N. 896 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 luglio 2004
Ordinanza emessa il 22 luglio 2004 dall'Arbitro di Mestre nell'arbitrato in corso tra Vincenzi Cristina contro Sicchiero Gianluca Imposte e tasse - Contributo alla cassa di previdenza avvocati (cpa) e imposta sul valore aggiunto (IVA) relativi a fatture professionali emesse quale parcella in relazione al procedimento di separazione legale - Richiesta di restituzione di quanto versato a titolo di contributo alla cpa ed IVA - Ingiustificato deteriore trattamento rispetto all'esenzione adottata in materia di iscrizione di ipoteca prestata a garanzia dell'adempimento dell'obbligo di versare gli assegni di mantenimento in conseguenza di verbale di separazione consensuale tra coniugi, imposte di registro, bollo, trascrizione, catasto e I.N.V.LM. - Conseguente mancata estensione della esenzione da qualsivoglia tassa o imposta stabilita per le attribuzioni patrimoniali tra i coniugi in sede di separazione e divorzio - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento di situazioni omogenee con incidenza sul principio di uguaglianza. - Legge 6 marzo 1987, n. 74, art. 19; legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 11; decreto Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 17 e 18. - Costituzione, art. 3.(GU n.46 del 24-11-2004 )
L'ARBITRO Nel giudizio per arbitrato rituale promosso da: Cristina Vincenzi, nata a Venezia il 20 luglio 1954, c.f. VNC CST 54L60 L736S, res. in Venezia, Favaro Veneto, via S. Andrea 3, nei confronti di avv. prof. Gianluca Sicchiero, nato a Venezia il 10 febbraio 1962, c.f. SCC GLC 62B 10 L736S, con studio in Mestre, c.so del Popolo 58, ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale pronunciata dall'arbitro dott. Francesca Galbusera, con studio in 30172 Venezia Mestre, corso del Popolo n. 58. Svolgimento del procedimento arbitrale Con compromesso datato 16 luglio 2004 i sig. ri Cristina Vincenzi e avv. prof. Gianluca Sicchiero hanno devoluto in arbitrato rituale alla scrivente le richieste della sig.ra Vincenzi, di ottenere la restituzione dell'importo di 8,17 versate a titolo di contributo 2% cpa e di Euro 83,33 pagate a titolo di I.V.A. sulla fattura n. 302 del 2004. L'avv. Sicchiero assiste infatti la sig.ra Vincenzi nel procedimento r.g. 1783/04 avanti al tribunale di Venezia, relativo allo scioglimento del matrimonio della stessa ed ha ricevuto l'acconto di cui alla fattura indicata e ne ha chiesto altro di pari importo. La cliente, peraltro ritiene che in base all'art. 19 della legge n. 74 del 1987 non sia dovuta alcuna tassa o contributo sull'onorario che ha versato e deve versare al suo legale, mentre il prof. Sicchiero e' di avviso contrario, pur ritenendo che la cliente abbia ragione quanto alla illegittimita' delle disposizioni che impongono il pagamento di quelle somme. Entrambi hanno quindi deciso di far decidere, la questione in sede arbitrale, con lodo rituale; essendo il problema ben chiarito nel compromesso, le parti hanno deciso di rinunciare alle memorie scritte e, sentite personalmente ed in contraddittorio dallo scrivente arbitro in data 20 luglio 2004, hanno chiesto che sia emesso il lodo stesso. Considerato in diritto Le questioni sottoposte allo scrivente arbitro sono due: a) la richiesta della sig.ra Vincenzi all'avv. prof. Gianluca Sicchiero, di restituzione dell'iva e del contributo del 2% per cassa nazionale avvocati, versati sulla fattura n. 320 del 2004, in quanto somma indebitamente pagata non ritenendo che l'onorario versato fosse da gravare di tale imposta; b) la pretesa della sig.ra Vincenzi di non versare l'iva ed il contributo 2% c.n.a. sull'ulteriore acconto di euro 500 chiesto dall'avv. prof. Sicchiero. La sig.ra Vincenzi motiva le sue pretese sul rilievo che l'art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, indica che «tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio ... sono esenti dall'imposta di registro e da ogni altra tassa». Poiche' la Corte costituzionale, con le sentenze n. 176 del 1992 e n. 154 del 1999 ha dichiarato l'incostituzionalita' di detta disposizione laddove non comprende nell'esenzione del tributo anche le iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione (sent. 176/1992) e piu' in generale laddove quanto ivi previsto non si estenda in generale al procedimento di separazione (sent. 154/1999), la stessa ritiene che di conseguenza che la legge preveda in linea generale l'esenzione da qualsiasi tassa dovuta allo Stato per i giudizi di divorzio e separazione, senza distinzione tra il tipo di tassa od imposta da applicare. Quindi anche l'imposta sul valore aggiunto e il contributo previdenziale che il cliente deve versare al suo difensore, perche' questi lo versi a propria volta alla Cassa forense, rappresenterebbero tasse che invece non sono dovute. A nulla rileverebbe poi il fatto che la Cassa avvocati sia ente di diritto privato: la contribuzione a carico del cliente rappresenta pur sempre un prelievo forzoso che costituisce un aggravio del costo di difesa che dovrebbe invece rappresentare l'unico onere a carico della parte. Aggiunge poi che la lettura estensiva del termine tassa, e' stato avallato anche dalla giurisprudenza della corte di cassazione, ad es. con le sentenze della sez. tributaria 22 maggio 2002, n. 7493; 24 novembre 2000, n. 15212; 12 maggio 2000, n. 6065. Rileva anche che dopo l'ordinanza n. 538/1995 della Corte costituzionale, che aveva dichiarato inammissibile per difetto di motivazione la questione di legittimita' costituzionale della disposizione, sopra citata, in ordine alla mancata previsione dell'Invim al tempo in vigore, la cassazione, con la sentenza 17 febbraio 2001, n. 2347, ha invece accertato che nemmeno detta imposta trova applicazione ai trasferimenti effettuati in sede di scioglimento del matrimonio. Di qui, allora, la sua pretesa di vedersi restituire dall'avv. prof. Sicchiero quanto gia' versato per iva e cpa e di non-pagare quanto egli chiede, a titolo di accessori di legge, su un ulteriore acconto relativo al giudizio di separazione in cui il legale la sta assistendo. Il prof. Sicchiero ha dichiarato di condividere in linea di principio le ragioni fatte valere dalla cliente, ma che le disposizioni in tema di iva e di contributo previdenziale della cassa forense lo autorizzano a chiedere al cliente il pagamento delle imposte medesime per versarle poi all'erario ed alla cassa forense. In particolare osserva che l'art. 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576, obbliga l'iscritto ad applicare una maggiorazione percentuale, attualmente del 2% su tutti i corrispettivi rientranti nel volume d'affari ai fini I.V.A. e versarne alla Cassa l'ammontare indipendentemente dall'effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore. La ma ggiorazione e' ripetibile nei confronti di quest'ultimo. Dunque ove egli non applicasse la maggiorazione in esame, il relativo importo resterebbe a suo carico. Quanto all'I.V.A., l'applicazione dell'imposta alle prestazioni professionali e' regolata dal d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 che riconduce alla base imponibile anche le attivita' professionali, agli artt. 1, 5, 13 e 14, imponendo l'applicazione dell'imposta stessa con l'aliquota indicata nell'art. 16. Tale d.p.r., inoltre, non esclude le attivita' professionali perche' non le comprende tra le operazioni esenti da imposta di cui all'art. 10. Ora poiche' il soggetto passivo dell'imposta e' il professionista (art. 17), salva la rivalsa sul cliente ex art. 18, anche qui l'imposta resterebbe a suo carico ove non la ripetesse dal cliente. Il prof. Sicchiero osserva infine che le imposte in oggetto potrebbero ritenersi non dovute dal cliente solo a condizione che le fatture emesse possano ritenersi incluse nella dizione «atti, documenti e provvedimenti relativi al processo di scioglimento del matrimonio» di cui all'art. 19 legge n. 74/1987, il che non gli pare essere. Dunque poiche' la legge esenta il coniuge da quelle tasse ma non impone al difensore di non ripeterle dal cliente, ritiene che sia suo diritto addebitarle al cliente stesso. Sulla base di queste premesse, l'arbitro deve decidere se la sig.ra Vincenzi possa ripetere dal prof. Sicchiero quanto egli abbia riscosso per cpa ed i.v.a. sull'acconto ricevuto e se la stessa sia tenuta a versare tali imposte anche sull'ulteriore acconto richiesto. Cio' detto O s s e r v a 1. - Sulla competenza dell'arbitro. Questo arbitro e' competente a giudicare sulla lite in essere, che riguarda un mero rapporto di diritto privato (ripetizione di indebito; accertamento del diritto di non pagare una somma) ancorche' involga questioni di diritto tributario. Sul punto e' sufficiente richiamare la giurisprudenza della cassazione: Cass., sez. un., 11 febbraio 2003, n. 1995 «appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario e non a quella delle commissioni tributarie la controversia nella quale, in relazione al pagamento dell'I.V.A., il cedente faccia valere in via di rivalsa, il proprio credito nei confronti del cessionario, atteso che detto credito non ha natura tributaria e che il giudice ordinario, in assenza di specifci divieti, puo' risolvere (senza efficacia di giudicato) tutte le questioni che costituiscano un antecedente logico della decisione che e' chiamato ad emettere, anche se attribuite alla cognizione di altro giudice». 2. - Sulla fondatezza della domanda della sig.ra Vincenzi. Le disposizioni richiamate dal prof. Sicchiero depongono senza ombra di dubbi per il suo diritto di agire in rivalsa verso la cliente per il ristoro del contributo soggettivo c.p.a. del 2% e dell'I.V.A. 20%, sicche' la domanda della sig.ra Vincenzi dovrebbe venir respinta, non contenendo quelle regole alcuna esenzione per il giudizio di divorzio. Inoltre l'art. 19 della legge n. 74 del 1987, quando si riferisce all'esenzione delle imposte e tasse sugli atti, documenti e provvedimenti del procedimento, non si estende ai costi che il cliente debba subire per far valere il proprio diritto di difesa mediante il proprio difensore, la cui fattura e' solo impropriamente un «documento» ed e' comunque estranea al procedimento, riguardando i rapporti tra cliente e professionista. Non e' quindi possibile alcuna interpretazione diversa delle disposizioni sopra rammentate, che consenta a questo arbitro di accogliere la domanda della sig.ra Vincenzi. 3. - Sulla illegittimita' costituzionale delle disposizioni da applicare. Ritiene questo arbitro che il rigetto delle domande della sig.ra Vincenzi si fondi peraltro su disposizioni in contrasto con i principi di ragionevolezza e di coerenza sanciti dall'art. 3 della Costituzione. L'irragionevolezza sta in cio': il legislatore ha ritenuto di esentare i coniugi che debbano separarsi o divorziare, da qualsiasi costo fiscale, eliminando, fra le altre, le imposte di bollo e di registro. La giurisprudenza della cassazione condivide tale impostazione, al punto di aver ritenuto che i provvedimenti stessi fossero esenti da Invim, quando l'imposta era in vigore, ancorche' la relativa normativa non fosse stata dichiarata incostituzionale. I costi di tali imposte, peraltro, erano e sarebbero marginali: quella di bollo, oggi abrogata, prevedeva somme davvero marginali (Euro 10,66 per foglio); l'imposta di registro, attualmente in vigore, prevederebbe una tassazione del 3% sui valori enunciati nell'atto e sarebbe invece a tassa fissa nelle altre ipotesi, come indica in generale l'art. 8 della tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 e come disponeva specificamente, per le separazioni ed i divorzi, la relativa lett. f). Appare quindi irragionevole che il coniuge sia tenuto a versare a titolo di contributo c.p.a. il 2% dell'onorario pagato al proprio difensore e, calcolata anche su questo, l'I.V.A. nella misura del 20%, il che porta il costo complessivo, per tasse e contributi, al 22,4% dell'onorario versato al proprio difensore. In particolare, se si considera che un giudizio contenzioso puo' costare migliaia di euro, e' evidente che tale tassazione sarebbe ben piu' alta dei costi che il legislatore ha voluto eliminare nell'art. 19 della legge n. 74 del 1987. Ed anche un giudizio di divorzio consensuale, per il quale si ipotizzi un onorario minimo di 1.000-1.500 euro, vedrebbe un costo non inferiore ad Euro 224, ovvero il doppio della tassa di registro in misura fissa sulla sentenza, che pure e' stata eliminata per questo tipo di giudizi. Inoltre il coniuge si vede tutelato dalle pretese dirette del fisco, che non puo' tassare la sentenza e gli altri atti e documenti del processo, ma non da quelle indirette che si attuano mediante l'applicazione dell'iva e del cpa riscosse per conto dell'erario dal professionista. Cio' senza dimenticare, sia chiaro, che il contributo per cpa e' devoluto alla Cassa nazionale forense, che e' ente di diritto privato, ma senza sottacere peraltro che per il privato la natura privata o meno dell'ente che percepisce il contributo obbligatorio e' irrilevante, stante l'impossibilita' per il medesimo di non pagare la somma stessa. Dunque, dal profilo del soggetto percosso, si tratta pur sempre di un costo riscosso dal professionista, che lo deve versare ad enti terzi per le funzioni (qui: previdenziali) che questi svolgono addirittura nell'interesse del professionista medesimo. Che poi il meccanismo di applicazione delle imposte stesse non passi attraverso il processo, nel senso che cpa ed iva non sono riscosso mediante tassazione operata sugli atti del fascicolo di causa dall'Ufficio delle entrate, e' circostanza accidentale del tutto irrilevante, che non elimina il punto centrale della questione, ovvero che il coniuge che divorzia si vede comunque tenuto a pagare allo Stato l'I.V.A. ed alla Cassa forense il contributo c.p.a. ancorche' la legge lo esoneri da qualsiasi tassa, intesa in senso ampio come fa la giurisprudenza di legittimita'. Anzi, proprio tale circostanza dimostra la violazione del principio di coerenza dell'art. 3 della Costituzione, perche' pur essendo stato eliminato ogni costo per tassa o imposta, altri costi fiscali e previdenziali vengono ugualmente riscossi dallo Stato e dalla Cassa previdenziale, sia pure con il meccanismo indiretto della rivalsa da parte del professionista. 4. - Sulla competenza dell'arbitro a sollevare la questione di costituzionalita'. Il presente arbitrato ha natura rituale e di diritto; l'arbitro e' quindi legittimato a sollevare la questione di costituzionalita' in base al rilievo fatto proprio nella sentenza della Corte costituzionale, 28 novembre 2001, n. 376. per cui appunto gli arbitri rituali sono legittimati a sollevare in via incidentale questioni di costituzionalita' delle norme di legge che sono chiamati ad applicare. Cio' premesso, l'arbitro dichiara rilevante e non manifestamente infondata in relazione all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 19 della legge n. 47 del 1987 nonche' degli artt. 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576 e 17 e 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nella parte in cui assoggettano a contributo soggettivo c.p.a., oggi nella misura del 2% e ad iva, oggi nella misura del 20%, le attivita' professionali del difensore del coniuge che assista il coniuge che chieda lo scioglimento del matrimonio, nonche' dei medesimi articoli laddove comunque consentano che le predette imposte e contributi gravino sul coniuge in quanto consentono al difensore la rivalsa per i relativi importi sul coniuge stesso.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953 del regolamento della Corte costituzionale come modificato dalla Corte con deliberazione 10 giugno 2004; Sospende il procedimento arbitrale e dispone la comunicazione dell'ordinanza alle parti del giudizio arbitrale al Presidente del Consiglio dei ministri e al Presidente del Senato e della Camera dei deputati; Ricevuta la prova della comunicazione, procedera' all'invio degli atti del procedimento arbitrale alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Venezia-Mestre, il 22 luglio 2004. L'arbitro: Galbusera 04C1199