N. 90 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 20 settembre 2004

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria  il  20  settembre  2004  (del  consigliere  regionale di
minoranza dell'Umbria Carlo Ripa di Meana)

Statuto  regionale  -  Testo  approvato  in seconda deliberazione dal
  Consiglio    regionale    -   Impugnazione   davanti   alla   Corte
  costituzionale   -   Legittimazione  a  ricorrere  del  consigliere
  regionale  dissenziente  - Mancata previsione - Invito alla Corte a
  dichiarare,    ove    occorra,    l'illegittimita'   costituzionale
  dell'omissione normativa.
- Legge  11 marzo  1953,  n. 87, art. 31, come modificato dall'art. 9
  della legge 5 giugno 2003, n. 131.
- Legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27, ultima parte.
Statuto  regionale  -  Statuto della Regione Umbria - Approvazione in
  seconda   deliberazione  con  modifiche  parziali  qualificate  dal
  Consiglio  regionale come «correzioni formali» - Ricorso alla Corte
  costituzionale  proposto da un consigliere regionale dissenziente -
  Denunciato  difetto di conformita' della seconda deliberazione alla
  prima  (relativamente  al  testo della sola disposizione statutaria
  riguardante  famiglia  e  forme  di  convivenza)  -  Violazione del
  principio  costituzionale  della  c.d. «doppia conforme» delibera -
  Richiesta  di dichiarare l'illegittimita' costituzionale, ovvero la
  nullita' o l'inesistenza dello Statuto cosi' come approvato.
- Statuto  della  Regione  Umbria  approvato  dal Consiglio regionale
  nelle sedute del 2 aprile e del 29 luglio 2004, intero testo.
- Costituzione, art. 123, comma secondo.
In subordine:  Statuto  regionale  -  Statuto  della Regione Umbria -
  Disposizioni   sulla  incompatibilita'  del  consigliere  regionale
  nominato  membro  della  Giunta - Previsto subingresso nella carica
  consiliare  del  primo dei candidati non eletti nella stessa lista,
  fino  a  quando  il  consigliere  nominato  assessore mantenga tale
  carica   -   Ricorso  alla  Corte  costituzionale  proposto  da  un
  consigliere regionale dissenziente - Denunciata introduzione di una
  figura  di  consigliere  supplente o subentrante non prevista dalle
  norme   costituzionali   e  discriminata  rispetto  ai  consiglieri
  ordinari  -  Violazione  del  divieto di mandato imperativo e delle
  garanzie  di  insindacabilita'  e  inamovibilita' per i consiglieri
  «supplenti»  -  Contrasto  con la configurazione costituzionale del
  Consiglio regionale e con i principi fondamentali delle leggi della
  Repubblica  in  tema  di  incompatibilita'  - Lesione del principio
  rappresentativo e democratico.
- Statuto  della  Regione  Umbria  approvato  dal Consiglio regionale
  nelle sedute del 2 aprile e del 29 luglio 2004, art. 66.
- Costituzione, artt. 3, 121, 122, 123 e 67.
In subordine:  Statuto  regionale  -  Statuto  della Regione Umbria -
  Prevista  tutela di forme di convivenza non basate sul matrimonio -
  Ricorso alla Corte costituzionale proposto da consigliere regionale
  dissenziente - Denunciata violazione del riconoscimento dei diritti
  della  famiglia  come  societa'  naturale  fondata sul matrimonio -
  Equiparazione  delle coppie (anche omosessuali) e delle famiglie di
  fatto  alle  famiglie  di  diritto  -  Invasione  della  competenza
  legislativa  esclusiva  dello Stato in materia di ordinamento dello
  stato civile.
- Statuto  della  Regione  Umbria  approvato  dal Consiglio regionale
  nelle sedute del 2 aprile e del 29 luglio 2004, art. 9.
- Costituzione, artt. 29 (30 e 31) e 117, comma secondo, lett. i).
(GU n.40 del 13-10-2004 )
    Ripa   di   Meana   Carlo,  consigliere  regionale  di  minoranza
dell'Umbria,  rappresentato  e  difeso,  come da delega in margine al
presente   atto,  dall'avv.  Urbano  Barelli  del  Foro  di  Perugia,
unitamente  all'avv.  Mario  Sanino,  presso  il cui Studio legale in
Roma,  alla  Via  Parioli n. 180, elegge domicilio ricorre alla Corte
costituzionale     perche'     sia     dichiarata    l'illegittimita'
costituzionale,  avvero  la  nullita'  o l'inesistenza, dello Statuto
della   Regione  Umbria,  come  deliberato  dal  Consiglio  regionale
dell'Umbria nelle sedute del 2 aprile e 29 luglio 2004.

                              F a t t o

    1.  -  La  Regione  Umbria ha provveduto all'approvazione del suo
nuovo  Statuto  mediante  atti  che,  sia in rito che in merito, sono
profondamente   lesivi  della  legalita'  costituzionale:  si  tratta
percio'  di approvazione costituzionalmente illegittima, se non nulla
o  insistente.  Le  ragioni  sono molteplici: ma precede e prevale su
tutte  la  considerazione  che  difetta nel procedimento l'essenziale
c.d.  «doppia  conforme» delibera (vale a dire, le «due deliberazioni
successive»  ai  sensi dell'art. 123, secondo comma Cost.), si che in
realta'  non  si puo' nemmeno parlare di esistenza di un'approvazione
regionale dello Statuto.
    2.  -  Nei fatti, dopo una prima deliberazione del 2 aprile 2004,
il  29  luglio  2004  il  Consiglio  regionale  dell'Umbria  - con la
contrarieta' dell'odierno ricorrente - ha nuovamente deliberato circa
la  legge  sul nuovo Statuto della regione, decidendo in tale seconda
seduta  a  stretta  maggioranza  assoluta  (17 votanti a favore su 30
componenti) l'approvazione in questione.
    Questo  Statuto  e'  stato  pubblicato  - ai fini notiziali - sul
Bollettino ufficiale della Regione Umbria dell'11 agosto 2004.
    A  seguito  di  questa approvazione, il ricorrente denuncio', tra
l'altro,  gli  enormi  vizi  che ora vengono qui rappresentati con un
esposto  in data 13 agosto 2004 diretto alla Presidenza del Consiglio
dei  ministri,  al  Dipartimento affari giuridici e legislativi della
stessa   ed   all'Ufficio  legislativo  del  Ministero  dell'interno.
Nondimeno,  il  Consiglio  dei  ministri,  esaminando lo Statuto il 3
settembre  2004  per  le  sue  determinazioni ai sensi dell'art. 123,
secondo comma, Cost., pur avendo deciso di promuovere la questione di
legittimita'  costituzionale,  si  e' poi limitato a contenere il suo
ricorso - a quanto risulta - ad alcuni motivi di merito, tralasciando
singolarmente,   evidentemente   per   ragioni  di  mera  contingenza
politica,  il ben piu' radicale e macroscopico vizio in procedendo e,
a  quanto  pare,  il  vizio  di  merito  concernente  la  figura  del
consigliere regionale supplente.
    Ora  il  ricorrente,  affinche'  in un caso di tanta enormita' la
legalita'  costituzionale non resti priva di effettivita' e di tutela
nell'inerzia   del  Governo  sul  punto  e'  costretto  a  rivolgersi
direttamente,  analogamente  all'amicus  curiae  della  Corte Suprema
statunitense o alla public interest action, alla Corte costituzionale
perche' la legalita' costituzionale sia ripristinata.

                            D i r i t t o

A)   Sulla  legittimazione  a  ricorrere  del  consigliere  regionale
dissidente.
    1. - La Costituzione non prevede espressamente, a proposito dello
Statuto  regionale,  la  legittimazione  a  ricorrere del consigliere
regionale non consenziente. Nondimeno questa e' implicita nel sistema
costituzionale  medesimo.  Ne sono elementi fondanti, come si vedra',
la  garanzia  della  giuridicita' della Costituzione, il principio di
unita'    e    indivisibilita'   della   Repubblica,   il   carattere
«costituzionale»  degli  Statuti,  la connotazione del loro controllo
preventivo  di  costituzionalita',  la  forma  di  governo  a livello
regionale, il rispetto del giusto procedimento costituzionale.
    2.  - Va subito detto che il vizio in procedendo nella formazione
dello Statuto, costituito dal difetto della «doppia conforme», e' qui
di  importanza  e  rilievo  tali  che  l'enormita'  del  vulnus  alla
Costituzione  che  ne  deriva  non  puo'  rimanere senza riparazione.
L'acquiescenza  dell'ordinamento,  infatti,  di  fronte  ad  una tale
illegalita'  (i  cui  clamorosi  tratti  concreti sono qui esposti in
seguito),   con   cui   si   vorrebbe   far   passare  per  esistente
un'approvazione   regionale   in   realta'   mai  venuta  in  essere,
significherebbe    ridurre   la   volutamente   rigorosa   previsione
procedimentale  costituzionale a mera opzione, con demolitivi effetti
di precedente in ordine alla precettivita' delle norme costituzionali
stesse.
    Numerose  sono  le  considerazioni  specifiche  che  conducono  a
ritenere  che,  se  anche  l'art. 123, secondo comma, Cost. riconosce
espressamente  al  Governo  la facolta' di promuovere la questione di
legittimita'  costituzionale  sugli  statuti  regionali, nondimeno si
tratta  di  una previsione che non e' esclusiva: anche al Consigliere
regionale  che  non  ha  votato  a favore spetta una simile facolta',
quanto meno in via successiva rispetto al Governo.
    La   prima   considerazione   e'  che,  diversamente  opinando  e
racchiudendo  la  legittimazione  a ricorrere nel solo Governo, da un
lato  si renderebbe il Governo stesso, con le sue valutazioni di alta
o bassa opportunita' politica (che sono quelle che - come il presente
caso  dimostra  -  fatalmente regolano la decisione del Consiglio dei
ministri  al  momento  del  vaglio  dello Statuto regionale), arbitro
esclusivo  della  tutela  della legalita' costituzionale: che invece,
per  cio'  che  riguarda  l'effettivo ordinamento delle articolazioni
della  Repubblica,  e'  legalita'  necessaria  e  oggettiva e non «di
diritto  soggettivo»  e  sottratta  alla  liberta'  della valutazione
politica;   dall'altro   si  priverebbe  un  soggetto  interessato  e
costituzionalmente   qualificato   -  quale  appunto  il  consigliere
regionale, che non ha votato a favore e che ha sollecitato il Governo
ad  impugnare  -  della  possibilita' di sollevare una tale questione
nell'interesse generale.
    3.   -   A  differenza  poi  che  nello  Stato  per  le  funzioni
costituzionali,  nella Regione la rappresentanza politica costituisce
l'unico  titolo  di investitura di funzioni di rilievo statutario. Il
che,  in  una  forma  di  governo  a conseguente totale titolazione e
responsabilita'   politica   come  quella  regionale,  dove  l'intera
dialettica     istituzionale     si     riassume     nel     rapporto
maggioranza-opposizione,   implica   -   ad   evitare   un'altrimenti
insindacabile   tirannide   della   maggioranza   -   che   i  membri
dell'opposizione  consiliare  siano,  almeno per cio' che riguarda lo
Statuto,   titolari  anche  di  una  legittimazione  come  quella  in
questione.  Non  v'e'  infatti,  nella forma di governo regionale, un
potere  di moderazione neutro, superiore e correttivo come quello del
Presidente  della Repubblica, che possa ammonire e in ultimo rinviare
le   leggi  sospette  invece  di  promulgarle  e  che  bilanci  cosi'
l'eventuale eccesso della maggioranza assembleare: anzi, il potere di
promulgazione  e'  assegnato  allo stesso massimo esponente di quella
maggioranza politica, il presidente della giunta regionale, cui certo
non  puo'  riconoscersi  un  siffatto  ruolo.  Nulla  qui,  se non la
giurisdizione  o i controlli giuridici, realizza un sistema di checks
and  balances,  un  «potere che controlla il potere» e che arresti la
naturale  tendenza espansiva del potere stesso. Ma se l'ingresso alla
giurisdizione  viene  precluso  a  chi,  tra  i soggetti regionali di
rilievo  costituzionale,  e'  portatore  dell'interesse  concreto  al
rispetto  delle  norme  costituzionali,  si finirebbe per riconoscere
alla  volonta'  politica  della  maggioranza l'emancipazione assoluta
dalla regola giuridica, con lesione immediabile della ragion d'essere
della  Costituzione  stessa,  che  e'  superiore  e permanente limite
giuridico  alla  contingenza  politica.  In  pratica,  si  sancirebbe
l'onnipotenza  della  maggioranza,  dunque  la  negazione  stessa del
fondamento  del  costituzionalismo e la riduzione della Costituzione,
riguardo a questi temi, a «costituzione nominale».
    Della volonta' di una siffatta onnipotenza e' documento eloquente
la vicenda che muove questo ricorso: basti porre attenzione a quando,
per  disegno  politico  incurante  della negazione del diritto che si
andava  a  porre  in  essere,  gli appena diciassette consiglieri che
hanno  approvato lo Statuto hanno assunto, sfidando il grottesco, che
esisteva,  contro  la  solare  evidenza, la conformita' della seconda
deliberazione alla prima.
    4.   -   Non  vale  eccepire  la  possibile  via  del  referendum
confermativo.   Si  tratta  infatti  di  uno  strumento  di  consenso
politico,  non  di  riesame  giuridico:  quando invece, specie per il
vizio  in  procedendo del difetto della doppia conforme, la questione
non   e'   appunto   politica,   ma   di  garanzia  dell'effettivita'
giuridico-costituzionale.   Il  che  nella  specie  e'  ulteriormente
dimostrato  dalla  circostanza che la questione che all'ultimo qui si
pone  e'  quella  della  inesistenza, o della nullita', dello Statuto
stesso.  Il  che  certo,  come  il  giudizio  stesso  di legittimita'
costituzionale, non e' materia da referendum confermativo.
    5.  -  La  distinzione  tra  politica e diritto e' qui dirimente,
perche'   il   tema   e'  esattamente  quello  dei  limiti  giuridici
all'arbitrio   politico.   Negando   una   tale   legittimazione,  si
affiderebbe  al  solo  Governo,  e  alla sua valutazione politica, la
decisione  sull'an  e  sul  quid  della cura giuridico-costituzionale
dell'interesse  - che e' interesse superiore e generale - al rispetto
della  legalita'  costituzionale.  In quanto interesse generale, esso
appartiene  pero'  allo Stato- comunita' e, per effetto del principio
rappresentativo,  ha  come  naturale  titolare  in  primis proprio il
consigliere  regionale  dissidente.  E  in quanto interesse generale,
l'assenza  di  un  organo  espressamente deputato alla sua tutela per
ragioni  oggettive  non  puo'  che essere compensata dalla piu' ampia
legittimazione a ricorrere.
    La  vicenda  che  qui  occupa  dimostra quanto si e' appena detto
anche  a  livello  governativo:  malgrado la flagrante violazione del
principio  della «doppia conforme» ex art. 123, secondo comma, Cost.,
il  Governo  della  Repubblica,  benche' allertato anche sul punto in
questione  dall'esposto  dell'odierno  ricorrente, sembra non intenda
far  valere  in  Giustizia  costituzionale  il  vizio in procedendo e
voglia  compiere, di fatto, acquiescenza rispetto ad un'inaccettabile
violazione  di  detta  norma.  Violazione che offende non la sfera di
competenze   dello   Stato  (della  quale  il  Governo  e'  legittimo
interprete)  ma  quella del rispetto procedimento costituzionale: che
appunto  non  appartiene  al  Governo  o allo Stato-apparato, ma allo
Stato-comunita'.
    Se  ora  non  si  riconoscesse  la legittimazione a ricorrere del
consigliere regionale non consenziente, circa siffatti aspetti che il
Governo  non  intende  impugnare,  l'interesse  al rispetto, anche in
rito, della legalita' costituzionale resterebbe adespota e relegato a
questione   sottoposta   alla   sola   valutazione   governativa   di
opportunita' politica, con evidente elusione della giuridicita' della
Costituzione  rispetto  agli  Statuti  regionali:  quando  invece  la
Costituzione  afferma  espressamente  che  lo Statuto deve essere «in
armonia  con  la  Costituzione»  (art. 123,  primo comma, Cost.). Gli
Statuti  regionali  compongono infatti, insieme alla Costituzione, un
sistema  di  definizione  dei  tratti  fondamentali  dell'ordinamento
italiano,  in  cui  non  possono  essere  ammesse,  per  esigenze  di
sistematicita'  che  derivano  dal  principio  superiore  di unita' e
indivisibilita'  della Repubblica, attenuazioni o aggiramenti di tale
giuridicita'.  Ma  il  ridurre  la  garanzia alla sola valutazione di
opportunita'  politica  del  Governo  significa  privarla  della  sua
essenziale   caratteristica,  data  dalla  possibilita'  di  verifica
giurisdizionale  per  ragioni  di diritto oggettivo. E per questo che
contro  l'inerzia in parte qua del Governo nell'impugnare uno Statuto
non e' immaginabile altro rimedio che quello - che qui viene spiegato
-  di  un'azione, dai caratteri surrogatori, suppletivi e successivi,
del Consigliere regionale dissenziente. Del resto, solo se si prevede
la  conseguenza di un tale rimedio all'omissione governativa, si puo'
affermare  senza  finzioni  che  il  Governo ha il dovere di valutare
giuridicamente  e  oggettivamente,  e  non  solo  politicamente,  uno
Statuto regionale.
    6.  -  Cio'  da  cui  non  si  puo'  prescindere  e' la posizione
particolare  e  preminente  che  ha  oggi  uno  Statuto regionale nel
sistema  delle  fonti  del  diritto. Esattamente e' stato in dottrina
osservato   che   questa   fonte  e'  (sia  per  il  procedimento  di
approvazione  che per la particolarissima forza) diversa da quella di
una  ordinaria  legge regionale (B. Caravita, La Costituzione dopo la
riforma  del  Titolo  V, Torino 2002, 53 ss.), che anzi lo Statuto e'
sovraordinato  alla  legge  regionale  e assume ormai la veste di una
vera   e   propria   costituzione  regionale.  Realizzerebbe  percio'
un'inammissibile  lesione  della  rammentata doverosa «armonia con la
Costituzione»   il   circoscriverne   la   riduzione   giustiziale  a
conformita'  costituzionale  ai  soli  ricorsi  in via principale del
Governo  o  agli  eventuali  futuri  ricorsi  incidentali. A parte la
difficolta'  (o, per converso, la precarieta' della fonte di diritto)
insita nel rinvenire in ogni legge regionale, o peggio ancora in ogni
misura  non  legislativa applicativa dello Statuto, una legge affetta
da  illegittimita'  costituzionale  derivata dal vizio procedimentale
originario  dello  Statuto  sulla  cui  base  e' stata formata, e' lo
stesso interesse generale alla certezza e stabilita' delle previsioni
«costituzionali»  (quale  appunto uno Statuto regionale) a richiedere
che   lo   strumento   e   il   momento   eminenti   del   vaglio  di
costituzionalita'  siano  in questo caso quelli immediati del ricorso
in  via  principale: questo interviene infatti al momento genetico di
un  siffatto  tipo  di norma, e non in quello, eventuale e successivo
(anche  di  molto),  dell'incidente  di costituzionalita'. Tanto piu'
cio'  vale,  se  si  fa  questione  di  un  vizio nel procedimento di
approvazione  dello  Statuto  stesso. L'ovvia conseguenza in punto di
legittimazione  a  ricorrere  in  via  principale e' che va intesa in
senso  non  esclusivo a favore del Governo e va riconosciuta anche al
componente consiliare.
    Si  collega  a  questa  supremazia  dello Statuto il fatto che il
ricorso  di  cui  all'art. 123 Cost. e' infraprocedimentale e percio'
preventivo   (esso  va  infatti  proposto  nei  trenta  giorni  dalla
pubblicazione  ai fini notiziali, utile anche ai fini del referendum:
U.  De  Siervo, I nuovi Statuti regionali nel sistema delle fonti, in
AA.VV.,  Verso  una nuova fase costituente delle Regioni. Problemi di
interpretazione  della  legge  costituzionale  n. 1  del 1999, Milano
2001, 100 ss.; R. Tosi, Incertezze e ambiguita' nella nuova normativa
statutaria,  in  Le  Regioni,  1999,  847  ss.)  e  dunque precede la
promulgazione,  affinche'  la costituzionalita' sia vagliata prima di
essa,  quasi come se d'ufficio. Invece l'impugnazione delle ordinarie
leggi  regionali,  di  cui  all'art. 127  Cost., e successiva perche'
segue  la  loro  unica  pubblicazione e dunque la loro promulgazione.
Questo   stesso   eccezionale  carattere  preventivo  impone  che  la
legittimazione a ricorrere vada riconosciuta con maggiore latitudine,
affinche'  il  vaglio preventivo di costituzionalita' possa essere il
piu' ampio possibile, ad impedire che nell'ordinamento venga immesso,
anche interinalmente, un testo costituzionalmente illegittimo.
    7.  -  In  realta',  insomma,  e'  il  criterio della titolarita'
dell'interesse  a ricorrere, in una con il rilievo costituzionale del
soggetto   ricorrente,   che   conduce   ad  individuare  i  soggetti
legittimati a ricorrere avverso l'espressione di una fonte di diritto
di siffatto rango e per vizi cosi' genetici e radicali. E' il caso di
rammentare  che,  nel  diritto civile, l'azione di nullita' compete a
chiunque  vi  ha  interesse (art. 1421 Cod. civ.): la ratio qui e' la
stessa,  perche' l'ordinamento intende consentire a tutti, purche' vi
siano interessati, di contestare in giudizio un atto, qui per di piu'
di  importanza primaria e generale, talmente viziato; la sua reazione
all'atto  totalmente viziato e' infatti quella che si esprime con una
pronuncia del giudice che pone nel nulla l'atto e che viene investito
dalla  piu' ampia platea possibile di soggetti. Se questo avviene per
un  atto  espressivo di autonomia contrattuale, che cioe' regola solo
interessi interprivati, ad assai maggior ragione deve avvenire per un
atto  che regola la vita pubblica di una comunita' regionale, come e'
uno  Statuto  regionale.  Cambia la giurisdizione, non cambia il modo
che ha l'ordinamento per affermare la propria giuridicita'.
    8.  -  Non solo: vi e' un ulteriore e primario interesse, proprio
del  consigliere  regionale, che entra in questione. E' l'interesse a
che  al  consiglio regionale siano riferiti solo gli atti che esso ha
adottato  nel  rispetto  delle  norme  costituzionali.  Cosi' qui: il
mancato     perfezionamento    della    fattispecie    procedimentale
dell'art. 123,  secondo  comma, Cost. - malgrado gli artifici verbali
circa  le  mere  «correzioni  formali»,  di cui si vedra' - impedisce
radicalmente l'imputazione dello Statuto al Consiglio regionale e per
esso  alla  Regione  Umbria. Ed avverso un'indebita imputazione di un
atto che percio' stesso e' in realta' giuridicamente inesistente, non
puo'  che  essere  riconosciuta  legittimazione  ad  agire in capo al
Consigliere    regionale.    L'imputazione,   infatti,   postula   le
legittimita' costituzionale del procedimento in concreto seguito e il
consigliere  regionale ha interesse a che non siano riconosciuti come
del  consiglio  regionale  atti  che,  per  la mancata formazione del
giusto  procedimento  costituzionale,  non  possono  essere  ad  esso
riferiti.
    9.  -  Non avendo il Governo ne' restituito gli atti alla Regione
Umbria  (per mancato perfezionamento della fattispecie procedimentale
dell'art. 123,  secondo  comma,  Cost.),  ne' promosso sulla mancanza
della  «doppia conforme» la questione di legittimita' costituzionale,
la precettivita' necessaria della Costituzione impone di affermare la
legittimazione a ricorrere al consigliere regionale non consenziente.
    Ove  occorra,  potra'  la  Corte dichiarare d'ufficio, ex art. 27
u.p.  legge  11  marzo  1953,  n. 87, l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 31  della stessa legge come mod. dall'art. 9 legge 5 giugno
2003,  n. 131,  nella  parte  in  cui non afferma la legittimazione a
ricorrere   del   consigliere   regionale   che  non  ha  votato  per
l'approvazione dello Statuto.
B)  Sul  merito  della  prima  questione:  vizio  in  procedendo  per
violazione dell'art. 23 Cost.
    La  deliberazione del 29 luglio 2004 non e' conforme a quella del
2  aprile  2004:  pertanto  non  puo'  essere  idonea  ad imputare al
consiglio  regionale  dell'Umbria  la  volonta'  di  legiferare sullo
Statuto.  Essa  avrebbe  dovuto  essere  restituita  dal  Governo  al
Consiglio   regionale,   ovvero,  nella  misura  in  cui  afferma  il
contrario, impugnata davanti alla Corte costituzionale anche a tutela
della legalita' costituzionale procedimentale. Infatti, a ben vedere,
non esiste qui ancora un'approvazione regionale dello Statuto.
    L'art. 123,  secondo comma, Cost. impone che lo Statuto regionale
sia  approvato  con  legge  approvata a maggioranza assoluta, con due
deliberazioni  successive  adottate  ad  intervallo non minore di due
mesi.
    La  diversita'  tra  le  due  delibere  e' macroscopica. Il testo
dell'art. 9   dello   Statuto   dell'Umbria   come  risultante  dalla
deliberazione del 2 aprile 2004 era il seguente:
                  «Articolo 9 - Comunita' familiare
    1.  La  regione  riconosce i diritti della famiglia e adotta ogni
misura   idonea   a   favorire   l'adempimento  dei  compiti  che  la
Costituzione affida ad essa e tutela le varie forme di convivenza».
    Il  testo  dell'art. 9 come risultante dalla deliberazione del 29
luglio 2004 e' invece il seguente:
             «Articolo 9 - Famiglia. Forme di convivenza
    La  regione  riconosce  i  diritti  della  famiglia e adotta ogni
misura   idonea   a   favorire   l'adempimento  dei  compiti  che  la
Costituzione le affida.
    Tutela altresi' forme di convivenza».
    Come  si  vede, nella seconda deliberazione la rubrica originaria
(«Comunita'  familiare»)  e' stata sostituita con «Famiglia. Forme di
convivenza»;  le  parole  «affida  ad  essa»  sono  sostituite da «le
affida», la susseguente congiunzione «e» e' stata soppressa e l'unico
comma  che  componeva  l'articolo  e'  stato  scomposto  in due commi
(singolarmente,  non numerati: mentre il precedente unico comma era -
secondo  le  note  regole  di formulazione dei testi legislativi 1) -
numerato  con  il  numero  «1»);  le  parole  «le  varie»  sono state
soppresse e sostituite da «altresi».
    Una tale modificazione, intervenuta con la seconda deliberazione,
ha  evidente  carattere  sostanziale  ed  impedisce di poter ritenere
realizzata   la  fattispecie  delle  «due  deliberazioni  successive»
prevista dall'art. 123, secondo comma, Cost.
    Il procedimento previsto da questa norma costituzionale non si e'
perfezionato,  perche'  non  v'e'  stata la c.d. doppia conforme, che
deve  caratterizzare  le  «due  deliberazioni successive» adottate ad
almeno  due  mesi  di  distanza.  Dunque  non  vi e' imputabilita' al
Consiglio  regionale  di una volonta' di legiferare davvero in ambito
statutario.
    Una  simile  doppia  deliberazione e' voluta dalla Costituzione -
replicando   il   modulo   della   revisione  costituzionale  di  cui
all'art. 138 Cost., dove si usano le stesse parole - perche', dato il
rilievo  della  fonte che si va ad introdurre, attraverso il ribadire
una medesima volonta' la ponderazione del testo possa essere massima,
l'intenzione  della  modificazione  ben  ferma  e  la sua motivazione
persistente.  Il  che  fa  anche  considerare quale enorme precedente
sarebbe il tollerare qui siffatta disinvolta violazione della regola.
    L'oggetto  delle  «due  deliberazioni  successive» deve essere il
medesimo.  Diversamente,  infatti,  non  vi  e'  doppia conforme e la
seconda  deliberazione, con cui si modifica il voluto della prima, ha
il  valore  di una nuova prima deliberazione: per modo che occorrera'
un'ulteriore  deliberazione,  conforme  a  quest'ultima,  perche'  la
fattispecie si realizzi.
    E'   ovvio   che   modifiche   del   testo  in  sede  di  seconda
deliberazione,  che  non  si  limitino a caratterizzazioni formali ed
estrinseche,  ma  che  siano  implicative  di modifiche di contenuto,
interrompono  la  conformita'  e  realizzano il caso che si e' appena
detto.
    Nel caso umbro in esame, e' esattamente questo che e' avvenuto.
    Con  la  sostituzione  di  una rubrica semplice con una diversa e
composta (da «comunita' familiare» a «Famiglia. Forme di convivenza»)
e  con  la  scomposizione dell'unico comma in due commi (vale a dire,
rompendo l'omogeneita' della partizione in due proposizioni normative
autonome,   come  insegnano  le  regole  di  formulazione  dei  testi
legislativi  2) ),  con la conseguente separazione della tutela delle
forme  di convivenza dal riconoscimento dei diritti della famiglia, e
la conseguente attribuzione di carattere aggiuntivo alla tutela della
convivenza (espressa mediante l'«altresi» si e' inteso infatti venire
(parzialmente)  incontro  alle proteste di quanti affermavano esservi
nell'equiparazione  ed  omologazione della convivenza (c.d. coppie di
fatto)  alla famiglia legittima una ferita ai principi costituzionali
dell'art. 29   Cost.   Di   piu':   attraverso  la  soppressione  del
riferimento   alla   «varieta»  delle  forme  di  convivenza,  si  e'
analogamente   inteso   venire   incontro  alle  proteste  di  quanti
ravvisavano  nella  previsione  una  tutela  anche  delle  convivenze
omosessuali.  Il che sovverte ulteriormente l'assetto della comunita'
familiare  voluto  dalla  Costituzione,  perche'  - ben oltre l'ovvia
liberta'  di  tale  convivenza - da' un effetto giuridico di «tutela»
non previsto e non voluto alle unioni di persone del medesimo sesso.
    Di tutto cio' e' dato conto dall'ampio dibattito che si e' svolto
sul  tema in consiglio regionale nel corso dell'iter del procedimento
e  dalle proteste, espresse anche pubblicamente, degli ambienti della
Chiesa cattolica nei confronti dell'originario testo dell'art. 9.
    E' il caso di osservare - a proposito della moralita' del modo di
procedere   -   che   una   tale   modificazione  e'  il  frutto  non
dell'approvazione  degli  emendamenti proposti, tutti respinti, ma di
analoghe  formulazioni sconcertantemente introdotte quali «correzioni
formali»  (sic),  con  un  uso  del  tutto  abusivo  dell'art. 53 del
Regolamento  interno  del  Consiglio  (approvato  con  l.r. Umbria 16
aprile  1998, n. 14) e malgrado il contrario parere di esperti legali
del  Consiglio  regionale  e  quanto  e'  stato  eccepito  in sede di
dibattito consiliare (cfr. verbale della seduta del Consiglio, pagina
81).
    Sono stati artatamente qualificati come correzioni formali veri e
propri   emendamenti,   che  per  di  piu'  avrebbero  dovuto  essere
dichiarati   inammissibili,   perche'  presentati  oltre  il  termine
previsto  (fissato dall'Ordine del giorno del Consiglio regionale del
20  luglio  2004  entro  le  «ore  12  del 22 luglio 2004») e perche'
concernenti punti gia' decisi dall'assemblea.
    Non  v'e'  dubbio,  se  si vuole rimanere nei limiti della logica
democratica,  che tutto questo trascenda, e di parecchio, i limiti di
un  aggiustamento  di  forme  («correzioni  formali»)  e  voglia anzi
espressamente  significare  una  incisiva modifica di sostanza. Lungi
dal   costituire  una  rettifica  formale  della  prima,  la  seconda
deliberazione costituisce intenzionalmente una diversa deliberazione,
perche'   da'   volutamente,   per  espressa  ragion  politica,  alla
disposizione  e  alle  sue  parole  un significato affatto diverso da
quello originario.
    Vi  e'  stato  dunque,  con  la seconda deliberazione, un diverso
volere  legislativo  e  non  si  e'  realizzato quell'atto complesso,
composto  di  due  deliberazioni  intrinsecamente  conformi, che deve
caratterizzare  il  procedimento costituzionalmente stabilito secondo
l'inderogabile   previsione   dell'art. 123,   secondo  comma,  della
Costituzione.
    E'  appena  il  caso  di rilevare che, trattandosi di una diretta
violazione  della  norma  costituzionale  (art. 123,  secondo  comma,
Cost.),  si tratta di una illegittimita' che non puo' essere relegata
tra  gli interna corporis del procedimento legislativo: e' infatti la
Costituzione  a prescrivere «direttamente ed espressamente» la doppia
conforme  e  ogni  elusione  o violazione in concreto del precetto si
traduce  in  una violazione diretta, ed in una disapplicazione, della
Costituzione    stessa,    cioe'    dell'ordinamento    generale    e
costituzionale,   non   gia'   dell'ordinamento  interno  della  sola
assemblea  legislativa. Vi e' percio' un vizio «esterno», censurabile
proprio in questa sede di legittimita' costituzionale. E' ben nota la
giurisprudenza costituzionale al riguardo (cfr. Corte cost., sentt. 9
marzo  1959,  n. 9  e  29 marzo 1984, n. 78). Ed e' appena il caso di
sottolineare  che  la conformita' tra le due delibere e' questione di
fatto,  non  di  diritto:  che le due deliberazioni abbiano o meno lo
stesso   testo   e'   una   realta'   oggettiva,   non   modificabile
nominalisticamente   e   a   piacimento   della   stessa  maggioranza
interessata a negarla. Quindi il consiglio regionale non ha il potere
di  contro il vero, qualificare tale fatto e attestare come esistente
una  conformita'  che  invece non sussiste. Se diversamente fosse, la
non  conformita'  diverrebbe  ovviamente  mai  sindacabile e la norma
dell'art. 123, secondo comma, inutiliter data.
    Vi e' stata dunque, con la seconda delibera di approvazione e gli
atti   conseguenti,   una   flagrante   violazione  del  procedimento
dell'art. 123,  secondo  comma,  Cost. Non vi e', allora, uno Statuto
approvato dal consiglio regionale.
C)   Sul   merito   della  seconda  questione:  violazione  di  norme
costituzionali sostanziali. Violazione degli artt. 3, 121, 122, 123 e
67  Cost.; della insindacabilita' e del divieto di mandato imperativo
per  i  consiglieri «supplenti» e della configurazione costituzionale
del Consiglio regionale.
    Il  testo  deliberato  il  29  luglio e' altresi' lesivo di altre
previsioni  costituzionali.  In particolare, l'art. 66 del deliberato
Statuto stabilisce:
             «Articolo 66 - Incompatibilita' e supplenza
    1.  La  carica  di  componente  della Giunta e' incompatibile con
quella di Consigliere regionale.
    2. Al Consigliere regionale nominato membro della Giunta subentra
il  primo  tra  i candidati non eletti nella stessa lista, secondo le
modalita'  stabilite  dalla  legge elettorale. Il subentrante dura in
carica  per tutto il periodo in cui il Consigliere mantiene la carica
di Assessore.
    3.  Qualora  prima  della  fine  della legislatura il Consigliere
nominato Assessore venga revocato o si dimetta dalla carica, riassume
le funzioni di Consigliere con effetto dalla data di comunicazione al
Consiglio regionale».
    Questa  previsione  non solo introduce una figura, il consigliere
regionale   supplente   o   subentrante,   non   prevista   ai  sensi
dell'art. 122,  primo  comma,  Cost.  (che demanda alla legge statale
stabilire  i  principi  fondamentali  circa  le  incompatibilita' dei
consiglieri regionali: e una tale discendente previsione non e' stata
in   quella   sede   stabilita)   e   dunque  viola  la  detta  norma
costituzionale,  ma  anche  contraddice  il principio, essenziale del
regime rappresentativo, da cui nasce il divieto di mandato imperativo
(e che trova un'espressione nell'art. 67 Cost.).
    Oltre  infatti  a  determinare  una moltiplicazione di spese e un
deprecabile  sostituirsi  e confondersi di seggi, questa nuova figura
comporta  un'evidente  violazione  dell'art. 122  della  Costituzione
(sulle   immunita'   dei   consiglieri  regionali)  e  del  principio
costituzionale  del  divieto  di  mandato  imperativo  (cfr.  art. 67
Cost.),   immanente   al   regime   rappresentativo  (anche  ove  non
esplicitato) ed esplicitato comunque dall'articolo 57, comma 1, dello
stesso  nuovo  Statuto  regionale  dell'Umbria,  a norma del quale «I
Consiglieri regionali rappresentano l'intera Regione senza vincolo di
mandato».
    La conseguenza e' anche una violazione dell'art. 3 Cost., perche'
si avranno due tipi di consigliere regionale, a status differenziato,
dove  il  consigliere  del  genere  «supplente» avra' minori garanzie
dell'ordinario: praticamente un consigliere capitis deminutus.
    Che  questo  realizzi una violazione del principio del divieto di
mandato  imperativo  e del principio della autonomia e della liberta'
del  volere  dell'eletto  rappresentante del popoio, e della pari sua
dignita'  rispetto ai colleghi, di cui e' espressione, sara' evidente
nel  caso  in  cui  il  supplente  assuma,  con  i suoi voti o la sua
opinione, una posizione sgradita alla giunta.
    E'  realistico  infatti  che  il  supplente,  non  godendo  della
medesima  «inamovibilita»  per  tutto  il  mandato  di  cui  gode  il
consigliere  ordinario ed essendo invece per definizione precario per
fatto  altrui,  sarebbe  in  tal  caso  esposto ad una revoca ad hoc,
mediante  apposita  restituzione  del  supplito  alla  sua originaria
funzione  di  consigliere  (previa cessazione da quella di componente
della giunta).
    Occorre  considerare  che  il  divieto  di  mandato  imperativo e
comunque l'intrinseca natura del regime rappresentativo, di cui e' un
corollario   e   che   si  esprime  anche  attraverso  la  rammentata
insindacabilita',   comportano   che  il  giudizio  sull'operato  del
parlamentare,  o del consigliere regionale, possa essere espresso dal
solo  corpo  elettorale  e  alla  fine del mandato elettorale: il che
implica  che  non  puo'  essere  consentita  la  revoca nel corso del
mandato  (C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, 9ª ed., Padova
1975, 461).
    Non  basta:  qui  si avrebbe anche l'enorme aggravante - rispetto
alla  tutela  della  liberta'  del volere dell'eletto - che la revoca
verrebbe  operata  non  gia' dal corpo elettorale, di fronte al quale
egli   pur   sempre  risponde  politicamente,  bensi'  dall'esecutivo
regionale,  vale  a dire dall'organo sottoposto al controllo politico
del  consiglio,  cioe'  - con evidente paradosso - dall'organo che e'
politicamente responsabile davanti al consiglio e comunque sottoposto
al  suo  controllo  politico:  praticamente,  il controllato potrebbe
rimuovere  a  piacimento  (con  una  virtuale  lettre  de  cachet) il
controllore, con sconcertante alterazione del principio di equilibrio
tra i poteri.
    Di  piu':  il  principio rappresentativo non ammette soluzione di
continuita'  circa  il  mandato  dell'eletto:  o si e' rappresentanti
dell'elettorato e lo si e' per tutto il mandato, o non lo si e' piu'.
Invece,   con  la  previsione  in  esame,  il  mandato  stesso  viene
interrotto,  creando  un'inammissibile  sospensione  nel  corso della
legislatura   e   spezzando  lo  stesso  rapporto  di  rappresentanza
politica.
    Una  tale  deminutio  capitis  e'  consequenziale all'aberrazione
intrinseca   della   figura,   che  e'  ben  diversa  da  quella  del
subentrante,  ad  es., per elezioni suppletive, il quale gode, per il
resto  del  mandato  consiliare,  della  medesima  inamovibilita' del
consigliere ordinario.
    La norma si palesa incostituzionale anche sotto un altro profilo,
costituito  dalla  violazione degli artt. 121, 122 e 123 Cost., nella
parte  in  cui  configurano  la  composizione del Consiglio regionale
senza  distinguere  categorie  a  status differenziato di consiglieri
regionali,  e  nel  superamento dei principi fondamentali delle leggi
della  Repubblica  in  tema  di  incompatibilita'  (come previsto, in
particolare,  dall'art. 122,  primo  comma): nessuno di quei principi
fondamentali   prevede   infatti   un  siffatta  incompatibilita'  e,
soprattutto, un tale asimmetrico rimedio per farvi fronte.
    Si  deve infine considerare che, poiche' la giunta puo' essere di
dieci  componenti (art. 67, comma 2) e il Consiglio e' di trentasette
(art. 42,  comma  1), si puo' giungere ad un consiglio che, di fatto,
e'  composto da piu' di un quarto di soggetti che il corpo elettorale
non  ha  eletto:  con  il  che  si  vulnera  gravemente ed oltre ogni
ragionevole misura il principio rappresentativo e democratico.
D)  Violazione dell'art. 29, e dell'art. 117, secondo comma, lett. i)
Cost.
    Si  aggiunge a quanto sopra, per il suo valore, quanto segue, che
pure forma, a quanto pare, oggetto della impugnazione governativa.
    La  modifica  dell'art. 9  di cui si e' detto, pur concretizzando
una  violazione del procedimento dell'art. 123, secondo comma, Cost.,
non   riesce   comunque  ad  emancipare  il  testo  dall'addebito  di
violazione  della  norma  sostanziale dell'art. 29 (e 30 e 31) Cost.,
che  «riconosce  i  diritti  della  famiglia  come  societa' naturale
fondata sul matrimonio».
    Vela  la pena a questo proposito di menzionare alcune sconcertate
reazioni   che  la  nuova  «tutela»  di  convivenze  non  basate  sul
matrimonio  ha  ingenerato.  Il  testo  della  seconda  deliberazione
rappresenta,  a  detta  dell'Arcivescovo  di  Perugia  Mons. Giuseppe
Chiaretti,  Presidente  della Conferenza Episcopale Umbra «lo statuto
delle  ambiguita». In un articolo sul settimanale diocesano «La Voce»
del  6  agosto  2004  (www.lavoce.it),  e in un comunicato ANSA del 5
agosto  2004,  egli  esattamente sottolinea che «la famiglia e' stata
considerata   come  una  variabile  tra  tante  forme  di  convivenza
possibili, che non vogliono pero' accedere alla struttura impegnativa
e  pubblica  del  matrimonio-famiglia,  ma ne esigono tutta la tutela
"come  se"  fossero  matrimonio  e famiglia. Il che e' un controsenso
giuridico  oltre  che  morale,  un  "vulnus" arrecato alla stabilita'
della  famiglia,  che  non manchera' di pesare gravemente sul partner
piu' fragile e soprattutto sui figli, e di riflesso sulla societa».
    Al  di  la' delle ben condivisibili opinioni del Presidente della
Conferenza  Episcopale  Umbra, resta evidente a tutti, anche a quanto
si  riferiscono ad una accezione laica della comunita' familiare, che
la  previsione  statutaria  dell'art. 9  viola  l'art. 29 (e 30 e 31)
Cost.,  che  non  ammette  forme di «tutela» della famiglia se non e'
basata sul matrimonio, religioso o civile che sia. Il che, del resto,
e'  proprio l'applicazione del piu' laico dei principi, che e' quello
di  responsabilita',  che  vuole i diritti si accompagnino ai doveri:
come appunto col matrimonio avviene.
    Ovviamente,  nulla  impedisce e deve impedire la convivenza delle
coppie  di  fatto:  ma  proprio  perche'  si  tratta di una scelta di
liberta'  dei  singoli,  che  come  non  si  vuole comporti vincoli e
doveri,  cosi'  non  comporta  nemmeno  i  diritti  che  nascono  dal
matrimonio.  Ma  lo Statuto non si limita a riconoscere, se mai ve ne
fosse  bisogno,  una  tale liberta': con la parola «tutela» si spinge
piuttosto  ad  impegnare la Regione ad agire attivamente a protezione
della convivenza di fatto ogniqualvolta si attribuiscano al nucleo di
conviventi diritti e opportunita', con l'effetto di una parificazione
alla  famiglia di diritto e della riduzione del matrimonio ad opzione
ad  effetto  meramente  morale ed esternamente carica solo di doveri.
Con  la  previsione  di  questa  «tutela»  si introduce la regola del
riconoscimento e della garanzia attiva di pretese analoghe o eguali a
quelle che nascono dal matrimonio; il che e' contrario alla ricordata
norma  della  Costituzione,  che  vuol  rendere inutiliter data, e ne
vanifica  il  presupposto.  Il risultato che si vuole e' quello della
equiparazione  delle coppie (anche omosessuali, si noti bene) e delle
famiglie di fatto e quelle di diritto.
    Oltre questo, vi e' da parte della regione una palese usurpazione
di competenze statali, perche' la previsione in questione non rientra
nelle   competenze   regionali:  trattandosi  di  questione  inerente
l'ordinamento  dello  stato  civile,  e' infatti materia di esclusiva
spettanza  legislativa  statale  (art. 117,  secondo  comma, lett. i)
Cost.).  Per  simile  motivo  il  Governo ha poche settimane addietro
impugnato lo Statuto della Regione Toscana.
          1)  Cfr.  §  7  - Partizione interne degli articoli, di cui
          alle  note  circolari di Presidenza del Consiglio, Senato e
          Camera  del  maggio 2001, secondo cui «Il comma termina con
          i/punto  a capo», «Tutti gli atti legislati vi sono redatti
          con  i  commi  numerati», «Il comma unico di un articolo e'
          contrassegnato  con  il numero cardinale "I"» e «Ogni comma
          puo'    suddividersi    in    periodi,   cioe'   in   frasi
          sintatticamente  complete che terminano con il punto, senza
          andare a capo».
          2)  Cfr.  §  2 - Aspetti generali dell'atto legislativo, di
          cui  alle  citate  circolari,  secondo cui «La ripartizione
          delle  materie all'interno dell'atto e' operata assicurando
          il  carattere  omogeneo di ciascuna partizione ivi compreso
          l'articolo,    nonche'   di   ciascun   comma   all'interno
          dell'articolo».
                              P. Q. M.
    Voglia   la   Corte  costituzionale  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale,  ovvero  la  nullita'  o l'inesistenza, dello Statuto
della  Regione  Umbria,  e  in  subordine degli articoli 9 e 66, come
deliberato  dal  Consiglio  regionale  dell'Umbria nelle sedute del 2
aprile e 29 luglio 2004.
    Con vittoria di spese, funzioni e onorari.
    Si producono:
        1)  supplemento  ordinario  n. 1  al «Bollettino Ufficiale» -
serie  generale  -  n. 33  dell'11  agosto 2004 della Regione Umbria,
contenente lo Statuto come approvato;
        2)  verbale  delle  sedute 2 aprile 2004 e 29 luglio 2004 del
Consiglio  regionale,  con  testo  dello Statuto come approvato nella
prima di queste;
        3) nota del Consigliere regionale Carlo Ripa Di Meana in data
13 agosto 2004, diretta alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed
all'Ufficio legislativo del Ministero dell'interno.
        Roma - Perugia, addi' 10 settembre 2004
               Avv. Urbano Barelli - Avv. Mario Sanino
04C1078