N. 685 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 aprile 2004
Ordinanza emessa il 22 aprile 2004 dal tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Abate Massimo Eraldo ed altri contro Ministero dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica Universita' - Facolta' di medicina - Benefici conferibili ai medici ammessi, in esecuzione di sentenze passate in giudicato di giudici amministrativi, alle scuole di specializzazione in medicina negli anni 1983-1991 - Attribuzione di un qualsiasi punteggio ai titoli di specializzazione conseguiti dai medici predetti da farsi valere nei concorsi di accesso ai profili professionali medici, cosi' come stabilito invece dal d.lgs. n. 257/1991 per i titoli conseguiti dagli specializzanti ammessi ai corsi dall'anno accademico 1991/1992 - Mancata previsione - Violazione del principio di uguaglianza - Incidenza sul diritto di difesa e sul principio del giudice naturale - Indebita interferenza sul potere giurisdizionale - Violazione del principio di tutela giurisdizionale. - Legge 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11. - Costituzione, artt. 3, 24, 25, 101, 103, primo comma, 108, comma secondo, e 113.(GU n.33 del 25-8-2004 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso introduttivo n. 9581 del 2000, proposto dal sig. Abate Massimo Eraldo ed altri (come da allegato elenco), rappresentati e difesi dagli avv. Orazio Abbamonte e Giovanni Romano, con i quali sono elettivamente domiciliati presso lo studio del primo, in Roma, via G. G. Porro n. 8; Contro il Ministero dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato; per l'annullamento a) del decreto MURST 14 febbraio 2000 pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 27 marzo 2000, con il quale sono dettate disposizioni di esecuzione in forza del mandato di cui all'art. 11 legge 19 ottobre 1999 n. 370; b) di ogni altro atto preordinato, connesso e conseguenziale comunque lesivo; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio e la memoria difensiva dell'amministrazione; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore, per la pubblica udienza del 12 gennaio 2004, il consigliere D. Lundini; Uditi, all'udienza predetta, gli avv. come da verbale di udienza; Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue; F a t t o Gli istanti premettono di essere medici specialisti in varie branche della medicina e chirurgia e di aver a suo tempo proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale Lazio lamentando che d.lgs. n. 257/1991, con il quale era stata data esecuzione alle normative comunitarie sulla formazione medica professionale, li discriminava, non tenendo conto del fatto che, essendo intervenuto in ritardo rispetto al termine imposto dalle direttive comunitarie, avrebbe dovuto considerare anche la loro posizione, dettando norme che adeguatamente colmassero il divario prodottosi nei confronti dei colleghi che, dal 1991 in poi, avrebbero goduto dei vantaggi del nuovo (e tardivo) regime. Soggiungono: che i ricorsi furono accolti dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con le sentenze ricordate nella premessa del provvedimento impugnato, sentenze passate in giudicato dopo le impugnative proposte dallo Stato italiano che con legge 19 ottobre 1999, n. 370, all'art. 11, sono state dettate disposizioni di esecuzione dei giudicati formatisi; che la citata disposizione ha anche rimesso ad un regolamento, quello impugnato, di dettare norme per l'esecuzione. Deducono quindi i seguenti motivi: 1) Violazione dell'art. 2146 (2946?) codice civile la' dove il regolamento impugnato (art. 1, 2 comma 7) fissa un termine di novanta giorni per far valere i diritti nascenti dal giudicato dalle direttive comunitarie, termine che si ribadisce per le eventuali integrazioni all'art. 2, comma terzo. Invero, sia che tali diritti derivino dalle sentenze, sia che derivino dal regime comunitario e quindi dalla legge, essi sono soggetti al termine prescrizionale, che l'amministrazione non puo' trasformare in termine decadenziale assai piu' breve. 2) Violazione del giudicato. Violazione dei diritti nascenti direttamente dall'obbligo di dare esecuzione alle direttive comunitarie ex art. 12 direttiva 82/1976 CEE. violazione dell'art. 3 Cost. Illogicita' manifesta in giudizio. Violazione dell'art. 1223 codice civile regolamento impugnato prevede che abbiano diritto a percepire la borsa di studio unicamente coloro che non abbiano svolto, nel corso del periodo di specializzazione, alcuna attivita' lavorativa (art. 1, comma 3, n. 6). La prescrizione e' illegittima in quanto: il diritto alla borsa di studio nasce dal regime comunitario che non e' stato tempestivamente eseguito, con la conseguenza che all'epoca i ricorrenti non avevano alcuna possibilita' di mantenersi agli studi se non vivendo delle loro sostanze o lavorando; la subordinazione della borsa di studio al mancato svolgimento di attivita' lavorativa determina disparita' di trattamento (rispetto a chi ha potuto mantenersi agli studi senza lavorare), manifesta ingiustizia e violazione dei principi costituzionali rubricati; il regime dettato viola anche i principi fondamentali in materia risarcitoria, dato che al piu' avrebbe potuto ridursi il risarcimento in proporzione alle entrate da lavoro. Non mai sarebbe stato consentito far discendere la decadenza di qualsiasi diritto per il solo fatto di aver sciolto anche una minima attivita' lavorativa. Ne' ha rilievo che tale contenuto regolamentare sia previsto dall'art. 11 della legge n. 370/19999, dal momento che tale norma, ponendosi in contrasto con le direttive comunitarie e con i principi fondamentali in tema dintegrita' patrimoniale, avrebbe dovuto essere disapplicata dall'amministrazione; essa poi e' in ogni caso incostituzionale per violazione degli artt. 3 e 97 Cost. 3) Violazione, sotto altro profilo dell'art. 1223 codice civile e delle direttive comunitarie. Violazione del giudicato. Incostituzionalita'. Violazione dell'art. 111 Cost. Il decreto impugnato e la legge n. 370/1999 limitano il risarcimento a 12 milioni annui. Tale somma non corrisponde a quanto (21 mil. oltre aggiornamenti) assegnava il d.lgs. n. 257/1991 a titolo di borsa di studio ai medici che hanno fruito del nuovo regime (tardivamente applicato), e non tiene conto degli aggiornamenti dovuti in considerazione del ritardo nella corresponsione. Inoltre, tale risarcimento non tiene in alcun conto gli ulteriori danni subiti dai ricorrenti, sia per minor formazione conseguita (quando cio' e' accaduto) sia per la mancata assegnazione del punteggio attribuito ai titoli di specializzazione precomunitari, che determina conseguenze pregiudizievoli sulla collocazione nel mondo del lavoro, soprattutto in quello del S.S.N.. Anche tali omissioni costituiscono altrettante forme d'incostituzionalita' e di violazione del regime comunitario, che dovranno portare all'annullamento del decreto. Infatti, benche' ormai acclarata, la violazione dei diritti nascenti dalle norme CEE non ha trovato adeguata soddisfazione nella ricostituzione delle posizioni pregiudicate, con conseguente violazione dei principi fondamentali in tema di tutela della persona e del patrimonio, e con ulteriore discriminazione dei ricorrenti rispetto ai beneficiari della nuova disciplina. L'amministrazione e' costituita in giudizio e controdeduce ex adverso, con memoria depositata il 2 aprile 2001. Alla pubblica udienza del 12 gennaio 2004 la causa e' passata in decisione. D i r i t t o 1.- I ricorrenti prospettano di essere medici specialisti destinatari delle sentenze del tribunale amministrativo regionale del Lazio, passate in giudicato, citate nelle prenesse del decreto ministeriale (oggetto d'impugnativa) 14 febbraio 2000. Si tratta sostanzialmente di medici ammessi presso le scuole universitarie di specializzazione in medicina dall'anno accademico 1983/1984 all'anno accademico 1990/1991. A suo tempo hanno impugnato i decreti di attuazione del decreto legislativo n. 257/1991 di recepimento della normativa europea in tema di formazione di medici specialisti. Il predetto decreto legislativo prevedeva, per gli specializzandi, l'espletamento di un'attivita' a tempo pieno, l'incompabilita' con ogni altra attivita' libero professionale esterna alle strutture assistenziali, e l'inibizione di ogni rapporto, anche convenzionale o precario, con il Servizio sanitario nazionale. A fronte di tali connotazioni dell'attivita' di specializzazione, tuttavia, il medesimo decreto legislativo, da un lato, stabiliva anche, che il titolo rilasciato agli specializzati avesse uno speciale valore in sede concorsuale e, dall'altro, prevedeva l'erogazione di una borsa di studio, determinata per il 1991 in lire 21.500.000 annue, a favore degli ammessi alle scuole di specializzazione e per tutta la durata del corso. Con le sentenze di accoglimento dei ricorsi all'epoca proposti dagli interessati, il giudice amministrativo ha ritenuto che il d.lgs. n. 257/1991, riservando l'applicazione del regime comunitario ai soli medici ammessi alle scuole di specializzazione a partire dal 1991/1992, si era posto in contrasto con le direttive comunitarie ed andava quindi disapplicato, mentre i decreti che ad esso avevano dato attuazione erano consentemente illegittimi. Con l'art. 11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370, sono state quindi dettate disposizioni per l'attuazione delle sentenze in questione, tra le quali la sentenza (ricomprendente un elevatissimo numero di medici interessati, come gli attuali ricorrenti, nelle controversie all'epoca instaurate) del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 601/1993, confermata dal c.d.s. con decisione della sez. IV n. 735/1994 e dalla Corte di cassazione con sentenza n. 7410/1996. Con il ricorso ora all'esame, gli istanti contestano il decreto 14 febbraio 2000 (contenenti disposizioni di attuazione dell'art. 11 della legge n. 370/1999, per la corresponsione di borse di studio agli specializzandi medici ammessi alle scuole di specializzazione negli anni 1983-1991), facendo peraltro sostanzialmente valere, sotto il dichiarato schema impugnatorio, anche profili di diritto soggettivo attinenti alle predette borse di studio, alla loro quantiticazione, e ad altri aspetti risarcitori e reintegratori prevalentemente basati sul giudicato formatosi in loro favore, su norme comunitarie (Direttiva CEE 82/1976) e su principi di carattere costituzionale. 2. - Premesso quanto sopra, e' da ritenersi anzitutto infondato il primo motivo di gravame. Il termine decadenziale di 90 gg. concesso dal d.m. 14 febbraio 2000 per la presentazione delle documentate domande di corresponsione della borsa di studio, non appare esiguo, ne' incongruo, ne' illegittimo. Il termine decadenziale in questione si e' reso in effetti necessario al fine di dare certezza all'attivita' amministrativa, per esigenze di accertamento dei requisiti e di pagamento delle borse, nonche' in relazione alla disponibilita' temporale degli stanziamenti autorizzati (1999-2001). Per altro verso, rileva il Collegio che dal giudicato riferibile agli interessati non e' scaturito il riconoscimento del diritto degli stessi al conseguimento e pagamento di una precisa borsa di studio gia' per essi quantificata, ma solo il riconoscimento della pretesa ad essere ricompresi in un (rinnovato) procedimento di accertamento a tale beneficio finalizzato. Con la previsione di tale procedimento, delle relative regole e termini (anche decadenziali) di svolgimento, il giudicato e' stato in effetti eseguito ed e' quindi inconferente il riferimento operato dagli interessati a termini di carattere prescrizionale. Non si comprende, in ogni caso, quale sia l'interesse dei ricorrenti all'annullamento del ripetuto termine, se si considera che il ricorso di cui trattasi e stato notificato 25 giugno 2000 ben prima della scadenza del termine stesso (27 giugno 2000). 3. - Con riguardo poi alla richiesta di annullamento del d.m. 14 febbraio 2000, nella parte in cui prevede, ai fini dell'attribuzione della borsa di studio, il mancato svolgimento, durante tutta la durata del corso, di alcun tipo di attivita' lavorativa, il Collegio rileva che proprio l'accertamento di tale condizione e' stato richiesto dal consiglio di Stato nella decisione di appello (Sez. IV, n. 735/23 novembre 1994; vedi anche c.d.s., IV, n. 909/1997 e n. 927/1997). Tale giudice ha espressamente disposto che le amministrazioni pubbliche soccombenti avrebbero dovuto attenersi, nella loro azione futura, alla regola contenuta nella sentenza di accoglimento dei ricorsi, e quindi avrebbero dovuto rinnovare i decreti annullati ricomprendendo nel loro campo di applicazione anche i ricorrenti «ove sia per essi dimostrata la sussistenza delle condizioni generali richieste per coloro che ai corsi erano stati ammessi in base ai DD.I I impugnati, e cioe': a) frequenza di un corso di specializzazione in base alla normativa dettata dal d.P.R. n. 162 del 1982, a decorrere dall'anno accademico 1991-92 e per l'intera durata del corso legale del ciclo di formazione; b) impegno di servizio a tempo pieno, attestato sotto la propria personale responsabilita' dal direttore della scuola di specializzazione; c) inibizione di qualsiasi attivita' libero professionale esterna». Il Consiglio di Stato ha quindi imposto l'accertamento dell'identita' dei percorsi formativi seguiti di fatto dagli specializzati con il vecchio ordinamento rispetto a quelli ammessi con il nuovo ordinamento, applicativo delle direttive comunitarie. A tali principi e regole, rivenienti inequivocabilmente dal dictum contenuto nel giudicato, si e' strettamente attenuto l'art. 11 della legge n. 370/1999 il relativo decreto esecutivo (oggetto d'impugnativa) 14 febbraio 2000. D'altro canto, i ricorrenti, nei ricorsi originati, avevano sostanzialmente denunciato l'illegittima e discriminatoria loro esclusione dal nuovo regime dei corsi di specializzazione ed avevano dunque invocato l'estensione a loro favore della relativa disciplina. Tale essendo il parametro normativo richiamato dagli istanti, coerentemente sono stati imposti, in sede di giudicato, per i ricorrenti medesimi, gli stessi requisiti richiesti dal d.lgs. n. 257/1991 (e relativi decreti applicativi) per i suoi destinatari. L'art. 11 della legge n. 370/1999, norma di esecuzione del giudicato, si e' dunque attenuto, recependola, alla regola contenuta in quest'ultimo e specificamente dettata per i ricorrenti. A fronte di tale regola, ed in assenza di riconoscimenti giurisdizionali diversi, in sede cognitoria, da quelli concretamente e definitivamente assunti per gli interessati nel giudicato stesso, gli istanti non possono ora invocare criteri interpretativi ed applicativi della normativa comunitaria e statale diversi da quelli sanciti nelle sentenze loro riferite, ed in presenza delle quali non sono piu' denunciabili, nemmeno sul piano del possibile contrasto con principi costituzionali, disparita' di trattamento, o violazioni di principi risarcitori o di direttive comunitarie. Il secondo motivo va quindi disatteso. 4. - In riferimento alle ulteriori censure circa l'importo della borsa di studio (13 milioni di lire omnicomprensivi invece dei 21.500.000 oltre aggiornamenti previsti dal d.lgs. n. 257 del 1991), rileva il Collegio - a parte quanto prospettato dalla difesa erariale (e cioe' che la legge n. 370/1999 ha individuato tale somma in relazione alla borsa di cui al d.lgs. 257/1991, in proporzione al minor impegno, circa 800 ore annuali, richiesto agli specializzandi col vecchio ordinamento, rispetto al maggior impegno, circa 1500 ore, richiesto ai nuovi specializzandi con il tempo pieno) - che comunque il predetto d.lgs. del 1991 riferiva l'importo in esso stabilito alla borsa determinata per l'anno 1991. Mentre nella specie si tratta di borse relative ad anni diversi e precedenti, per cui e' inconferente e da respingere ogni pretesa dei ricorrenti di comparazione e corrispondenza con la borsa ex d.lgs. 257/1991. Quanto ai mancati aggiornamenti della somma per ritardo di corresponsione, si tratta di doglianza che non puo' essere assecondata, dovendosi rilevare, anzitutto, che l'art. 11 della legge n. 370/1999 stabilisce il citato importo tenendo conto, tra l'altro, «del tempo trascorso». E comunque, circa il mancato riconoscimento di interessi e rivalutazione, non va dimenticato che dal giudicato cui viene data esecuzione e' scaturito il diritto dei ricorrenti alla riedizione degli atti annullati, e non il riconoscimento di un credito determinato, liquido ed esigibile. D'altro canto lo stesso obbligo di remunerazione dei corsi di specializzazione riveniente dalla normativa comunitaria, non e' ivi previsto in termini tali da consentire. L'identificazione del debitore e l'individuazione dell'importo della remunerazione stessa (cfr. c.d.s. VI, n. 6802 del 12 dicembre 2002). Per quanto attiene poi all'addotta mancata considerazione di «ulteriori danni» che sarebbero stati subiti dai ricorrenti «per la minor formazione conseguita (quando cio' e' accaduto)», si tratta di doglianza da disattendere, perche' generica, indimostrata ed anche dubitativamente espressa. 5. - Per quanto riguarda invece l'ultimo rilievo dei ricorrenti, circa la «mancata assegnazione del punteggio attribuito ai titoli di specializzazione precomunitari, che determina conseguenze pregiudizievoli sulla collocazione nel mondo del lavoro, soprattutto in quello del S.S.N., principale sbocco per il personale medico», il Collegio rileva che in effetti tale doglianza potrebbe non essere destituita di fondamento. Invero, nelle stesse sentenze cui si e' inteso dare attuazione (con l'art. 11 della legge n. 370/1999 e con il d.m. impugnato), sembra evidente il riconoscimento che i ricorrenti intendevano porre rimedio, sostanzialmente, con i loro ricorsi, alla sperequazione determinata dalla mancata attribuzione, a loro favore, non solo della borsa di studio per il periodo di frequenza del corso di specializzazione, ma anche dello speciale punteggio assegnato al termine dello stesso e da utilizzare nei concorsi di accesso alle strutture sanitarie pubbliche (vedi, al riguardo, tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 601/1993, pagg. 98 e 101; c.d.s. IV, n. 735/1994, pag. 159, 160, 162). Tale punteggio era in effetti previsto per gli specializzandi destinatari del d.lgs. n. 257/1991 (art. 4). Il giudicato formatosi a favore degli interessati deve quindi intendersi riferito anche all'eliminazione della discriminazione operata con riferimento a tale punteggio. Le direttive comunitarie, peraltro, n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE, n. 82/76/CEE e n. 93/16/CEE, non contengono disposizioni precise ed incondizionate circa il diritto degli specializzati allo specifico punteggio per il corso di specializzazione da farsi valere secondo le modalita' stabilite dal d.lgs. n. 257/1991, per cui sembra ostativo alla pretesa degli istanti (nella parte in cui essa e' riferibile a tale punteggio) il disposto dell'art. 11 della legge n. 370 del 19 ottobre 1999. Tale disposizione, infatti, nello stabilire i benefici conferibili ai medici ammessi presso le universita' alle scuole di specializzazione in medicina negli anni 1983-1991, non ha previsto l'attribuzione di un qualsiasi punteggio ai titoli di specializzazione conseguiti dai medici predetti e da farsi valere nei concorsi di accesso ai profili professionali medici, come stabilito invece dal d.lgs. n. 257/1991 per i titoli conseguiti dagli specializzandi ammessi ai corsi dall'a.a. 1991/1992. Stante quanto sopra, il ricorso in esame, anche in riferimento alla specifica pretesa di cui trattasi, dovrebbe essere respinto. Il Collegio ritiene tuttavia di poter soprassedere da una pronuncia in tale senso, ritenendo non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del citato art. 11 della legge n. 370/1999, per possibile contrasto con gli artt. 24, 25, 101, 103, primo comma, 108, secondo comma, e 113 della Costituzione, nella parte in cui detto articolo si pone in contrasto con le sentenze passate in giudicato, cui invece intende dare attuazione, in esso citate. E cio' in quanto, mentre dal giudicato formatosi su dette sentenze e' ricavabile la regola dell'attivita' di esecuzione del giudicato stesso, consistente nell'eliminazione del discriminatorio trattamento riservato (anche in riferimento, pertanto, alla mancata assegnazione del ripetuto punteggio) agli specializzati ante 1991 rispetto a quelli ex d.lgs. n. 257/1991, l'art. 11 della legge n. 370/1999 (che pure tale giudicato intenderebbe attuare) nulla dispone, per i ricorrenti, con riguardo a detto punteggio. Sotto altro profilo, poi, nemmeno potrebbe plausibilmente sostenersi (conformemente a quanto prospetta invece, nel caso in esame, la difesa erariale nella sua memoria difensiva) che il punteggio in questione e' legittimamente attribuito solo ai «nuovi specializzandi» ex d.lgs. n. 257/1991 sulla considerazione che agli stessi era vietato lo svolgimento di attivita' libero professionali o alle dipendenze del S.S.N., mentre tale divieto non vigeva per i «vecchi specializzandi», che avevano quindi la possibilita' di precostituirsi un punteggio relativamente al servizio prestato, da utilizzarsi nei concorsi. Si tratta di ricostruzione, infatti, che non potrebbe giustificare l'omessa previsione, nell'art. 11 della legge n. 370/1999, anche a favore dei ricorrenti, del punteggio di cui trattasi, una volta che tale articolo ha comunque richiesto, per i suoi destinatari, al. comma 2, lettere b) e c) il requisito dell'impegno di servizio a tempo pieno e del «mancato svolgimento per tutta la durata del corso di specializzazione di qualsiasi attivita' libero-professionale esterna, nonche' di attivita' lavorativa anche in regime di convenzione o di precarieta' con il Servizio sanitario nazionale». Son le stesse condizioni a suo tempo richieste dal d.lgs. n. 257/1991, sicche' il diverso trattamento operato dall'art. 11 della citata legge n. 370/1999 sembra porsi, ad avviso del Collegio, sotto il profilo teste' riferito, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, non essendo giustificato il deteriore trattamento riservato ai titoli conseguiti negli anni 1983-1991. 6. - La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge n. 370/1999, sotto i profili sopra indicati, e' chiaramente rilevante ai fini della decisione della controversia per cui e' causa, dato che soltanto se tale articolo fosse considerato non conforme a Costituzione, secondo quanto sopra prospettato (per mancata previsione di un punteggio per i titoli di specializzazione conseguiti, nel regime previgente a quello introdotto dal d.lgs. del 1991, dagli specializzandi medici ammessi alle scuole universitarie di specializzazione negli anni 1983-1991 e destinatari dell'art. 11 stesso), il ricorso in esame, nella parte in cui e' rivolto a rivndicare il detto punteggio, potrebbe essere accolto. 7. - Va quindi rimessa alla Corte costituzionale, sospendendo in conseguenza il presente giudizio, la questione di legittimita' costituzionale dellart. 11 della legge n. 370 del 19 ottobre 1999, con riferimento agli art. 3. 24, 25, 101, 103, primo comma, 108, secondo comma. e 113 della Costituzione, nella parte in cui non prevede alcun punteggio da far valere nei concorsi di accesso a profili professionali medici per i medici destinatari dello stesso art. 11, secondo quanto sopra specificato.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370, in relazione agli artt. 3, 24, 25, 101, 103, primo comma, 108, secondo comma, e 113 della costituzione, secondo quanto specificato in motivazione. Sospende, in conseguenza, il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, a cura della segreteria di questo tribunale. Ordina che, a cura della medesima segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio del 12 gennaio e del 22 marzo 2004. Il Presidente: Corasaniti L'estensore: Lundini 04C0928