N. 287 SENTENZA 13 - 28 luglio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Questione  di  legittimita' costituzionale - Omogeneita' di materia -
  Trattazione  separata  -  Riserva  di ulteriori decisioni per altre
  questioni proposte con il medesimo ricorso.
Ricorso  regionale  -  Impugnazione  di  disposizioni contenute nella
  legge   di   conversione   di   un  decreto-legge  -  Eccezione  di
  inammissibilita'   per   tardivita'   delle   censure   rivolte   a
  disposizioni gia' contenute nel decreto-legge - Reiezione.
Questione  di  legittimita'  costituzionale  - Questione rinviata, su
  accordo  delle  parti,  all'udienza  pubblica  del  6 luglio 2004 -
  Trattazione  congiunta,  per  connessione,  con  quella relativa ad
  altra disposizione, oggetto di separata impugnazione da parte della
  stessa  regione  e  gia'  fissata  alla suddetta udienza (ordinanza
  della Corte costituzionale del 10 giugno 2004).
- D.L.  30 settembre  2003,  n. 269,  art. 21,  comma 6,  e, in parte
  comma 7,  convertito,  con  modificazioni,  nella legge 24 novembre
  2003, n. 326.
Maternita'  ed  infanzia  -  Interventi  a  favore  della  famiglia -
  Concessione  di  un  assegno  di mille euro per ogni secondo figlio
  nato  o  adottato  fra il dicembre 2003 e il dicembre 2004, nonche'
  incremento  del  Fondo nazionale per le politiche sociali - Ricorso
  della  Regione  Emilia-Romagna - Asserita disparita' di trattamento
  per  l'esclusione  del  beneficio  per  le  famiglie  di  cittadini
  extracomunitari  regolarmente  soggiornanti  in Italia - Violazione
  non  incidente,  direttamente  o  indirettamente,  sulle competenze
  costituzionalmente  assegnate alla Regione - Inammissibilita' della
  questione.
- D.L.   30 settembre   2003,  n. 269,  art. 21,  commi  da  1  a  5,
  convertito,   con  modificazioni,  nella  legge  24 novembre  2003,
  n. 326.
- Costituzione, art. 3.
Maternita'  ed  infanzia  -  Interventi  a  favore  della  famiglia -
  Concessione  di  un  assegno  di mille euro per ogni secondo figlio
  nato  o  adottato  fra il dicembre 2003 e il dicembre 2004, nonche'
  incremento  del  Fondo nazionale per le politiche sociali - Ricorso
  della  Regione Emilia-Romagna - Asserita invasione della competenza
  regionale  «residuale» in materia di «servizi sociali» e denunciata
  incompatibilita'  con  il  sistema di finanziamento delle autonomie
  regionali   e   locali  -  Riconducibilita'  della  provvidenza  in
  questione   alla  competenza  statale  in  materia  di  «previdenza
  sociale» - Non fondatezza della questione.
- D.L.  30 settembre  2003,  n. 269,  art. 21,  commi da 1 a 5, e, in
  parte,   comma 7,   convertito,   con  modificazioni,  nella  legge
  24 novembre 2003, n. 326.
- Costituzione, artt. 117 e 119.
(GU n.30 del 4-8-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:   Valerio   ONIDA,   Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,
Francesco   AMIRANTE,   Ugo   DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo
MADDALENA, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel   giudizio   di   legittimita'  costituzionale  dell'art. 21  del
decreto-legge  30 settembre  2003,  n. 269  (Disposizioni urgenti per
favorire  lo  sviluppo  e  per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici),  convertito,  con  modificazioni,  nella legge 24 novembre
2003,  n. 326,  promosso  con  ricorso  della Regione Emilia-Romagna,
notificato  il  23 gennaio  2004,  depositato  in  cancelleria  il 29
successivo ed iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2004.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito   nell'udienza   pubblica  dell'8  giugno 2004  il  giudice
relatore Alfonso Quaranta;
    Uditi    l'avvocato    Giandomenico   Falcon   per   la   Regione
Emilia-Romagna   e  l'avvocato  dello  Stato  Franco  Favara  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Con ricorso notificato il 23 gennaio 2004, depositato nella
cancelleria   della  Corte  il  successivo  29  gennaio,  la  Regione
Emilia-Romagna  ha  proposto questione di legittimita' costituzionale
in  via  principale,  in riferimento agli articoli 3, 117 e 119 della
Costituzione, di numerose disposizioni del decreto-legge 30 settembre
2003,  n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la
correzione   dell'andamento  dei  conti  pubblici),  convertito,  con
modificazioni,  nella  legge 24 novembre 2003, n. 326, e, tra queste,
dell'art. 21  (Assegno per ogni secondo figlio e incremento del Fondo
nazionale per le politiche sociali). Tale articolo e' censurato nella
parte in cui prevede la concessione di un assegno, una tantum, per la
nascita  del  secondo  o ulteriore figlio e per ogni figlio adottato,
nonche'  l'incremento  del  Fondo nazionale per le politiche sociali,
per il finanziamento delle politiche in favore delle famiglie.
    2.  -  L'art. 21  stabilisce,  al  comma 1,  l'attribuzione di un
assegno  pari a Euro 1.000 «per ogni figlio nato dal 1° dicembre 2003
e  fino  al  31 dicembre  2004,  secondo  od  ulteriore per ordine di
nascita,  e, comunque, per ogni figlio adottato nel medesimo periodo,
alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie».
    Per  tali  finalita', l'art. 21, comma 2, istituisce una speciale
gestione,   nell'ambito  dell'INPS,  con  una  dotazione  finanziaria
complessiva di 308 milioni di euro.
    L'assegno  -  secondo  quanto previsto dai successivi commi 3 e 4
del  medesimo  articolo  -  e'  concesso  dai  comuni  ed  e' erogato
dall'INPS;  l'adozione delle necessarie disposizioni di attuazione e'
rimessa,   dal   comma 5,  a  uno  o  piu'  decreti  «di  natura  non
regolamentare».
    L'art. 21,  comma 6,  prevede  che  «per  il  finanziamento delle
politiche  in  favore  delle  famiglie  il  Fondo  nazionale  per  le
politiche  sociali  di  cui  all'articolo 59,  comma 44,  della legge
27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, e' incrementato
di 232 milioni di euro per l'anno 2004».
    I  commi 6-bis  e  6-ter  dell'art. 21,  aggiunti  dalla legge di
conversione   n. 326   del  2003,  dettano  disposizioni  in  materia
tributaria  e  previdenziale,  e  rispetto  agli  stessi  la  Regione
Emilia-Romagna non ha sollevato alcuna censura.
    L'art. 21, comma 7, stabilisce, infine, le modalita' di copertura
della spesa prevista per l'erogazione dell'assegno e per l'incremento
del  Fondo;  nell'illustrarne  il contenuto, la Regione ha richiamato
l'art. 3,   comma 116,   della   legge   24 dicembre   2003,   n. 350
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello   Stato  -  Legge  finanziaria  2004)  -  con  cui  sono  stati
specificati  gli  interventi  per  i  quali il Fondo nazionale per le
politiche  sociali  puo'  essere  utilizzato  nell'anno 2004  - ed ha
affermato  che  detta  norma  avrebbe  costituito oggetto di autonoma
impugnazione.
    3.  -  Nel  ricorso  si  osserva come gli interventi in questione
rientrino  nella  «materia  servizi sociali» - secondo la definizione
gia'  contenuta  nell'art. 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato
alle  regioni  ed  agli  enti  locali, in attuazione del capo I della
legge  15 marzo  1997, n. 59), richiamata dall'art. 1, comma 2, della
legge  8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del
sistema  integrato  di  interventi  e servizi sociali) - ed attengano
alla  programmazione  dell'assistenza alla famiglia, essendo, quindi,
coessenziali alla politica sociale.
    La   Regione   denuncia,   pertanto,  che,  con  le  disposizioni
impugnate,   lo  Stato  non  solo  decide  unilateralmente  in  quale
direzione svolgere l'intervento pubblico in materia di sostegno della
famiglia,  ma  istituisce, incrementa e disciplina un Fondo apposito,
che  continua a gestire liberamente, selezionando le linee di impiego
e la relativa qualificazione della spesa.
    4.    -    Le    disposizioni    censurate   sarebbero,   quindi,
incostituzionali  per  contrasto  con gli articoli 3, 117 e 119 della
Costituzione.
    5.  -  Esse, nel disciplinare l'assegno de quo, oltre a ledere il
principio  di  uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, in
ragione,  sia  dell'esclusione  dalle  provvidenze delle famiglie dei
cittadini  extracomunitari  regolarmente  soggiornanti in Italia, sia
dell'attribuzione   indistinta  dell'assegno,  esulerebbero,  secondo
quanto  previsto  dall'art. 117 della Costituzione, dall'ambito della
potesta' legislativa statale; violerebbero, pertanto, le attribuzioni
legislative  regionali  nella materia «servizi sociali», in cui vanno
ricompresi  sia  gli  interventi  a  sostegno della famiglia, sia gli
interventi sostenuti dal Fondo per le politiche sociali.
    6. - La ricorrente afferma, peraltro, come non si sia in presenza
di  interessi  che possano giustificare l'attrazione della competenza
legislativa  ad  un  diverso  livello, anche in nome del principio di
sussidiarieta'  e  adeguatezza; nel richiamare la sentenza n. 370 del
2003, deduce, quindi, come le disposizioni in esame non siano neppure
riconducibili alla potesta' legislativa che lo Stato puo' esercitare,
in  via esclusiva, per la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su  tutto  il  territorio  nazionale,  per la mancanza dei
necessari requisiti sostanziali e formali.
    Rileva,  altresi',  come la norma impugnata non preveda procedure
di   coinvolgimento   delle   Regioni   nella   programmazione  degli
interventi, come sarebbe, invece, necessario nel caso in cui lo Stato
intervenga,  in  materie  di  competenza  regionale,  in virtu' della
tutela di «esigenze unitarie» (sentenze n. 6 del 2004, n. 303 e n. 88
del   2003),   o   quando   ci   si  trovi  di  fronte  a  competenze
necessariamente  e  inestricabilmente  connesse  (sentenze n. 308 del
2003  e n. 422 del 2002). Una programmazione degli interventi fondata
sulle  competenze  delle  Regioni  e  delle  autonomie locali avrebbe
assicurato   la   chiarezza   e  la  ragionevolezza  dell'intervento,
escludendo  una  possibile  diversificazione  nell'applicazione della
normativa,  in  ragione della diversa efficienza e organizzazione dei
singoli comuni.
    7.  -  Inoltre  la ricorrente, richiamando la sentenza n. 370 del
2003,  ritiene che le disposizioni impugnate violino anche l'art. 119
della Costituzione.
    Le  censure  sono  rivolte,  in  particolare,  nei  confronti del
disposto  incremento  del  Fondo  per  le  politiche  sociali  e  nei
confronti del Fondo stesso.
    I   meccanismi   finanziari   in   questione,  speciale  gestione
nell'ambito  dell'INPS,  con  una  propria  dotazione  finanziaria, e
incremento  di  un  Fondo statale a destinazione vincolata, in quanto
previsti  nell'ambito  di materie e funzioni la cui disciplina spetta
alla   legge   regionale,   sarebbero   contrari  a  quanto  previsto
dall'art. 119   della   Costituzione,  come  sostituito  dalla  legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3  (Modifiche al titolo V della
parte  seconda della Costituzione) per il finanziamento delle normali
funzioni di Regioni ed enti locali.
    Neppure  potrebbe essere invocata, ad avviso della ricorrente, la
perdurante  inattuazione  dell'art. 119 della Costituzione, in quanto
lo  Stato puo' e deve fin d'ora agire in conformita' al nuovo riparto
di  competenze  e  alle nuove regole disponendo i trasferimenti senza
vincoli  di  destinazione,  o,  se  del  caso, passando attraverso il
filtro  dei  programmi  regionali,  coinvolgendo  dunque  le  Regioni
interessate  nei  processi  decisionali  concernenti  il riparto e la
destinazione  dei  fondi  e rispettando altresi' l'autonomia di spesa
degli enti locali (sentenza n. 16 del 2004).
    8.  -  Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che il ricorso sia respinto.
    L'Avvocatura   rileva  come  poco  chiaro  appaia  l'oggetto  del
ricorso.   La   difesa  erariale,  in  particolare,  afferma  che  le
disposizioni  introdotte  dall'art. 21, commi da 1 a 5 (e di riflesso
il   comma 7),   perseguono   direttamente   finalita'   di  politica
demografica  -  al  fine  di  accrescere  il  numero  delle nascite e
contrastare  l'invecchiamento  della  popolazione  italiana  -  senza
passare attraverso la prestazione di «servizi sociali».
    La  difesa  dello  Stato  ha inoltre depositato, in data 4 maggio
2004, una relazione dell'Ufficio legislativo del Ministero del lavoro
e  delle  politiche  sociali  sugli  interventi  effettuati dal Fondo
nazionale per le politiche sociali negli anni dal 1998 al 2003, sulle
risorse  finanziarie  amministrate  in  tali  anni e sui programmi ai
quali  veniva  dedicato  lo  stanziamento,  di  232  milioni di euro,
previsto dall'art. 21, comma 6, oggetto di impugnazione.
    9.  -  In  prossimita' dell'udienza di discussione le parti hanno
presentato memorie difensive.
    In  particolare  l'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito la
tardivita'  del  ricorso  rispetto  alla  data  di  pubblicazione del
decreto-legge,  ancorche'  esso  sia  tempestivo  nei confronti della
relativa  legge  di  conversione.  Nel  merito, la difesa erariale ha
dedotto la infondatezza della impugnazione.
    Dal  canto  suo  la  difesa  della  Regione, dopo aver contestato
l'eccezione   preliminare   di   intempestivita'   del   ricorso  con
riferimento  alla  giurisprudenza  di  questa Corte, ha ulteriormente
illustrato  le  ragioni  prospettate a favore dell'accoglimento della
questione.
    10.   -   All'udienza  pubblica  le  parti  hanno  illustrato  le
rispettive ragioni difensive.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Regione  Emilia-Romagna,  nel  sollevare  questione di
legittimita'    costituzionale    di    numerose   disposizioni   del
decreto-legge  30 settembre  2003,  n. 269  (Disposizioni urgenti per
favorire  lo  sviluppo  e  per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici),  convertito,  con  modificazioni,  nella legge 24 novembre
2003, n. 326, impugna, tra l'altro, l'art. 21 di tale decreto-legge.
    Le   censure  mosse  dalla  Regione  Emilia-Romagna,  per  quanto
formalmente riferite all'intero art. 21, devono ritenersi limitate ai
commi  da  1 a 6 e 7, che prevedono la concessione di un assegno, una
tantum,  per  la  nascita  del secondo o ulteriore figlio, e per ogni
figlio adottato, e l'incremento, per l'anno 2004, del Fondo nazionale
per  le  politiche  sociali,  nonche' le modalita' di copertura delle
rispettive   voci  di  spesa.  Del  tutto  estranee  all'impugnazione
proposta  sono  le  disposizioni  contenute  nei commi 6-bis e 6-ter,
aggiunti  all'art. 21  dalla  citata legge di conversione, atteso che
nei loro confronti la ricorrente non ha formulato alcuna censura.
    2.  - Per ragioni di omogeneita' di materia, la trattazione della
questione  di  legittimita'  costituzionale  indicata  viene separata
dalle  altre,  sollevate  con  il  medesimo  ricorso,  che formeranno
oggetto di distinte decisioni.
    3.  -  In  via  preliminare  deve  essere  disattesa  l'eccezione
sollevata   dalla   difesa   dello  Stato,  in  ordine  alla  dedotta
intempestivita'  del  ricorso, per avvenuta decorrenza del termine di
impugnazione del decreto-legge, ancorche' il ricorso stesso sia stato
proposto tempestivamente nei confronti della legge di conversione.
    Come  la  giurisprudenza  della  Corte, a questo proposito, ha da
tempo  precisato,  «la Regione che ritenga lese le proprie competenze
da   un   provvedimento   intrinsecamente   precario,   quale  e'  il
decreto-legge,  puo'  sollevare la relativa questione di legittimita'
costituzionale avverso il decreto stesso, con effetto estensivo delle
censure  in caso di conversione in legge, oppure riservare la propria
impugnazione  a  dopo  l'entrata  in  vigore  di  questa,  che  rende
permanente  e  definitiva  la normativa solo provvisoriamente dettata
col    decreto-legge,    perpetuando    gli    eventuali    vizi   di
costituzionalita'  dello  stesso e cosi' rinnovando la lesione da cui
nasce  l'interesse a ricorrere della Regione (...). Basti considerare
che  soltanto a partire da tale momento il quadro normativo assume un
connotato  di  stabilita'  e  l'iniziativa  d'investire  la Corte non
rischia   di  essere  vanificata  dall'eventualita'  di  una  mancata
conversione» (sentenza n. 25 del 1996).
    Nella  specie,  il ricorso e' stato tempestivamente depositato il
29 gennaio   2004,  a  fronte  della  pubblicazione  della  legge  di
conversione  n. 326 del 2003 nella Gazzetta Ufficiale del 25 novembre
2003, n. 274. L'eccezione va, pertanto, disattesa.
    4.  - Nel merito, una prima censura investe l'art. 21, commi da 1
a 5 e, parzialmente, 7, del decreto-legge n. 269 del 2003.
    Il  comma 1 dispone che per ogni figlio nato dal 1° dicembre 2003
e  fino  al  31 dicembre  2004,  secondo  od  ulteriore per ordine di
nascita,  e, comunque, per ogni figlio adottato nel medesimo periodo,
alle  donne  residenti, cittadine italiane o comunitarie, e' concesso
un assegno pari ad Euro 1.000.
    Il  comma 2  dello  stesso  articolo  prevede  che  per  la sopra
indicata  finalita' e' istituita, nell'ambito dell'INPS, una speciale
gestione  con una dotazione finanziaria complessiva di 308 milioni di
euro.
    Il  comma 3  stabilisce  che  l'assegno e' concesso dai comuni, i
quali  devono  informare gli interessati invitandoli a certificare il
possesso  dei  requisiti  all'atto  dell'iscrizione  all'anagrafe dei
nuovi nati.
    Il  comma 4  precisa che l'assegno, ferma restando la titolarita'
in  capo ai comuni, e' erogato dall'INPS, sulla base dei dati forniti
dai  comuni  medesimi,  secondo modalita' da definire nell'ambito dei
decreti di cui al successivo comma 5.
    Il  comma 5,  a  sua volta, dispone che con uno o piu' decreti di
natura  non  regolamentare  del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali,  di  concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
sono  emanate  le  necessarie  disposizioni  per l'attuazione di tale
nuova normativa.
    Il comma 7, infine, prevede la relativa copertura finanziaria.
    5.  -  Quanto alla questione relativa al comma 6 e, parzialmente,
al   successivo   comma 7  dell'impugnato  art. 21,  la  stessa,  con
ordinanza  di  questa Corte del 10 giugno 2004, e' stata rinviata, su
accordo  delle  parti,  all'udienza  pubblica  del 6 luglio 2004, per
essere  trattata congiuntamente, per connessione, con quella relativa
ai  commi 116  e 117 dell'art. 3 della legge 27 dicembre 2003, n. 350
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello   Stato   -   Legge  finanziaria  2004),  oggetto  di  separata
impugnazione  proposta  dalla  medesima  Regione, e gia' fissata alla
suddetta udienza.
    6.  -  La  ricorrente  censura,  innanzi  tutto, i commi da 1 a 5
dell'art. 21  del  decreto-legge  n. 269  del  2003,  riguardanti  la
concessione   dell'assegno   per   il  secondo  o  ulteriore  figlio,
denunciandone  il  contrasto  con  l'art. 3  della  Costituzione.  Le
disposizioni  in questione, secondo la ricorrente, darebbero luogo ad
una  ingiustificata disparita' di trattamento, rilevante agli effetti
dell'invocato   parametro   costituzionale,  sia  per  l'attribuzione
dell'assegno  de  quo alle sole donne residenti, cittadine italiane o
comunitarie,  e non anche alle «famiglie di cittadini extracomunitari
regolarmente  soggiornanti  in  Italia», sia per la concessione dello
stesso  indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali delle
destinatarie.
    7. - La questione e' inammissibile.
    Come  questa  Corte  ha  affermato  con  giurisprudenza  costante
(sentenze  n. 4  del  2004,  n. 274  del  2003 e n. 373 del 1997), le
Regioni   sono  legittimate  a  denunciare  la  violazione  di  norme
costituzionali,  non  relative al riparto di competenze con lo Stato,
solo quando tale violazione comporti un'incisione diretta o indiretta
delle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse. E
poiche' la censura in esame e' estranea a tale riparto di competenze,
la relativa questione deve essere dichiarata inammissibile.
    8.  - Un secondo profilo di censura investe l'art. 21, commi da 1
a  5  e,  parzialmente,  comma 7,  del decreto-legge n. 269 del 2003,
nella  parte  in  cui  i  citati  commi  prevedono  e disciplinano la
concessione   del  suindicato  assegno  e  fissano  le  modalita'  di
copertura della relativa spesa.
    La  ricorrente ritiene che tale disposizione sia in contrasto con
l'art. 117   della  Costituzione,  in  quanto  interverrebbe  in  una
materia, quella dei servizi sociali, affidata alla potesta' residuale
delle  Regioni,  nonche' con l'art. 119 della Costituzione, in quanto
per il finanziamento delle normali funzioni di Regioni ed enti locali
lo   Stato  puo'  erogare  solo  fondi  senza  vincoli  specifici  di
destinazione.
    La questione non e' fondata.
    La  censura  prospettata dalla Regione si basa sulla riconduzione
della  provvidenza in questione nell'ambito della materia dei servizi
sociali.  E  poiche'  tale  materia  non sarebbe ricompresa in quelle
riservate   dall'articolo 117,   secondo   e   terzo   comma,   della
Costituzione,  alla  competenza legislativa esclusiva dello Stato, la
stessa  rientrerebbe  nella  competenza  residuale  delle Regioni, ai
sensi del quarto comma del medesimo articolo.
    9. - Occorre, pertanto, stabilire se la misura economica in esame
attenga  -  cosi'  come ritenuto dalla ricorrente - «all'assistenza e
alla famiglia» e dunque alla materia dei servizi sociali.
    10.  - Al fine di pervenire ad una delimitazione della nozione di
«servizi sociali» e' necessario fare riferimento, innanzi tutto, alla
legge  8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del
sistema  integrato  di  interventi  e  servizi  sociali),  la  quale,
all'art. 1,  comma 1,  nel fissare i principi generali e la finalita'
della  legge, ha affermato che «la Repubblica assicura alle persone e
alle  famiglie  un sistema integrato di interventi e servizi sociali,
promuove  interventi  per  garantire  la  qualita'  della  vita, pari
opportunita',   non   discriminazione   e  diritti  di  cittadinanza,
previene, elimina o riduce le condizioni di disabilita', di bisogno e
di  disagio  individuale  e  familiare, derivanti da inadeguatezza di
reddito,  difficolta'  sociali  e  condizioni  di  non  autonomia, in
coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione».
    Il  comma 2  del  medesimo  articolo  dispone,  inoltre,  che per
«interventi  e  servizi  sociali  si  intendono  tutte  le  attivita'
previste  dall'articolo 128  del  decreto  legislativo 31 marzo 1998,
n. 112»  (Conferimento  di  funzioni  e  compiti amministrativi dello
Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della
legge 15 marzo 1997, n. 59).
    Il  richiamato decreto legislativo n. 112 del 1998, agli artt. da
128 a 134, disciplina le funzioni e i compiti amministrativi relativi
alla   materia  dei  servizi  sociali.  In  particolare,  il  comma 2
dell'art. 128  dispone  che  con  tale  nozione si intendono tutte le
attivita'  relative  alla  predisposizione  ed erogazione di servizi,
gratuiti  e  a  pagamento,  o  di  prestazioni economiche destinate a
rimuovere e superare le situazioni di bisogno o di difficolta' che la
persona  umana  incontra  nel  corso della sua vita, escluse soltanto
quelle  assicurate  dal  sistema previdenziale e da quello sanitario,
nonche' quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.
    11.  -  Va, infine, osservato che, analogamente ad altre Regioni,
la  stessa  Regione  Emilia-Romagna, con la legge 12 marzo 2003, n. 2
(Norme  per  la  promozione  della  cittadinanza  sociale  e  per  la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali),
all'art. 1, comma 2, ha previsto che «gli interventi ed i servizi del
sistema  integrato di interventi e servizi sociali (...) sono volti a
garantire  pari  opportunita'  e  diritti  di cittadinanza sociale, a
prevenire,  rimuovere o ridurre le condizioni di bisogno e di disagio
individuale e familiare derivanti da limitazioni personali e sociali,
da condizioni di non autosufficienza, da difficolta' economiche».
    12.  -  Le  disposizioni  contenute nei provvedimenti legislativi
sopra  richiamati  evidenziano  la sussistenza di un nesso funzionale
tra  i  servizi  sociali, quali che siano i settori di intervento (ad
esempio  famiglia,  minori,  anziani,  disabili), e la rimozione o il
superamento  di  situazioni  di  svantaggio  o  di  bisogno,  per  la
promozione del benessere fisico e psichico della persona.
    13.   -   Orbene,   tenuto   conto   delle   caratteristiche  che
contraddistinguono  la  provvidenza  in  questione, che e' disposta a
favore  delle  donne,  cittadine italiane o comunitarie, residenti in
Italia  - in relazione alla nascita del secondo o ulteriore figlio, o
all'adozione  di  un  figlio  -  senza  che assumano alcun rilievo la
condizione  soggettiva  e  la  sussistenza  di situazioni di bisogno,
disagio   o  semplice  difficolta',  deve  senz'altro  escludersi  la
appartenenza   di   detta  provvidenza  al  genus  delle  prestazioni
ricadenti nell'ambito dei servizi sociali.
    14.  -  Si  tratta,  infatti,  di  una provvidenza temporanea, di
carattere  indennitario, che costituisce espressione di quella tutela
previdenziale  della  maternita'  riconosciuta  alla  donna in quanto
tale,  in  ragione  degli  articoli 31,  secondo  comma,  e  37 della
Costituzione, a prescindere da ogni situazione di bisogno, di disagio
o  di  difficolta'  economiche, e non soltanto in quanto collegata ad
una  attivita'  di lavoro subordinato o autonomo (sentenze n. 197 del
2002 e n. 405 del 2001).
    Sotto  tale  aspetto,  la  provvidenza  in  questione e', quindi,
riconducibile,  in  senso lato, alla competenza statale in materia di
«previdenza  sociale»,  in  base  a  quanto  stabilito dall'art. 117,
secondo comma, lettera o), della Costituzione.
    15. - In conclusione, pertanto, il ricorso proposto dalla Regione
Emilia-Romagna, in relazione ai profili trattati, e' infondato.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riservata  a  separate  pronunce  la decisione delle questioni di
legittimita'   costituzionale,   proposte  dalla  ricorrente  Regione
Emilia-Romagna, nei confronti di altre disposizioni del decreto-legge
30 settembre  2003,  n. 269  (Disposizioni  urgenti  per  favorire lo
sviluppo  e  per  la  correzione  dell'andamento dei conti pubblici),
convertito,  con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326,
qui non espressamente esaminate;
    Riservata  ogni  decisione  sulla questione relativa all'art. 21,
comma 6  e,  in  parte, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2003,
n. 269,  convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003,
n. 326,   sollevata  dalla  Regione  Emilia-Romagna  con  il  ricorso
indicato in epigrafe;
    1) Dichiara    inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale   dell'art. 21,   commi   da   1  a  5,  del  medesimo
decreto-legge    30 settembre    2003,    n. 269,   convertito,   con
modificazioni,  nella  legge  24 novembre 2003, n. 326, sollevata, in
riferimento    all'art. 3    della    Costituzione,   dalla   Regione
Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;
    2) Dichiara    non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  del  gia'  menzionato  art. 21, commi da 1 a 5, e, in
parte,   comma 7,   del   decreto-legge  30 settembre  2003,  n. 269,
convertito,  con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326,
sollevata,  in  riferimento  agli artt. 117 e 119 della Costituzione,
dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                       Il redattore: Quaranta
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 28 luglio 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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