N. 88 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 15 settembre 2004

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria  il  15  settembre 2004 (dal Presidente del Consiglio dei
ministri)

Statuto  regionale  -  Statuto  della  Regione  Umbria  -  Famiglia -
  Riconoscimento  dei  diritti  della  famiglia  ed  adozione di ogni
  misura   idonea  a  favorire  i  compiti  ad  essa  affidati  dalla
  Costituzione - Tutela delle altre forme di convivenza - Ricorso del
  Presidente  del  Consiglio  dei ministri - Denunciata violazione di
  principi  fondamentali  della  tutala  della  famiglia  fondata sul
  matrimonio  tra persone di sesso diverso - Violazione del principio
  di  unita'  nazionale  nonche'  di  disciplina uniforme sull'intero
  territorio  nazionale  della  materia  -  Lesione  del principio di
  «armonia con la Costituzione» degli Statuti regionali.
- Statuto  della  Regione Umbria, approvato in prima deliberazione il
  2 aprile 2004 e in seconda deliberazione il 29 luglio 2004, art. 9,
  comma 2.
- Costituzione, artt. 2, 5, 29, 117, comma secondo, lettera l), 123.
Statuto  regionale  -  Statuto  della Regione Umbria - Previsione del
  potere  della  Giunta  regionale,  su  autorizzazione conferita con
  legge   regionale,  di  adottare  regolamenti  di  delegificazione,
  nonche' del potere di presentare al Consiglio regionale progetti di
  testo  unico  di disposizioni di legge - Ricorso del Presidente del
  Consiglio  dei  ministri  -  Denunciata violazione del principio di
  separazione  dei  poteri tra organo legislativo ed organo esecutivo
  con  conseguente non consentita attribuzione alla Giunta del potere
  di disciplinare materie di competenza legislativa concorrente.
- Statuto  della  Regione Umbria, approvato in prima deliberazione il
  2 aprile  2004  e  in  seconda  deliberazione  il  29 luglio  2004,
  artt. 39, comma 2 e 40.
- Costituzione, art. 117, comma terzo.
Statuto  regionale  -  Statuto  della  Regione  Umbria  -  Carica  di
  componente  della  Giunta - Prevista incompatibilita' con la carica
  di consigliere regionale - Ricorso del Presidente del Consiglio dei
  ministri  -  Denunciata  violazione  del  principio di riserva alla
  legge regionale, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con
  legge  dello Stato, della disciplina delle incompatibilita' nonche'
  del sistema elettorale.
- Statuto  della  Regione Umbria, approvato in prima deliberazione il
  2 aprile  2004  e  in  seconda  deliberazione  il  29 luglio  2004,
  art. 66, commi 1 e 2.
- Costituzione, art. 122, primo comma.
Statuto  regionale - Statuto della Regione Umbria - Attribuzione alla
  Commissione  di  garanzia  della funzione di esprimere pareri sulla
  conformita'  allo  Statuto  delle  leggi  e regolamenti regionali -
  Ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri - Denunciata
  inammissibilita'  di conferimento, in caso di parere successivo, ad
  organo amministrativo del sindacato su leggi e regolamenti.
- Statuto  della  Regione Umbria, approvato in prima deliberazione il
  2 aprile  2004  e  in  seconda  deliberazione  il  29 luglio  2004,
  art. 82.
- Costituzione, artt. 121 e 134.
(GU n.39 del 6-10-2004 )
    Ricorso  ex  art. 123,  secondo comma Costituzione del Presidente
del  Consiglio  dei ministri, rappresenatato e difeso dall'Avvocatura
generale  dello Stato, presso la quale ha il proprio domicilio in via
dei  Portoghesi  n. 12 - Roma, nei confronti della Regione Umbria, in
persona  del  Presidente della giunta regionale, per la dichiarazione
della  illegittimita'  costituzionale  dello  Statuto  della  Regione
Umbria  approvato  dal  consiglio regionale in prima deliberazione il
2 aprile   2004,  in  seconda  deliberazione  il  29  luglio  2004  e
pubblicato  nel  Bollettino  ufficiale  della  Regione  n. 33 dell'11
agosto  2004,  giusta delibera del Consiglio dei ministri 3 settembre
2004,  con  riguardo  agli  articoli 9, comma 2, 39, comma 2 e 40, 66
commi 1 e 2 e 82 di detto Statuto.
    La  Costituzione  italiana, nel suo testo novellato dalle riforme
del  1999  e  del  2001,  ha  disegnato  la  potesta' statuaria delle
regioni,   assoggettandola,   da  un  lato,  ad  un  procedimento  di
formazione  «aggravato»  della  doppia  deliberazione del Consiglio a
maggioranza  qualificata e dalla eventuale consultazione referendaria
(sul    modello    delle    leggi   di   revisione   costituzionale);
attribuendogli,    dall'altro,    -   insieme   con   l'affrancamento
dall'approvazione  parlamentare - una collocazione privilegiata nella
gerarchia delle fonti regionali.
    Il  sistema  cosi' delineato dal Costituente, se soddisfa appieno
l'istanza  autonomistica,  non trascura pero', certo, il principio di
legalita'  costituzionale,  che riceve adeguata protezione attraverso
una rigorosa delimitazione della potesta' statutaria ed una specifica
disciplina  del  sindacato  di  costituzionalita'  del suo esercizio.
Sindacato  che,  con il presente ricorso, il Governo della Repubblica
chiede a codesta Corte.
    E'  avviso  del Governo, infatti, che, con le norme denunciate in
epigrafe,  la  Regione  Umbria  abbia ecceduto dalla propria potesta'
statutaria  in  violazione  della  normativa  costituzionale, come si
confida di dimostrare in appresso con l'illustrazione dei seguenti

                               Motivi

    1. - L'art. 9, comma 2 dello Statuto viola gli artt. 2, 29 e 123,
nonche' l'art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione.
    Recita l'art. 9 dello Statuto (contenuto nel Titolo II: «Principi
Programmatici») - «Famiglie. Forme di convivenza».
    La  regione  riconosce  i  diritti  della  famiglia e adotta ogni
misura   idonea   a   favorire   l'adempimento  dei  compiti  che  la
Costituzione le affida.
    Tutela altresi' forme di convivenza.
    Orbene,   non   sembra   potersi   ritenere  in  armonia  con  la
Costituzione  l'affermazione  di riconoscimento e tutela di «forme di
convivenza».    Formula,    questa,   di   ambigua   genericita'   ed
indiscriminata  estensione,  in  relazione  alla  quale  non  e' dato
neppure  comprendere  quali  siano  i  contenuti  e  gli  effetti del
«riconoscimento»  e  se  l'oggetto  di  questo  vada  o meno oltre la
convivenza  more  uxorio, come rapporto di fatto tra uomo e donna, al
quale  soltanto,  e  ad  assai  limitati  effetti (Corte cost. sentt.
6/1977,  237/1986,  352/2000), gia' sono ricollegate dall'ordinamento
generale alcune conseguenze giuridiche.
    Un   siffatto   riconoscimento  in  termini  generali,  ancorche'
generici,   potrebbe   infatti   costituire  la  base  statutaria  di
interventi normativi regionali per una disciplina specifica.
    In  particolare, fermo il rilievo che eventuali future previsioni
normative  regionali  inerenti  al  campo  dei  rapporti (personali e
patrimoniali)  tra  conviventi, al loro status ed ad una loro qualche
rilevanza pubblicistica - che non hanno con la regione un particolare
nesso  territoriale  e  per  i  quali  e'  evidente l'imprescindibile
esigenza  di  disciplina  uniforme nell'intero territorio nazionale -
violerebbero   comunque   competenze   esclusive   dello   Stato  (in
particolare  quelle  sancite dall'art. 117, secondo comma, lettera l)
della   Costituzione),   l'attuale   previsione   statutaria  di  cui
all'art. 9,  in  quanto  intenda  affermare  qualcosa  di diverso dal
semplice rilievo sociale e dalla conseguente giuridica dignita' - nei
limiti previsti dalle leggi dello Stato - della convivenza tra uomo e
donna  fuori  del  vincolo  matrimoniale,  ovvero  intenda  affermare
siffatti  valori  con  riguardo  ad  unioni  libere  e  relazioni tra
soggetti  del  medesimo sesso, risulta violativa dell'art. 123 Cost.,
anche  perche'  in  contrasto  con vincolanti principi costituzionali
riconducibili  al  dettato  degli artt. 29 e 2 della Costituzione. E'
appena  il  caso di ricordare, al riguardo, che (come rimarcato nelle
sentenze  di  codesta  Corte  nn. 304  e  306  del  2002)  il  limite
«dell'armonia con la Costituzione» di cui all'art. 123 Cost. mira non
solo  ad  evitare  il contrasto con le singole previsioni della Carta
costituzionale  ma  anche  a «scongiurare il pericolo che lo Statuto,
pur   rispettoso  della  lettera  della  Costituzione,  ne  eluda  lo
spirito».  Gli Statuti regionali debbono infatti non solo «rispettare
puntualmente»  ogni  disposizione  della  Costituzione  ma  essere in
«armonia  con  i  precetti  ed  i  principi  tutti  ricavabili  dalla
Costituzione» (Corte, cost. sentt. 196/2003; 2/2004).
    La  forma  plurale  ed  indeterminata  usata  nella  proposizione
statutaria,  che  sembra  voler considerare anche forme di convivenza
ulteriori  rispetto a quella more uxorio, ed il carattere generale ed
indiscriminato   dell'enunciato,   specie   se   letto  in  relazione
all'art. 5,  primo  comma  dello  Statuto  in  cui si afferma che «la
regione   concorre   a   rimuovere   le  discriminazioni  fondate  in
particolare  su  ...  l'orientamento sessuale», lasciano fondatamente
supporre   che  la  ripetuta  disposizione  postuli  un'incongrua  ed
inammissibile  dilatazione  dell'area  delimitata dai valori fondanti
dell'art. 2  Cost. e debba pertanto considerarsi incompatibile con la
Carta fondamentale.
    Anche  a monte, del resto, sotto diverso profilo avente carattere
di   priorita'   logica,  deve  dubitarsi  della  legittimita'  della
disposizione  in  esame,  in  quanto  estranea ai contenuti necessari
degli  statuti  regionali  di  cui  al  comma  1  dell'art. 123 Cost.
(inerenti alla configurazione dell'ordinamento interno della regione)
ed  eccedere  i  limiti  in  cui  altri  contenuti  possono ritenersi
ammissibili  (cfr.  Corte  cost.  sent.  2/2004).  Essa disposizione,
infatti, ricompresa nell'area dei principi programmatori, non esprime
da  un  lato,  alcun interesse proprio della comunita' regionale, non
contiene, dall'altro, alcun concreto contenuto programmatorio che non
sia quello di una vaga dimensione libertaria.
    Lo  Statuto,  infatti,  e'  espressione di un'autonomia garantita
dalla  Costituzione,  nel  cui  quadro  si  inserisce,  costituendone
momento  attuativo.  Esso non puo', dunque, validamente estendersi ad
affermazioni   di   principi   e   valori  che  non  siano  meramente
riproduttive  di quelle espresse nella parte I della Costituzione (in
particolare,  per quanto qui interessa, nel titolo II «rapporti etico
sociali») connotanti l'intero assetto della comunita' nazionale, alla
quale  non  puo'  contrapporsi  una  comunita' regionale diversamente
caratterizzata.
    Ne'  e' ammissibile, sotto tale profilo, che le diverse comunita'
regionali  possano  tra  loro  diversificarsi  in  ragione  del  loro
ipotetico  riconoscersi  in  valori  diversi  e contrastanti. Il che,
oltre  a  contraddire  il principio fondamentale di unitarieta' della
Repubblica,    canonizzato    dall'art. 5   Cost,   ridonderebbe   in
un'ingiustificata disparita' di trattamento dei singoli.
    2.  -  L'art. 39,  comma  2  e l'art. 40 dello Statuto violano il
principio  di  separazione  dei  poteri,  l'art. 121, secondo comma e
l'art. 117, terzo comma della Costituzione.
    L'art. 39,  comma 2, e l'articolo 40 prevedono rispettivamente la
possibilita' che la giunta regionale, su autorizzazione conferita con
legge  regionale,  adotti  regolamenti di delegificazione e che possa
presentare  al  consiglio  progetti di testo unico di disposizioni di
legge,  riconoscendo  la  possibilita' che alla giunta stessa vengano
attribuite  deleghe legislative. Tali disposizioni contrastano con il
principio  della  separazione  dei  poteri  tra  organo legislativo e
organo   esecutivo.   Principio   che,   in   mancanza   di   deroghe
costituzionali  espresse, non consente l'adozione di regolamenti c.d.
di  delegificazione  e  deleghe  legislative; ne' le deroghe previste
nella legislazione statale sono suscettibili di estensione analogica.
    Se,  infatti,  come  affermato da codesta Corte (sent. n. 2/2004)
puo' ritenersi legittimo il conferimento al Consiglio di una potesta'
regolamentare,  non  puo' certo ritenersi valida la ipotesi reciproca
del  conferimento  alla  giunta  di  una potesta' legislativa, che la
Costituzione riserva, invece, in via esclusiva al consiglio.
    L'ipotesi  del conferimento straordinario all'organo esecutivo di
un  potere legislativo e', infatti, ipotesi di assoluta eccezione che
solo  la  Carta  fondamentale  puo' contemplare ed in presenza di ben
precise e cogenti limitazioni.
    Si aggiunga ancora che la fonte regolamentare appare incongruente
con  le  materie  di  competenza  concorrente,  in  quanto incide sui
principi  stabiliti dallo Stato con normativa primaria, in contrasto,
quindi,  con  l'art. 117,  comma  3,  della Costituzione. Inoltre, la
disposizione   di   cui   all'articolo   40   dello   Statuto  appare
incostituzionale   sotto  un  ulteriore  profilo  di  violazione  del
principio di separazione, perche' attraverso l'utilizzo del potere di
delegificazione,  di  cui  al  succitato  articolo  39, si verrebbe a
consentire   alla   giunta  di  disciplinare  materie  di  competenza
legislativa.  Ne'  il  vizio  potrebbe  considerarsi  emendato  dalla
previsione  di  una  approvazione  finale  da parte del Consiglio, in
quanto  tale  approvazione  e'  meramente  formale,  essendo precluso
all'organo  detentore  della  funzione  legislativa  qualunque potere
emendativo del testo.
    3.  -  L'art. 66  dello  Statuto,  commi 1 e 2, viola l'art. 122,
primo comma, della Costituzione.
    La  norma  in  epigrafe,  prevedendo che «la carica di componente
della  giunta e' incompatibile con quella di consigliere regionale» e
disciplinando  le  conseguenze  dell'incompatibilita'  (con implicito
condizionamento  dell'adottando sistema elettorale), viola l'articolo
122,   comma   1,  della  Costituzione,  che  riserva  esplicitamente
l'individuazione  dei  casi  di  incompatibilita' nonche' del sistema
elettorale alla legge regionale, nei limiti dei principi fondamentali
stabiliti  con legge dello Stato, e non allo Statuto. In tal senso si
e' gia' pronunciata codesta Corte con sentenza n. 2/2004.
    4.  -  L'art. 82  dello  Statuto  viola gli artt. 121 e 134 della
Costituzione.
    La  norma in epigrafe attribuisce alla Commissione di garanzia la
funzione  di  esprimere  pareri  sulla conformita' allo Statuto delle
leggi e regolamenti regionali.
    Non  e'  dato  con  certezza comprendere dal testo se tale parere
attenga   ad   un  momento  procedimentale  dell'attivita'  normativa
anteriore al suo compimento ovvero segua a tale compimento.
    Ove   dovesse  risultare  esatta  tale  seconda  esegesi  -  come
sembrerebbe  desumersi  dal  testo  statutario in epigrafe - la norma
violerebbe  i  principi  costituzionali  richiamati, conferendo ad un
organo amministrativo un inammissibile potere di sindacato su leggi e
regolamenti gia' definitivamente adottati dagli organi competenti.
                              P. Q. M.
    Si  chiede  a  codesta  Corte  costituzionale  di  dichiarare  la
illegittimita'   costituzionale   della   deliberazione   legislativa
statutaria  impugnata  nei  termini  sopra precisati e di inibirne la
promulgazione.
    Si   esibiranno  la  predetta  deliberazione  ed  estratto  della
deliberazione del Consiglio dei ministri 3 settembre 2004.
    Roma, addi' 8 settembre 2004
   Vice Avvocato generale dello Stato: Ignazio Francesco Caramazza
04C1072