N. 923 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 luglio 2004
Ordinanza emessa il 27 luglio 2004 dal tribunale amministrativo regionale della Lombardia sul ricorso proposto da WWF Italia ed altri contro Regione Lombardia Caccia - Regione Lombardia - Norme per la protezione della fauna e per la tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attivita' venatoria - Detenzione ed uso dei richiami vivi per la caccia da appostamento - Previsione della possibilita' di detenzione dei richiami stessi senza anello - Previsione altresi' che della legittima detenzione degli stessi faccia fede la Provincia e, per i richiami di allevamento, la documentazione del cacciatore - Incidenza sul principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Violazione della sfera di competenza statale in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema - Contrasto con la normativa statale (legge n. 157/1992) sulla protezione della fauna selvatica omeoterma e sul prelievo venatorio.. - Legge della Regione Lombardia 16 agosto 1993, n. 26, art. 26, ultimo comma, sostituito dalla legge della Regione Lombardia 7 agosto 2002, n. 7, art. 2. - Costituzione, artt. 97 e 117, commi 2, lett. l) e s), e 3.(GU n.47 del 1-12-2004 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2823/2003, proposto dalle associazioni (ONLUS): WWF Italia, Legambiente, G.O.L. - Gruppo Ornitologico Lombardo, LAC-Lega per l'abolizione della caccia, in persona dei rispettivi rappresentati legali pro tempore, rappresentate e difese dall'avv. Claudio Linzola ed elettivamente domiciliate in Milano, via Hoepli n.3, presso lo studio dello stesso; Contro la Regione Lombardia, in persona del presidente della g.r. pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Pio Dario Vivone e Sabrina Gallonetto dell'Avvocatura regionale, presso la cui sede e' elettivamente domiciliata; per l'annullamento previa sospensione, della d.g.r. n. 13853 del 29 luglio 2003, avente ad oggetto regolamento di attuazione degli artt. 21, comma 9, 26, comma 3, 27, comma 4, 39, comma 1 e 43, comma 2, della l.r. 26 del 1993, norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attivita' venatoria. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lombardia; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore, alla pubblica udienza del 13 luglio 2004, il presidente Maurizio Nicolosi; Uditi, altresi', i difensori delle parti come da verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o Con il ricorso in epigrafe, notificato il 29 settembre 2003 e depositato il 10 ottobre seguente, le nominate associazioni hanno impugnato il provvedimento in epigrafe indicato, chiedendone - previa la sospensione (la relativa istanza e' stata respinta con ordinanza 1552/03) - l'annullamento per i motivi dedotti nell'atto introduttivo del giudizio. Si e' costituita la Regione Lombardia svolgendo difese. All'udienza pubblica del 13 luglio 2004 il ricorso e' stato trattenuto in decisione. D i r i t t o 1. - Le associazioni ricorrenti impugnano il regolamento attuativo della l.r. 26 del 1993, approvato con la delibera di giunta impugnata. L'impugnazione riguarda, in particolare, le disposizioni contenute negli artt. 12 e 13, ritenuti non conformi alla normativa statale di riferimento data in particolare dalla legge 157 del 1992. Lamentano le associazioni, quanto all'art. 12, che esso preveda, in contrasto con la normativa statale, la rimozione dell'anello numerato «inamovibile» identificativo dei richiami vivi, con il solo obbligo per il cacciatore di darne comunicazione alla provincia competente indicando il numero e la specie degli uccelli interessati dalla rimozione e - per gli allevatori - di provvedere essi stessi direttamente alla registrazione ditale operazione. Tale rimozione, quindi, renderebbe impossibile qualsiasi controllo, censimento o programmazione in merito alle effettive esigenze di presicci e, di contro, agevolerebbe in modo illecito la cattura ed il commercio degli uccelli selvatici. La norma regolamentare trova riferimento nell'art. 26 della l.r. 26 del 1993, ma quest'ultima sarebbe per questo costituzionalmente illegittima in relazione agli artt. 117, comma 2, lett. l) ed s) e 97 della Costituzione, come modificata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001. Lamentano, infine, in relazione all'art. 13 del regolamento, che tale disposizione equiparerebbe fra loro due situazioni radicalmente diverse, consentendo non solo il trasporto, ma anche la detenzione dei richiami vivi in gabbiette nelle misure che l'INFS avrebbe stabilito solo per il limitato tempo del trasporto, determinando in tal modo una situazione di potenziale maltrattamento degli uccelli ivi detenuti. 2. - La Regione Lombardia, nella propria memoria contesta le argomentazioni delle associazioni ricorrenti eccependo in primo luogo l'inammissibilita' del ricorso con riguardo al primo mezzo di censurare, trovando corrispondenza e fondamento il regolamento impugnato nell'art. 26, comma 5, della l.r. 26 del 1993. Sostiene, poi, nel merito la difesa della Regione che la normativa regionale impugnata non si porrebbe in contrasto con i principi di salvaguardia della fauna selvatica e che sarebbero stati rispettati i parametri fissati dall'INFS in materia di gabbie per il trasporto e la detenzione dei richiami vivi. 3. -Premesso quanto sopra in ordine al thema decidendum sul quale il collegio deve decidere, va osservato sul primo motivo del ricorso che l'art. 12 del regolamento di attuazione della l.r. 16 agosto 1993 n. 26, emanato con la delibera n. 13853 del 29 luglio 2003, pur non disciplinando direttamente la rimozione dell'anello numerato di identificazione «inamovibile», costituito da una fascetta numerata di plastica che legittima il possesso del richiamo vivo fornito ai cacciatori dalle province, contempla tale rimozione, stabilendo che in siffatta ipotesi il cacciatore debba dare comunicazione alla provincia che ha fornito il richiamo indicando il numero di uccelli e la specie; che tale comunicazione ne legittimi il possesso; e che le province debbano istituire una banca dati aggiornata con l'indicazione del numero dei richiami di cattura, suddivisi per specie, detenuti privi di anello, da ogni cacciatore che ne abbia dato comunicazione. La norma che consente in via diretta la detenzione di richiami vivi privi di anello identificativo e' contenuta in realta' nell'ultimo comma dell'art. 26 della l.r. 16 agosto 1993, n. 26, come modificato dall'art. 2 della l.r. 7 agosto 2002, n. 19, che recita: I richiami vivi possono essere tenuti privi di anello. Per la legittima detenzione fa fede la Provincia e, per i richiami di allevamento la documentazione propria del cacciatore. Ed infatti le Associazioni ricorrenti imputano a tale disposizione legislativa piu' che al regolamento attuativo che disciplina solo le modalita' di registrazione e comunicazione - il contrasto con la normativa statale, denunciandone l'incostituzionalita' in parte qua per violazione dei principi che regolano la potesta' legislativa concorrente delle regioni in una materia che e' soggetta ai limiti desumibili dai principi fondamentali entro cui le regioni stesse possono esercitare le loro competenze; e per irragionevolezza. 4. - Innanzi tutto va precisato in ordine a tali questioni, che il ricorso e' ammissibile in quanto non investe direttamente nel sindacato giurisdizionale la legge regionale 26 del 1993, ma la delibera della giunta regionale contenente l'approvazione del regolamento attuativo della medesima; donde l'incidentalita' della questione stessa in ordine al giudizio di legittimita' afferente alla delibera regionale impugnata. Contrariamente a quanto affermato dalla difesa della Regione poi, la questione di costituzionalita' della legge regionale - peraltro rilevabile d'uffici -"e' chiaramente posta nel contesto del primo motivo del ricorso e sviluppata nella successiva memoria; donde si dimostra priva di pregio l'eccezione di inammissibilita' sollevata sul punto dalla difesa medesima. 5. - Ritiene il collegio, in merito al primo mezzo di gavame, che non possa superarsi con un giudizio di manifesta infondatezza il dubbio sulla costituzionalita' della richiamata norma legislativa regionale di cui il regolamento impugnato e' attuativo, e che di conseguenza debba sospendersi il giudizio e sollevarsi questione di costituzionalita' in relazione agli artt. 117, comma 2, lett. l) ed s), e comma 3; nonche' dell'art. 97 della -Costituzione. 6. - La questione e' rilevante, ad avviso del collegio, in quanto la possibilita' di detenzione di richiami vivi privi dell'anello inamovibile identificativo trae diretta ed immediata legittimazione, come detto, non dall'art. 12 dell'impugnato regolamento regionale approvato con la delibera g.r. 13853 del 29 luglio 2003, di attuazione della l.r. 16 agosto 1993 n. 26, bensi' dall'art. 26, u.c., della legge regionale medesima, come sostituito dall'art. 2 della l.r. 7 agosto 2002 n. 19. Dal che l'annullamento della norma regolamentare - senza l'espunzione della norma legislativa regionale sospetta di incostituzionalita' non sarebbe di alcuna utilita', permanendo la possibilita' della detenzione dei richiami vivi privi di anello identificativo in forza del richiamato ultimo comma dell'art. 26. Diversamente, l'espunzione - attraverso il giudizio incidentale di costituzionalita' - della norma regionale sospetta di incostituzionalita', consentirebbe efficacemente l'annullamento della contestata disposizione regolamentare che dalla fonte normativa primaria trae la sua legittimazione. 7. - La questione, oltre che rilevante, e' non manifestamente infondata per le ragioni che si vanno ora ad esporre. 7.1. - La caccia non figura espressamente nell'elenco delle materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato o fra quelle che il terzo comma del novellato art. 117 della Costituzione (diversamente che dal testo originario) identifica a legislazione concorrente. Occorre pero' osservare che il secondo comma attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (precisamente alla lett. s); mentre il terzo comma individua fra le materie concorrenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni ambientali. Se appare dubbia la riconduzione della caccia al governo del territorio (che attiene notoriamente agli aspetti piu' propriamente urbanistico-edilizi), una qualche attinenza non potrebbe essere negata alla materia dell'ambiente se non dell'ecosistema, incidendo senza dubbio l'attivita' venatoria nell'equilibrio complessivo del contesto ambientale- naturistico, la cui nozione sarebbe riduttiva confinarla nel solo paesaggio, inteso questo esaustivamente come protezione di interessi concorrenti con quelli del governo del territorio. Occorre anche osservare che, secondo i recenti pronunciamenti del giudice delle leggi, sarebbe dubbia anche l'identificazione della caccia come materia, attenendo piu' propriamente essa ad un'attivita' soggetta a regolamentazione in quanto idonea ad interferire con la protezione della fauna, la quale costituisce uno dei rilevanti interessi meritevoli di tutela nell'ambito dell'ambiente e dell'ecosistema. L'osservazione non e' di poco momento, visto che la legge costituzionale n. 3 del 2001 - come gia' detto (art. 117, comma 2, lett s) - ha mantenuto alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell' ambiente e dell'ecosistema. Muovendo, tuttavia, dall'impianto dato dal vecchio testo dell'art. 117 e dall'assetto dato dal p.r. 616 del 1977, potrebbe anche affermarsi in ordine all'intervenuta modifica costituzionale, che ha senza dubbio ampliato le competenze delle regioni, che per la caccia il legislatore costituzionale abbia inteso incrementare le attribuzioni delle regioni e quindi ipotizzarsi una sorta di competenza esclusiva, ai sensi del quarto comma del novellato art. 117, fermo restando ovviamente i noti limiti, fra i quali quelli derivanti dall'ordinamento comunitario, ai quali fa espresso cenno il primo comma del medesimo articolo. In effetti, pero', a valutare sul piano di un coordinamento sistematico l'intero art. 117 novellato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema connota una pluralita' di materie fra loro intrecciate che importano una disciplina complessa caratterizzata da un'accentuata trasversalita' fra le potesta' legislative esclusive e concorrenti (ne e' conferma la collocazione del governo del territorio e della valorizzazione dei beni ambientali fra le materie a legislazione concorrente), identificandosi con tale locuzione quelle materie che per la vastita' dei settori o dei sistemi in cui sono scomponibili, identificano interessi di vario tipo tutti aventi come obiettivo (diretto od indiretto) la protezione della natura che sono affidati anche alla cura del legislatore nazionale e per cio' stesso finiscono per intersecare con gli interessi riguardanti ambiti o settori di materie riservate alla legislazione regionale; determinando un meccanismo dinamico che finisce per rendere meno rigida la stessa distribuzione delle competenze legislative ed un effettivo «recupero», per effetto del principio di sussidiarieta', della competenza statale laddove l'ambito dell'intervento statale riguardi - come nel caso di specie - la cura di rilevanti interessi generali dello Stato, riconducibili alla tutela della fauna e dell'ambiente in genere, anche in attuazione delle norme comunitarie (cfr. per i principi Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303 e 7 ottobre 2003 n. 307). Diversamente dovrebbe registrarsi un'asimmetria nell'assetto costituzionale delle attribuzioni degli enti costituzionali. Sotto tale particolare profilo appare al collegio condivisibile l'assunto delle associazioni ricorrenti che le attribuzioni delle regioni in materia di caccia riguardino piu' specificamente l'organizzazione - in tutti i suoi aspetti (calendari venatori, autorizzazioni, vigilanza) dell'attivita' venatoria e non la normativa attinente all'individuazione - sul piano di disciplina sostanziale dei limiti entro cui l'esercizio venatorio e' consentito in rapporto all'esigenza di protezione e tutela della fauna; questo essendo un ambito che l'art. 117, comma 2, della Costituzione riserva allo Stato che a sua volta e' tenuto a rispettare i vincoli derivanti dall'appartenenza all'Unione europea. Consegue da cio', ad avviso del collegio, che la caccia, piu' che una materia riservata alla competenza esclusiva delle regioni, in quanto non contemplata nei commi 2 e 3 del novellato art. 117 della Costituzione, costituisca un settore della piu' ampia materia della tutela dell'ambiente e come tale rientri almeno in parte nella previsione del comma 2, dell'art. 117, e quindi nell'ambito delle materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, se non altro per i profili per i quali alla disciplina sostanziale si accompagni la previsione della tutela di interessi forti per i quali la legge stabilisca anche sanzioni penali; in parte, nella previsione del comma 3, nell'ambito della valorizzazione dell'ambiente, a legislazione concorrente, per la quale opera la riserva dei principi fondamentali dettati dallo Stato. Traendo le dovute conclusioni da quanto sino ad ora argomentato, va osservato in ordine alla controversia sottoposta all'esame del collegio, che lo Stato ha promulgato, anche in attuazione delle direttive comunitarie, la legge n. 157 del 1992, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. L'art. 1, comma 3, di tale legge stabilisce che le regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformita' alla presente legge, alle convenzioni internazionali ed alle direttive comunitarie. Le regioni a statuto speciale e le province autonome provvedono in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti. Le province attuano la disciplina regionale ai sensi dell'art. 14, comma 1, lettera f), della legge 8 giugno 1990, n. 142. L'art. 5 della medesima, che regola l'esercizio venatorio da appostamento fisso e richiami vivi, dopo avere previsto che le regioni deliberano emanando norme per regolamentare gli allevamenti, la vendita e la detenzione di uccelli allevati appartenenti alle specie cacciabili, noi~che' il loro uso in funzione di richiami oltre che per la costituzione e gestione del patrimonio di richiami vivi di cattura e dopo avere stabilito il numero massimo di uccelli detenibili da ogni cacciatore, ai commi 7 ed 8 dispone il divieto dell'uso di richiami che non siano identificabili mediante anello inamovibile numerato, consentendo la sostituzione di un richiamo solo dietro presentazione all'ente competente del richiamo morto da sostituire (recante ovviamente l'anello inamovibile). All'ultimo comma, poi, vieta la vendita di uccelli da cattura utilizzabili come richiami vivi per l'attivita' venatoria. Si tratta di un insieme di disposizioni dalle quali traspare evidente l'intento del legislatore nazionale di approntare un rigido sistema di gestione e controllo dell'uso dei richiami vivi, che nell'inamovibilita' dell'anello numerato identificativo ha la sua carta vincente, garantendo l'obbligo dell'apposizione e del mantenimento dell'anello in questione e l'uso, come richiami vivi, di uccelli identificabili attraverso l'anello stesso, non solo il controllo sui richiami utilizzati o posseduti da ogni cacciatore (attraverso le apposite registrazioni), ma anche un efficace strumento deterrente per il commercio o l'uso abusivo dei richiami stessi, penalmente sanzionato anche dall'art. 30 della stessa legge. 7.2. - La tassativita' dei vincoli derivanti dalle disposizioni legislative nazionali sull'identificabilita' dei richiami vivi e' rafforzata dal divieto, contenuto nell'art. 21, comma 1, lett. q), di usare richiami vivi al di fuori dei casi previsti dall'art. 5 e dalle connesse sanzioni, nonche' nella lett. ee), di detenere, acquistare e vendere, ad eccezione dei capi utilizzati come richiami vivi nel rispetto delle modalita' previste dalla stessa legge; divieti che trovano sanzione, nel caso di violazione, nel successivo art. 30 che commina la pena dell'ammenda sino a 3000,00 euro per chi esercita la caccia con mezzi vietati: disposizione quest'ultima che la giurisprudenza della Cassazione penale ha gia' interpretato come estendibile all'uso di richiami non identificabili (Cass., sez. III, penale, n. 8880 del 2 ottobre 1996 citata dalla difesa delle ricorrenti). Da quanto sopra sembra al collegio che la legge regionale, nel consentire la rimozione dell'anello inamovibile identificativo, affidando concretamente alla normativa secondaria di attuare le modalita' di rilevazione «alternativa» dei richiami stessi, si ponga in contrasto con la normativa statale richiamata anche in riferimento all'art. 117, comma 2, lett. l), posto che rimuove, tra l'altro, un divieto afferente a comportamenti suscettibili anche di sanzione penale. Quanto a tale particolare profilo sembra al collegio che con il sostituire al divieto di rimozione dell'anello identificativo - dalla legge nazionale voluto inamovibile - la prescrizione della registrazione del numero e della tipologia degli uccelli privati dell'anello medesimo, mantenendo la possibilita' del loro uso per la caccia in difformita' dalle modalita' stabilite dalla normativa statale, l'art. 26 della legge regionale finisca per interferire sulla fattispecie penale astratta prevista dal legislatore nazionale per la punibilita' dei comportamenti violativi della stessa, in contrasto con i rigorosi limiti stabiliti dall'art. 117 della Costituzione. Tanto il collegio ritiene di dovere rilevare in relazione alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'ultimo comma dell'art. 26 della l.r. n. 26 del 1993, come sostituito, in relazione agli artt. 117, comma 2, lett. l) ed s) e comma 3. 7.3. - Ritiene, inoltre, la Sezione non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' del disposto della legge regionale richiamata in relazione all'art. 97 della Costituzione, in quanto la previsione, in sostituzione dell'anello identificativo inamovibile, di un sistema di registrazione presso la competente amministrazione provinciale o addirittura presso lo stesso cacciatore in caso di allevamento, si dimostra inefficace ed inattendibile e quindi fonte di contestazioni, ai fini dei controlli e della repressione degli abusi nell'uso, nella detenzione o nel commercio di richiami vivi: mancando qualsiasi certezza ad esempio che un esemplare smarrito o morto non possa essere sostituito ricorrendo al mercato clandestino e quindi con il ricorso alla cattura vietata. In concreto, non vi e' alcuna garanzia, ne' dalla documentazione esistente presso la Provincia ne' tanto meno da quella informale rinvenibile presso lo stesso cacciatore, di accertare il commercio, la detenzione o l'uso illecito di richiami vivi altrimenti non identificabili se non a mezzo dell'apposito anello numerato rimosso: nessuna guardia venatoria o soggetto avente poteri accertativi sarebbe in grado di appurare con certezza-- anche ai fini delle contestazioni e delle sanzioni applicabili - che i richiami vivi privi di anello identificativo in possesso ad un cacciatore siano quelli originariamente muniti dell'anello identificativo applicato dalla competente provincia e corrispondano agli esemplari registrati su denuncia dei cacciatori all'atto della rimozione dell'anello; donde la norma legislativa in questione non si mostra coerente e congruente - sul piano del principio di buon andamento e dell'imparzialita' dell'attivita' amministrativa-- in ordine al perseguimento dei fini che la legge nazionale riconnette all'identificazione garantita dall'anello numerato inamovibile. 8. - In conclusione, il giudizio va sospeso e va sollevata questione di costituzionalita' dell'art. 26, ultimo comma, della l.r. n. 26 del 1993, come sostituito dall'art. 2 della l.r. n. 7 del 2002, in relazione agli articoli 117, comma 2, lett. l) ed s) e comma 3, nonche' all'art. 97 della Costituzione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 117, comma 2, lett. l) ed s) e comma 3, nonche' all'art. 97 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26, ultimo comma, della l.r. n. 26 del 1993, come sostituito dall'art. 2 della l.r. n. 7 del 2002 nei sensi di cui in motivazione. Sospende il presente giudizio e ordina la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, nonche' la notifica della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Presidente della Giunta regionale della Lombardia e la comunicazione della medesima ai Presidenti dei due rami del Parlamento ed al Presidente del Consiglio regionale della Lombardia. Cosi' deciso in Milano, in Camera di consiglio il 13 luglio 2004. Il Presidente: Nicolosi 04C1260