N. 923 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 luglio 2004

Ordinanza  emessa  il  27  luglio  2004  dal tribunale amministrativo
regionale della Lombardia sul ricorso proposto da WWF Italia ed altri
contro Regione Lombardia

Caccia  -  Regione  Lombardia - Norme per la protezione della fauna e
  per    la    tutela   dell'equilibrio   ambientale   e   disciplina
  dell'attivita'  venatoria - Detenzione ed uso dei richiami vivi per
  la  caccia  da  appostamento  -  Previsione  della  possibilita' di
  detenzione  dei  richiami stessi senza anello - Previsione altresi'
  che   della  legittima  detenzione  degli  stessi  faccia  fede  la
  Provincia  e,  per i richiami di allevamento, la documentazione del
  cacciatore  -  Incidenza  sul  principio  di  buon  andamento della
  pubblica  amministrazione  -  Violazione  della sfera di competenza
  statale  in  materia  di  tutela  dell'ambiente e dell'ecosistema -
  Contrasto  con  la  normativa  statale  (legge  n. 157/1992)  sulla
  protezione   della   fauna   selvatica  omeoterma  e  sul  prelievo
  venatorio..
- Legge  della  Regione  Lombardia  16 agosto  1993,  n. 26, art. 26,
  ultimo  comma,  sostituito  dalla  legge  della  Regione  Lombardia
  7 agosto 2002, n. 7, art. 2.
- Costituzione, artt. 97 e 117, commi 2, lett. l) e s), e 3.
(GU n.47 del 1-12-2004 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso n. 2823/2003,
proposto  dalle associazioni (ONLUS): WWF Italia, Legambiente, G.O.L.
-  Gruppo  Ornitologico  Lombardo,  LAC-Lega  per  l'abolizione della
caccia,  in  persona dei rispettivi rappresentati legali pro tempore,
rappresentate  e  difese  dall'avv.  Claudio Linzola ed elettivamente
domiciliate in Milano, via Hoepli n.3, presso lo studio dello stesso;
    Contro la Regione Lombardia, in persona del presidente della g.r.
pro  tempore,  rappresentata  e  difesa dagli avv. Pio Dario Vivone e
Sabrina  Gallonetto  dell'Avvocatura regionale, presso la cui sede e'
elettivamente  domiciliata;  per  l'annullamento  previa sospensione,
della   d.g.r.  n. 13853  del  29  luglio  2003,  avente  ad  oggetto
regolamento  di  attuazione degli artt. 21, comma 9, 26, comma 3, 27,
comma 4, 39, comma 1 e 43, comma 2, della l.r. 26 del 1993, norme per
la  protezione  della fauna selvatica e per la tutela dell'equilibrio
ambientale e disciplina dell'attivita' venatoria.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lombardia;
    Viste  le  memorie  prodotte dalle parti a sostegno delle proprie
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato  relatore, alla pubblica udienza del 13 luglio 2004, il
presidente Maurizio Nicolosi;
    Uditi, altresi', i difensori delle parti come da verbale;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con  il  ricorso  in  epigrafe, notificato il 29 settembre 2003 e
depositato  il  10  ottobre  seguente, le nominate associazioni hanno
impugnato il provvedimento in epigrafe indicato, chiedendone - previa
la  sospensione  (la relativa istanza e' stata respinta con ordinanza
1552/03) - l'annullamento per i motivi dedotti nell'atto introduttivo
del giudizio.
    Si e' costituita la Regione Lombardia svolgendo difese.
    All'udienza  pubblica  del  13  luglio  2004  il ricorso e' stato
trattenuto in decisione.

                            D i r i t t o

    1.   -   Le  associazioni  ricorrenti  impugnano  il  regolamento
attuativo della l.r. 26 del 1993, approvato con la delibera di giunta
impugnata.
    L'impugnazione   riguarda,   in   particolare,   le  disposizioni
contenute  negli  artt. 12 e 13, ritenuti non conformi alla normativa
statale di riferimento data in particolare dalla legge 157 del 1992.
    Lamentano  le associazioni, quanto all'art. 12, che esso preveda,
in  contrasto  con  la  normativa  statale,  la rimozione dell'anello
numerato  «inamovibile» identificativo dei richiami vivi, con il solo
obbligo  per  il  cacciatore  di  darne  comunicazione alla provincia
competente  indicando il numero e la specie degli uccelli interessati
dalla  rimozione  e  - per gli allevatori - di provvedere essi stessi
direttamente  alla  registrazione  ditale operazione. Tale rimozione,
quindi,  renderebbe  impossibile  qualsiasi  controllo,  censimento o
programmazione  in  merito  alle effettive esigenze di presicci e, di
contro,  agevolerebbe  in  modo  illecito  la cattura ed il commercio
degli uccelli selvatici.
    La  norma regolamentare trova riferimento nell'art. 26 della l.r.
26  del  1993,  ma quest'ultima sarebbe per questo costituzionalmente
illegittima in relazione agli artt. 117, comma 2, lett. l) ed s) e 97
della  Costituzione,  come modificata dalla legge costituzionale n. 3
del 2001.
    Lamentano,  infine, in relazione all'art. 13 del regolamento, che
tale  disposizione equiparerebbe fra loro due situazioni radicalmente
diverse,  consentendo  non  solo il trasporto, ma anche la detenzione
dei  richiami  vivi  in  gabbiette  nelle  misure  che l'INFS avrebbe
stabilito  solo  per il limitato tempo del trasporto, determinando in
tal  modo  una  situazione di potenziale maltrattamento degli uccelli
ivi detenuti.
    2.  -  La  Regione  Lombardia,  nella propria memoria contesta le
argomentazioni delle associazioni ricorrenti eccependo in primo luogo
l'inammissibilita'  del  ricorso  con  riguardo  al  primo  mezzo  di
censurare,   trovando  corrispondenza  e  fondamento  il  regolamento
impugnato  nell'art. 26,  comma  5, della l.r. 26 del 1993. Sostiene,
poi,  nel  merito  la difesa della Regione che la normativa regionale
impugnata non si porrebbe in contrasto con i principi di salvaguardia
della  fauna  selvatica  e che sarebbero stati rispettati i parametri
fissati  dall'INFS  in  materia  di  gabbie  per  il  trasporto  e la
detenzione dei richiami vivi.
    3. -Premesso quanto sopra in ordine al thema decidendum sul quale
il  collegio deve decidere, va osservato sul primo motivo del ricorso
che l'art. 12 del regolamento di attuazione della l.r. 16 agosto 1993
n. 26,  emanato  con la delibera n. 13853 del 29 luglio 2003, pur non
disciplinando  direttamente  la  rimozione  dell'anello  numerato  di
identificazione «inamovibile», costituito da una fascetta numerata di
plastica  che  legittima  il  possesso  del  richiamo vivo fornito ai
cacciatori  dalle  province, contempla tale rimozione, stabilendo che
in  siffatta  ipotesi  il  cacciatore  debba  dare comunicazione alla
provincia che ha fornito il richiamo indicando il numero di uccelli e
la  specie; che tale comunicazione ne legittimi il possesso; e che le
province   debbano   istituire   una   banca   dati   aggiornata  con
l'indicazione  del  numero  dei  richiami  di  cattura, suddivisi per
specie,  detenuti  privi  di  anello, da ogni cacciatore che ne abbia
dato comunicazione.
    La  norma  che  consente in via diretta la detenzione di richiami
vivi   privi   di  anello  identificativo  e'  contenuta  in  realta'
nell'ultimo comma dell'art. 26 della l.r. 16 agosto 1993, n. 26, come
modificato dall'art. 2 della l.r. 7 agosto 2002, n. 19, che recita: I
richiami vivi possono essere tenuti privi di anello. Per la legittima
detenzione  fa  fede la Provincia e, per i richiami di allevamento la
documentazione propria del cacciatore.
    Ed   infatti   le   Associazioni   ricorrenti   imputano  a  tale
disposizione  legislativa  piu'  che  al  regolamento  attuativo  che
disciplina  solo  le  modalita' di registrazione e comunicazione - il
contrasto     con     la     normativa     statale,     denunciandone
l'incostituzionalita'  in  parte  qua per violazione dei principi che
regolano  la  potesta'  legislativa  concorrente delle regioni in una
materia   che   e'   soggetta   ai  limiti  desumibili  dai  principi
fondamentali  entro  cui le regioni stesse possono esercitare le loro
competenze; e per irragionevolezza.
    4.  -  Innanzi tutto va precisato in ordine a tali questioni, che
il  ricorso  e'  ammissibile  in  quanto non investe direttamente nel
sindacato  giurisdizionale  la  legge  regionale  26  del 1993, ma la
delibera   della   giunta  regionale  contenente  l'approvazione  del
regolamento  attuativo  della  medesima; donde l'incidentalita' della
questione stessa in ordine al giudizio di legittimita' afferente alla
delibera regionale impugnata.
    Contrariamente a quanto affermato dalla difesa della Regione poi,
la  questione  di  costituzionalita' della legge regionale - peraltro
rilevabile  d'uffici  -"e'  chiaramente  posta nel contesto del primo
motivo  del  ricorso  e sviluppata nella successiva memoria; donde si
dimostra  priva  di  pregio l'eccezione di inammissibilita' sollevata
sul punto dalla difesa medesima.
    5. - Ritiene il collegio, in merito al primo mezzo di gavame, che
non  possa  superarsi  con  un  giudizio di manifesta infondatezza il
dubbio  sulla  costituzionalita'  della  richiamata norma legislativa
regionale  di  cui  il  regolamento  impugnato e' attuativo, e che di
conseguenza  debba  sospendersi il giudizio e sollevarsi questione di
costituzionalita'  in  relazione agli artt. 117, comma 2, lett. l) ed
s), e comma 3; nonche' dell'art. 97 della -Costituzione.
    6. - La questione e' rilevante, ad avviso del collegio, in quanto
la  possibilita'  di  detenzione  di  richiami vivi privi dell'anello
inamovibile  identificativo trae diretta ed immediata legittimazione,
come  detto,  non  dall'art.  12 dell'impugnato regolamento regionale
approvato  con  la  delibera  g.r.  13853  del  29  luglio  2003,  di
attuazione  della  l.r.  16  agosto  1993 n. 26, bensi' dall'art. 26,
u.c.,  della  legge  regionale  medesima, come sostituito dall'art. 2
della  l.r.  7  agosto 2002 n. 19. Dal che l'annullamento della norma
regolamentare  - senza l'espunzione della norma legislativa regionale
sospetta  di  incostituzionalita'  non  sarebbe  di  alcuna utilita',
permanendo  la  possibilita' della detenzione dei richiami vivi privi
di  anello  identificativo  in  forza  del  richiamato  ultimo  comma
dell'art.  26.  Diversamente,  l'espunzione  - attraverso il giudizio
incidentale  di costituzionalita' - della norma regionale sospetta di
incostituzionalita', consentirebbe efficacemente l'annullamento della
contestata  disposizione  regolamentare  che  dalla  fonte  normativa
primaria trae la sua legittimazione.
    7.  -  La  questione,  oltre che rilevante, e' non manifestamente
infondata per le ragioni che si vanno ora ad esporre.
    7.1.  -  La  caccia  non  figura  espressamente nell'elenco delle
materie  riservate  alla  legislazione  esclusiva  dello  Stato o fra
quelle  che  il terzo comma del novellato art. 117 della Costituzione
(diversamente  che  dal  testo  originario) identifica a legislazione
concorrente.
    Occorre  pero'  osservare  che  il secondo comma attribuisce alla
competenza  legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell'ambiente
e  dell'ecosistema (precisamente alla lett. s); mentre il terzo comma
individua  fra  le materie concorrenti il governo del territorio e la
valorizzazione dei beni ambientali.
    Se  appare  dubbia  la  riconduzione  della caccia al governo del
territorio  (che  attiene notoriamente agli aspetti piu' propriamente
urbanistico-edilizi),  una  qualche  attinenza  non  potrebbe  essere
negata  alla  materia dell'ambiente se non dell'ecosistema, incidendo
senza  dubbio  l'attivita'  venatoria nell'equilibrio complessivo del
contesto  ambientale-  naturistico,  la cui nozione sarebbe riduttiva
confinarla  nel  solo  paesaggio,  inteso  questo esaustivamente come
protezione  di  interessi  concorrenti  con  quelli  del  governo del
territorio.
    Occorre anche osservare che, secondo i recenti pronunciamenti del
giudice  delle  leggi,  sarebbe  dubbia anche l'identificazione della
caccia come materia, attenendo piu' propriamente essa ad un'attivita'
soggetta  a  regolamentazione  in quanto idonea ad interferire con la
protezione  della  fauna,  la  quale  costituisce  uno  dei rilevanti
interessi   meritevoli   di   tutela   nell'ambito   dell'ambiente  e
dell'ecosistema.
    L'osservazione  non  e'  di  poco  momento,  visto  che  la legge
costituzionale  n. 3  del  2001 - come gia' detto (art. 117, comma 2,
lett  s)  -  ha mantenuto alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato la tutela dell' ambiente e dell'ecosistema.
    Muovendo,   tuttavia,   dall'impianto   dato  dal  vecchio  testo
dell'art.  117  e  dall'assetto  dato dal p.r. 616 del 1977, potrebbe
anche  affermarsi  in ordine all'intervenuta modifica costituzionale,
che  ha senza dubbio ampliato le competenze delle regioni, che per la
caccia  il  legislatore  costituzionale  abbia inteso incrementare le
attribuzioni   delle  regioni  e  quindi  ipotizzarsi  una  sorta  di
competenza  esclusiva,  ai  sensi del quarto comma del novellato art.
117,  fermo  restando  ovviamente  i  noti limiti, fra i quali quelli
derivanti dall'ordinamento comunitario, ai quali fa espresso cenno il
primo comma del medesimo articolo.
    In  effetti,  pero',  a  valutare  sul  piano di un coordinamento
sistematico  l'intero  art.  117 novellato dalla legge costituzionale
n. 3  del 2001, la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema connota una
pluralita'   di  materie  fra  loro  intrecciate  che  importano  una
disciplina  complessa  caratterizzata da un'accentuata trasversalita'
fra  le  potesta' legislative esclusive e concorrenti (ne e' conferma
la collocazione del governo del territorio e della valorizzazione dei
beni   ambientali   fra   le  materie  a  legislazione  concorrente),
identificandosi con tale locuzione quelle materie che per la vastita'
dei  settori  o  dei  sistemi  in cui sono scomponibili, identificano
interessi  di  vario  tipo  tutti  aventi  come obiettivo (diretto od
indiretto)  la  protezione  della natura che sono affidati anche alla
cura  del  legislatore  nazionale  e  per  cio'  stesso finiscono per
intersecare con gli interessi riguardanti ambiti o settori di materie
riservate  alla  legislazione  regionale;  determinando un meccanismo
dinamico  che finisce per rendere meno rigida la stessa distribuzione
delle  competenze legislative ed un effettivo «recupero», per effetto
del  principio  di  sussidiarieta',  della competenza statale laddove
l'ambito dell'intervento statale riguardi - come nel caso di specie -
la  cura  di  rilevanti interessi generali dello Stato, riconducibili
alla   tutela  della  fauna  e  dell'ambiente  in  genere,  anche  in
attuazione  delle  norme comunitarie (cfr. per i principi Corte cost.
1°  ottobre  2003,  n. 303  e  7  ottobre  2003 n. 307). Diversamente
dovrebbe  registrarsi un'asimmetria nell'assetto costituzionale delle
attribuzioni degli enti costituzionali.
    Sotto  tale  particolare profilo appare al collegio condivisibile
l'assunto  delle  associazioni  ricorrenti  che le attribuzioni delle
regioni   in   materia   di  caccia  riguardino  piu'  specificamente
l'organizzazione  -  in  tutti  i  suoi  aspetti (calendari venatori,
autorizzazioni,   vigilanza)   dell'attivita'   venatoria  e  non  la
normativa  attinente  all'individuazione  -  sul  piano di disciplina
sostanziale  dei limiti entro cui l'esercizio venatorio e' consentito
in  rapporto  all'esigenza di protezione e tutela della fauna; questo
essendo un ambito che l'art. 117, comma 2, della Costituzione riserva
allo Stato che a sua volta e' tenuto a rispettare i vincoli derivanti
dall'appartenenza all'Unione europea.
    Consegue da cio', ad avviso del collegio, che la caccia, piu' che
una  materia  riservata  alla  competenza esclusiva delle regioni, in
quanto  non  contemplata nei commi 2 e 3 del novellato art. 117 della
Costituzione,  costituisca  un settore della piu' ampia materia della
tutela  dell'ambiente  e  come  tale  rientri  almeno  in parte nella
previsione  del  comma  2,  dell'art. 117, e quindi nell'ambito delle
materie  riservate  alla  legislazione  esclusiva dello Stato, se non
altro  per  i  profili  per  i  quali  alla disciplina sostanziale si
accompagni  la previsione della tutela di interessi forti per i quali
la legge stabilisca anche sanzioni penali; in parte, nella previsione
del  comma  3,  nell'ambito  della  valorizzazione  dell'ambiente,  a
legislazione  concorrente, per la quale opera la riserva dei principi
fondamentali dettati dallo Stato.
    Traendo  le dovute conclusioni da quanto sino ad ora argomentato,
va  osservato  in  ordine  alla controversia sottoposta all'esame del
collegio,  che  lo  Stato  ha  promulgato,  anche in attuazione delle
direttive comunitarie, la legge n. 157 del 1992, recante norme per la
protezione   della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il  prelievo
venatorio.
    L'art.  1,  comma  3,  di  tale legge stabilisce che le regioni a
statuto  ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione
ed   alla  tutela  di  tutte  le  specie  della  fauna  selvatica  in
conformita'  alla  presente legge, alle convenzioni internazionali ed
alle  direttive  comunitarie.  Le  regioni  a  statuto  speciale e le
province  autonome  provvedono  in base alle competenze esclusive nei
limiti  stabiliti  dai  rispettivi  statuti.  Le  province attuano la
disciplina  regionale  ai  sensi  dell'art.  14, comma 1, lettera f),
della legge 8 giugno 1990, n. 142.
    L'art.  5  della  medesima,  che  regola l'esercizio venatorio da
appostamento  fisso  e  richiami  vivi,  dopo  avere  previsto che le
regioni  deliberano emanando norme per regolamentare gli allevamenti,
la  vendita  e  la  detenzione  di uccelli allevati appartenenti alle
specie cacciabili, noi~che' il loro uso in funzione di richiami oltre
che per la costituzione e gestione del patrimonio di richiami vivi di
cattura   e  dopo  avere  stabilito  il  numero  massimo  di  uccelli
detenibili  da  ogni  cacciatore,  ai commi 7 ed 8 dispone il divieto
dell'uso  di  richiami  che  non siano identificabili mediante anello
inamovibile numerato, consentendo la sostituzione di un richiamo solo
dietro  presentazione  all'ente  competente  del  richiamo  morto  da
sostituire  (recante  ovviamente  l'anello  inamovibile).  All'ultimo
comma,  poi, vieta la vendita di uccelli da cattura utilizzabili come
richiami vivi per l'attivita' venatoria.
    Si  tratta  di  un  insieme  di disposizioni dalle quali traspare
evidente  l'intento del legislatore nazionale di approntare un rigido
sistema  di  gestione  e  controllo  dell'uso  dei richiami vivi, che
nell'inamovibilita'  dell'anello  numerato  identificativo  ha la sua
carta   vincente,   garantendo   l'obbligo   dell'apposizione  e  del
mantenimento dell'anello in questione e l'uso, come richiami vivi, di
uccelli  identificabili  attraverso  l'anello  stesso,  non  solo  il
controllo  sui  richiami  utilizzati  o  posseduti da ogni cacciatore
(attraverso   le   apposite  registrazioni),  ma  anche  un  efficace
strumento  deterrente  per  il commercio o l'uso abusivo dei richiami
stessi, penalmente sanzionato anche dall'art. 30 della stessa legge.
    7.2.  -  La tassativita' dei vincoli derivanti dalle disposizioni
legislative  nazionali  sull'identificabilita'  dei  richiami vivi e'
rafforzata dal divieto, contenuto nell'art. 21, comma 1, lett. q), di
usare richiami vivi al di fuori dei casi previsti dall'art. 5 e dalle
connesse sanzioni, nonche' nella lett. ee), di detenere, acquistare e
vendere,  ad  eccezione  dei  capi  utilizzati come richiami vivi nel
rispetto  delle  modalita'  previste  dalla stessa legge; divieti che
trovano  sanzione, nel caso di violazione, nel successivo art. 30 che
commina  la pena dell'ammenda sino a 3000,00 euro per chi esercita la
caccia   con   mezzi   vietati:   disposizione  quest'ultima  che  la
giurisprudenza  della  Cassazione  penale  ha  gia' interpretato come
estendibile  all'uso di richiami non identificabili (Cass., sez. III,
penale,  n. 8880  del  2  ottobre  1996  citata  dalla  difesa  delle
ricorrenti).
    Da  quanto  sopra  sembra al collegio che la legge regionale, nel
consentire   la  rimozione  dell'anello  inamovibile  identificativo,
affidando  concretamente  alla  normativa  secondaria  di  attuare le
modalita'  di rilevazione «alternativa» dei richiami stessi, si ponga
in contrasto con la normativa statale richiamata anche in riferimento
all'art.  117,  comma 2, lett. l), posto che rimuove, tra l'altro, un
divieto  afferente  a  comportamenti  suscettibili  anche di sanzione
penale.  Quanto a tale particolare profilo sembra al collegio che con
il  sostituire  al  divieto di rimozione dell'anello identificativo -
dalla  legge  nazionale  voluto  inamovibile  - la prescrizione della
registrazione  del  numero  e  della  tipologia degli uccelli privati
dell'anello  medesimo, mantenendo la possibilita' del loro uso per la
caccia  in  difformita'  dalle  modalita'  stabilite  dalla normativa
statale,  l'art.  26  della  legge  regionale finisca per interferire
sulla  fattispecie penale astratta prevista dal legislatore nazionale
per  la  punibilita'  dei  comportamenti  violativi  della stessa, in
contrasto  con  i  rigorosi  limiti  stabiliti  dall'art.  117  della
Costituzione.
    Tanto  il  collegio  ritiene di dovere rilevare in relazione alla
non  manifesta  infondatezza  della  questione  di  costituzionalita'
dell'ultimo  comma  dell'art.  26  della  l.r.  n. 26  del 1993, come
sostituito,  in  relazione  agli artt. 117, comma 2, lett. l) ed s) e
comma 3.
    7.3.  - Ritiene, inoltre, la Sezione non manifestamente infondata
la  questione di costituzionalita' del disposto della legge regionale
richiamata  in relazione all'art. 97 della Costituzione, in quanto la
previsione,  in  sostituzione dell'anello identificativo inamovibile,
di  un  sistema di registrazione presso la competente amministrazione
provinciale  o  addirittura  presso  lo  stesso cacciatore in caso di
allevamento,  si  dimostra inefficace ed inattendibile e quindi fonte
di  contestazioni,  ai  fini  dei controlli e della repressione degli
abusi  nell'uso,  nella  detenzione o nel commercio di richiami vivi:
mancando  qualsiasi  certezza  ad esempio che un esemplare smarrito o
morto non possa essere sostituito ricorrendo al mercato clandestino e
quindi con il ricorso alla cattura vietata.
    In  concreto, non vi e' alcuna garanzia, ne' dalla documentazione
esistente  presso  la  Provincia  ne'  tanto meno da quella informale
rinvenibile  presso  lo stesso cacciatore, di accertare il commercio,
la  detenzione  o  l'uso  illecito  di  richiami  vivi altrimenti non
identificabili  se non a mezzo dell'apposito anello numerato rimosso:
nessuna  guardia  venatoria  o  soggetto  avente  poteri  accertativi
sarebbe  in  grado  di  appurare  con  certezza-- anche ai fini delle
contestazioni  e  delle  sanzioni  applicabili  - che i richiami vivi
privi  di  anello  identificativo  in possesso ad un cacciatore siano
quelli  originariamente  muniti  dell'anello identificativo applicato
dalla  competente provincia e corrispondano agli esemplari registrati
su  denuncia  dei  cacciatori  all'atto  della rimozione dell'anello;
donde  la  norma  legislativa  in  questione non si mostra coerente e
congruente   -   sul   piano   del  principio  di  buon  andamento  e
dell'imparzialita'   dell'attivita'  amministrativa--  in  ordine  al
perseguimento   dei   fini   che   la   legge   nazionale  riconnette
all'identificazione garantita dall'anello numerato inamovibile.
    8.  -  In  conclusione,  il  giudizio  va  sospeso e va sollevata
questione di costituzionalita' dell'art. 26, ultimo comma, della l.r.
n. 26 del 1993, come sostituito dall'art. 2 della l.r. n. 7 del 2002,
in  relazione  agli  articoli 117, comma 2, lett. l) ed s) e comma 3,
nonche' all'art. 97 della Costituzione.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
    Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata, in relazione
agli  artt.  117, comma 2, lett. l) ed s) e comma 3, nonche' all'art.
97  della  Costituzione,  la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.   26,  ultimo  comma,  della  l.r.  n. 26  del  1993,  come
sostituito  dall'art.  2 della l.r. n. 7 del 2002 nei sensi di cui in
motivazione.
    Sospende  il  presente giudizio e ordina la rimessione degli atti
alla   Corte  costituzionale,  nonche'  la  notifica  della  presente
ordinanza  alle  parti  in  causa,  al  Presidente  del Consiglio dei
ministri ed al Presidente della Giunta regionale della Lombardia e la
comunicazione   della   medesima  ai  Presidenti  dei  due  rami  del
Parlamento ed al Presidente del Consiglio regionale della Lombardia.
    Cosi' deciso in Milano, in Camera di consiglio il 13 luglio 2004.
                       Il Presidente: Nicolosi
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