzione  o  per la mancanza di
specifiche  qualita'  professionali,  al  dirigente  e' attribuito un
incarico  di  studio,  con il mantenimento del precedente trattamento
economico,  di  durata non superiore ad un anno. La relativa maggiore
spesa e' compensata rendendo indisponibile. ai fini del conferimento,
un numero di incarichi di funzione dirigenziale equivalente sul piano
finanziario,  tenendo conto prioritariamente dei posti vacanti presso
l'amministrazione che conferisce l'incarico».
    2.2.  - La legge n. 145/2002, considerata nel suo complesso, reca
indubbie   novita'  nella  disciplina  degli  incarichi  di  funzioni
dirigenziali  posta  dall'art.  19  d.lgs.  n. 165/2001 (gia' art. 19
d.lgs. n. 29/1993).
    In  sintesi, e per quel che qui interessa, nel previgente sistema
si  stabiliva:  le cessazioni degli incarichi dirigenziali esistenti,
da   confermarsi   entro   novanta   giorni  (secondo  la  previsione
transitoria  dell'art.  8, comma 2, d.P.R. n. 150/1999); la conferma,
revoca,  modifica  o  rinnovo  dei  piu'  alti incarichi dirigenziali
(segretari  generali  dei  ministeri  e  capi  di dipartimento) entro
novanta  giorni  dal voto di fiducia al Governo; la predeterminazione
della  durata di tutti gli incarichi dirigenziali per non meno di due
e  non  piu' di sette anni; la possibilita' di nominare esterni quali
dirigenti,  anche  generali,  nella  percentuale  del 5 per cento dei
posti di ciascuna fascia dirigenziale.
    Il  nuovo  testo dell'art. 19 d.lgs. n. 165/2001, come modificato
dall'art.  3,  legge n. 145/2002, stabilisce ora: la cessazione degli
incarichi   di   direttore   generale,   da   attribuirsi   ex  novo,
eventualmente  allo  stesso  titolare;  la  conferma  degli incarichi
dirigenziali  non  generali in atto, se non attribuiti ad altri entro
novanta  giorni; la cessazione degli incarichi di segretario generale
e  di capo dipartimento dopo novanta giorni dal voto sulla fiducia al
Governo;  la  temporaneita'  della  durata  di  tutti  gli  incarichi
dirigenziali  nel  massimo per tre anni (dirigenti generali) e cinque
(per  quelli  di  livello  non  generale), ma senza predeterminazione
della  durata  minima  (nuovo  testo  dell'art.  19,  comma 2, d.lgs.
n. 165/2001,  come  modificato dall'art. 3, comma 1, lettera b) legge
n. 145/2002); la possibilita' della nomina di esterni quali dirigenti
generali  (nel  limite  del 10 per cento dei posti) e quali dirigenti
(nel limite dell'8 per cento). Non puo' poi mancarsi di richiamare la
spinta   marginalizzazione   del  contratto  individuale  di  lavoro,
accessivo    al    provvedimento   amministrativo   di   conferimento
dell'incarico  dirigenziale  (individuante l'oggetto, gli obiettivi e
la  durata  dell'incarico),  contratto  che,  a  seguito  della legge
n. 145/2002  (art.  3, comma 1, lettera b), cit.), definisce ormai il
solo trattamento economico del dirigente.
    Cio'  posto, giova notare che entrambe le discipline prevedono un
effetto  di  sostanziale azzeramento degli incarichi dirigenziali per
la  fase  di  prima applicazione (cio' che parte ricorrente qualifica
come spoils system una tantum).
    Elemento  di  continuita'  dell'assetto  della  dirigenza  e' poi
costituito  dal  permanere,  anche  con la legge n. 145/2002, dei due
fondamentali   caratteri   della   temporaneita'  degli  incarichi  e
dell'assegnazione  degli  stessi  a  seconda  della valutazione degli
obiettivi e dei risultati raggiunti dal dirigente.
    Nondimeno,  la  differenza  significativa  tra  le due discipline
sembra  risiedere  nell'abbassamento della soglia temporale di durata
massima  degli  incarichi  dirigenziali,  nonche', soprattutto, nella
mancata   previsione  della  durata  minima  degli  incarichi  (prima
biennale  ed  ora possibile eventualmente per periodi temporali molto
limitati, inferiori all'anno; in ipotesi anche per un solo mese).
    2.3.  -  Circa  il  profilo  della  durata  massima dell'incarico
dirigenziale,  il comma 1, lettera b), dell'art. 3, legge n. 145/2002
riformula l'art. 19, comma 2, d.lgs. n. 165/2001 nei seguenti termini
testuali:   «Tutti  gli  incarichi  di  funzione  dirigenziale  nelle
amministrazioni  dello  Stato,  anche  ad  ordinamento autonomo, sono
conferiti  secondo  le  disposizioni  del  presente  articolo. Con il
provvedimento  di  conferimento  dell'incarico,  ovvero  con separato
provvedimento  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  o  del
Ministro  competente  per  gli  incarichi  di  cui  al  comma 3, sono
individuati  l'oggetto  dell'incarico  e gli obiettivi da conseguire,
con  riferimento  alle  priorita',  ai  piani e ai programmi definiti
dall'organo  di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali
modifiche  degli  stessi  che  intervengano  nel  corso del rapporto,
nonche'  la  durata  dell'incarico,  che  deve  essere correlata agli
obiettivi  prefissati  e  che,  comunque,  non puo' eccedere, per gli
incarichi  di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine
di  tre  anni e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il
termine   di   cinque   anni.  Gli  incarichi  sono  rinnovabili.  Al
provvedimento  di  conferimento  dell'incarico  accede  un  contratto
individuale   con  cui  e'  definito  il  corrispondente  trattamento
economico,  nel  rispetto  dei principi definiti dall'articolo 24. E'
sempre ammessa la risoluzione consensuale del rapporto».
    In  relazione  all'assenza  della  predeterminazione della durata
minima  dell'incarico dirigenziale un'opzione ermeneutica, in qualche
modo adeguatrice, potrebbe essere quella di ancorare la durata minima
dell'incarico  alla scadenza annuale prevista per l'adozione da parte
del  Ministro  degli atti di indirizzo politico-amministrativo di cui
all'art.  14  d.lgs.  n. 165/2001.  Una  siffatta  opzione, peraltro,
appare   fortemente   controvertibile  in  quanto  sfornita  di  basi
testuale.
    2.4. - In epoca anteriore all'emanazione della legge n. 145/2002,
il  Tribunale  amministrativo  regionale  della  Regione  Lazio,  con
ordinanza,   21  giugno  2000,  n. 676,  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 11, comma 4, lett. a), secondo
periodo,  legge  15  marzo 1997, n. 59 e degli artt. 15, comma 1, 19,
21,  23  e 24, comma 2, d.lgs. n. 29/1993, nel testo risultante dalle
modificazioni  apportate  con  i  dd.lgss. nn. 80/1998 e 387/1998, in
relazione a taluni ricorsi proposti da dirigenti generali.
    Il   giudice   amministrativo   ha   ritenuto  la  non  manifesta
infondatezza  della  questione  poiche' la normativa suddetta avrebbe
disatteso,  anche  sulla  scorta  dei  principi  fissati  dalla Corte
costituzionale  in  risalenti pronunce, quel «valore sostanziale» per
il   quale   «ai  vertici  degli  apparati  burocratici  deve  essere
assicurato  uno  status  coerente  al  dovere di imparzialita' e buon
andamento.  E  tale  non puo' ritenersi una disciplina che assoggetta
l'acquisizione  e  la  conservazione dell'incarico di direzione degli
uffici   di   livello   dirigenziale   generale,  ossia  la  naturale
destinazione  del  dirigente  di  prima fascia del ruolo unico ..., e
quindi  la sua carriera e il trattamento economico, al gradimento del
vertice  politico  dell'amministrazione. Se puo' ammettersi, infatti,
che  gia'  in  forza dell'art. 25 del d.P.R. n. 748 del 1972, ..., il
rapporto   anzidetto   presentasse   una   connotazione  parzialmente
fiduciaria,  non  di  meno,  anche a prescindere dalla eccezionalita'
delle    nomine   di   personale   non   proveniente   dalla   stessa
amministrazione, la stabilita' pressoche' assoluta, nella qualifica e
nell'incarico,  di  cui  godeva  il  dirigente  generale, era tale da
offrire  sufficiente  garanzia  circa  l'esercizio  della funzione in
condizioni  di reale indipendenza ed autonomia, al servizio esclusivo
della  Nazione. Il quadro normativo di riferimento, oggi radicalmente
mutato, sembra invece esporre l'esercizio della funzione dirigenziale
ad  un  pesante condizionamento, con grave pregiudizio dei menzionati
principi ... L'incarico, inoltre, e' caratterizzato da una intrinseca
precarieta»  in  ragione  del  conferimento  a  tempo  determinato e,
soprattutto,    della    sua    revocabilita'   per   responsabilita'
dirigenziale.
    Il  giudice  amministrativo  ha  ritenuto  poi,  per altro verso,
irragionevole  il  nuovo  regime  delle  dirigenza  in  relazione  al
fondamentale   principio  di  separazione  tra  l'indirizzo  politico
(proprio  del  Ministro)  e  la gestione amministrativa (demandata ai
dirigenti) fissato dalle riforme del 1993-1998.
    2.5.  -  La  Corte costituzionale, con ordinanza 30 gennaio 2002,
n. 11,  ha,  tra  l'altro, dichiarato la manifesta infondatezza della
suddetta questione di legittimita' costituzionale.
    L'ordinanza,  nel  confermare  una  volta di piu' la coerenza tra
c.d.  privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici e
principi  costituzionali di imparzialita' e buon andamento, chiarisce
che rientra nella discrezionalita' del legislatore disegnare l'ambito
di  estensione  della  privatizzazione  del  pubblico impiego, e cio'
anche  con  riferimento  ai dirigenti generali (per i quali non vi e'
una  garanzia costituzionale di autonomia come per i magistrati), con
il limite del rispetto dei principi di imparzialita' e buon andamento
della  pubblica  amministrazione  e  della non irragionevolezza della
disciplina   differenziata.  Prosegue  la  Corte  affermando  che  la
disciplina  del  rapporto  di  lavoro  dirigenziale, nei suoi aspetti
qualificanti  (con  particolare  riferimento  al  conferimento  degli
incarichi, assegnati tenendo conto delle attitudini e delle capacita'
professionali,  ad  alla  revoca  degli  stessi,  per responsabilita'
dirigenziale,  nonche'  alla procedimentalizzazione dell'accertamento
di tale responsabilita), «e' connotata da specifiche garanzie, mirate
a  presidiare  il  rapporto di impiego dei dirigenti generali, la cui
stabilita'    non    implica    necessariamente    anche   stabilita'
dell'incarico, che, proprio al fine di assicurare il buon andamento e
l'efficienza  dell'  amministrazione  pubblica,  puo' essere soggetto
alla verifica dell'azione svolta e dei risultati perseguiti», sicche'
«i  dirigenti generali sono quindi posti in condizione di svolgere le
loro  funzioni  nel rispetto del principio di imparzialita' e di buon
andamento   della   pubblica   amministrazione,  tanto  piu'  che  il
legislatore  delegato ...  ha  accentuato il principio di distinzione
tra  funzioni  di  indirizzo  politico-amministrativo degli organi di
governo  e  funzione  di  gestione  e  attuazione  amministrativa dei
dirigenti,  escludendo,  tra l'altro, che il Ministro possa revocare,
riformare,   riservare   o   avocare  a  se'  o  altrimenti  adottare
provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti».
    Dunque,   l'ordinanza,  nel  respingere  le  censure  mosse  alla
previgente  disciplina  degli  incarichi  dirigenziali e muovendo dai
fondamentali  canoni  di imparzialita' e buon andamento, indica nella
verifica  dell'azione svolta e dei risultati perseguiti dal dirigente
-  cui  compete  la  gestione  -  la garanzia minima a presidio di un
incarico  che ben puo' essere a termine poiche' funzionale, in ultima
analisi, ad obiettivi di efficienza.
    3.   -   Tanto   richiamato,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale deve ritenersi rilevante ove sollevata con riferimento
non   solo   all'art.  3,  comma  7,  legge  n. 145/2002  (disciplina
transitoria),  ma altresi' al comma 1, lettera b) del medesimo art. 3
(sostitutivo  del  comma  2  dell'art.  19 d.lgs. n. 165/2001), nella
parte relativa al termine di durata lell'incarico dirigenziale.
    Per  vero,  la  richiesta  avanzata  in  via  principale da parte
ricorrente (integrale eviviscenza dell'incarico originario, anche con
riferimento  alla  durata  dello stesso) potrebbe risultare all'esito
comunque  inaccoglibile  ove si ritenesse senz'altro applicabile alla
fattispecie   de  qua,  il  limite  triennale  della  durata  massima
dell'incarico,  fissato da una norma imperativa di legge sopravvenuta
al  contratto  originario  e  suscettibile, come tale, di conformarlo
anche   quanto  alla  durata.  Una  siffatta  opzione  interpretativa
parrebbe   in   effetti   parrebbe   evincersi  dalla  circolare  del
Dipartimento  della  funzione pubblica del 31 luglio 2002 (cfr. parr.
6,  12, lettera j) - sia pure con riferimento ai dirigenti di livello
non generale - e 13 della circolare).
    4.   -  Orbene,  l'art.  3,  comma  1,  lettera  b)  e  7,  legge
n. 145/2002, nel prevedere che gli incarichi di funzione dirigenziale
di  livello  generale  cessano il sessantesimo giorno dall'entrata in
vigore  della  stessa, esercitando i titolari degli incarichi cessati
ope  legis  in  tale periodo esclusivamente le attivita' di ordinaria
amministrazione, con riattribuzione solo eventuale a quei titolari di
incarichi  di  minore durata, nemmeno predeterminata nel minimo, pone
una   disciplina   che   appare   esibire   piu'  di  un  profilo  di
incostituzionalita'.
    Sembrano  infatti  non ricorrere, nella specie, i canoni generali
richiamati    dall'ord.    n. 11/2002    cit.    La    questione   di
costituzionalita'   deve   ritenersi,  pertanto,  non  manifestamente
infondata in relazione ai seguenti rilievi.
    4.1.  -  L'art.  3,  comma 1, lettera b), e 7, legge n. 145/2002,
consentendo  all'amministrazione  scelte per le quali non e' previsto
obbligo  di  motivazione,  almeno  quanto alla mancata riattribuzione
dell'incarico   dirigenziale,  apre  di  fatto  la  possibilita'  per
l'amministrazione   di   revocare   gli  incarichi  in  modo  affatto
arbitrario,  all'ipotizzabile  fine  di  redistribuirli  a  dirigenti
ritenuti piu' affidabili dal punto di vista della consonanza politica
e   loro   volta,   ulteriormente   soggetti  ad  una  condizione  di
istituzionale  debolezza indotta dal termine di scadenza triennale (o
anche  minore)  dell'incarico  dirigenziale,  termine  piu'  breve di
quello dell'ordinaria durata in carica del Governo.
    In  tal  modo,  peraltro, sembra evidenziarsi la violazione degli
artt.  97  e  98 Cost. quali norme che - nel prevedere per i pubblici
dipendenti  il  dovere di imparzialita', l'accesso di regola mediante
concorso,   la   determinazione  delle  sfere  di  competenza,  delle
attribuzioni   e   delle   responsabilita',  l'obbligo  del  servizio
esclusivo  della Nazione, il divieto per i dipendenti pubblici membri
del  Parlamento  di  conseguire  promozioni se non per anzianita', la
possibilita'  di  limitazioni  all'iscrizione  ai  partiti politici -
recano  un  complessivo  statuto del dipendente pubblico sottratto ai
condizionamenti politici.
    La stessa Corte costituzionale, del resto, proprio nel confermare
la  legittimita'  costituzionale  della  regolazione privatistica del
rapporto  di  lavoro  del  dirigente,  ha  individuato  nei  principi
costituzionali  di  imparzialita'  e  di  buon  andamento  un  limite
invalicabile,  laddove  i  detti  principi  impongono,  anche  in  un
contesto di c.d. privatizzazione del rapporto di lavoro dirigenziale,
quelle  «specifiche garanzie» circa «la verifica dell'azione svolta e
dei   risultati   perseguiti»   di   cui  all'ord.  n. 11/2002  cit.,
significativamente  ribadite  piu' di recente da Corte costituzionale
16 maggio  2002,  n. 193, per la quale, ai fini di un'interpretazione
delle  norme conforme a Costituzione, la distinzione tra attivita' di
indirizzo   politico-amministrativo   e   attivita'   gestionale  dei
dirigenti  generali  comporta,  da  un canto, un maggior rigore nella
responsabilita'   degli   stessi   e,   dall'altro,   un'esigenza  di
rafforzamento   della   posizione  dei  medesimi  dirigenti  generali
«attraverso   la   specificazione   delle  peculiari  responsabilita'
dirigenziali,    la   tipicizzazione   delle   misure   sanzionatorie
adottabili, nonche' la previsione di adeguate garanzie procedimentali
nella  valutazione  dei  risultati  e dell'osservanza delle direttive
ministeriali».   Inoltre,  sin  dalla  sent.  n. 313/1996,  la  Corte
costituzionale  ha  avuto  cura  di chiarire che «l'applicabilita' al
rapporto   di  lavoro  dei  pubblici  dipendenti  delle  disposizioni
previste  dal  codice  civile  comporta  non  gia'  che  la  pubblica
amministrazione  possa  liberamente  recedere dal rapporto stesso, ma
semplicemente  che  la  valutazione dell' idoneita' professionale del
dirigente  e' affidata a criteri e a procedure di carattere oggettivo
-   assistite   da   un'ampia   pubblicita'   e  dalla  garanzia  del
contraddittorio  -,  a  conclusione  delle quali soltanto puo' essere
esercitato il recesso».
    Le  norme  in  questione sembrano dunque violare, alla luce della
giurisprudenza costituzionale, tanto l'art. 97 che l'art. 98 Cost. in
quanto  vi  e'  il  fondato  pericolo  che  i  dirigenti  generali  -
necessariamente  sottoposti  alla  riconferma  da  parte dello stesso
vertice  politico che li ha nominati e con scarse possibilita' di una
valutazione  obiettiva  dei  risultati  della  gestione  in relazione
all'insussistenza  di un termine minimo dell'incarico - siano portati
alla   ricerca   di  un  improprio  «gradimento»  politico  piu'  che
all'imparziale  gestione  ai  fini  del buon andamento dell'attivita'
amministrativa.  In  tal  modo,  in  sostanza, i dirigenti cessano di
essere   al   servizio  della  Nazione  e  viene  meno  il  principio
costituzionale  di  imparzialita'  e di buon andamento dell'attivita'
amministrativa.
    Tale   dubbio   di   incostituzionalita'   della   norma   appare
ulteriormente     rafforzato     dalle    stesse    tesi    difensive
dell'amministrazione, la quale sembra invocare una sorta di esenzione
generale  da  qualsiasi  obbligo  - di correttezza, di buona fede, di
motivazione,  di  contraddittorio  -  per  scelte  ritenute in ultima
analisi  di  valenza  «politica»  e,  in  quanto  tali,  sottratte  a
qualsiasi  sindacato  giurisdizionale.  Al contrario, l'essenzialita'
della  valutazione  dei  risultati  -  e  del  correlato  obbligo  di
motivazione  -  ai  fini  dei successivi incarichi sembra chiaramente
individuata  dalla  Corte  costituzionale come un necessario presidio
dei principi di cui agli artt. 97 e 98 Cost.
    4.2. Dunque, le norme in esame cancellano questo presidio e, come
teste'  detto, consentono che gli incarichi siano assegnati non sulla
base  dei risultati raggiunti, ma su un'affinita' politica - definita
come  fiducia  -  fra  Ministro  e dirigente, in assenza di qualsiasi
motivazione e di altra garanzia procedimentale.
    Ora,  tale  vincolo  fiduciario appare inammissibile gia' in tesi
generale   giacche'  l'amministrazione,  imparziale  secondo  la  sua
posizione   costituzionale,   non   puo'   prestare   «adesione»   ad
orientamenti politici del Governo
    Nel  concreto,  non  sembra  dubbio che una siffatta relazione di
consonanza  tra  vertice  politico e dirigenza finisca per comportare
una  radicale  violazione  del principio di separazione tra indirizzo
politico  e  gestione  amministrativa, a suo tempo introdotto proprio
per  rafforzare  l'imparzialita'  dell'amministrazione  evitando  che
l'azione  amministrativa  corrente  potesse  essere  influenzata  dal
vertice politico: ebbene, appare affatto verosimile che il dirigente,
al fine di guadagnare la riconferma da parte del vertice politico che
l'ha nominato, tenda ad ottemperare ad ogni richiesta.
    E'  peraltro  di  tutta  evidenza  che,  in tal modo, il Ministro
consegue  di  fatto  un'impropria  potesta'  gestionale, non prevista
dalla  legge ed anzi non bilanciata dalle correlative responsabilita'
-  amministrative,  contabili  e  penali - che comunque permangono in
capo  al  dirigente  quale  titolare  formale della stessa. Cio', una
volta di piu', in violazione degli artt. 97 e 98 Cost.
    4.3.   -   La   possibilita'   di   scelte  arbitrarie  da  parte
dell'amministrazione  sembra  poter  essere, in effetti, criticamente
considerata anche in punto di eccesso di potere legislativo.
    Infatti,   se   l'amministrazione   fosse   stata   abilitata   a
riconsiderare   gli  incarichi  utilizzando  gli  ordinari  strumenti
provvedimentali o contrattuali, il dirigente avrebbe potuto avvalersi
delle  tutele  proprie  di  tali strumenti e, segnatamente, di quelle
discendenti   dal   generale   obbligo   di  motivazione  degli  atti
amministrativi.  Invece, la diversa soluzione perseguita con la legge
n. 145/2002  finisce  per  evidenziare  un  improprio  utilizzo dello
strumento  legislativo  per  conseguire  effetti  propri  di  un atto
amministrativo (appunto la revoca dell'incarico dirigenziale), con la
conseguenza    di    privare   il   lavoratore,   quale   controparte
dell'amministrazione  nel  rapporto  di  lavoro, di ogni tutela ed in
violazione degli artt. 70 e 97, comma 1 e 2, Cost.
    Tuttavia,  proprio  della  necessita' di queste tutele si e' piu'
volte  occupata  la  Corte  costituzionale,  specialmente  per quanto
riguarda  la possibilita' di recesso del datore di lavoro, circondata
di  particolari cautele, anche quando si tratta di dirigenza privata,
contro   il   licenziamento   ingiustificato  (tra  le  altre,  Corte
costituzionale, sentt. 3 aprile 1987, n. 96 e 31 gennaio 1991, n. 41)
e   l'assenza   di   forme   di  garanzia  procedimentale.  La  Corte
costituzionale  ha  in  particolare  richiamato la tutela che si deve
riconoscere  ex lege contro fatti che ledono la dignita' di uomo e di
lavoratore (per esempio, licenziamento intimato senza l'atto scritto;
licenziamenti   discriminatori;   licenziamenti   disciplinari  senza
osservanza  di  norme  che  richiedano  il riconoscimento di garanzie
procedimentali),  mettendo in rilievo altresi' che in via generale, i
contratti  collettivi di categoria prevedono la possibilita' di adire
un  collegio  arbitrale  ai  fini dell'accertamento della mancanza di
idonea   giustificazione  dell'intimato  licenziamento  (cosi'  Corte
costituzionale, 1° luglio 1992, n. 309).
    4.4.  -  La  cessazione  ex  lege  degli  incarichi  dirigenziali
parrebbe   trovare   un'immediata   e   piana  giustificazione  nella
necessita'  di applicare la nuova disciplina della dirigenza prevista
dalla  legge  n. 145/2002  contestualmente  per  tutti  gli incarichi
dirigenziali.  In  tal  senso  argomentano,  tra  l'altro,  le  parti
convenute anche richiamando talune pronunce rese in sede cautelare.
    Nondimeno,  tale  giustificazione  sembra  mal  accordarsi, da un
lato,  con  il  dato  fattuale - ma non per questo secondario - della
perdurante   insussistenza   di  validi  controlli  sull'operato  dei
dirigenti  e,  dall'altro,  con quanto piu' sopra osservato in ordine
alla  sostanziale continuita' delle linee-guida del nuovo rapporto di
lavoro   della   dirigenza,   e  cioe'  mobilita'  (in  virtu'  della
temporaneita'  delle  funzioni  e  della rotazione degli incarichi) e
responsabilita'  (mediante  individuazione  di  funzioni  proprie  di
dirigenti, il cui esercizio sia valutabile, con conseguente selezione
per  merito e non per anzianita) quali connotati che permangono anche
nella  nuova  disciplina  posta  dalla legge n. 145/2002 (come detto,
rimane,   in   particolare,  il  cardine  della  temporaneita'  degli
incarichi  dirigenziali,  sia  pure con diminuzione della loro durata
massima  e,  soprattutto,  con  l'abrogazione  della previsione sulla
durata minima).
    Sembra  allora  potersi  osservare  che la nuova disciplina della
durata  degli  incarichi  ben  poteva essere attuata, piu' che con un
integrale  spoils  system una tantum, con maggiore proporzionalita' e
ragionevolezza  (e quindi senza ingenerare dubbi di costituzionalita'
per  violazione  degli  artt.  3,  97  e  98  Cost.),  in particolare
procedendosi  alla  riduzione  della  durata  degli  incarichi  e dei
contratti  alla  nuova  durata  massima  di tre anni, o alla verifica
degli  stessi  incarichi  e contratti alla luce degli eventuali nuovi
programmi  e  obiettivi  fissati  dal vertice politico. Al contrario,
l'assenza  di  una  durata  minima  dell'incarico  dirigenziale  e la
previsione  di  cui  all'artt.  19,  comma 2, d.lgs. n. 165/2001, nel
nuovo  testo  introdotto  dall'art.  3,  comma  1,  lettera  b) legge
n. 145/2002   -  di  una  piu'  ristretta  durata  massima  non  pare
consentire,   di   fatto,  una  reale  valutazione  dell'operato  del
dirigente  il  quale,  in  assenza di criteri obiettivi, non puo' che
essere  scelto  in  virtu'  di  consonanze politiche e ritrovarsi poi
esposto  - in base alla medesima logica fiduciaria - ad un meccanismo
di reiterazione di incarichi brevi.
    Sembra  allora  evidente  il  venir meno della funzionalizzazione
della temporaneita' dell'incarico agli obiettivi di efficienza che e'
la  sola giustificazione ragionevole al nuovo assetto della dirigenza
pubblica.
    In  definitiva,  non  sembra  potersi  eludere  il  quesito della
legittimita'  di  un  siffatto  utilizzo dello strumento legislativo,
preordinato  ad  intervenire  su  rapporti  in  corso  iscritti in un
sistema  «contrattualizzato»  anche  per  i  dirigenti generali. Pare
allora  sussistere  una lesione del generale principio di affidamento
sulla  stabilita'  dei  contratti, in violazione degli artt. 2, 3, 4,
35,  36  e 97 Cost., ove il datore di lavoro pubblico possa porre nel
nulla   i  contratti  di  cui  e'  parte  mediante  la  legge,  cosi'
utilizzando  lo  strumento  legislativo  ovvero  contrattuale secondo
convenienza, mentre il lavoratore rimane privo di qualsiasi tutela.
    4.5.  -  Si e' teste' osservato che il lavoratore alle dipendenze
della  pubblica  amministrazione  sembra  non  godere  piu' ne' delle
tutele  assicurate  contro  gli  atti  amministrativi (attesa la piu'
volte  evidenziata insussistenza di ogni obbligo di motivazione), ne'
interamente  di  quelle  proprie  della  contrattazione,  visto che i
contratti possono essere posti nel nulla dalla legge, senza misure di
indennizzo o di reale compensazione.
    Infatti,  al posto dell'incarico revocato e' previsto un incarico
«equivalente»  (e  detta  equivalenza  pare  riferibile  soltanto  al
trattamento  economico)  ovvero  un  incarico di studio di durata non
superiore  ad un anno, alla fine del quale al dirigente, di fatto non
piu'   valutabile   in   relazione  al  raggiungimento  di  obiettivi
gestionali,  sembrerebbero  preclusi  ulteriori  incarichi operativi.
Tale  assetto  appare  suscettibile di configurare un demansionamento
del dirigente al quale sia stato conferito l'incarico di studio (come
lamentato   da   parte  ricorrente  che  ha  rassegnato  al  riguardo
specifiche  conclusioni  in  punto  di  conseguenze risarcitorie), in
violazione  ancora  degli artt. 1, 2, 3, 4, 35 e 36 Cost. per lesione
dei  principi, pure di rango costituzionale, della liberta' negoziale
e della personalita' professionale del lavoratore la cui compressione
puo' giustificarsi solo in base a criteri di ragionevolezza, peraltro
nella specie di ardua ricognizione.
    4.6.   -   Infine,  sempre  sotto  il  profilo  della  violazione
dell'art. 3  Cost.  non sembra potersi giustificare - pur nell'ambito
della   posizione   differenziata   dei   dirigenti  generali,  anche
all'interno  del  ruolo  unico,  evidenziata  dalla  Corte  nell'ord.
n. 11/2002  cit. - la distinzione disciplinare introdotta dalla legge
n. 145/2002  fra  ai dirigenti generali - tutti cessati dall'incarico
ex  lege  -  e  i  dirigenti,  per  i  quali si e' invece prevista la
conferma  automatica  in  caso  di mancata tempestiva rotazione degli
incarichi,  debitamente  motivata  ed  alle  condizioni  previste dal
contratto collettivo.
    Tale differenziazione non sembra ragionevole, ne' giustificata in
relazione  al  principio  di  eguaglianza,  ove  si  consideri che ai
dirigenti  (tutti)  spetta  ex  art. 4,  comma  2, d.P.R. n. 165/2001
l'adozione   degli  atti  e  dei  provvedimenti  amministrativi,  ivi
compresi   quelli   impegnativi  per  l'amministrazione,  nonche'  la
gestione  finanziaria,  tecnica  ed  amministrativa mediante autonomi
poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e
di   controllo,  con  connessa  responsabilita'  «in  via  esclusiva»
dell'attivita'   amministrativa,   della   gestione  e  dei  relativi
risultati.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata,la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma 1, lettera b) e 7,
della legge 15 luglio 2002, n. 145 in riferimento agli artt. 1, 2, 3,
4, 35, 36, 70, 97 e 98 della Costituzione;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso;
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  e al Presidente del Consiglio dei ministri e
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Roma, addi' 23 aprile 2004.
                          Il giudice: Mucci
04C0916