N. 275 ORDINANZA 13 - 27 luglio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo   penale   -   Prove  -  Mezzi  di  ricerca  della  prova  -
  Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni - Esecuzione delle
  operazioni  -  Mancata previsione della immediata verifica da parte
  del  giudice,  in  sede  di  convalida  del  decreto  del  pubblico
  ministero  che  dispone le intercettazioni in via d'urgenza, ovvero
  di  prima  proroga dell'autorizzazione gia' data, della motivazione
  del  provvedimento  che  dispone  il  compimento  delle  operazioni
  mediante  impianti esterni alla procura della Repubblica - Asserita
  violazione  del  principio  del «buon governo» dell'amministrazione
  della  giustizia  nonche' del sistema delle garanzie costituzionali
  per   la  limitazione  della  liberta'  e  della  segretezza  delle
  comunicazioni  -  Richiesta  di manipolazione marcatamente creativa
  del  vigente  sistema  processuale, peraltro palesemente inadeguata
  rispetto  all'obiettivo  invocato  -  Appartenenza  della soluzione
  all'ambito di una ragionevole discrezionalita' legislativa - Limiti
  di   conferenza,   inoltre,   del  parametro  evocato  -  Manifesta
  infondatezza.
- Cod. proc. pen., art. 268, comma 3.
- Costituzione, artt. 15, secondo comma, e 97.
(GU n.30 del 4-8-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI  MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 268, comma 3,
del  codice  di  procedura  penale,  promossi  con  ordinanze  del 20
febbraio,  del  18 aprile  e  del  15 maggio  2003 dal giudice per le
indagini    preliminari    del    Tribunale   di   Reggio   Calabria,
rispettivamente iscritte ai nn. 339, 471 e 550 del registro ordinanze
2003  e  pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24,
28 e 33 - 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 aprile 2004 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con le tre ordinanze in epigrafe il giudice per le
indagini  preliminari del Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato -
in   riferimento   al   solo   art. 97   della  Costituzione,  quanto
all'ordinanza   r.o.   n. 339  del  2003;  ed  in  riferimento  anche
all'art. 15, secondo comma, della Costituzione, quanto alle ordinanze
r.o.   n. 471e   n. 550   del   2003   -  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 268,  comma 3,  del  codice  di  procedura
penale,  nella  parte  in cui non prevede che il giudice - in sede di
convalida   del   decreto  del  pubblico  ministero  che  dispone  le
intercettazioni   in   via   d'urgenza,   ovvero   di  prima  proroga
dell'autorizzazione  gia'  data  - possa verificare la conformita' ai
requisiti  legali, indicati nella stessa norma, del provvedimento del
pubblico ministero che dispone l'esecuzione delle operazioni mediante
impianti esterni alla procura della Repubblica;
        che  il  giudice  a  quo  premette,  in  punto  di fatto, che
nell'ambito  di  un  procedimento  penale  per  traffico  di sostanze
stupefacenti, nel corso del quale erano state avviate anche attivita'
di  ricerca di un latitante, il pubblico ministero aveva disposto con
decreto,   in  via  d'urgenza,  alcune  intercettazioni  telefoniche,
stabilendo  che le stesse venissero eseguite mediante apparecchiature
esterne alla procura della Repubblica;
        che  il  pubblico ministero aveva quindi chiesto la convalida
del decreto, ai sensi dell'art. 267, comma 2, cod. proc. pen;
        che,   ad  avviso  del  giudice  a  quo,  i  risultati  delle
intercettazioni  oggetto  di  convalida  sarebbero  inutilizzabili ai
sensi  degli artt. 268, comma 3, e 271, comma 1, cod. proc. pen., per
difetto  di  adeguata  motivazione  del  provvedimento  del  pubblico
ministero  che  ne  aveva  autorizzato l'esecuzione mediante impianti
extra moenia;
        che in un caso, infatti, il pubblico ministero avrebbe omesso
del  tutto  di dar conto dell'esistenza delle «eccezionali ragioni di
urgenza»  in presenza delle quali soltanto e' possibile, in base alla
norma  impugnata,  avvalersi di impianti diversi da quelli installati
nella  procura  della  Repubblica  (ordinanza  r.o. n. 339 del 2003);
mentre  negli  altri  due  casi la motivazione sul punto risulterebbe
«meramente apparente», perche' «generica e non esauriente» (ordinanze
r.o. n. 471 e n. 550 del 2003);
        che  -  sempre  ad  avviso  del  rimettente  -  non potrebbe,
d'altronde,  essere  seguito  l'orientamento  della giurisprudenza di
legittimita'  che  ammette  la  possibilita'  di  una  integrazione a
posteriori della motivazione del provvedimento in parola;
        che   tale  soluzione  potrebbe  valere,  difatti,  solo  con
riferimento  al  requisito  della  insufficienza  o inidoneita' degli
impianti  installati  presso  la procura della Repubblica - in quanto
«circostanza  di  mero  fatto»  -  ma  non  anche  con riferimento al
requisito  dell'eccezionale urgenza, che si risolve in una situazione
«suscettiva di un qualche apprezzamento discrezionale»: profilo sotto
il  quale  la  soluzione  interpretativa avversata contrasterebbe con
l'esigenza  che  tale apprezzamento formi oggetto di un provvedimento
preventivo,  suscettibile  di  controllo,  cosi' da evitare possibili
abusi  connessi  ad  interventi  «riparatori»  postumi  di  pregresse
irregolarita';
        che,  su  tali  premesse,  il  giudice  dubita  quindi  della
legittimita'  costituzionale dell'art. 268, comma 3, cod. proc. pen.,
nella  parte  in cui non prevede un immediato controllo, da parte del
giudice,  circa la congruita' della motivazione del provvedimento del
pubblico   ministero  che  dispone  il  compimento  delle  operazioni
mediante impianti esterni;
        che, allo stato, difatti, il sindacato del giudice - chiamato
ad  autorizzare  le  intercettazioni o a convalidare il provvedimento
del  pubblico  ministero che le dispone in via d'urgenza - atterrebbe
unicamente  alla  sussistenza  dei  presupposti  che  legittimano  le
intercettazioni,  e  non  anche  alle  modalita'  di esecuzione delle
operazioni;
        che   tale  «vuoto  normativo»  contrasterebbe  tuttavia  con
l'art. 97 Cost., in quanto si risolverebbe a danno del «buon governo»
dell'amministrazione  della giustizia, consentendo la prosecuzione di
un'attivita'  di  indagine  -  spesso  lunga e dispendiosa, oltre che
foriera  di  decisivi  apporti  probatori - i cui risultati sarebbero
destinati  ad  essere  dichiarati  successivamente inutilizzabili dal
giudice chiamato a valutarli a fini cautelari o di merito;
        che,  secondo  le  ordinanze  r.o.  n. 471 e n. 550 del 2003,
sarebbe  altresi'  compromesso  l'art. 15,  secondo comma, Cost., che
impone  al  legislatore  di  adottare  un  sistema di garanzie per la
limitazione della liberta' e segretezza delle comunicazioni;
        che,  infatti,  a  fronte  della  previsione  di  un adeguato
controllo  giurisdizionale  sull'effettuazione delle intercettazioni,
mancherebbe un rimedio parimenti adeguato in rapporto alle violazioni
inerenti  alle  modalita'  di esecuzione: giacche' per tutto il tempo
intercorrente   tra   l'inizio   delle   operazioni   e  la  verifica
dell'utilizzabilita'  dei relativi risultati non sarebbe riconosciuta
all'interessato  alcuna  possibilita' di ricondurre - indirettamente,
tramite   il  controllo  giurisdizionale  -  le  attivita'  in  corso
nell'alveo della legalita';
        che  tale  assetto normativo non si giustificherebbe in alcun
modo, stante l'identita' della sanzione di inutilizzabilita' prevista
dall'art. 271,  comma 1,  cod.  proc.  pen.  per  la violazione tanto
dell'art. 267  che  dell'art. 268, comma 3, cod. proc. pen.: e cio' a
dimostrazione  della  «pari dignita' garantista» sia dei requisiti di
legittimita' dei provvedimenti che dispongono le intercettazioni, sia
di quelli inerenti alle loro modalita' esecutive;
        che  -  onde  evitare  il  denunciato  vulnus  dei  parametri
costituzionali  - sarebbe necessario dunque prefigurare un intervento
del  giudice,  immediatamente successivo o piu' prossimo possibile al
provvedimento  del pubblico ministero in tema di modalita' esecutive:
intervento che andrebbe collocato, in tale ottica, o al momento della
convalida   del   decreto  che  dispone  le  intercettazioni  in  via
d'urgenza;  ovvero  -  nel  caso  di  intercettazioni preventivamente
autorizzate dal giudice - al momento della prima proroga del relativo
termine di durata;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
    Considerato  che  le  ordinanze  di rimessione sollevano analoghe
questioni,  onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti
con un'unica decisione;
        che,  per  quanto concerne l'asserita violazione dell'art. 97
Cost.,  e'  costante  giurisprudenza di questa Corte che il principio
del  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione,  pur  essendo
riferibile  anche  agli  organi dell'amministrazione della giustizia,
attiene  esclusivamente  alle  leggi  concernenti l'ordinamento degli
uffici   giudiziari   e   il   loro   funzionamento  sotto  l'aspetto
amministrativo;  mentre  e'  estraneo  all'esercizio  della  funzione
giurisdizionale,  che  nel  frangente  viene  in  rilievo  (cfr.,  ex
plurimis, ordinanze n. 225 del 2003; n. 204 e n. 408 del 2001);
        che,  riguardo al preteso contrasto della norma impugnata con
l'art. 15,  secondo  comma, Cost., il giudice a quo richiede a questa
Corte  di  introdurre,  in  via additiva, uno specifico meccanismo di
controllo   giurisdizionale   sulle  modalita'  di  esecuzione  delle
operazioni di intercettazione, in particolare per quanto attiene alla
congruita' della motivazione del provvedimento del pubblico ministero
che  autorizza  l'impiego  di  impianti  diversi da quelli installati
presso la procura della Repubblica;
        che  l'intervento  richiesto,  peraltro, non solo implica una
manipolazione   del   vigente   sistema   processuale   a   carattere
marcatamente   «creativo»,  ma  si  presenta,  altresi',  palesemente
inadeguato  rispetto  allo stesso obiettivo che il rimettente intende
raggiungere;
        che  nel  vigente  sistema  processuale,  difatti,  mentre la
decisione   circa   l'effettuazione   delle   intercettazioni  e'  di
competenza  del  giudice  -  tramite lo strumento dell'autorizzazione
preventiva o della convalida del provvedimento d'urgenza del pubblico
ministero  -  la  determinazione  delle modalita' di esecuzione delle
operazioni e' rimessa al pubblico ministero (art. 267, comma 3, primo
periodo, cod. proc. pen.);
        che,  in  quest'ottica,  il  controllo sulla congruita' della
motivazione  del  provvedimento  del  pubblico  ministero  in tema di
utilizzazione   di  impianti  esterni,  che  il  rimettente  vorrebbe
introdurre,  si rivela del tutto `eccentrico' rispetto alle linee del
sistema;
        che   in  via  di  principio,  infatti,  il  sindacato  sulla
motivazione   di   un  atto  probatorio  e'  tipicamente  devoluto  o
all'organo  dell'impugnazione, ovvero a quello destinato a fruire del
mezzo  probatorio  cui la motivazione si riferisce: funzioni, queste,
entrambe  estranee  a  quelle  che il giudice della convalida o della
proroga delle intercettazioni e' chiamato ad esercitare;
        che  in  ogni  caso,  poi,  l'ipotetica  introduzione  di  un
controllo  del  giudice  sul  provvedimento  de quo nel momento della
convalida  del decreto d'urgenza del pubblico ministero o della prima
proroga  dell'autorizzazione  gia'  concessa,  da un lato, lascerebbe
irrazionalmente `scoperta' l'ipotesi di autorizzazione preventiva del
giudice  non  seguita  da  alcuna  richiesta  di proroga (che e', nel
sistema  della  legge, l'ipotesi ordinaria); dall'altro lato - mentre
ovviamente   non   avrebbe  alcun  effetto  «sanante»  riguardo  alle
operazioni  gia'  compiute  - non terrebbe neppure conto, quanto alle
operazioni  successive,  del  fatto  che le modalita' esecutive delle
intercettazioni  possono  bene  mutare  in  itinere (almeno sul piano
teorico, nulla esclude, difatti, che una intercettazione iniziata con
impianti  interni alla procura della Repubblica venga «dirottata» dal
pubblico  ministero - con provvedimento successivo alla convalida del
giudice o alla prima proroga - su impianti esterni, e viceversa);
        che,  pertanto, il ventilato «effetto preventivo» rispetto ad
intercettazioni   inutilizzabili   -   assegnato  dal  rimettente  al
meccanismo  di  controllo  invocato  - sarebbe ipotetico, parziale ed
inappropriato;
        che,   in   realta',   l'obiettivo   del  giudice  a  quo  si
realizzerebbe     solo    ove    si    estendesse    il    meccanismo
dell'autorizzazione   preventiva   o  della  convalida  giudiziale  -
attualmente  previsto  soltanto in rapporto all'adozione del mezzo di
ricerca  della prova in questione - anche alla scelta dell'impiego di
apparecchiature  esterne:  in  sostanza,  ove anche tale scelta fosse
sottratta  al  pubblico  ministero  ed  affidata  al  giudice  per le
indagini preliminari;
        che   appare   evidente,   tuttavia,  come  la  soluzione  di
disciplinare diversamente la verifica dei presupposti di legittimita'
dell'intercettazione   rispetto  alla  verifica  dei  presupposti  di
impiego  di  apparecchiature  esterne  -  fermo  restando comunque il
controllo  giurisdizionale  a posteriori assicurato dalla sanzione di
inutilizzabilita'   -   rientra   nell'ambito   di   una  ragionevole
discrezionalita'  legislativa,  atteso  il  differente  livello degli
interventi (riguardanti l'uno l'an, l'altro il quomodo) ed il diverso
tipo di valutazioni ad essi sottesi;
        che   le   considerazioni   che   precedono   rendono  quindi
chiaramente  inaccoglibile  il  quesito,  a prescindere da ogni altra
possibile  considerazione, relativa anche ai limiti di conferenza del
parametro evocato;
        che   la   questione   deve   essere   dichiarata,  pertanto,
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 268,  comma 3,  del codice di
procedura  penale,  sollevate,  in riferimento agli artt. 15, secondo
comma,   e  97  della  Costituzione,  dal  giudice  per  le  indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Reggio  Calabria  con  le  ordinanze
indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta il 13 luglio 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 27 luglio 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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