N. 298 SENTENZA 27 - 29 settembre 2004

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Conflitto tra poteri dello Stato - Proposizione da parte di autorita'
  giudiziaria  -  Atto  introduttivo  -  Ordinanza anziche' ricorso -
  Eccezione   di  irricevibilita'  -  Sussistenza  dei  requisiti  di
  sostanza del ricorso - Infondatezza dell'eccezione.
- Costituzione, art. 68, primo comma.
Parlamento - Immunita' parlamentare - Procedimento penale a carico di
  deputati  per dichiarazioni rese nel corso di una conferenza stampa
  indetta  a seguito della mancata partecipazione del gruppo politico
  di  appartenenza  ad  un  convegno  organizzato  dalla  Commissione
  parlamentare  antimafia  -  Deliberazione di insindacabilita' della
  Camera  dei deputati - Ricorso del Giudice dell'udienza preliminare
  del  Tribunale  di  Roma,  per conflitto di attribuzione tra poteri
  dello  Stato - Esistenza del nesso funzionale tra opinioni espresse
  ed  attivita'  non  genericamente  politica  bensi'  parlamentare -
  Spettanza  alla  Camera  dei  deputati  del potere di dichiarare la
  insindacabilita'.
- Deliberazione  della  Camera  dei  deputati  del 7 marzo 2000 (doc.
  IV-quater n. 112).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.39 del 6-10-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Carlo MEZZANOTTE;
  Giudici:   Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,
Francesco   AMIRANTE,   Ugo   DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo
MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
7 marzo  2000  relativa alla insindacabilita', ai sensi dell'art. 68,
primo  comma,  della  Costituzione,  delle  opinioni  espresse  dagli
onorevoli  Filippo  Mancuso  e Tiziana Maiolo nei confronti del dott.
Gian  Carlo  Caselli,  promosso  con ricorso del giudice dell'udienza
preliminare  del  Tribunale  di Roma, notificato il 30 novembre 2000,
depositato in cancelleria il 6 dicembre 2000 ed iscritto al n. 57 del
registro conflitti 2000.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  22  giugno 2004  il  giudice
relatore Francesco Amirante;
    Udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  del  2  giugno 2000  (depositato  presso  la
cancelleria  di  questa  Corte  il  successivo  12 luglio) il giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma ha sollevato conflitto
di  attribuzione  avverso  la  delibera  della  Camera dei deputati -
adottata  dall'Assemblea  in data 7 marzo 2000 con separate votazioni
(doc.  IV-quater  n. 112)  - con la quale si e' stabilito che i fatti
per  i  quali  e'  in  corso  procedimento  penale  per  il  reato di
diffamazione  a  carico dei deputati Filippo Mancuso e Tiziana Maiolo
concernono   opinioni   espresse   da   un   membro   del  Parlamento
nell'esercizio   delle   sue  funzioni,  ai  sensi  del  primo  comma
dell'art. 68 della Costituzione.
    Premette  in  punto di fatto il ricorrente che, a seguito di atto
di querela presentato il 17 luglio 1998 dal dott. Gian Carlo Caselli,
all'epoca   Procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di
Palermo, ha avuto inizio un procedimento penale a carico dei deputati
Filippo Mancuso e Tiziana Maiolo (oltre che del senatore Centaro) per
il delitto di cui sopra.
    In  particolare,  l'onorevole Mancuso e' accusato di diffamazione
in  conseguenza  di  una  serie di dichiarazioni rese nel corso della
conferenza  stampa  del  9 luglio  1998, indetta dal partito politico
«Forza  Italia»,  del  seguente tenore: «Con un sistematico autore di
insulti  al Parlamento e a Forza Italia, come Gian Carlo Caselli, noi
non  sediamo  nemmeno in un convegno scientifico..; autore di insulti
al  Parlamento  e' un soggetto politico a tutti gli effetti che pero'
con  la  tecnica  del  manifesto non vuole essere oggetto di critica»
(cosi'  riportato dall'agenzia ADNKRONOS); «Quel personaggio che fino
a  ieri  ha  rivolto insulti al Parlamento, si comporta come soggetto
politico  a  tutti  gli  effetti,  illegittimo  perche'  il suo ruolo
pubblico  non  e' politico, questo personaggio e' Gian Carlo Caselli»
(cosi'  riportato  dall'agenzia AGI); «Accanto a personaggi di questo
tipo,  che sfruttano il potere di cattura che hanno e ai quali non si
puo' replicare senza rischiare il reato di oltraggio ... io non posso
neanche sedere accanto» (cosi' riportato dall'agenzia ANSA).
    Quanto  all'onorevole  Maiolo,  invece, l'ipotesi di diffamazione
prospettata dall'accusa si collega a dichiarazioni rese, nel medesimo
contesto  ed  in pari data, del seguente tenore: «Il convegno sarebbe
stato  un'ottima  occasione  per  continuare una sacrosanta battaglia
politica  contro  l'uso politico delle istituzioni giudiziarie che fa
il   Procuratore   Caselli»   e  inoltre  «Esiste  un'associazione  a
delinquere di tipo istituzionale pericolosa quanto Cosa Nostra».
    Nel  riportare  ampi  stralci  della  motivazione con la quale la
Giunta  per  le  autorizzazioni a procedere ha proposto all'Assemblea
della  Camera dei deputati di ritenere siffatte dichiarazioni coperte
dalla  prerogativa  di  cui  all'art. 68 Cost., il giudice ricorrente
ricorda  che  la  vicenda trae origine da una manifestazione promossa
dalla  Commissione  parlamentare  antimafia  a  Palermo,  alla  quale
l'onorevole   Mancuso  avrebbe  dovuto  partecipare  in  qualita'  di
vicepresidente  della  Commissione  medesima.  Tuttavia  quest'ultimo
aveva   manifestato   il  proprio  dissenso  rispetto  alla  predetta
manifestazione,  comunicando  che non vi avrebbe preso parte in segno
di  protesta verso una serie di comportamenti del dott. Caselli; tale
decisione  era  stata  condivisa  dal  gruppo  parlamentare di «Forza
Italia»  che aveva indetto la conferenza stampa nel corso della quale
erano state pronunciate le frasi sopra riportate. L'onorevole Maiolo,
da  parte  sua,  aveva  invece  scritto una lettera al presidente del
gruppo  parlamentare,  affermando di non condividere la scelta di non
partecipare  al  predetto  convegno  e diffondendo il contenuto della
lettera nella sala stampa di Montecitorio.
    Sulla base di queste premesse il giudice dell'udienza preliminare
del  Tribunale  di Roma sostiene che nel caso specifico la Camera dei
deputati   ha   erroneamente   ritenuto   esistente   la  prerogativa
dell'insindacabilita',  alla  luce  della piu' recente giurisprudenza
costituzionale  ed  ordinaria.  Richiamate,  al riguardo, le sentenze
n. 329  del  1999,  n. 10,  n. 11  e  n. 56 del 2000 di questa Corte,
nonche'   alcune  sentenze  emesse  dalla  Corte  di  cassazione,  il
ricorrente  osserva  che  per  aversi  insindacabilita'  occorre  una
connessione  tra  le opinioni espresse dal parlamentare e l'esercizio
delle   relative   funzioni,  rimanendone  quindi  escluse  tutte  le
attivita'  estranee,  come  l'attivita'  extraparlamentare  esplicata
all'interno  dei  partiti.  In altre parole, cio' che il parlamentare
dice  ed  esprime  fuori  del  Parlamento  non  rientra  di  per  se'
nell'ambito  dell'art. 68  Cost.,  essendo  piuttosto  manifestazione
della  liberta' di pensiero riconosciuta a tutti i cittadini. Proprio
le  sentenze  costituzionali  appena  citate hanno chiarito, infatti,
che,  in  caso  di  dichiarazioni rese all'esterno tramite i mezzi di
comunicazione  o  in occasione di dibattiti pubblici, il parlamentare
gode  della  prerogativa  dell'insindacabilita' non quando vi sia una
generica   comunanza   di   argomento   tra   le  dichiarazioni  rese
pubblicamente  e  le  opinioni  espresse  in  Parlamento, bensi' solo
quando le prime siano «sostanzialmente riproduttive» delle seconde.
    Cio'  posto,  il  ricorrente,  trattandosi  nel  caso in esame di
affermazioni  divulgate non in ambito parlamentare, passa in rassegna
gli  atti  di  funzione  addotti  a  propria  difesa  dagli imputati,
ritenendo  che  nessuno  di  questi possa supportare adeguatamente la
dichiarazione  di  insindacabilita',  poiche' le esternazioni oggetto
del  capo di imputazione non risultano, a suo parere, sostanzialmente
riproduttive delle opinioni espresse in sede parlamentare.
    Il ricorrente, quindi, afferma che la delibera presa dalla Camera
dei  deputati  e'  da ritenere arbitraria, poiche' i rilievi compiuti
dalla Giunta (e poi recepiti nell'impugnata delibera), secondo cui le
frasi  proferite  costituivano  un  giudizio ed una critica di natura
politica,  attengono  piuttosto  ad  un  diritto  spettante a tutti i
cittadini (quello di critica, appunto), che nulla ha a che vedere con
l'art. 68 della Costituzione.
    Egli  chiede, pertanto, che la Corte dichiari che non spetta alla
Camera  dei deputati affermare che i fatti per i quali e' in corso il
procedimento  penale  a carico dei deputati Filippo Mancuso e Tiziana
Maiolo  concernono  opinioni  espresse  da  un  membro del Parlamento
nell'esercizio  delle  sue funzioni, ai sensi dell'art. 68 Cost., con
conseguente annullamento della delibera del 7 marzo 2000.
    2.  - Il conflitto cosi' proposto e' stato dichiarato ammissibile
con ordinanza n. 492 depositata il 14 novembre 2000. Il ricorrente ha
provveduto  quindi  a notificare il ricorso il successivo 30 novembre
ed a depositarlo nella cancelleria di questa Corte in data 6 dicembre
2000.
    3.  -  Si  e'  costituita in giudizio la Camera dei deputati, con
apposito  atto  difensivo,  sostenendo  in rito l'irricevibilita' del
ricorso  e  nel  merito  l'infondatezza del medesimo, con conseguente
riconoscimento  della  spettanza alla Camera del potere di dichiarare
l'insindacabilita'  delle  opinioni  espresse  dai deputati Mancuso e
Maiolo.
    3.1  -  Quanto  all'irricevibilita', essa deriverebbe, secondo la
Camera,  dal  fatto  che  l'atto  introduttivo del conflitto, benche'
intestato  come «ricorso», assume in realta' la forma dell'ordinanza,
il  che  pone  l'autorita'  giudiziaria in una situazione di indebito
vantaggio  rispetto  agli  altri  poteri  dello  Stato.  In tal modo,
infatti,  il ricorrente si e' esentato dal rispetto dell'art. 6 delle
norme  integrative  per i giudizi davanti a questa Corte, applicabile
anche ai conflitti di attribuzione in base al richiamo del successivo
art. 26, secondo cui devono essere presentate nella cancelleria tante
copie quanti sono i componenti della Corte.
    3.2  -  Nel  merito,  l'assunto  fondamentale  della difesa della
Camera   e'   che  la  delibera  di  insindacabilita'  si  giustifica
pienamente  in  riferimento  alla  battaglia  politica  costantemente
compiuta  in quel periodo dai due deputati nei confronti di una parte
della  magistratura  -  impersonata fra gli altri dal dott. Caselli -
ritenuta  responsabile  dello  svolgimento  di  una  vera  e  propria
attivita' politica tramite lo strumento giudiziario.
    In riferimento alle singole posizioni, la Camera distingue quella
dell'onorevole  Mancuso  da quella dell'onorevole Maiolo, richiamando
diversi  atti  di  funzione per l'uno e per l'altra parlamentare, dai
quali  discenderebbe,  comunque,  la correttezza rispetto ad entrambi
della   delibera   di   insindacabilita'  di  cui  all'art. 68  della
Costituzione.
    Quanto  all'onorevole Mancuso, la Camera richiama l'interpellanza
n. 2/00252   del   21 ottobre   1996,   l'interrogazione   n. 2/00950
presentata  dallo  stesso nella seduta dell'11 marzo 1998, la replica
al  Ministro  della  giustizia  nella  seduta  del 15 aprile 1998, la
dichiarazione   di   voto   del   successivo   10  giugno 1998  e  la
dichiarazione  di  voto  del 9 luglio 1998. Anche dopo l'esternazione
delle dichiarazioni oggetto del conflitto l'onorevole Mancuso avrebbe
compiuto  altri  atti di funzione che dimostrano una volta di piu' il
suo atteggiamento fortemente critico verso il dott. Caselli ed il suo
ufficio,  fra i quali la difesa della Camera ricorda l'interrogazione
n. 3/04305  del  12 gennaio  1999 e quella n. 3/04680 del 23 novembre
1999. La Camera e' del parere che ai fini dell'insindacabilita' debba
essere  valutata  anche la missiva inoltrata all'onorevole Del Turco,
Presidente  della  Commissione  parlamentare  antimafia,  nella quale
venivano  illustrate  le  ragioni  della  mancata  partecipazione  al
convegno  palermitano  dal quale trae origine l'intera vicenda, anche
se  siffatte  ragioni  sono  espresse  con parole in parte diverse da
quelle contenute nelle dichiarazioni oggetto di conflitto.
    3.3  -  Cosi'  riepilogati  gli  atti  dai quali discenderebbe la
fondatezza della delibera di insindacabilita', la Camera dei deputati
osserva  che c'e' corrispondenza quasi integrale fra le dichiarazioni
rese  dall'onorevole  Mancuso  e quelle contenute nei richiamati atti
parlamentari,   il  che  dovrebbe  dimostrare  la  correttezza  della
delibera oggetto del presente conflitto.
    A  sostegno  ulteriore  della propria tesi, la Camera si sofferma
sulla piu' recente giurisprudenza costituzionale relativa all'art. 68
Cost.,  richiamando  le  sentenze n. 417 del 1999 e nn. 10, 11, 320 e
321   del   2000.   Le   sentenze   del   2000,   innovando  rispetto
all'orientamento    precedente,   hanno   ridisegnato   l'ambito   di
operativita'   della   prerogativa   in   questione,  precisando  che
l'insindacabilita'   puo'   scattare   solo   quando   sussiste   una
corrispondenza  sostanziale  tra l'opinione manifestata all'esterno e
le  dichiarazioni rese in ambito parlamentare. Ne consegue che tra le
dichiarazioni   rese  extra  moenia  soltanto  quelle  connesse  alla
politica parlamentare debbono godere di detta prerogativa, poiche' la
liberta' di azione (e, quindi, di opinione) politica spetta a tutti i
cittadini  e  non sono ammissibili diversita' di trattamento. D'altra
parte  l'attivita'  parlamentare, come la Corte ha riconosciuto nelle
due  sentenze  in ultimo citate, e' per sua stessa natura destinata a
proiettarsi  all'esterno  del  Parlamento,  non potendo esaurirsi nel
compimento   dei  soli  atti  tipici,  perche'  il  collegamento  tra
rappresentante  e rappresentato e' garanzia di buon funzionamento del
sistema  democratico.  In  questo  quadro la verifica che la Corte e'
chiamata  a  compiere  non  puo'  risolversi in un controllo minuto e
puntiglioso  della corrispondenza esatta tra dichiarazioni esterne ed
attivita'  parlamentare,  dovendo piuttosto indirizzarsi a verificare
l'esistenza  di  una  «corrispondenza  sostanziale», in ossequio alle
regole  della  vita  democratica  che  trova nel Parlamento il centro
rappresentativo del Paese.
    3.4 - Concluso l'esame della posizione dell'onorevole Mancuso, la
Camera  dei deputati passa a verificare quella dell'onorevole Maiolo,
evidenziando  l'esistenza  di  numerosi  atti  di  funzione dai quali
discenderebbe  la  correttezza  della  delibera  di  insindacabilita'
oggetto del conflitto.
    A tale proposito viene richiamata innanzitutto la gia' menzionata
interpellanza del 21 ottobre 1996, sottoscritta assieme all'onorevole
Mancuso,  cui  si affiancano numerose interrogazioni, rispettivamente
in data 30 settembre 1997 (n. 3/01517), 22 ottobre 1997 (n. 4/13282),
9 dicembre   1997   (n. 3/01776),   10 dicembre   1997   (n. 3/01783,
n. 3/01779  e  n. 3/01784).  A  tali  atti  se  ne accompagnano altri
successivi  alle  dichiarazioni oggetto del conflitto, fra i quali la
difesa  della  Camera indica l'interpellanza n. 2/01335 del 30 luglio
1998.
    In     ordine     al     legittimo    uso    della    prerogativa
dell'insindacabilita',  la  Camera  non  si  limita  a  ribadire, per
l'onorevole  Maiolo, quanto gia' osservato a proposito dell'onorevole
Mancuso,  ma  aggiunge  un  ulteriore elemento a suo dire decisivo, e
cioe'  il fatto che le dichiarazioni in contestazione sono state rese
all'interno  della  sala  stampa  di  Montecitorio;  in  particolare,
infatti,  era  stato reso pubblico il contenuto della lettera inviata
al  presidente  del suo gruppo parlamentare. Si osserva, al riguardo,
che  la  giurisprudenza  costituzionale relativa all'art. 68 Cost. si
deve  ritenere  applicabile  alle  sole  dichiarazioni  extra moenia,
mentre  non  c'e'  dubbio che tutto cio' che avviene «all'interno del
recinto parlamentare» deve necessariamente rientrare sotto l'ombrello
protettivo  dell'insindacabilita';  diversamente opinando l'autonomia
costituzionale  del Parlamento verrebbe ad essere gravemente colpita.
Nessun  rilievo puo' assumere, d'altra parte, il fatto che la missiva
fosse  diretta  al  presidente  di un gruppo parlamentare, perche' la
giurisprudenza  di  questa  Corte  ha  in  piu' occasioni ribadito la
fondamentale   importanza   di   tali   gruppi   come  manifestazione
istituzionale  del  pluralismo  politico (sentenze n. 1130 del 1988 e
n. 49 del 1998).
    3.5  -  In  prossimita'  dell'udienza  la difesa della Camera dei
deputati   ha   presentato   un'ulteriore   memoria,  insistendo  per
l'accoglimento  delle  gia'  rassegnate  conclusioni.  A  suo parere,
infatti, la pretesa avanzata dall'autorita' giudiziaria ricorrente e'
assolutamente  priva di fondamento, poiche' le dichiarazioni rese dai
due    deputati    rientrano    senza    dubbio   nella   prerogativa
dell'insindacabilita'.
    Dopo  aver ricordato che l'attivita' parlamentare, secondo quanto
affermato  in  piu'  occasioni  da  questa  Corte,  e' per sua natura
destinata  a  proiettarsi  all'esterno,  la Camera fa presente che le
dichiarazioni  oggetto  del  processo  penale in corso si collegano a
tipiche  forme  di esternazione dell'attivita' parlamentare, ossia la
conferenza stampa ed il comunicato stampa.
    Cio' posto, la Camera passa nuovamente in rassegna tutti gli atti
di  funzione  gia' indicati nella memoria di costituzione, osservando
come  gli  stessi  dimostrino  senza  possibilita'  di  dubbio quella
corrispondenza   tra   atto   tipico   ed  atto  divulgativo  che  la
giurisprudenza    della    Corte   richiede   come   condizione   per
l'applicabilita'  della  prerogativa dell'insindacabilita'. La difesa
produce   anche   ulteriore  documentazione  gia'  indicata  (ma  non
allegata)  nel  primo  atto  difensivo,  e  cioe': la lettera inviata
dall'onorevole  Mancuso,  in data 30 giugno 1998, al Presidente della
Commissione  parlamentare  antimafia,  senatore  Ottaviano Del Turco,
contenente  le  ragioni  della  propria  mancata  partecipazione alla
manifestazione  di  Palermo,  la risposta del senatore Del Turco e la
lettera,  datata  9 luglio  1998,  inviata  dall'onorevole  Maiolo al
Presidente del gruppo parlamentare di «Forza Italia» onorevole Pisanu
(di  dissenso  rispetto all'intenzione di non partecipare al convegno
di Palermo), il cui contenuto e' stato divulgato nella sala stampa di
Montecitorio ed e' alla base dell'accusa di diffamazione.
    Proprio  in  relazione a quest'ultima lettera, la Camera nota che
l'onorevole  Maiolo  non  ha  reso  alcuna dichiarazione alla stampa,
essendo stato soltanto emesso un comunicato in pari data nel quale si
dava  notizia  del  dissenso del parlamentare rispetto alla decisione
presa  dal  gruppo  di  «Forza Italia», divulgando il contenuto della
lettera medesima.
    Da   tanto   conseguirebbe   l'infondatezza   del  ricorso  e  la
correttezza della delibera oggetto del conflitto.

                       Considerato in diritto

    1. - Il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma ha
sollevato  conflitto  di  attribuzioni  tra  poteri  dello  Stato, in
relazione alla deliberazione adottata dalla Camera dei deputati nella
seduta  del  7 marzo  2000  (doc  IV-quater  n. 112),  con  la  quale
l'Assemblea   ha   approvato   la   proposta   della  Giunta  per  le
autorizzazioni  a  procedere  di  dichiarare  che i fatti per i quali
pende  procedimento penale nei confronti dei deputati Filippo Mancuso
e  Tiziana  Maiolo  davanti  al medesimo giudice, concernono opinioni
espresse  dai  suddetti  quali  membri  del Parlamento nell'esercizio
delle   loro   funzioni  e  ricadono  pertanto  nell'ipotesi  di  cui
all'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Il  GUP  ricorrente  ha premesso, in fatto, che nei confronti dei
suindicati  deputati  era  stata  formulata  richiesta  di  rinvio  a
giudizio  quali  imputati  del delitto di diffamazione a mezzo stampa
per  aver  offeso  la  reputazione  del  dottor  Gian  Carlo Caselli,
all'epoca   Procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di
Palermo.  In  particolare,  il rinvio a giudizio del deputato Filippo
Mancuso  era  stato  richiesto per avere - nel corso della conferenza
stampa indetta da «Forza Italia» e tenutasi a Roma il 9 luglio 1998 a
seguito  della mancata partecipazione del medesimo gruppo politico al
convegno  sul  riciclaggio,  organizzato  a Palermo dalla Commissione
parlamentare  antimafia  -  rilasciato  dichiarazioni  diffuse  dalle
agenzie   ADNKRONOS,   AGI  e  ANSA  del  seguente  tenore:  «Con  un
sistematico  autore  di  insulti  al Parlamento e a Forza Italia come
Giancarlo   Caselli,   noi   non   sediamo  nemmeno  in  un  convegno
scientifico..;  autore  di  insulti  al  Parlamento  e'  un  soggetto
politico  a  tutti gli effetti che pero' con la tecnica del manifesto
non  vuole  essere  oggetto di critica... Quel personaggio che fino a
ieri  ha  rivolto  insulti  al  Parlamento, si comporta come soggetto
politico  a  tutti  gli  effetti,  illegittimo  perche'  il suo ruolo
pubblico   non   e'  politico...:  questo  personaggio  e'  Giancarlo
Caselli...  Accanto  a  personaggi  di  questo tipo, che sfruttano il
potere  di  cattura  che hanno e ai quali non si puo' replicare senza
rischiare il reato di oltraggio io non posso neanche sedere accanto».
    Nei  confronti  del  deputato  Maiolo il medesimo reato era stato
ipotizzato  per  avere,  con  un comunicato stampa letto nella citata
conferenza  stampa,  offeso  la  reputazione  del  dottor  Gian Carlo
Caselli con la dichiarazione, diffusa dall'ANSA, del seguente tenore:
«Il  convegno  sarebbe  stata  un'ottima occasione per continuare una
sacrosanta battaglia politica contro l'uso politico delle istituzioni
giudiziarie che fa il Procuratore Caselli... Esiste un'associazione a
delinquere di tipo istituzionale, pericolosa quanto Cosa Nostra».
    Secondo  il  giudice ricorrente sia per le dichiarazioni rese dal
deputato  Mancuso,  sia  per  quelle  del  deputato  Maiolo, esisteva
soltanto una generica connessione politica di temi con l'attivita' da
loro  precedentemente  svolta,  ed  in particolare con gli atti con i
quali  la  Giunta per le autorizzazioni a procedere aveva motivato la
proposta   di  deliberazione  all'Assemblea,  ma  non  una  specifica
relazione   con   atti  della  funzione  parlamentare,  relazione  da
escludere anche con riguardo alle lettere inviate dall'on. Mancuso al
Presidente  della Commissione antimafia e dall'on. Maiolo al deputato
Pisanu,  all'epoca  capogruppo di «Forza Italia», per comunicare loro
le  ragioni  della  mancata partecipazione al convegno che si sarebbe
svolto a Palermo.
    2.  -  In via preliminare si rileva l'infondatezza dell'eccezione
di irricevibilita' sollevata dalla difesa della Camera.
    E',  infatti, principio ormai consolidato nella giurisprudenza di
questa  Corte  che  non ha rilievo, riguardo ai conflitti proposti da
autorita'   giudiziarie,  il  fatto  che  l'atto  introduttivo  abbia
anziche'   la   forma  del  ricorso  quella  dell'ordinanza,  qualora
quest'ultima  abbia  i requisiti di sostanza del ricorso. Nel caso in
esame, come del resto non e' contestato dalla difesa della Camera, il
remittente  ha  enunciato  chiaramente  le  ragioni del conflitto, ha
lamentato  la  violazione  dell'art. 68,  primo  comma,  Cost.  e  la
menomazione  delle proprie attribuzioni (v., ex plurimis, le sentenze
n. 10 e n. 11 del 2000, n. 421 del 2002).
    3. - Nel merito il conflitto non e' fondato.
    Questa  Corte  ha  ripetutamente affermato e di recente ribadito,
dopo  l'entrata  in  vigore della legge 20 giugno 2003, n. 140, da un
lato, che non ogni opinione espressa da un parlamentare rientra nella
previsione  dell'art. 68,  primo  comma,  Cost.,  perche'  altrimenti
l'immunita'  si  risolverebbe in un privilegio personale confliggente
in  modo  irrimediabile  con  principi  costituzionali fondamentali e
diritti  di  altri  soggetti; dall'altro, che non soltanto «rientrano
nella  sfera  dell'insindacabilita' tutte le opinioni manifestate con
atti  tipici  nell'ambito  dei  lavori  parlamentari», ma pure che le
attivita'  non  tipizzate  «si  debbono  considerare  "coperte" dalla
garanzia  di  cui  all'art. 68, nei casi in cui si esplicano mediante
strumenti,   atti   e  procedure,  anche  "innominati",  ma  comunque
rientranti nel campo di applicazione del diritto parlamentare, che il
membro  del Parlamento e' in grado di porre in essere e di utilizzare
proprio solo e in quanto riveste tale carica» (v. sentenza n. 120 del
2004,  ma anche sentenze n. 56 del 2000, n. 509 del 2002 e n. 219 del
2003).
    Cio' che conta e' pur sempre l'esistenza del nesso funzionale tra
opinione  espressa  ed  attivita'  non  genericamente politica bensi'
parlamentare,  anche  se  le  caratteristiche  di  quest'ultima  e di
conseguenza  quelle  dello stesso nesso funzionale non possono essere
rigorosamente  definite  in  astratto  «in  ragione dell'inscindibile
legame  tra  conflitto  e singola fattispecie» (v. la citata sentenza
n. 120 del 2004).
    Nell'ambito di tale orientamento giurisprudenziale si e' altresi'
affermato  che  non  e'  decisiva la localizzazione dell'attivita' in
questione all'interno o all'esterno dei palazzi del Parlamento e che,
per  quanto  concerne  la  divulgazione  delle  opinioni  espresse da
parlamentari,   quel  che  rileva  e'  la  sostanziale  identita'  di
contenuti  fra  l'opinione come espressa in un atto tipico inteso nei
sensi suindicati, e quindi caratterizzata dal nesso funzionale, ed il
messaggio che siffatta opinione divulga.
    4.  - Cio' premesso, si osserva che la mancata partecipazione dei
componenti  il  gruppo  di  «Forza Italia» al convegno di Palermo sul
riciclaggio  riguardo' non soltanto i deputati, ma anche i senatori e
che  il  loro  rappresentante  in seno alla Commissione parlamentare,
senatore  Roberto  Centaro,  per giustificare l'astensione invio' una
lettera  al  Presidente della Commissione antimafia, di contenuto non
dissimile  dalle  opinioni  espresse  dai  deputati Mancuso e Maiolo,
lettera poi divulgata nel corso della stessa conferenza stampa in cui
furono rese pubbliche le opinioni di questi ultimi; tanto che davanti
allo  stesso  Tribunale  di  Roma pendeva analogo procedimento penale
quando  il  Senato della Repubblica, con deliberazione del 27 gennaio
2000,  dichiaro'  che  le  opinioni  espresse  dal  senatore  Centaro
dovevano  considerarsi  coperte  dalla  immunita' di cui all'art. 68,
primo   comma,  della  Costituzione.  Il  conflitto  di  attribuzioni
promosso  dall'attuale  ricorrente  fu risolto in senso favorevole al
Senato della Repubblica con la sentenza n. 219 del 2003.
    Con   tale  pronuncia  questa  Corte,  facendo  applicazione  dei
principi sopra enunciati, ha ritenuto che le Commissioni parlamentari
d'inchiesta,   quale   la   Commissione  antimafia,  siano  anch'esse
articolazioni  del Parlamento, sicche' parlamentari sono le attivita'
che  si  svolgono nel loro seno o con riguardo al loro funzionamento.
Da  tanto  la  Corte  ha  dedotto che la lettera inviata dal senatore
suddetto  al  Presidente  della  Commissione per esprimere le ragioni
politiche  che  avevano  motivato  la  scelta  di  «Forza  Italia» di
astenersi  dalla  partecipazione  al  convegno  sul  riciclaggio  era
esercizio di funzioni parlamentari, ancorche' espresse in un atto (la
lettera)  in senso stretto non tipico dell'attivita' parlamentare. La
Corte  ha concluso che ad essere divulgate erano opinioni espresse da
un   parlamentare   in  un  atto  legato  dal  nesso  funzionale  con
l'attivita' parlamentare, ed in quanto tale rientrante nella sfera di
immunita' di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    I  principi  suindicati  conducono  alla  stessa  valutazione per
quanto  concerne  la  condotta del deputato Mancuso. Questi, infatti,
durante  la conferenza stampa ha espresso propositi ed opinioni nella
sostanza  non  diversi  da quelli gia' comunicati al Presidente della
Commissione  antimafia e la cui essenza era costituita dal rifiuto di
partecipare ad una manifestazione insieme con un magistrato che a suo
dire   distorceva   a   finalita'   politiche  la  funzione  connessa
all'incarico  di  Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Palermo.
    Alla  medesima  conclusione si perviene riguardo al comportamento
addebitato  al  deputato  Maiolo, della quale fu divulgata la lettera
inviata  al  capo del  gruppo  di appartenenza. Comunque, infatti, si
vogliano  definire  i  gruppi  parlamentari, non si puo' dubitare che
essi   costituiscano   uno   dei  modi,  se  non  il  principale,  di
organizzazione  delle  forze politiche in seno al Parlamento, sicche'
questa  Corte  li  ha  indicati  come  il  riflesso istituzionale del
pluralismo politico (sentenza n. 49 del 1998).
    Ne  consegue  che  la  lettera  indirizzata  al  capo del  gruppo
parlamentare  di  «Forza  Italia»,  con  lo  scopo di rendere nota al
destinatario  l'opinione  dell'autrice  sul  comportamento  da tenere
nella  Commissione  antimafia  in  occasione del convegno di Palermo,
costituisce  esplicazione di attivita' parlamentare nel senso che qui
rileva e rientra pertanto nella previsione dell'art. 68, primo comma,
della Costituzione.
    Si deve quindi dichiarare che spetta alla Camera affermare che le
dichiarazioni  rese dai deputati Mancuso e Maiolo, per le quali pende
procedimento  penale davanti al GUP del Tribunale di Roma, concernono
opinioni  espresse da membri del Parlamento nell'esercizio delle loro
funzioni.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  che  spetta  alla  Camera dei deputati affermare che le
dichiarazioni  rese  dai  deputati  Filippo Mancuso e Tiziana Maiolo,
oggetto   del   procedimento   penale  pendente  davanti  al  giudice
dell'udienza  preliminare  del Tribunale di Roma, concernono opinioni
espresse da membri del Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni,
ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 settembre 2004.
                      Il Presidente: Mezzanotte
                       Il redattore: Amirante
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 29 settembre 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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