N. 887 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 luglio 2004

Ordinanza  emessa  il  26  luglio  2004  dal tribunale amministrativo
regionale  del  Lazio  sul  ricorso proposto da Del Bo Massimo contro
Ministero della giustizia - Centro amministrativo Giuseppe Altavista

Impiego  pubblico  -  Dipendenti statali non di ruolo - Indennita' di
  fine  rapporto  -  Devoluzione in caso di decesso del dipendente al
  coniuge,  ai figli minorenni, se viventi a carico, ai parenti entro
  il secondo grado - Devoluzione in caso di mancanza di tali soggetti
  secondo  le  norme della successione legittima come stabilito per i
  dipendenti   di   ruolo,  a  seguito  della  sentenza  della  Corte
  n. 106/1996  -  Mancata  previsione  - Ingiustificata disparita' di
  trattamento  di  situazioni  omogenee  - Incidenza sul principio di
  adeguatezza    e   proporzionalita'   della   retribuzione   (anche
  differita).
- Decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 4 aprile 1947,
  n. 207, art. 9, comma 3.
- Costituzione, artt. 3 e 36.
(GU n.45 del 17-11-2004 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 14831 del
1996  R.G.,  proposto da Massimo Del Bo, rappresentato e difeso dagli
avvocati Mattia Persiani e Guido Rossi, presso il cui studio in Roma,
Lungotevere Michelangelo n. 9, e' elettivamente domiciliato.
    Contro  il  ministero  della  giustizia  -  centro amministrativo
«Giuseppe   Altavista»,   in   persona   del  ministro  pro  tempore,
rappresentato  e  difeso dall'avvocatura generale dello Stato, presso
la cui sede in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e' domiciliato ex lege
per l'annullamento della nota del direttore del centro amministrativo
«Giuseppe  Altavista»  prot.  n. 13153  del  2  luglio  1996 e per la
condanna  del  Ministero  della giustizia al pagamento al ricorrente,
nella  qualita'  di  erede  legittimo  del  defunto  Cesare  Curioni,
dell'indennita'  di  fine  rapporto  a  questi  spettante,  oltre  ai
relativi accessori.
    Visto il ricorso e i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'amministrazione
intimata;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore  alla  udienza  pubblica  del  28  aprile  2004 il primo
referendario Davide Soricelli; udito altresi' l'avvocato Beretta, per
delega dell'avvocato Rossi, per il ricorrente:

                           Fatto e diritto

    1.  -  Il ricorrente e' l'erede legittimo - il cugino, parente in
quarto  grado  - del defunto Cesare Curioni, che ha prestato servizio
non di ruolo alle dipendenze del Ministero di grazia e giustizia come
cappellano  e  quindi  come  ispettore  generale dei cappellani degli
istituti  di prevenzione e pena dal 1948 al 12 gennaio 1996, data del
suo decesso.
    1.1.  - Con il ricorso in esame egli chiede che questo tribunale,
previo  annullamento  dell'atto  denegatorio  indicato  in  epigrafe,
accerti  il  suo  diritto  a  beneficiare  in  qualita'  di erede del
trattamento  di  fine rapporto spettante al suo dante causa ex art. 9
del  D.L.C.P.S. 4 aprile 1947, n. 247 e condanni l'amministrazione al
pagamento   della   relativa   somma,   oltre   interessi   legali  e
rivalutazione monetaria.
    2. - Resiste al ricorso il ministero della giustizia.
    3.  -  La  questione  che  il  collegio e' chiamato a risolvere -
questione puramente giuridica essendo i fatti di causa incontestati -
attiene all'applicazione dell'art. 9 sopra citato.
    Tale   disposizione   -   applicabile   anche   ai  cappellani  e
all'ispettore dei cappellani ex art. 15, comma 2, della legge 4 marzo
1982,  n. 68  -  attribuisce  al  personale  non di ruolo dello Stato
cessato  dal  servizio un'indennita' di fine rapporto; in particolare
il terzo comma del citato art. 9 dispone che «nel caso di decesso del
dipendente  non  di  ruolo  l'indennita'  deve  essere corrisposta al
coniuge,  ai  figli  minorenni e, se vivevano a carico del dipendente
stesso, ai parenti entro il secondo grado».
    3.1.  -  Cio'  spiega  per  quale  ragione,  con l'atto impugnato
indicato   in  epigrafe,  l'amministrazione  non  abbia  ritenuto  di
liquidare  l'indennita'  in  questione al ricorrente; questi infatti,
pur essendo l'erede del dipendente defunto, era suo parente di quarto
grado  e  non  appartiene  pertanto alle categorie di soggetti cui la
disposizione citata espressamente attribuisce l'indennita' in caso di
morte del dipendente.
    4.  - Il ricorrente, con l'unico motivo proposto, denuncia che la
disposizione del terzo comma dell'art. 9 citata si pone in. contrasto
con  gli  articoli 3 e 36 della Costituzione, cosi' come interpretati
dalla giurisprudenza costituzionale.
    4.1.  - Evidenzia il ricorrente che la Corte costituzionale e' da
tempo  giunta  ad affermare il principio secondo cui le indennita' di
buona  uscita  o  di fine rapporto spettanti ai dipendenti pubblici -
pur  avendo  concorrente  natura  previdenziale - hanno un'essenziale
natura  di retribuzione differita; se cio' e' vero, se cioe' tutte le
indennita'   di   fine  rapporto  costituiscono  parte  del  compenso
dell'opera  prestata,  la cui corresponsione e' differita in funzione
previdenziale   onde   agevolare  il  superamento  delle  difficolta'
economiche  che  possono  insorgere  nel momento in cui viene meno la
retribuzione, questo implica che le indennita' in questione sono gia'
entrate  a  far parte, al momento della morte del lavoratore, del suo
patrimonio, come si desume anche dall'art. 2122. c.c.; la conseguenza
e'  che  sono  illegittime  tutte  le disposizioni che, per qualsiasi
ragione,  privino  gli  aventi  causa  del lavoratore dell'indennita'
(Corte  costuzionale  13 gennaio 1972, n. 8, Corte costituzionale, 31
luglio 1989, n. 471, Corte costituzionale, 10 luglio 1991, n. 319).
    4.2.  - In particolare, il ricorrente si richiama alla sentenza 4
aprile  1996,  n. 106  con  cui  la Corte costituzionale ha da ultimo
ribadito   i  principi  che  precedono  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale,   per   violazione  all'art. 3,  comma  primo  Cost.,
dell'art. 5,   comma   1   del   d.P.R.  29  dicembre  1973,  n. 1032
(approvazione  del T.U. delle norme sulle prestazioni previdenziali a
favore  dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in
cui   esclude   che,   nell'assenza   delle   persone   ivi  indicate
(nell'ordine,  il  coniuge  superstite,  gli  orfani,  i  genitori, i
fratelli  e  le sorelle), l'indennita' di buonuscita formi oggetto di
successione  per  testamento  o,  in mancanza, per legge, in quanto -
posto  che'  l'indennita'  di buonuscita deve essere ricondotta nella
categoria  generale  dei  trattamenti  di  fine  rapporto nel settore
pubblico,  ai  quali  va riconosciuta, in stretta analogia con quelli
del  settore  privato, l'essenziale natura di retribuzione differita,
pur  se legata ad una concorrente funzione previdenziale - in assenza
delle  persone  indicate  nella  disposizione  de qua, a favore delle
quali  opera  una  riserva  legale  di  destinazione, perde qualsiasi
rilevanza  la  concorrente  funzione  previdenziale,  espandendosi in
tutta  la  sua  portata la natura retributiva dell'indennita' stessa;
con  la  conseguenza  che, essendo questa gia' entrata nel patrimonio
del  dipendente  al  momento  della  sua  morte,  non  e' ragionevole
escludere  legislativamente  che  essa  formi  oggetto di successione
ereditaria,  testamentaria  o  legittima,  cosi'  come  previsto, per
effetto di precedenti dichiarazioni di illegittimita' costituzionale,
relativamente  al trattamento di fine rapporto dei dipendenti privati
ed all'indennita' premio di servizio del personale degli enti locali.
    4.3.  -  Conclude  pertanto  il  ricorrente  chiedendo che il suo
gravame  sia  accolto,  previa rimessione alla Corte costituzionale -
ove  ritenuta  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  -  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  del  citato  art.  9 del
D.L.C.P.S. 4 aprile 1947, n. 247.
    5.  -  Ritiene  il  collegio  che  la  questione  di legittimita'
costituzionale  dell'art.  9,  comma 3, del D.L.C.P.S. 4 aprile 1947,
n. 247 sia rilevante e non manifestamente infondata e che pertanto si
debba  disporre  la  sospensione  del  giudizio e la rimessione della
questione alla Corte costituzionale ai sensi degli articoli 134 della
Costituzione,  della  legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23
della legge 11 marzo 1953, n. 87.
    5.1.  - Per quanto riguarda il profilo della rilevanza, come gia'
accennato sopra, la disposizione dell'art. 9, comma 3, e' chiaramente
ostativa  all'accoglimento  della  pretesa  del  ricorrente. La norma
infatti  riserva  l'indennita'  di  fine  rapporto  ai soggetti dalla
stessa indicati, cioe' il coniuge, i figli minorenni e, se vivevano a
carico  del dipendente, i parenti entro il secondo grado; essa quindi
esclude  la  devoluzione  dell'indennita' di fine rapporto a soggetti
diversi  e,  in particolare, agli eredi legittimi o testamentari. Sul
punto    deve    aggiungersi    che    neppure    appare    possibile
un'interpretazione «correttiva» della disposizione; non sarebbe cioe'
possibile  ritenere che, nel silenzio della disposizione, in mancanza
dei  soggetti  da  essa indicati l'indennita' sarebbe devolvibile per
successione  mortis  causa  legittima o testamentaria; ed infatti una
simile  interpretazione  si  porrebbe  in  contrasto con la volonta',
implicita  ma inequivocabile, della legge di escludere la devoluzione
dell'indennita' di fine rapporto a soggetti diversi da quelli da essa
previsti. Tale volonta' si desume con ragionevole sicurezza dal fatto
che  la  stessa devoluzione a favore dei figli e dei parenti entro il
secondo  grado  e'  subordinata  a  condizioni (per i figli la minore
eta',  con  conseguente  esclusione  dei  figli  maggiorenni, e per i
parenti  entro  il secondo grado, cioe' genitori e fratelli, l'essere
«a  carico»  del  defunto,  con  conseguente  esclusione dei medesimi
soggetti  quando  non  possano  considerarsi «a carico» del defunto):
alla  luce  di  quanto  precede  risulterebbe quindi poco ragionevole
negare  l'indennita'  di  fine  rapporto  ai  figli  maggiorenni  o a
genitori  e  fratelli  non  a  carico del dipendente defunto e invece
riconoscerla,  senza  altra  condizione che quella della mancanza dei
soggetti  indicati  dal  citato  articolo  9,  comma  3,  agli  eredi
legittimi o testamentari.
    5.2.  -  Per  quanto  riguarda  il  profilo  della  non manifesta
infondatezza,  vi  e'  poco  da  aggiungere  alle  argomentazioni del
ricorrente,  che  corrispondono  del  resto alla giurisprudenza della
Corte costituzionale in materia.
    5.2.1.  -  Considerata  infatti  la  omogenea  natura retributiva
dell'indennita'  di  buonuscita  e  dell'indennita'  di fine rapporto
spettante   ai  lavoratori  subordinati  privati  (trasmissibile  per
testamento  ex  art. 2122  c.c.,  come  emendato  dalla  Corte con la
sentenza  n. 8  del  1972)  e pubblici (si vedano per i dipendenti di
enti  locali  le  sentenze  n. 471  del  1989  e 319 del 1991 e per i
dipendenti  statali  di  ruolo  la  sentenza  n. 106  del  1996),  la
disposizione  del  citato  art.  9,  comma  3,  darebbe  luogo  a una
ingiustificata   disparita'   di   trattamento   in  pregiudizio  dei
dipendenti  statali  non  di  ruolo. Sul punto deve solo aggiungersi,
anche  in  relazione a quanto sostenuto dall'amministrazione riguardo
alla  circostanza  che la sentenza 4 aprile 1996, n. 106, della Corte
costituzionale  si riferiva all'indennita' di fine rapporto spettante
al  personale  statale  di ruolo mentre il dante causa del ricorrente
era dipendente non di ruolo, che la diversita' di natura del rapporto
di lavoro pubblico, secondo che esso sia «di ruolo» o «non di ruolo»,
non  sembra  possa  influire  sul  trattamento giuridico da applicare
all'indennita' di fine rapporto, dato che la funzione di quest'ultima
parrebbe indipendente da tale natura.
    Di qui la possibile violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    5.2.2.  -  Per  quanto  riguarda poi il profilo del contrasto con
l'art.  36 C., la fattispecie in esame non appare diversa dalle altre
gia'  decise  dalla  Corte costituzionale che muovono dal presupposto
che  «tutte  le  indennita'  di fine rapporto costituiscono parte del
compenso  dovuto  per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene
differita,  appunto  in  funzione  previdenziale,  onde  agevolare il
superamento  delle  difficolta'  economiche che possono insorgere nel
momento  in cui viene meno la retribuzione, tant'e' che la misura del
trattamento  si  determina  in  proporzione  alla  durata  del lavoro
prestato  nonche' alla globale retribuzione di carattere continuativo
spettante al dipendente. E per ognuna di esse "osserva la Corte" puo'
dunque  ripetersi  che e' stata conquistata attraverso la prestazione
dell'attivita' lavorativa e come frutto di essa». Su tale presupposto
-  e'  stato  appunto  ritenuta  «contrastante  con  l'art.  36 della
Costituzione  ogni  disposizione che privi, per qualsiasi ragione, il
lavoratore  o  i  suoi aventi causa del trattamento di fine rapporto,
facendosi  applicazione  del  risalente  principio,  secondo  cui  la
retribuzione  dei lavoratori - tanto quella corrisposta nel corso del
rapporto  di  lavoro, quanto quella differita, ai fini previdenziali,
alla  cessazione  di  tale  rapporto,  e  corrisposta, sotto forma di
trattamento di liquidazione o di quiescenza, a seconda dei casi, allo
stesso  lavoratore  o ai suoi aventi causa - rappresenta, nel vigente
ordine costituzionale ..., un'entita' fatta oggetto, sul piano morale
e   su   quello  patrimoniale,  di  particolare  protezione»  con  la
precisazione   che   «al  momento  della  morte  del  lavoratore,  le
indennita'  di  fine  rapporto  sono  gia'  entrate  a  far parte del
patrimonio dello stesso, come si rileva anche dalla lettura del terzo
comma  dell'art. 2122  del  codice  civile,  dove e' previsto che, in
mancanza  delle  persone  indicate  nel primo comma (coniuge, figli a
carico,  parenti  entro  il  terzo  grado  e  affini entro il secondo
grado),  le  relative  somme  siano attribuite secondo le norme della
successione  legittima»  (cosi',  testualmente,  la piu' volte citata
sentenza n. 106 del 1996).
    6.  -  Sulla  base di tali considerazioni il giudizio deve essere
dunque  sospeso e gli atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale,
apparendo  rilevante  e  non manifestamente infondata la questione di
costituzionalita' dell'art. 9, comma 3, del D.L.C.P.S. 4 aprile 1947,
n. 247,  nella parte in cui riserva la devoluzione dell'indennita' di
fine  rapporto  spettante  al  dipendente  non  di  ruolo  defunto ai
soggetti da essa indicati ed esclude pertanto che essa, in difetto di
tali  soggetti,  sia  devoluta  secondo  le norme che disciplinano la
successione  mortis  causa,  in  relazione  agli  artt. 3  e 36 della
Costituzione.
    7. - Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e sulle spese,
e' riservata alla sentenza definitiva.
                              P. Q. M.
    Il  Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio, sede di Roma,
sezione I, interlocutoriamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe
e  riservata  alla  sentenza definitiva ogni ulteriore statuizione in
rito, in merito e sulle spese, cosi' dispone:
        a)  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 9, comma 3, del
D.L.C.P.S.  4  aprile  1947,  n. 247,  nella  parte in cui riserva la
devoluzione  dell'indennita' di fine rapporto spettante al dipendente
non di ruolo defunto ai soggetti da essa indicati ed esclude pertanto
che  essa,  in  difetto di tali soggetti, si devolva secondo le norme
che  disciplinano  la  successione  mortis  causa,  in relazione agli
articoli 3 e 36 della Costituzione.
        b)  dispone  la  sospensione  del  presente giudizio e ordina
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
        c)  ordina  che  a  cura  della  segreteria  della sezione la
presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
    Cosi' deciso in Roma, il 28 aprile 2004.
                       Il Presidente: Calabro'
Primo referendario estensore: Soricelli  04C1190