N. 347 SENTENZA 15 - 19 novembre 2004

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Parlamento   -  Immunita'  parlamentare  -  Procedimento  penale  nei
  confronti   di   un   senatore   per   dichiarazioni  asseritamente
  diffamatorie  contenute  in un articolo pubblicato su un quotidiano
  nazionale  -  Delibera  di insindacabilita' delle opinioni espresse
  adottata  dalla  Camera  di  appartenenza - Ricorso per conflito di
  attribuzione  proposto  dal  Tribunale di Roma, IV sezione penale -
  Mancanza  del  «nesso funzionale» idoneo a rendere insindacabili le
  dichiarazioni rese extra moenia - Dichiarazione di non spettanza al
  Senato della Repubblica del potere di deliberare l'insindacabilita'
  - Annullamento della deliberazione adottata.
- Deliberazione  del Senato della Repubblica del 31 maggio 2000 (doc.
  IV-quater, n. 48).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.46 del 24-11-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Valerio ONIDA;
  Giudici:  Carlo  MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE,  Ugo  DE  SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio
FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del
31 maggio 2000 relativa alla insindacabilita', ai sensi dell'art. 68,
primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore
Marcello  Pera  nei  confronti  del dott. Giancarlo Caselli ed altri,
promosso  con  ricorso  del  Tribunale  di  Roma,  IV sezione penale,
notificato  il 9 agosto 2001, depositato il 21 successivo ed iscritto
al n. 28 del registro conflitti 2001.
    Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  12 ottobre  2004  il  giudice
relatore Franco Bile;
    Udito l'avvocato Stefano Grassi per il Senato della Repubblica.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza-ricorso  del  9 gennaio 2001, depositato il
27 gennaio  2001,  il  Tribunale  di  Roma,  IV  sezione  penale,  in
composizione  monocratica, investito del procedimento penale a carico
del   senatore   Marcello  Pera  con  l'imputazione  di  diffamazione
aggravata  commessa,  in concorso con altri, col mezzo della stampa e
consistente  nell'attribuzione di un fatto determinato (art. 13 della
legge  8 febbraio  1948,  n. 47  e  artt. 110,  57, 595, commi 2 e 3,
596-bis  del  codice  penale), ha sollevato conflitto di attribuzione
tra  poteri  dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica in
relazione  alla  deliberazione con la quale l'Assemblea, nella seduta
del  31 maggio 2000 (documento IV-quater, n. 48), ha dichiarato che i
fatti  per  i  quali era in corso il procedimento penale riguardavano
opinioni  espresse  da  un membro del Parlamento nell'esercizio delle
funzioni  parlamentari,  in  quanto  insindacabili ai sensi del primo
comma dell'art. 68 della Costituzione. In particolare, era contestato
al  senatore  Pera  di  essere  stato l'autore dell'articolo «I p.m.?
Mostri a tre teste», pubblicato sul «Messaggero» del 14 gennaio 1999,
articolo  nel  quale  egli  tra  l'altro  scriveva  «...  o  le forze
dell'ordine  fanno  quello  che  vogliono  i  p.m.  e  indagano nelle
direzioni  e  nei modi da essi voluti, oppure sono nei guai. E' cosi'
che  sono  nati  (...)  i  casi Contrada e Mori a Palermo, dove si e'
visto che quando i poliziotti non si comportano come vogliono i p.m.,
questi  li  fanno  processare,  condannare  o  rimuovere dal ministro
compiacente». In tal modo il senatore Pera, secondo la contestazione,
aveva  offeso la reputazione del dott. Giancarlo Caselli, Procuratore
Capo della  Repubblica presso il Tribunale di Palermo, nonche' quella
del  dott.  Vittorio  Teresi  e  del  dott. Antonio Ingoia, sostituti
delegati  alla  trattazione  dei  procedimenti  penali  a  carico  di
Contrada  Bruno  nel  corso  dei  quali  veniva sentito come teste il
generale Mario Mori.
    Osserva  il  Tribunale  ricorrente  che  la  prerogativa  di  cui
all'art. 68, primo comma, Cost., non copre tutte le opinioni espresse
dal  parlamentare  nello svolgimento della sua attivita' politica, ma
solo  quelle legate da nesso funzionale con le attivita' svolte nella
qualita'  di membro delle Camere. Nella specie - secondo il Tribunale
ricorrente   -   mancherebbe   il   collegamento  funzionale  tra  le
affermazioni del sen. Pera e l'esercizio dell'attivita' parlamentare.
Sottolinea  infatti  il  Tribunale  che, ne' la semplice comunanza di
argomento  tra  la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni
espresse  in  sede  parlamentare,  ne'  la  ricorrenza di un contesto
genericamente  politico  cui  la  dichiarazione  inerisca,  bastano a
fondare  l'estensione alla prima dell'immunita' che copre le seconde,
richiedendosi  piuttosto  la  sostanziale corrispondenza di contenuti
tra  le  dichiarazioni oggetto di esame e l'opinione espressa in sede
parlamentare.  Inoltre, dovendo tali affermazioni essere riproduttive
di contenuti storici gia' espressi nelle sedi istituzionali, dovrebbe
richiedersi - secondo il Tribunale ricorrente - anche una successione
temporale  tra  le  affermazioni  rese in sedi istituzionali e quelle
rese  in  sedi diverse, dovendo le prime precedere necessariamente le
seconde.
    Con  riferimento  al caso di specie, poi, il Tribunale ricorrente
considera   che  lo  specifico  riferimento  contenuto  nell'articolo
suddetto  alla  vicenda  Contrada non risulta aver riscontro in alcun
atto  parlamentare  depositato dalle parti ovvero citato dal relatore
sen.  Callegaro  ovvero dai senatori intervenuti in sede di dibattito
parlamentare,  riferendosi  questi  tutti  ad argomenti piu' generali
relativi  ai  rapporti tra pubblico ministero ed organi di polizia ed
alla organizzazione giudiziaria in generale.
    Per  quanto  poi  riguarda  il  riferimento alla vicenda Mori, il
Tribunale  ricorrente  considera,  in  particolare, che nessuno degli
atti depositati in udienza dalla difesa del sen. Pera e' riferibile a
quest'ultimo  e  che  la  maggior parte riguarda il trasferimento del
gen. Mori nelle sue linee generali.
    In  particolare  il  Tribunale  ricorrente  - che ritiene che non
possa   prescindersi   dalla   paternita'   delle   interrogazioni  o
interpellanze  - si sofferma sull'unico atto parlamentare a firma del
sen. Pera (n. 2 - 00735 del 10 febbraio 1999, 542 seduta pomeridiana)
il cui contenuto e', a suo avviso, sostanzialmente coincidente con le
affermazioni  riportate  nell'articolo suddetto. Non di meno, secondo
il  Tribunale  ricorrente,  tale  atto  parlamentare  non rileverebbe
perche'  successivo  alla  pubblicazione  dell'articolo  e quindi non
riproduttivo di un'opinione gia' espressa.
    2.  -  Con  ordinanza  n. 270  del  2001  la  Corte ha dichiarato
ammissibile il conflitto proposto dal Tribunale di Roma.
    3.  -  Con  memoria  dell'8 agosto  2001, depositata il 10 agosto
2004, il Senato della Repubblica, in persona del suo vice-Presidente,
si  e' costituito in giudizio, chiedendo che il ricorso del Tribunale
di  Roma  -  poi notificato l'8 agosto 2001 e depositato il 21 agosto
2001 - sia dichiarato inammissibile o comunque infondato.
    Osserva  in  particolare  la  difesa  del Senato che la relazione
della  Giunta  delle  elezioni  e  delle immunita' parlamentari aveva
evidenziato  come  le  opinioni  espresse dal sen. Pera nell'articolo
suddetto  costituissero  uno  dei  capisaldi  delle  convinzioni  del
parlamentare  e  del suo gruppo politico circa i rimedi che l'attuale
situazione della giustizia richiede.
    Queste  opinioni  erano  state  discusse in aula nelle sedute del
17 ottobre  1997  (interrogazione  dei  senatori  Pera,  Scoppelliti,
Pastore),  del  28 ottobre 1997 (interrogazione dei senatori Centaro,
La  Loggia,  Pera  ed altri), del 7 novembre 1997 (interrogazione del
sen.  Pera  ed  altri),  del 2 dicembre 1997 (interrogazione del sen.
Pera  ed  altri),  del 6 ottobre 1998 (interrogazione del sen. Pera),
del   12 gennaio   1999  (interrogazione  del  sen.  Centaro)  e  del
10 febbraio 1999 (interpellanza del sen. Pera).
    Di  conseguenza,  l'articolo  suddetto  rappresenta,  secondo  la
difesa  del Senato, la divulgazione di atti tipicamente parlamentari,
nei  quali  il  pensiero  del  sen.  Pera  aveva  gia'  avuto modo di
manifestarsi.
    4.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  difesa  del  Senato ha
presentato  una  memoria  insistendo  per  il  rigetto  del  ricorso,
ribadendo  le  argomentazioni  precedentemente  svolte  e  producendo
ulteriori atti parlamentari a sostegno della propria richiesta.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  conflitto  sollevato  dal Tribunale ricorrente pone la
questione  se  spetti  al  Senato  della Repubblica deliberare, nella
seduta  del  31 maggio 2000 (documento IV-quater, n. 48), che i fatti
per  i  quali  era  in corso il procedimento penale nei confronti del
senatore  Marcello  Pera,  per  il reato di diffamazione aggravata in
danno  dei  magistrati  dottori  Giancarlo Caselli, Vittorio Teresi e
Antonio  Ingroia,  riguardavano  opinioni  espresse  da un membro del
Parlamento nell'esercizio delle funzioni parlamentari, in quanto tali
insindacabili   ai   sensi   del   primo   comma  dell'art. 68  della
Costituzione.   Al  senatore  Pera  era  stato  contestato  di  avere
pubblicato   sul  quotidiano  «Il  Messaggero»  del  14 gennaio  1999
l'articolo  «I  p.m.? Mostri a tre teste», nel quale egli tra l'altro
scriveva «... o le forze dell'ordine fanno quello che vogliono i p.m.
e indagano nelle direzioni e nei modi da essi voluti, oppure sono nei
guai.  E' cosi' che sono nati [...] i casi Contrada e Mori a Palermo,
dove  si  e'  visto  che  quando  i poliziotti non si comportano come
vogliono  i  p.m., questi li fanno processare, condannare o rimuovere
dal ministro compiacente». Con tali parole, secondo la contestazione,
il  senatore  Pera  aveva  offeso  la reputazione del dott. Giancarlo
Caselli, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo,
nonche' quella del dott. Vittorio Teresi e del dott. Antonio Ingroia,
sostituti  delegati alla trattazione dei procedimenti penali a carico
del  funzionario della Polizia di Stato Bruno Contrada, nel corso dei
quali era stato sentito come teste il generale Mario Mori.
    Il     Tribunale     ritiene    insussistenti    i    presupposti
dell'insindacabilita'   di   cui   all'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione,   sotto   un   triplice  profilo:  mancanza  del  nesso
funzionale,  richiesto  dalla  giurisprudenza  costituzionale, tra le
dichiarazioni  assunte  come  diffamatorie  e  gli  atti parlamentari
indicati  dalla Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari,
tranne  l'interpellanza  del  senatore Pera in data 10 febbraio 1999;
irrilevanza  di  tale  atto,  che,  pur  presentando  una sostanziale
coincidenza  con  le  dichiarazioni  diffamatorie, e' posteriore alla
pubblicazione dell'articolo, avvenuta il 14 gennaio 1999; irrilevanza
degli atti esibiti nel procedimento penale dalla difesa dell'imputato
(interrogazioni  dei  senatori  Milio  e Caruso del 12 gennaio 1999),
che, pur avendo anch'essi un contenuto sostanzialmente corrispondente
alle   affermazioni   in   questione,   non   provengono  dall'autore
dell'articolo,  come  del resto l'interrogazione del senatore Centaro
di pari data.
    2.   -   Deve  anzitutto  essere  ribadita  l'ammissibilita'  del
conflitto,  sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come
gia' ritenuto da questa Corte nella citata ordinanza n. 270 del 2001.
    3. - Nel merito il ricorso e' fondato.
    Questa   Corte   deve   verificare,   alla   stregua   della  sua
giurisprudenza,  la ricorrenza in concreto del «nesso funzionale» tra
le  dichiarazioni rese extra moenia dal parlamentare e l'esercizio di
un'attivita' parlamentare.
    In  particolare  la  sentenza n. 10 del 2000 ha affermato che «la
semplice  comunanza di argomento fra la dichiarazione che si pretende
lesiva  e  le  opinioni  espresse dal deputato o dal senatore in sede
parlamentare non puo' bastare a fondare l'estensione alla prima della
immunita' che copre le seconde. Tanto meno puo' bastare a tal fine la
ricorrenza   di   un   contesto  genericamente  politico  in  cui  la
dichiarazione  si  inserisca».  Occorre  invece  l'«identificabilita'
della   dichiarazione   stessa   quale   espressione   di   attivita'
parlamentare» (cosi' anche la sentenza n. 11 del 2000). Occorre cioe'
la  «riproduzione»  all'esterno delle Camere di dichiarazioni rese in
sede  parlamentare, e tale riproduzione e' insindacabile solo ove «si
riscontri   l'identita'   sostanziale  di  contenuto  fra  l'opinione
espressa  in  sede  parlamentare  e  quella  manifestata  nella "sede
esterna"» (sentenza n. 10 del 2000).
    Tali   affermazioni   sono  state  ripetutamente  ribadite  dalla
giurisprudenza  successiva  di  questa Corte (sentenze numeri 56, 58,
82, 420 del 2000; numeri 137 e 289 del 2001; numeri 51, 52, 207, 257,
270,  283,  294, 421, 435, 448, 508, 509 e 521 del 2002), la quale ha
piu' volte riaffermato che il «nesso funzionale» tra la dichiarazione
resa  extra  moenia  dal  parlamentare  e  l'espletamento  delle  sue
funzioni  di  membro  del  Parlamento  esiste  se  ed  in  quanto  la
dichiarazione possa essere identificata come «divulgativa all'esterno
di  attivita'  parlamentari»,  ossia  se  ed  in  quanto  esista  una
sostanziale  corrispondenza  di  significato  con  opinioni  espresse
nell'esercizio  di funzioni parlamentari, non essendo sufficiente una
mera comunanza di argomenti.
    Di recente, la legge 20 giugno 2003, n. 140 (recante disposizioni
per  l'attuazione  dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia
di  processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), ha
previsto  - al primo comma dell'art. 3 - che esso «si applica in ogni
caso   per   la   presentazione  di  disegni  o  proposte  di  legge,
emendamenti,  ordini  del  giorno,  mozioni  e  risoluzioni,  per  le
interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle Assemblee
e  negli altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto
comunque  formulata, per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra
attivita'  di  ispezione,  di  divulgazione, di critica e di denuncia
politica,  connessa  alla  funzione  di parlamentare, espletata anche
fuori del Parlamento».
    Con  la  sentenza n. 120 del 2004, questa Corte ha dichiarato non
fondata  la  questione  di legittimita' costituzionale di tale norma,
sollevata  in  riferimento  agli  artt. 3, 24, 68, primo comma, e 117
della  Costituzione,  escludendo  che  essa  abbia  ampliato l'ambito
dell'immunita'  garantita  ai parlamentari dall'art. 68, primo comma,
quale  risultava  dalla  propria  giurisprudenza.  In particolare, la
sentenza  ha  escluso  che la norma abbia eliminato la necessita' del
«nesso  funzionale»  fra  le opinioni espresse dal parlamentare fuori
dal  Parlamento, assunte come diffamatorie, e l'esercizio di funzioni
parlamentari;  ed  ha ribadito - richiamando in particolare le citate
sentenze  numeri  10  ed  11  del 2000 - che esse rientrano nell'area
dell'insindacabilita'   solo   se   costituiscano   «divulgazione   e
riproduzione»  di  attivita'  parlamentari,  pur  non necessariamente
tipiche.
    Sono  seguite le sentenze numeri 246 e 298 del 2004, le quali, in
sede  di  conflitto  tra  poteri  dello  Stato,  hanno  affermato che
l'art. 3,  comma 1,  della  legge  n. 140  del  2003  «non  altera il
contenuto  dell'art. 68,  primo  comma,  della  Costituzione»;  hanno
ribadito   la   necessita',   ai   fini   dell'esistenza  del  «nesso
funzionale»,  che  le opinioni in esame costituiscano «divulgazione e
riproduzione»  di  attivita'  parlamentari;  ed  hanno fatto concreta
applicazione di tali riconfermati principi.
    In  particolare,  la  sentenza  n. 298  del 2004 ha ulteriormente
sottolineato   la   necessita'   di  una  «sostanziale  identita'  di
contenuti»   tra   l'opinione   espressa   nell'atto  parlamentare  e
l'esternazione che siffatta opinione divulghi.
    4. - Con riguardo al caso di specie, la difesa del Senato ritiene
che   le  affermazioni  contenute  nell'articolo  del  senatore  Pera
rientrino  nell'area  della garanzia di cui all'art. 68, primo comma,
della  Costituzione,  essendo  collegate  da nesso funzionale con una
serie  di  atti  parlamentari, sia del medesimo senatore Pera, sia di
altri senatori.
    Tra  gli  atti  compiuti  dal  senatore  Pera  - menzionati nella
relazione  della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari
e  risalenti  agli  anni tra il 1997 e il 1999 - quelli del 1997 sono
estranei  all'argomento trattato nell'articolo, perche' riguardano il
diverso  tema  della  «gestione»  -  da  parte  di  taluni uffici del
pubblico  ministero,  fra  cui  anche  la Procura della Repubblica di
Palermo - dei «pentiti» Di Maggio, Siino e Brusca (interrogazioni del
16 e del 28 ottobre, del 7 novembre e del 2 dicembre 1997). Parimenti
estraneo  e'  l'unico  atto  del 1998 (interrogazione del 6 ottobre),
relativo  ad  un  intervento che il magistrato Caselli avrebbe svolto
nei  confronti  del  direttore  di  un telegiornale perche' non fosse
trasmessa  un'intervista  al  senatore  Andreotti, alla vigilia di un
processo a suo carico avanti al Tribunale di Palermo.
    Rimane   l'interpellanza   presentata   dal   senatore   Pera  il
10 febbraio 1999, a proposito di un'indagine svolta dal generale Mori
nel  1991 sugli appalti pubblici in Sicilia, conclusa con la consegna
di  un'informativa  alla  Procura  di  Palermo. Questa interpellanza,
secondo  il  Tribunale  ricorrente,  ha un contenuto «sostanzialmente
coincidente»  con  le  opinioni  espresse  nell'articolo del senatore
Pera, ed e' tuttavia ininfluente ai fini dell'insindacabilita' di cui
all'art. 68,  primo  comma, della Costituzione, perche' successiva di
quasi  un  mese  alla  pubblicazione dell'articolo. Si pone quindi il
problema   della   rilevanza,  a  tali  fini,  di  atti  parlamentari
posteriori alle dichiarazioni considerate diffamatorie.
    In  proposito  questa  Corte,  nella sentenza n. 289 del 1998, ha
ritenuto  irrilevante  un'interrogazione parlamentare intervenuta «in
epoca   successiva   [..]  al  ricevimento  dell'avviso  di  garanzia
all'origine  delle dichiarazioni diffamatorie contestate al deputato»
ed  ha affermato - in termini generali - che, «diversamente opinando,
qualsiasi affermazione, anche ritenuta gravemente diffamatoria e [..]
estranea   alla  funzione  od  all'attivita'  parlamentare,  potrebbe
diventare  insindacabile  a  seguito  della semplice presentazione in
data successiva al fatto di un'interrogazione ad hoc». La sentenza ha
accolto  quindi  un  criterio  rigoroso, secondo cui le dichiarazioni
rese  dal  parlamentare extra moenia, in tanto possono essere coperte
dalla garanzia di insindacabilita' in quanto siano collegate da nesso
funzionale   ad  un'attivita'  parlamentare  precedentemente  svolta,
restando invece irrilevante quella successiva.
    Nella  stessa  prospettiva  si  e'  collocata  la  giurisprudenza
posteriore che ha precisato la nozione di nesso funzionale, esigendo,
per  l'insindacabilita'  delle opinioni manifestate all'esterno degli
organi   parlamentari,   che   esse   riproducano   il  contenuto  di
dichiarazioni  «gia'  rese»  nell'esercizio  di funzioni parlamentari
(sentenza n. 11 del 2000), ovvero siano «sostanzialmente riproduttive
di  un'opinione  espressa  in  sede parlamentare» (sentenza n. 10 del
2000).  Analogamente  la  sentenza  n. 521  del 2002, nel ribadire la
necessita'   del   nesso  funzionale,  ha  precisato  che  esso  deve
intercorrere  tra  l'attivita'  divulgativa all'esterno e le opinioni
«gia'   espresse,  o  contestualmente  espresse»,  nell'esercizio  di
funzioni  parlamentari,  cosi'  enunciando  l'irrilevanza di opinioni
manifestate successivamente.
    Del  resto,  la  stessa formulazione del primo comma dell'art. 68
della  Costituzione  - sancendo la non perseguibilita' dei membri del
Parlamento  per le opinioni «espresse» e i voti «dati» nell'esercizio
delle    loro    funzioni   -   rende   inconfigurabile   un'iniziale
perseguibilita' del parlamentare, cui possa eventualmente sovrapporsi
un successivo atto parlamentare che la escluda.
    La  memoria  del  Senato,  a  sostegno  della possibile rilevanza
dell'atto  parlamentare  posteriore,  richiama la sentenza n. 246 del
2004,  che  ha  ritenuto  ininfluente, ai fini dell'insindacabilita',
alcune interrogazioni parlamentari presentate in un momento «di molto
successivo»  per  desumerne,  a  contrario,  la  rilevanza degli atti
parlamentari  «di  poco»  posteriori.  Ma  la sentenza non ha affatto
operato una tale distinzione diacronica: essa ha ritenuto irrilevanti
quelle  interrogazioni  perche'  si  trattava  di  «atti successivi»,
aggiungendo  «e di molto» in chiave evidentemente rafforzativa, cosi'
nella  sostanza  negando  la  rilevanza,  ai  fini  della garanzia di
insindacabilita',  di  eventuali  collegamenti fra dichiarazioni rese
fuori del Parlamento ed atti parlamentari posteriori.
    5.  -  La  difesa del Senato fa anche riferimento ad una serie di
interrogazioni  discusse nella seduta del 12 gennaio 1999, due giorni
prima  della  pubblicazione  dell'articolo  in  questione,  sui  temi
dell'assetto  organizzativo  dei  ROS  (reparti  operazioni speciali)
dell'Arma  dei  carabinieri  e  dell'eventuale  incidenza  di  talune
ventilate  modifiche  sull'efficienza  da essi dimostrata nella lotta
alla criminalita' organizzata: in questo quadro alcune interrogazioni
inserivano  anche  l'allontanamento del generale Mori dal vertice dei
ROS  e definivano «conflittuali» i suoi rapporti con la Procura della
Repubblica di Palermo. Fra tali interrogazioni, quella presentata dal
senatore  Centaro  e'  menzionata  nella relazione della Giunta delle
elezioni  e  delle  immunita'  parlamentari,  approvata  in  Aula dal
Senato; e quelle presentate dai senatori Milio e Caruso sono indicate
nel ricorso del Tribunale e richiamate nella memoria depositata dalla
difesa del Senato in prossimita' dell'udienza.
    Nessuna  di  queste  interrogazioni e' stata pero' presentata dal
senatore  Pera,  del  quale  nemmeno  risulta  la  partecipazione  al
relativo dibattito. Si pone cosi' il quesito se le dichiarazioni rese
da  un senatore o deputato fuori dell'ambito parlamentare, e ritenute
da   un   cittadino   lesive   della   propria  reputazione,  possano
considerarsi  coperte  dalla  garanzia  prevista  dall'art. 68, primo
comma,  della  Costituzione,  qualora  divulghino  e riproducano atti
posti,   nell'esercizio  di  funzioni  parlamentari,  da  membri  del
Parlamento diversi dal loro autore.
    La  questione  -  rilevante  ai fini della decisione del presente
conflitto di attribuzione - deve essere risolta in senso negativo.
    Se   l'immunita'   garantita  dall'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione  mira  alla  salvaguardia  del  libero  esercizio  della
funzione  del Parlamento (infatti la tutela delle prerogative di ogni
Camera  spetta ad essa e non al singolo senatore o deputato: sentenza
n. 225  del  2001, ordinanza n. 101 del 2000), questa salvaguardia e'
ottenuta  assicurando a ciascun parlamentare il diritto di esercitare
liberamente la sua funzione: nel Parlamento, ponendo senza ostacoli o
remore  gli atti di esercizio di tale funzione; fuori di quella sede,
riproducendo e divulgando gli atti medesimi.
    Invero,  la  norma costituzionale - proclamando che «i membri del
Parlamento  non  possono  essere chiamati a rispondere delle opinioni
espresse  e  dei  voti  dati  nell'esercizio  delle  loro funzioni» -
esplicitamente  collega  l'immunita'  del  singolo  parlamentare alle
opinioni  da  lui  espresse  ed ai voti da lui dati esplicando le sue
funzioni, e cosi' evoca la natura personale della responsabilita' cui
altrimenti  egli sarebbe esposto, secondo una correlazione soggettiva
che  e'  indefettibile per la responsabilita' penale e costituisce la
regola  generale  per  quella civile e amministrativa. Coerentemente,
anche l'estensione dell'immunita' (operata dalla giurisprudenza della
Corte)  alle  dichiarazioni rese all'esterno della sede parlamentare,
riproduttive  e divulgative di atti costituenti esercizio di funzioni
parlamentari,  non  puo'  che  riferirsi  agli  atti  che il medesimo
parlamentare  riproduce  e divulga, con la conseguente irrilevanza di
quelli posti non da lui, ma da altri membri del Parlamento.
    In  tale  prospettiva si colloca anche il citato art. 3, comma 1,
della  legge  n. 140  del  2003, il quale - rendendo esplicito che la
garanzia   dell'insindacabilita'   si   riferisce  sia  all'attivita'
parlamentare,  sia a quella espletata fuori del Parlamento - richiede
per  quest'ultima la connessione con la funzione «di parlamentare», e
cosi'  pone  l'accento  sul carattere soggettivo delle condizioni che
consentono l'estensione della garanzia.
    Del resto, la tesi secondo cui le dichiarazioni rese extra moenia
da  un  parlamentare  sarebbero  coperte dalla garanzia dell'art. 68,
primo  comma, della Costituzione, anche se riproduttive o divulgative
di  atti  posti  da  altri  parlamentari  nell'esercizio  delle  loro
funzioni, finisce, in sostanza, per conferire rilievo ad un dato - la
semplice  comunanza  di  argomento  o la riferibilita' ad un medesimo
«contesto   politico»  -  che  questa  Corte,  nelle  pronunce  sopra
indicate, ha sempre ritenuto di per se' irrilevante.
    6.  -  Pertanto,  le  dichiarazioni  rese  da un senatore o da un
deputato  fuori  della  sede  parlamentare,  ritenute da un cittadino
lesive  della  propria  reputazione,  in  tanto  sono  coperte  dalla
garanzia di insindacabilita' di cui al primo comma dell'art. 68 della
Costituzione,  in  quanto  un  «nesso funzionale» le colleghi ad atti
gia'  posti  dal  loro  autore  nell'esercizio  delle sue funzioni di
membro  del  Parlamento,  mentre  sono  irrilevanti gli atti di altri
parlamentari    e    quelli   compiuti   bensi'   dall'autore   delle
dichiarazioni, ma in epoca ad esse posteriore.
    Cio'  non  toglie  pero'  che  questi  atti - pur irrilevanti nel
giudizio  per  conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato, in
quanto  inidonei a rendere operante la garanzia di insindacabilita' e
quindi  a  impedire  che  il  membro  del  Parlamento  sia chiamato a
rispondere  dinanzi  all'autorita'  giudiziaria  delle  dichiarazioni
fatte  fuori  della  sede parlamentare - ben possano rilevare in tale
diverso  giudizio,  nel quale il giudice deve, tra l'altro, accertare
se  le  dichiarazioni  del  parlamentare  siano  state  eventualmente
ispirate  da  intento politico e non diffamatorio. A questo fine puo'
non  essere privo di rilievo il fatto che il parlamentare (come nella
specie ammette lo stesso Tribunale ricorrente) abbia nel suo scritto,
in  relazione  al  quale  e' tratto a giudizio, riecheggiato opinioni
emerse,  sia  pure  ad  opera  di altri, in un dibattito parlamentare
avente ad oggetto la stessa vicenda.
    Siffatte  conclusioni  si rinvengono gia' nella giurisprudenza di
questa  Corte,  la  quale ha precisato che esula dai suoi compiti - e
spetta  invece  al giudice - decidere se le dichiarazioni ascritte al
parlamentare  integrino  gli  estremi del reato, ovvero concretino la
manifestazione  del diritto di critica politica, di cui egli, al pari
di  qualsiasi  altro  soggetto,  fruisce  ai sensi dell'art. 21 della
Costituzione,  ed  in cui e' certamente compresa anche la critica nei
confronti  dell'operato  della magistratura (sentenza n. 10 del 2000;
cfr. anche sentenze n. 11 e n. 56 del 2000, n. 508 del 2002).
    7.  -  In  conclusione,  l'impugnata  delibera del Senato, per le
ragioni  sopra  esposte,  ha  violato  l'art. 68,  primo comma, della
Costituzione,  ledendo  le  attribuzioni  dell'autorita'  giudiziaria
ricorrente, e pertanto deve essere annullata.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara che non spetta al Senato della Repubblica deliberare che
i fatti per i quali era in corso il procedimento penale nei confronti
del senatore Marcello Pera, di cui al ricorso in epigrafe, riguardano
opinioni  espresse  da  un membro del Parlamento nell'esercizio delle
sue funzioni parlamentari ai sensi del primo comma dell'art. 68 della
Costituzione;
    Annulla,  per  l'effetto,  la  deliberazione  di insindacabilita'
adottata  dal Senato della Repubblica nella seduta del 31 maggio 2000
(documento IV-quater, n. 48).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 novembre 2004.
                        Il Presidente: Onida
                         Il redattore: Bile
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 19 novembre 2004.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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