N. 822 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 novembre 2003
Ordinazna (pervenuta alla Corte costituzionale il 21 settembre 2004) del 27 novembre 2003 emessa dal tribunale di Viterbo nel procedimento penale a carico di Cardone Dario Reati e pene - Possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli - Determinazione del fatto reato - Violazione dei principi di ragionevolezza, di colpevolezza, e della finalita' rieducativa della pena - Contrasto con i principi di materialita' e di offensivita' dell'illecito penale - Lesione del diritto di difesa e della presunzione di non colpevolezza. - Codice penale, art. 707. - Costituzione, artt. 3, 13, 24, comma secondo, 25, comma secondo, e 27, commi primo, secondo e terzo.(GU n.43 del 3-11-2004 )
IL TRIBUNALE Nel procedimento penale n. 485/2003 r.g. a carico di Cardone Dario ha pronunciato la seguente ordinanza. Nel corso del procedimento a carico di Cardone Dario il pubblico ministero dott. A. Natalini ha sollevato l'eccezione di leggittimita' costituzionale dell'articolo 707 c.p. in riferimento agli articoli 3, 13, 24, comma 2, 25, comma 2, 27, commi 1, 2 e 3, della Costituzione. La questione di costituzionalita' sollevata assume rilevanza nel procedimento penale in corso in quanto l'eventuale accoglimento produrrebbe l'effetto di non punibilita' dell'imputato per abrogatio criminis. Sostiene in particolare il p.m.: «La non manifesta infodatezza. L'articolo 707 c.p. appartiene alla generale categoria dei reati c.d. "senza offesa" entro cui si sogliono classificare numerosi gruppi di illeciti, variamente definiti e tutti accomunati - secondo autorevole dottrina - da "un'ombra di incostituzionalita', oltre che di impopolarita'", per contrastro con il principio di offensivita', in ragione dell'eccessivo grado di anticipazione della tutela del bene giuridico-penale (Mantovani, Diritto penale, Milano, 2001, p. 228). Ed entro questo ampio gruppo di illeciti, l'articolo 707 c.p. rientra, piu' in particolare, tra i c.dd. "reati di sospetto'' (di piu' gravi reati commessi o da commettere), costituiti - come noto - da quelle fattispecie incriminatrici riguardanti comportamenti, in se' ne' levisi ne' pericolosi di alcun interesse, ma che lasciano presumere l'avvenuta commissione di reati. Cosi', nell'articolo 707, appunto, l'essere colto in possesso di chiavi false o grimaldelli analogamente all'essere colto in possesso non giustificato di valori (articolo 708 c.p. dichiarato incostituzionale dalla Corte, come si dira) o di documenti concernenti la sicurezza dello Stato (articolo 260, n. 3, c.p.), sono tutte forme di anticipazione della tutela penale dei beni giuridici ad uno stadio addirittura anteriore alle messa in pericolo, giacche' incriminano comportamenti che solo "indirettamente" espongono a pericolo l'integrita' del bene: essi, in realta', finiscono con sanzionare una condotta che crea non tanto un pericolo per la lesione del bene, ma soltanto un pericolo di una situazione pericolosa per il bene. Percio', in definitiva, i reati di sospetto rappresentano una plurianomalia, perche' investono i principi costituzionali non solo di materialita' e di offensivita', ma anche della responsabilita' penale personale, della presunzione di non colpevolezza e di difesa (sotto forma del diritto al silenzio, alla non collaborazione), dovendo provare non i1 p.m. la illiceita', ma il sospettato la liceita' del fatto (titolo possessorio o destinazione della cosa). In mancanza di una probativo liberatoria plena, per ragioni anche non dipendenti dall'imputato, egli viene punito in ogni caso. Peraltro, l'articolo 707 c.p. a ben vedere, e' annoverabile anche nella sottospecie - altrettanto problematica - dei c.dd. "reati ostativi", cioe' di quelle incriminazioni, lontanamente arretrate, che non colpiscono comportamenti offensivi di un bene, ma tendono a prevenire il realizzarsi di azioni effettivamente lesive o pericolose, mediante la punizione di atti che sono la premessa idonea per la commissione di altri reati. Essi coprono una sfera di atti anteriori allo stesso tentativo punibile, poiche' sono in se' equivoci, potendo sfociare in vari delitti ma anche in arti del tutto irrilevanti. E, a differenza dei reati sospetto, sono puniti di per se' stessi e non come supposte intenzioni di commettere reati. I reati ostacolo rientrano, insomma, nel campo della mera prevenzione e quali ipotesi piu' significative del genus dei c.dd. reati scopo. Cio' premesso in punto di inquadramento dogmatico della fattispecie de qua, va ricordato come i reati di sospetto (ampiamente intesi) sono stati oggetto di numerose censure di incostituzionalita' (alcune delle quali accolte dalla Consulta) che vanno tutte riproposte in questa sede. Sotto il profilo della ragionevolezza e della colpevolezza (articoli 3 e 27, commi 1 e 3, Costituzione). Il comportamento dedotto nella fattispecie di cui all'articolo 707 c.p. rileva sotto l'aspetto penale soltanto per una particolare categoria di soggetti, ed, in specie, per chi sia stato "condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio", per chiunque altro, invece, la medesima condotta e' perfettamente lecita. Di conseguenza un simile assetto risulta irragionevole e, dunque, in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, sotto il profilo del principio di uguaglianza nella misura in cui fa dipendere la punibilita' del soggetto non dal fatto in se', bensi' da elementi a questi del tutto estranei e, dunque, rispetto ai quali non puo' muoversi alcun rimprovero "colpevole" all'imputato, in palese violazione, altresi', con il principio di colpevolezza cosi' come estrinsecato dalla Corte costituzionale nelle sentenze 364/1988 e 1085/1988. Sotto il profilo della finalita' rieducativa della pena (articolo 27, comma 3, Costituzione). Sotto un concorrente profilo, la disposizione censurata, nel trasfondere irragionevolmente in elemento costitutivo del reato di cui all'articolo 707 c.p. fatti per i quali e' gia' intervenuta una condanna irrevocabile, vanifica il principio della finalita' rieducativa che l'articolo 27, comma 3, Costituzione assegna alla pena. Sotto il profilo dei principi di materialita' e di offensivita' (articolo 25, comma 2, Costituzione). L'articolo 707 c.p. contrasta, poi, con il principio di materialita' dell'illecito penale enucleabile dall'articolo 28, comma 2, Costituzione (laddove parla di "... fatto commesso ..."). E' vero che, a rigore, la norma consta di una condotta esteriore (id est: il posseso di certe cose), di per se' sensorialmente percepibile; nondimeno, tale fatto materiale non e' punito come tale, bensi' solo come indiziante, anche in connessione con determinate condizioni personali, di reati non ,accertati od ancora da compiere; piu' che sanzionare condotte, dunque, in realta' si puniscono stati soggettivi, intesi come relazioni statiche (il possesso, la detenzione) tra persone e cose. E cio' in palese trasgressione della ratio garantista sottesa al moderno diritto penale del fatto che vieta la punibilita' della nuda cogitatio o dei semplici modi di essere della persona. E' noto che la Corte costituzionale ha costantemente negato il contrasto dell'articolo 707, con il principio di materialita' del reato, nell'assunto che tale contravvenzione identifica comunque una condotta presupposto di cui l'attuale possesso non sarebbe che una conseguenza (Corte costituzionale, sentenza 14/1971). Non v'e' chi non veda, tuttavia, come una simile, risalente argomentazione - avversata non a caso da tutti i commentatori - appaia assolutamente apodittica ed opinabile: parlare di "possesso" come conseguenza materialistica di una condotta-presupposto e', infatti, una pura fictio tendente a valorizzare il sostrato fisico-materialistico di un fatto (il possesso) che esiste - e' vero -, ma che e' punito solo perche' annesso vi e' un mero stato personale che farebbe presumere reati contro il patrimonio da compiere. Le considerazioni sopra esposte valgono, a fortiori, con riferimento alla violazione del principio di offensivita' dell'illecito penale, costituzionalizzato dagli articoli 25, ma anche 27 e 13, Costituzione. Attraverso l'articolo 707 c.p., infatti, secondo una obsoleta visione formalistica del reato, costituisce illecito penale anche la violazione del dovere di obbedienza alle norme statali, pure in mancanza di un pericolo concreto (come per tutte le figure di reato di pericolo presunto). E', in definitiva, il semplice fatto del possesso di certe cose - in presenza di certe situazioni soggettive del detentore (condannato per delitti determinati da motivi di lucro) - che rende "legittimo" il sospetto, secondo il legislatore, che tali cose servano per commettere reati contro il patrimonio. La repressione penale viene cosi' attuata in via accentuatamente preventiva, assicurando una tutela particolarmente anticipata non gia' di un bene giuridico di primaria importanza - quale la vita -, ma del patrimonio, in totale disprezzo, dunque, dell'articolo 13 Costituzione e facendo altresi' leva piu' sulla presunta pericolosita' soggettiva dell'agente che sull' idoneita' offensiva della condotta. Non puo' non rilevarsi, poi, come in tema di reati di sospetto la Corte costituzionale e' da ultima intervenuta dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'analoga fattispecie di cui all'articolo 708 c.p. "possesso ingiustificato di valori" per contrasto con gli articoli 3 e 25 Costituzione, rilevando l'irragionevolezza dell'incriminazione ed il deficit di tassativita' della fattispecie tipica (Corte costituzionale, sentenza 370/1996). In quell'occasione la Consulta - sulla scia di altre decisioni (ad es., Corte costituzionale, sentenza 519/1995) - doveva spiegare come mai il possesso di valori mobiliari o la mera detenzione di chiavi fossero da ritenere condotte lecite - se poste in essere da alcune persone - mentre integrassero condotte punibili, per se' stesse considerate, ove realizzate da altre. Si trattava di un dubbio di legittimita' costituzionale, in riferimento all'articolo 25 Costituzione, che penetrava fin dentro alla conformazione tipica della figura di reato; dubbio che la Corte ha sciolto dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 708 c.p., reputandolo ormai uno strumento ottocentesco di difesa sociale, del tutto inadeguato a contrastare le nuove dimensioni della criminalita', non piu' rapportabile, necessariamente, ad uno "stato" o ad una "condizione personale". Assunto centrale della decisione, l'irragionevolezza della discriminazione nei confronti di una categoria di soggetti composta da pregiudicati per certi reati colti in possesso di denaro od altri oggetti di valore non confacenti al loro stato. Per il vero, la stessa sentenza 370/1996 si e' pronunciata anche in riferimento all'articolo 707 c.p., che era stato oggetto di analoghe censure di incostituzionalita'. La Corte, nell'occasione, ne ha riaffermato la legittimita' costituzionale, ma lo ha fatto usando laconiche motivazioni, assolutamente apodittiche e superficiali. Infatti nonostante nell'ordinanza di rimessione si osservava - con le stesse motivazioni che qui si riproducono e si fanno proprie - che l'articolo 707 c.p., in sostanza, incrimina un comportamento non lesivo e non pericoloso per gli interessi tutelati (il patrimonio), singolarmente la Consulta nell'occasione ha tralasciato del tutto in sede motiva il profilo dell'inoffensivita' della condotta, limitandosi a ribadire la non irragionevolezza dell'incriminazione e la sufficiente determinatezza della fattispecie. E' giunto, pertanto, il momento di riproporre analoga questione alla Corte costituzionale, onde ottenere, stavolta, una pronuncia di accoglimento. E' cio', anche in considerazione del fatto che in successivi, recentissimi, interventi, la Consulta stessa ha ribadito come lo status personale di condannato per taluni delitti non possa legittimare la sanzione penale. Basti considerare la sentenza 354/2002, che ha dichiarato incostituzionale l'articolo 688, comma 2, c.p. (ove si puniva con l'arresto da tre a sei mesi il fatto di ubriachezza manifesta commesso da chi avesse gia' riportato "una condanna per delitto non colposo contro la vita o l'incolumita' individuale" le cui motivazioni, mutatis mutandis, possono e debbono essere fatte proprie anche per l'articolo 707 c.p. Statuisce la Corte; "l'avere riportato una precedente condanna per delitto non colposo contro la vita o l'incolumita' individuale, pur essendo evenienza del tutto estranea al fatto-reato, rende punibile una condotta che, se posta in essere da qualsiasi altro soggetto, non assume alcun disvalore sul piano penale. Divenuta elemento costitutivo del reato di ubriachezza, la precedente condanna assume le fattezze di un marchio, che nulla il condannato potrebbe fare per cancellare e che vale a qualificare una condotta che, ove posta in essere da ogni altra persona, non configurerebbe illecito penale. Il fatto poi che il precedente penale che viene in rilievo sia privo di una correlazione necessaria con lo stato di ubriachezza, rende chiaro che la norma incriminatrice, al di la' dell'intento del legislatore, finisce col punire non tanto l'ubriachezza in se', quanto una qualita' personale del soggetto che dovesse incorrere nella contravvenzione di cui all'articolo 688 c.p. Una contravvenzione che assumerebbe, quindi, i tratti di una sorta di reato d'autore, in aperta violazione del principio di offensivita' del reato, che nella sua accezione astratta costituisce un limite alla discrezionalita' legislativa in materia penale posto a presidio di questa Corte (sentenza 263/2000 e 360/1995). Tale limite, desumibile dall'articolo 25, comma 2 Costituzione, nel suo legame sistematico con l'insieme dei valori connessi alla dignita' umana, opera in questo caso nel senso di impedire che la qualita' del condannato per determinati delitti possa trasformare in reato fatti che per la generalita' dei soggetti non costituiscono illecito penale". Analoghe considerazioni possono farsi con riferimento all'articolo 707 c.p., laddove l'avere riportato una precedente condanna per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, pur essendo evenienza del tutto estranea al fatto-reato, rende punibile una condotta che, se posta in essere da qualsiasi altro soggetto, non assume alcun disvalore sul piano penale. In quanto elemento costitutivo del reato di possesso in ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli, le precedenti condanne assumono le fattezze di un marchio, che nulla il condannato potrebbe fare per cancellare e che valgono a qualificare una condotta che, ove posta in essere da ogni altra persona, non configurerebbe illecito penale. Il fatto che poi che i precedenti penali che vengono rilievo siano presuntivamente correlabili con l'essere colto in possesso di arnesi atti allo scasso, rende chiaro che la norma incriminatrice, al di la' dell'intento del legislatore, finisce col punire non tanto il possesso in se', quanto una qualita' personale del soggetto che dovesse incorrere nella contravvenzione di cui all'articolo 707 c.p. Una contravvenzione ce assumerebbe, quindi, i tratti di una sorta di reato d'autore, in aperta violazione del principio di offensivita' del reato, che nella sua accezione astratta costituisce un limite alla discrezionalita' legislativa in materia penale posto a presidio dalla Corte (sentenza 263/2000 e 360/1995). Tale limite, desumibile dall'articolo 25, comma 2, Costituzione, nel suo legame sistematico con l'insieme dei valori connessi alla dignita' umana, opera in questo caso nel senso di impedire che la qualita' del condannato per determinati delitti possa trasformare in reato fatti che per la generalita' dei soggetti non costituiscono illecito penale". Sotto il profilo del diritto alla difesa e della presunzione di non colpevolezza (articoli 24 e 27, comma 2 della Costituzione). Si deve soggiungere, poi, che in quanto reato di sospetto, l'articolo 707 c.p. fa carico al soggetto imputato di dovere "giustificare" il possesso di certe cose: l'onere della prova della destinazione lecita della cosa e' invertito incombendo sul sospettato. Ma cosi' facendo, si introduce un'anomala regola di giudizio che impone al giudice, nel dubbio, di presumere l'illegittima destinazione e, dunque di pronunciare sentenza di condanna, cio' in barba al principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza (articolo 27, comma 2, Costituzione) e del diritto alla difesa (articolo 24 Costituzione), sotto il profilo del diritto al silenzio ed alla non collaborazione». La questione di costituzionalita' sollevata dal p.m., con accoglimento dei motivi che si fanno propri per relationem nella presente ordinanza, vanno accolti, ritenendo questo giudice sussistenti i dedotti profili di incostituzionalita'.
P.Q.M. Visto l'articolo 23, legge n. 87/1953; Il tribunale solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 707 c.p. in riferimento agli articoli 3, 13, 24 comma 2, 25, comma 2, 27, commi 1, 2 e 3, della Costituzione ed ordina immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che copia della presente ordinanza sia notificata alle parti assenti, al Presidente del Consiglio, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito. Sospende il giudizio in corso. Viterbo, addi' 27 novembre 2003 Il giudice: Centaro 04C1135