N. 22 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 25 settembre 2004
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 25 settembre 2004 (della Regione Campania) Finanza regionale - Fondo perequativo nazionale - Distribuzione delle risorse - Decreto del Presidente Consiglio dei ministri 14 maggio 2004 recante determinazione delle quote di compartecipazione delle regioni a statuto ordinario all'IVA - Applicazione di criteri, di ripartizione del Fondo perequativo - Conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Campania - Denunciato contrasto con il sistema introdotto dalla legge costituzionale n. 3/2001 che istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale per abitante - Ritenuta non integrabilita' di detto criterio con ulteriori elementi previsti dalla legislazione precedente (D.Lgs. n. 56/2000) - Adozione del Decreto del Presidente Consiglio dei ministri in mancanza della prevista intesa con le Regioni o di specifica motivazione per superare l'intesa - Inidoneita' dell'atto a provvedere - Carenza di motivazione - Richiesta alla Corte di disporre affinche' lo Stato provveda al deposito della Deliberazione del Consiglio del ministri 14 maggio 2004 - Violazione dell'autonomia finanziaria regionale e del riparto di competenze tra Stato e Regioni - Violazione del principio di leale cooperazione. - Deliberazione Consiglio dei ministri 14 maggio 2004; Decreto Presidente Consiglio dei ministri 14 maggio 2004. - Costituzione, artt. 117 e 119; decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, artt. 2 e 7; decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, art. 3. Finanza regionale - Fondo perequativo nazionale - Distribuzione delle risorse - Decreto del Presidente Consiglio dei ministri 14 maggio 2004 recante determinazione delle quote di compartecipazione delle regioni a statuto ordinario all'IVA - Applicazione di criteri di ripartizione del Fondo perequativo - Conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Campania - Denunciato contrasto con il sistema introdotto dalla legge costituzionale n. 3/2001 che istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale per abitante - Abrogazione implicita delle norme (D.Lgs. n. 56/2000) in contrasto con il dettato costituzionale - Violazione dell'autonomia regionale nella parte in cui non utilizza il solo criterio della capacita' fiscale Violazione del principio di leale cooperazione. - Deliberazione Consiglio dei ministri 14 maggio 2004; Decreto Presidente Consiglio dei ministri 14 maggio 2004. - Costituzione, artt. 117 e 119. Finanza regionale - Fondo perequativo nazionale - Distribuzione delle risorse - Decreto del Presidente Consiglio dei ministri 14 maggio 2004 recante determinazione delle quote di compartecipazione delle regioni a statuto ordinario all'IVA - Applicazione di criteri di ripartizione del Fondo perequativo - Conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Campania - Denunciato contrasto con il sistema introdotto dalla legge costituzionale n. 3/2001 che istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori, con minore capacita' fiscale per abitante - Lamentato eccesso di delega - Irragionevolezza. In subordine: Finanza regionale - Fondo perequativo nazionale - Criteri perequativi - Eccepita illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma secondo, decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 e dell'art. 10, comma primo, lett. d) della legge 13 maggio 1999, n. 133, nella parte in cui prevedono criteri perequativi diversi da quello della capacita' fiscale. - Deliberazione Consiglio dei ministri 14 maggio 2004; Decreto Presidente Consiglio dei ministri 14 maggio 2004. - Costituzione, artt. 76, 117 e 119. Finanza regionale - Fondo perequativo nazionale - Distribuzione delle risorse - Decreto del Presidente Consiglio dei ministri 14 maggio 2004 recante determinazione delle quote di compartecipazione delle regioni a statuto ordinario all'IVA - Applicazione di criteri di ripartizione del Fondo perequativo - Conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Campania - Denunciato contrasto con il sistema introdotto dalla legge costituzionale n. 3/2001 che istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale per abitante - Lamentata mancanza di coerenza con l'ulteriore limite di assicurare comunque la copertura del fabbisogno sanitario alle regioni con insufficiente capacita' fiscale - Irragionevolezza. - Deliberazione Consiglio dei ministri 14 maggio 2004; Decreto Presidente Consiglio dei ministri 14 maggio 2004. - Costituzione, art. 119; decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, art. 7.(GU n.46 del 24-11-2004 )
Ricorso della Regione Campania, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, on. Antonio Bassolino, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine ed in virtu' delle deliberazioni della giunta regionaIe n. 1469 del 23 luglio 2004 e n. 1597 del 20 agosto 2004, dall'avv. Vincenzo Baroni dell'Avvocatura regionale e dal prof avv. Vincenzo Cocozza, insieme e con i quali elett. te domicilia in Roma, presso l'Ufficio di Rappresentanza deIla Regione Campania alla via Poli n. 29; Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; in relazione alla deliberazione del Consiglio dei ministri in data 14 maggio 2004 e al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 maggio 2004, recante «Determinazione delle quote previste dall'art. 2, comma 4, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 - anno 2002», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale n. 179 del 2 agosto 2004. F a t t o 1. - In data 2 agosto 2004 e' stato pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 maggio 2004, recante «Determinazione delle quote previste dall'art. 2, comma 4, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 - anno 2002», con cui il Governo ha proceduto alla distribuzione delle risorse del Fondo perequativo nazionale senza la prevista intesa con le regioni, con un atto illegittimo, anche per incompetenza, e sulla base di criteri che si rivelano gravemente lesivi per gli equilibri finanziari della regione e contrastanti con l'art. 119, comma 3, della Costituzione. La questione si mostra, invero, peculiare, avuto riguardo ai rapporti (anche temporali) fra l'atto avente forza di legge che fonda l'intervento del decreto impugnato e di cui questo costituisce attuazione, il nuovo disegno costituzionale dell'autonomia - in particolare quella finanziaria - regionale introdotto dalla legge cost. n. 3/2001 e il decreto medesimo. Ai fini di una piu' completa e chiara visione degli elementi di illegittimita' e', dunque, opportuno procedere preliminarmente ad una seppur sintetica ricostruzione normativa, tenendo conto dei tempi e dei rapporti reciproci fra le fonti. 2. - In data 13 maggio 1999, e' stata approvata la legge n. 133 in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo regionale. L'art. 10 di detta legge ha delegato il Governo ad approvare decreti legislativi aventi ad oggetto il finanziamento alle regioni a statuto ordinario e l'adozione di meccanismi perequativi fondati su alcuni principi e criteri direttivi. In particolare, il legislatore ha inteso individuare un nuovo sistema perequativo della finanza pubblica, attraverso il superamento del vecchio criterio fondato sulla spesa storica e l'introduzione di un sistema di distribuzione delle risorse basato su precisi elementi di calcolo. La lettera d) dell'art. 10 ha, in tale direzione; stabilito che i relativi decreti avrebbero dovuto prevedere meccanismi perequativi in funzione della capacita' fiscale, della capacita' di recupero dell'evasione fiscale e' dei fabbisogni sanitari. Lo stesso legislatore, pero', ha avuto cura di porre un limite generale alle nuove modalita' di ripartizione delle risorse finanziarie, al fine di calibrare e governare gli effetti di maggior rigore conseguenti all'applicazione del nuovo sistema. Cosi' l'ulteriore direttiva del legislatore e' stata nel senso «di consentire a tutte le Regioni a statuto ordinario di svolgere le proprie funzioni e di erogare i servizi di loro competenza a livelli essenziali ed uniformi su tutto il territorio nazionale; tenendo conto delle capacita' fiscali insufficienti a far conseguire tali condizioni e della esigenza di superare gli squilibri socio-economici territoriali» (art. 10, lett. d). 3. - In data 18 febbraio 2000, il Governo, in attuazione della delega, ha approvato il decreto legislativo n. 56 recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale a norma dell'art. 10 legge 14 maggio 1999, n. 133.». L'art. 7 di detto decreto ha, in particolare, dato attuazione alle lett. c) e d) dell'art. 10 della legge delega ed ha disposto che la determinazione delle quote di cui all'art. 2, comma 4, lettera d) (ossia le somme da erogare a ciascuna regione da parte del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica), sarebbe avvenuta, non piu' sulla base della spesa storica ma, sulla base dei diversi criteri della capacita' fiscale e del fabbisogno sanitario come previsto dalla legge di delega, ed anche su ulteriori parametri riferiti alla popolazione residente e alla dimensione geografica (pero' non previsti dal Parlamento). Il comma 2 dello stesso art. 7 ha, poi, precisato che le quote «sono fissate in modo tale da assicurare la copertura del fabbisogno sanitario alle Regioni con insufficiente capacita' fiscale». L'art. 2, comma 4, ha previsto, per la determinazione delle quote, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da approvare previa intesa con le regioni. Successivamente, come e' noto, e' intervenuta la legge costituzionale n. 3/2001 che, nel riformare anche l'autonomia finanziaria delle Regioni, ha previsto risorse autonome, tributi ed entrate proprie nonche' compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio nazionale. Il novellato art. 119 Cost. ha imposto allo Stato l'istituzione di un fondo perequativo funzionale ai «territori con, minore capacita' fiscale per abitante» (comma 3). Il legislatore costituzionale ha, pertanto, individuato un preciso parametro con il quale effettuare la giusta e ragionevole distribuzione delle risorse ai fini di solidarieta' interregionale. Parametro con il quale collidono, evidentemente, i diversi e ulteriori criteri (quali quelli individuati dal decreto legislativo, prima citato) per la determinazione delle, quote del Fondo e che compromettono il fine cosi' chiaramente espresso dalla disposizione costituzionale. Come si dira' la specifica attuazione del decreto legislativo effettuata dal d.P.C.m. oggetto del presente conflitto conferma in concreto tale dato. 4. - Essendosi cosi' venuta a configurare la successione delle fonti di disciplina, le Regioni hanno rappresentato che non vi era la possibilita' per il Governo di procedere seguendo le previsioni di un decreto legislativo non piu' conforme a Costituzione. Cosi', nella seduta della Conferenza Stato-regioni in data 10 luglio 2003, convocata per la necessaria intesa sui contenuti del d.P.C.m., ai sensi dell'art. 2, comma 4, d.lgs. n. 56/2000, venivano segnalate le perverse conseguenze della applicazione concreta degli indicati criteri legali e si chiedeva, pertanto, un deciso intervento di modifica da parte del Governo sia dello schema di d.P.C.m. sia, se necessario, dello stesso decreto - «legislativo, non piu' conforme al parametro costituzionale vigente. Stante questa esigenza insuperabile, non veniva, come ovvio, raggiunta l'intesa, in attesa delle conseguenti determinazioni. Seguivano, cosi', contatti informali con il Governo centrale che mostrava in piu' occasioni, per di piu', di condividere le osservazioni sollevate dalle Regioni e di voler, per questo, provvedere alle necessarie modifiche. Sennonehe', in data 2 agosto 2004, a distanza di piu' di un anno dalla indicata riunione della Conferenza, in assenza di intesa, il decreto e' stato pubblicato nella sua originaria (e contestata) stesura, in base ai criteri del d.lgs. n. 56/2000. Nel decreto e' citata la delibera del Consiglio dei ministri in data 14 maggio 2004 con la quale sarebbe stata superata l'intesa stessa. L'aver proceduto in maniera illegittima ad approvare la disciplina senza intesa e senza validamente superare l'obbligo della stessa origina il presente conflitto di attribuzione. Ed il provvedimento, nella sua palese illegittimita', per i suoi contenuti finanziari comportanti insostenibili squilibri socio-economici e di bilancio ed incidenti fortemente sulla capacita' della Regione di svolgere le proprie funzioni e di garantire i livelli essenziali di servizi e prestazioni, lede gravemente la sfera di autonomia regionale costituzionalmente garantita. Se ne chiede, pertanto, l'annullamento alla stregua delle seguenti considerazioni in D i r i t t o 1. - Violazione dell'art. 119 cost. Violazione dell'art. 117 cost. e della autonomia regionale. Violazione del principio di leale cooperazione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 7 d.lgs. 18 febbraio 2000, n. 56. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281. Incompetenza. Come ricordato in fatto, il provvedimento oggetto del presente ricorso applica criteri di ripartizione del Fondo perequativo in contrasto con il nuovo sistema introdotto dalla legge cost. n. 3/2001, e riferiti ad una disciplina legislativa approvata prima della riforma costituzionale. La nuova previsione costituzionale individua come unico criterio di ripartizione del fondo perequativo quello della capacita' fiscale per abitante. Ne' sarebbe ammissibile sostenere che tale individuazione di un unico criterio come parametro, sia integrabile da ulteriori elementi. Perche', con tutta evidenza, in tal maniera l'autonomia sarebbe vanificata. La scelta e' stata evidentemente dettata nella prospettiva di equilibri finanziari (e sociali) determinati, rispetto ai quali l'introduzione di differenti ed ulteriori variabili ne vanificherebbero l'efficacia e la conseguente ratio normativa. In altri termini, con il terzo comma, il legislatore costituzionale non si e' limitato ad individuare direttive, ma ha compiuto precise scelte di solidarieta' sociale interregionali, in un certo qual modo «quantificando» a monte la compensazione dovuta alle Regioni in difficolta' economica e fiscale in virtu' del sistema introdotto dal novellato art. 119, sottraendolo a politiche ordinarie che ne compromettano il punto di equilibrio individuato attraverso l'inserimento di criteri ulteriori, non riferibili alla «capacita' fiscale.». Si e', dunque, di fronte ad una questione in cul vi e' un rapporto tra le fonti del tutto peculiare. Si riscontra, infatti, una legge (e un decreto legislativo) approvata in vigenza di altro sistema finanziario, che e', pero', in contrasto (come si e' visto) con una norma costituzionale sopravvenuta. E' rilevante, ai nostri fini, il tipo di formulazione del terzo comma dell'art 119 Cost. Come detto, questa si caratterizza per la natura immediatamente precettiva della norma, laddove non si limita ad indicare esclusivamente un obiettivo di solidarieta' (dunque un programma che necessita di attuazione), ma ne fissa le modalita' attuative proprio attraverso la specificazione dei criteri su cui fondare l'intervento statale di ridistribuzione delle risorse. Cio' rende la norma, da una parte, sufficientemente dettagliata e, dunque, immediatamente applicabile (secondo il tradizionale orientamento della Corte Costituzionale); dall'altra, in diretto e specifico contrasto con la legge ordinaria precedentemente approvata, con la conseguenza che quest'ultima deve intendersi abrogata. Comunque, ed a prescindere dalla condivisibilita' di tale ultima conclusione, non vi e' dubbio che e' incontestabile il diritto delle Regioni a pretendere una attuazione conforme a Costituzione. Tutto cio' e' di assoluto rilievo per svolgere qualche considerazione sulla rilevanza dell'intesa quale passaggio insuperabile per provvedere. Come si e' detto, l'art. 2 del d.lgs. n. 56/2000 prevede, al comma 4, che le somme da erogare a ciascuna Regione siano stabilite con «decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentito il Ministro della sanita', d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato e le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano». Pur con tale preciso obbligo fissato in via legislativa e pur essendovi una situazione quale quella appena descritta, e' stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che fissa le quote in assenza di intesa (nonostante le precise osservazioni da parte delle Regioni, peraltro condivise informalmente dai rappresentanti del Governo, in ordine alla illegittimita' ed irragionevolezza dei contenuti) e senza motivare sulla scelta effettuata. Dalla sintetica ricostruzione gia' si evincono numerose illegittimita': a) L'art. 2 del d.lgs. n. 56/2000 impone l'intesa con le regioni e questa non e' stata raggiunta, e, in verita', il Governo non ha mostrato la volonta' di raggiungerla; pur essendo state validamente rappresentate le ragioni che la impedivano. Codesta ecc.ma Corte ha gia' chiarito come l'intesa rappresenti uno strumento essenziale per assicurare l'attuazione del principio di leale cooperazione. Strumento che si esplica in una paritaria codeterminazione del contenuto dell'atto sottoposto all'intesa, prodotto di un accordo, appunto, e, quindi, di una negoziazione diretta fra il soggetto cui la decisione e' giuridicamente imputata e quello la cui volonta' deve concorrere alla decisione stessa (Corte cost. sent. nn. 21/1991; 351/1991; 116/1994). Vi e', infatti, una specifica ed insuperabile esigenza di preservare il principio di leale cooperazione, in un sistema che porta inevitabilmente ad una sovrapposizione di competenze ed interessi da preservare, in cui, fra l'altro, l'elemento finanziario costituisce un dato di effettivita' per l'esercizi, delle, rispettive attribuzioni. Ne consegue che l'«intesa» e' da realizzare e ricercare sempre e nell'effettivita' «laddove occorra, attraverso reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo» (Corte cost. sent. 27/2004), perche', diversamente, vi puo' essere un declassamento dell'attivita' di codeterminazione connessa all`intesa in una mera attivita' consultiva non vincolante» (Corte cost. sent. n. 27/2004; ed anche nn. 303/2004 e 6/2004). In tal senso il comportamento descritto del Governo si e', sostanzialmente, posto in. collisione con tale principio costituzionale, svuotandolo interamente del suo contenuto di garanzia delle prerogative regionali. b) Ancora, l'art. 3 del d.lgs. 281/1997, relativo alla definizione delle attribuzioni della Conferenza Stato-Regioni, prevede che laddove la legge imponga - come nel caso di specie - per l'adozione dei provvedimenti, l'intesa fra Stato e Regioni, il mancato raggiungimento della stessa e' superabile esclusivamente attraverso un provvedimento direttamente imputabile (sostanzialmente e formalmente) al Consiglio dei ministri. Dispone, infatti, il terzo comma che, quando un'intesa espressamente prevista dalla legge non e' raggiunta «il Consiglio dei ministri provvede con deliberazione motivata». Viene, cioe' affidato all'organo collegiale l'esercizio di un potere non piu' esercitabile da altro organo. Ebbene, come ricordato, nonostante la mancata intesa, e' stato adottato un d.P.C.m., ossia un provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri che, a questo punto, e' organo incompetente a provvedere. Sotto questo profilo il d.P.C.m., richiama la delibera del Consiglio dei ministri, ma non e' dato cogliere il rapporto fra i due atti. E che non sia un dato meramente formale (che comunque ha tutta la sua rilevanza) lo dimostra quanto appresso sub c); c) L'art. 3 d.lgs. n. 281/1997 impone una specifica motivazione per superare l'intesa. C.1) Questa non e' contenuta nell'atto che provvede, ossia il d.P.C.m. neanche per relationem. Il d.P.C.m., invero, fa riferimento alla delibera motivata del Consiglio dei ministri. Ma cio', da un lato, conferma la inidoneita' (e dunque illegittimita) del d.P.C.m., a configurarsi come «l'atto che provvede» ai sensi dell'art. 3 d.lgs. n. 281/1997. Dall'altro propone ulteriore vizio perche' la delibera non e' stata portata a conoscenza delle Regioni, ne' si e' nelle condizioni di valutare la struttura motivazionale che e' assolutamente essenziale, anche per cogliere la sua collocazione nell'iter procedimentale ed il rapporto con il d.P.C.m. C.2) Comunque, alla luce di tutto quanto precede, il vizio di carenza di motivazione e', per cosi' dire, in re ipsa. Intanto va con forza sottolineato che alla luce della riforma costituzionale, dei nuovi rapporti Stato-Regioni, di quanto chiaramente recentemente esposto da codesta ecc.ma Corte in ordine al principio di leale cooperazione, la motivazione deve essere rigorosa, al fine di far emergere non solo i motivi della mancata intesa e della necessita' di provvedere, ma anche ogni altro elemento volto a chiarire la scelta specifica. Ebbene, e nell'ordine: I) Non si puo' ritenere che le regioni abbiano ostacolato o ritardato l'intesa. Nel caso di specie le argomentate osservazioni (condivise informalmente dal Governo) che, in sede di conferenza, sono state prospettate sulla illegittimita' dei criteri, sulla necessita' di tener conto delle sopravvenute modifiche costituzionali, sugli effetti concreti che l'applicazione dei criteri ha determinato, sono dati incontrovertibili. Essi dimostrano una volonta' regionale di dare attuazione, ma, come e' corretto, in modo conforme a Costituzione. II) Il Governo non si e' affatto adoperato per ottenere l'intesa come doveva e come sarebbe stato agevole sol che si fossero percorse strade alternative rispetto a quella originaria - contestata dalle Regioni - e corrispondenti alle regole costituzionali. III) Attraverso l'anomala utilizzazione dei «provvedimenti», non si' sono poste le Regioni interessate nelle condizioni di conoscerne l'aspetto essenziale della motivazione. L'obbligo della motivazione impone che essa accompagni il provvedimento, perche' si abbia contezza della sua esistenza quale fondamento del percorso logico decisionale. In tal senso si chiede all'ecc.ma Corte di disporre affinche' lo Stato provveda al deposito della deliberazione del Consiglio dei ministri in data 14 maggio 2004, citata nel provvedimento impugnato. IV) Non vi sono ragioni, visto il tempo trascorso (il decreto legislativo e' del 2000, la Conferenza citata del 2003), per non ricercare, in spirito di collaborazione, la soluzione equilibrata e conforme alla Costituzione. 2. - Violazione dell'art. 119 Cost. Violazione dell'art. 117 Cost. e della autonomia regionale. Violazione del principio di leale cooperazione. Quanto sopra esposto sulle varie fonti di disciplina consente, poi, di valutare il d.P.C.m., pure impugnato, direttamente alla luce del parametro costituzionale e, dunque, giudicarne l'illegittimita' in quanto in insanabile contrasto con l'art. 119 Cost., terzo comma, nella parte in cui non utilizza, ai fini delle operazioni di perequazione, il solo criterio della capacita' fiscale individuato dal parametro medesimo. Operazione, questa, resa possibile dalla circostanza che e' ipotizzabile l'abrogazione in parte qua della disciplina legislativa in quanto la medesima fattispecie (fondo perequativo) rinviene una disciplina diversa dalla fonte legale e costituzionale. E quest'ultima ha una previsione che comprende la prima, operando solo una riduzione di disciplina. 3. - Illegittimita' costituzionale del d.lgs. n. 56/2000, art. 7, comma 2, nonche' dell'art. 10, comma 1, lett. d) legge 13 maggio 1999, n. 133. Violazione dell'art. 119 cost. Violazione dell'art. 117 cost. e della autonomia regionale. violazione del principio di leale cooperazione. Violazione dell'art. 76 cost. Eccesso di delega. Irragionevolezza. Va, comunque, dedotta l'illegittimita' in via derivata, in quanto si da' attuazione a una normativa legislativa incostituzionale. Laddove, infatti, codesta ecc.ma Corte non ritenesse che ricorrano i presupposti per ritenere abrogate le norme legislative nella parte in cui prevedono contenuti in contrasto con l'art. 119 Cost., e quest'ultimo immediatamente applicabile come parametro di legittimita' per i provvedimenti attuativi, si solleva, in via incidentale, questione di legittimita' costituzionale del comma 2 dell'art. n. 56/2000 e dell'art. 10, comma 1, lett. d) della legge-delega n. 133/1999, nella parte in cui prevedono ulteriori criteri per la determinazione delle quote da erogare a ciascuna regione diversi da quelli fissati dall'art. 119 Cost. e per i motivi di contrasto gia' illustrati. Con specifico riguardo, poi, al d.lgs. n. 56/2000, vi e' da considerare un ulteriore motivo di incostituzionalita' determinato dalla violazione dei principi espressi dalla legge di delega. E cio' sotto un duplice aspetto. In primo luogo il d.lgs. n. 56 individua come criteri perequativi anche «la popolazione residente» e la «dimensione geografica» non indicati dalla legge delega che imponeva, al contrario al Governo di attenersi esclusivamente ai dati relativi alla «capacita' fiscale» e al «fabbisogno sanitario», nonche' alla «capacita' di recupeo dell'evasione fiscale.». Sotto tale aspetto, si rileva anche la irragionevolezza delle ulteriori variabili, non attinenti alla ratio di natura sociale e di solidarieta' del legislatore delegante. Inoltre il legislatore del '99, come ricordato, aveva posto un limite di carattere generale nella predisposizione delle risorse, relativo alla necessita' che, comunque, fossero garantite a tutte le regioni a statuto ordinario le funzioni ed i servizi di loro competenza «a livelli essenziali ed uniformi su tutto il territorio nazionale, tenendo conto delle capacita' fiscali insufficienti a far conseguire tali condizioni e della esigenza di superare gli squilibri socio-economici territoriali». L'incidenza delle perdite subite dalle Regioni con ridotta capacita' fiscale, e in particolare dalla Regione Campania, e' tale da compromettere il fine posto dal legislatore come limite generale all'intervento del Governo. 4. - Violazione dell'art. 7, d.lgs. n. 56/2000. Irragionevolezza. Violazione dell'art. 119 Cost. Il provvedimento non risulta coerente con i limiti che pure il decreto legislativo ha posto con il secondo comma dell'art. 7. E' previsto, infatti, che, in ogni caso, «le quote ... sono fissate in modo tale da assicurare comunque la copertura del fabbisogno sanitario alle regioni con insufficiente capacita' fiscale.». Invero, la concreta individuazione delle quote effettuata dal decreto impugnato incide in maniera tale sugli equilibri finanziari di alcune regioni (fra cui la Campania) da risultare non rispettosa della chiara previsione volta a moderare gli effetti di rigore derivanti dalla applicazione dei criteri di cui sopra.
P. Q. M. Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale: a) accertare e dichiarare che non spetta allo Stato e, per esso, al Presidente del Consiglio dei ministri in assenza di intesa con la Conferenza Stato-Regioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ovvero al Consiglio dei ministi, con delibera, non motivata o, comunque, con illegittima motivazione e che non possiede il contenuto provvedimentale, provvedere alla determinazione delle quote previste dall'art. 2, comma 4, d.lgs. 18 febbraio 2000, n. 56, in violazione dei parametri indicati, ed in particolare degli artt. 117 e 119 Cost. e del principio di leale cooperazione; b) per l'effetto, annullare il decreto deI Presidente del Consiglio dei ministri 14 maggio 2004, recante «Determinazione delle quote previste dall'art. 2, comma 4, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 - anno 2002», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale n. 179 del 2 agosto 2004 e la deliberazione del Consiglio dei ministri in data 14 maggio 2004, citata nel d.P.C.m.; c) in via incidentale, laddove necessario, sollevare questione, di legittimita' costituzionale nei confronti del comma 2, dell'art. 7 del 18 febbraio 2000, n. 560 della lettera d) comma 1, dell'art. 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133, nella parte in cui si individuano criteri ulteriori di determinazione delle quote in violazione degli artt. 3 e 119 Cost., nonche' dei principi di leale cooperazione e di ragionevolezza nonche' dell'art. 76 Cost. per eccesso di delega. Napoli-Roma, addi' 15 settembre 2004 Prof. Avv. Vincenzo Cocozza - Avv. Vincenzo Baroni 04C1077