N. 960 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 agosto 2004

Ordinanza  emessa  il  13  agosto  2004, dal tribunale di Ravenna nel
procedimento penale a carico di M.S. ed altro           

Reati   e  pene  -  Violenza  sessuale  di  gruppo  -  Applicabilita'
  dell'attenuante dei «casi di minore gravita» - Mancata previsione -
  Disparita'    di    trattamento   rispetto   a   quanto   stabilito
  dall'art. 609-bis  cod.  pen.  per  il reato di violenza sessuale -
  Irragionevolezza   -   Lesione   del   principio   della  finalita'
  rieducativa della pena.
- Codice penale, art. 609-octies.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 27, comma terzo.
(GU n.48 del 15-12-2004 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  ai sensi dell'art. 23, legge
11 marzo  1953,  n. 87  (letta  alla  pubblica  udienza del 13 agosto
2004).
    In  data  11 agosto  2004  S.M. (cittadino italiano) e           
I.V. (cittadino russo) sono stati arrestati dai Carabinieri          
di  Marina  di  Ravenna  nella  flagranza  dei  reati  previsti dagli
artt. 609-octies,  582  e  337 c.p. e condotti davanti al giudice del
dibattimento  ex  art. 449  c.p.p.  per  la  convalida ed il giudizio
direttissimo.
    Ad esito dell'udienza, il tribunale ha convalidato l'arresto e ha
disposto  la  liberazione  degli  imputati,  non  avendo  il pubblico
ministero avanzato istanza di applicazione di misura cautelare.
    Entrambi  gli  imputati,  quindi,  hanno richiesto l'applicazione
della pena ai sensi degli artt. 444 e 448 del codice di rito.
    Il  pubblico  ministero ha prestato il proprio consenso in ordine
alla  determinazione  della  pena  finale  di  un  anno e sei mesi di
reclusione  per S.M. e di un anno, sei mesi e dieci giorni           
di  reclusione  per  I.V., con la sospensione condizionale           
delle pene.
    Le  risultanze  degli  atti  esibiti ai sensi dell'art. 135 disp.
att. c.p.p. consentono di escludere la sussistenza di una delle cause
di  non  punibilita'  previste  dall'art. 129 c.p.p., neppure dedotta
dalla  difesa,  avuto  riguardo,  in particolare, alla denunzia delle
persone  offese,  alle  sommarie  informazioni  testimoniali  assunte
nell'immediatezza   dei  fatti  ed  alle  parziali  ammissioni  degli
imputati.
    La  richiesta  di  «patteggiamento»  concordata  con  il pubblico
ministero  presuppone  il  riconoscimento dell'attenuante del caso di
«minore gravita» previsto dall'art. 609-bis ult. comma codice penale,
ritenuta  dalle  parti  applicabile alla fattispecie contestata della
violenza sessuale di gruppo.
    Sulla base di detto riconoscimento la pena-base per il piu' grave
delitto di cui all'art. 609-octies c.p. e' stata diminuita a due anni
e  otto  mesi  di  reclusione;  con  la  concessione delle attenuanti
generiche  agli imputati, incensurati, l'aumento per la continuazione
con gli altri reati contestati e la successiva riduzione per il rito,
si e' pervenuti alla determinazione delle pene come sopra indicate.
    Ritiene  il  Tribunale,  chiamato anche a valutare la correttezza
dell'applicazione   «delle   circostanze   prospettate  dalle  parti»
(art. 444,  comma  2  c.p.p.), che - prescindendo per ora dal mancato
richiamo   nell'art. 609-octies  c.p.  della  circostanza  attenuante
prevista  dall'art. 609-bis  ult.  comma  c.p.  -  nel caso di specie
sussistano  i  presupposti  per la concessione di detta circostanza e
per  la  conseguente  diminuzione  di  pena  operata  dalle parti nel
calcolo intermedio.
    L'attenuante  de  qua  ricorre  - scondo il costante orientamento
della  suprema Corte (cfr. ad es., Cass. 28 ottobre 2003, El Kabouri;
Cass.  24 marzo 2000, Improta; Cass. 29 febbraio 2000, Della Rotonda;
Cass.  5 giugno  1998,  Di Francia) - in tutte le fattispecie in cui,
avuto riguardo ai mezzi, alle modalita' esecutive ed alle circostanze
dell'azione,  sia  possibile  ritenere che la liberta' sessuale della
vittima  sia  stata  compromessa  in  maniera  non  grave,  anche  in
relazione  alla  sua eta' ed alle condizioni psichiche nelle quali la
stessa versava al momento della commissione dell'abuso.
    In proposito appare necessaria una valutazione globale del fatto,
che  -  secondo  la  prevalente  giurisprudenza  (cfr., ad es., Cass.
8 giugno  2000,  Nitti;  Cass.  1° luglio 1999, Scacchi; da ultimo v.
Cass.  12 febbraio  2004,  Marotta;  contra  Cass.  25 novembre 2003,
Bruttomesso)   -  non  deve  essere  limitata  alle  sole  componenti
oggettive del reato, bensi' estesa a quelle soggettive ed a tutti gli
elementi  menzionati dall'art. 133 c.p., compresi quelli indicati nel
secondo comma di detta norma.
    L'attenuante in questione non risponde ad esigenze di adeguamento
del  fatto  alla colpevolezza del reo, ma conceme la minore lesivita'
del  fatto  rapportata  in  concreto  al  bene  giuridico tutelato e,
quindi,   assumono  particolare  importanza  la  «qualita»  dell'atto
compiuto  piu'  che  la  «quantita»  di  violenza fisica, il grado di
coartazione  esercitato  sulla  vittima  e  le  condizioni  fisiche e
mentali di quest'ultima, le sue caratteristiche psicologiche valutate
in  relazione  all'eta',  l'entita' della compressione della liberta'
sessuale ed il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici.
    Nel  caso  di  specie,  si  ritiene  -  rectius:  si riterrebbe -
configurabile  l'ipotesi  attenuata  in  questione, avuto particolare
riguardo alle modalita' dell'azione posta in essere dai due imputati,
in  evidente  stato  di  ebbrezza:  i due giovani, all'interno di uno
stabilimento  balneare affollato, si avvicinarono repentinamente alla
persona  offesa e le toccarono i glutei, quindi uno dei due tento' di
baciarla,  non  riuscendo nell'intento per la reazione della vittima,
poi soccorsa dalle numerose persone presenti sul luogo.
    Fortunatamente   la  riprovevole  condotta  delittuosa  ha  avuto
conseguenze  lievi,  sotto il profilo della violazione della liberta'
sessuale della giovane, venticinquenne, e del danno fisico e psichico
subito:  la  «qualita»  e «quantita» della violenza sessuale posta in
essere  dagli  imputati  possono  dirsi di modesta entita', cosicche'
appare giustificabile e congrua la diminuzione di pena (di due terzi)
concordata dalle parti.
    L'attenuante    del    caso   di   «minore   gravita»,   prevista
dall'art. 609-bis  ult.  comma c.p., non e' richiamata - come detto -
nel  corpo  dell'art. 609-octies c.p. (violenza, sessuale di gruppo),
fattispecie  quest'ultima  che  pacificamente costituisce una ipotesi
autonoma di reato e non una circostanza aggravante del delitto di cui
all'art. 609-bis  c.p., come e' reso evidente dalla previsione di una
specifica  disposizione con un distinto nomen juris rispetto a quello
della fattispecie generale dell' art. 609-bis c.p., dalla descrizione
parzialmente  autonoma  nella  norma  -  comma  primo - dei requisiti
costitutivi del fatto tipico nonche' dalla previsione - nei commi 3 e
4  -  di circostanze aggravanti ed attenuanti (di natura soggettiva),
ovviamente accessorie al reato-base di cui al primo comma.
    Il  tribunale,  dunque,  e'  chiamato  a  verificare  se  in  via
interpretativa  sia  possibile,  in  accoglimento  dell'accordo delle
parti, riconoscere detta circostanza nella contestata fattispecie.
    La suprema Corte, in base al noto principio ubi lex voluti dixit,
ubi  noluit  tacuit,  ha escluso detta possibilita', evidenziando che
«il  legislatore  nell'art. 609-octies ha richiamato espressamente le
circostanze  aggravanti ed attenuanti, previste dalla legge n. 66 del
1996,  che  ha ritenuto applicabili, e non ha menzionato l'attenuante
de  qua,  come  ha,  invece,  fatto con riferimento a tutti gli altri
casi, nei quali ha voluto precisare la possibilita' di tenerne conto»
(cosi' Cass. 1° luglio 1996, Hodca; in senso conforme, di recente, v.
Cass. 24 ottobre 2002, Raffi ed altri).
    Il   rilievo   della  Corte  di  cassazione  pare  condivisibile,
potendosi  altresi' evidenziare che per un'altra fattispecie autonoma
di  reato (gli atti sessuali con minorenni di cui all'art. 609-quater
c.p.)  e'  stata  espressamente  prevista  - al comma 3 - la medesima
circostanza attenuante del caso di minore gravita'.
    Non  di  svista  o  di  dimenticanza si tratta, dunque, ma di una
precisa scelta del legislatore del 1996, evidentemente preoccupato di
sanzionare   con   pene   gravi  le  condotte  di  violenza  sessuale
particolarmente  «odiose»  e lesive dell'integrita', della liberta' e
della  dignita'  della  donna, perche' poste in essere d un gruppo di
persone.
    Da   ultimo,   in  un'ampia  pronunzia  nella  quale  sono  stati
affrontati   diversi   profili   attinenti   l'interpretazione  della
fattispecie  in  esame  (Cass.  13 novembre  2003, Pacca e altro), la
suprema  Corte  ha  evidenziato  che «la previsione di un trattamento
sanzionatorio   piu'  grave  si  connette  al  riconoscimento  di  un
peculiare  disvalore  alla partecipazione simultanea di piu' persone,
in  quanto  una tale condotta partecipativa imprime al fatto un grado
di  lesivita'  piu'  intenso  sia rispetto alla maggiore capacita' di
intimidazione  del soggetto passivo ed al pericolo di reiterazione di
atti  sessuali  violenti (anche attraverso lo sviluppo e l'incremento
di  capacita'  criminali  singole)  sia  rispetto  ad una piu' odiosa
violazione   della   liberta'   sessuale   della  vittima  nella  sua
ineliminabile essenza di autodeterminazione».
    La Corte di cassazione, poi, aveva in precedenza affermato che la
soluzione  del  legislatore  di  escludere in radice l'applicabilita'
dell'attenuante  de qua alla fattispecie della violenza di gruppo «ha
una  sua  logica,  perche'  quest'attenuante  non si concilia con una
previsione  che  sanziona una condotta ritenuta di maggiore rilevanza
criminale»;  vi  sarebbe,  dunque,  una  «evidente  incompatibilita',
derivante dall'eccezionale gravita', che il legislatore ha attribuito
a  questa  fattispecie,  alla quale ha assegnato specifica autonomia»
(cosi' Cass. 1° luglio 1996, Hodca, cit.)
    In  altra  recente  pronunzia  (Cass.  24 ottobre  2002, Raffi ed
altri,  cit.),  il  supremo  collegio  ha  espressamente  ritenuto la
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 609-octies  c.p.,  in  relazione  agli  artt. 3  e 27 della
Costituzione,   nella   parte   in   cui   esclude   l'applicabilita'
dell'attenuante  del  caso di «minore gravita», prevista soltanto per
la violenza sessuale individuale.
    Ritiene il tribunale non condivisibile detta valutazione.
    Infatti,   occorre   valutare   attentamente   l'ampia  sfera  di
applicazione  del  delitto  di  cui  all'art. 609-octies  c.p., fatti
specie autonoma di reato a carattere necessariamente plurisoggettivo,
integrata anche nel caso in cui piu' persone riunite - anche solo due
-   siano   presenti   nel   luogo  e  nel  momento  di  consumazione
dell'illecito,  non  essendo necessario che ciascuna di esse ponga in
essere un'attivita' tipica di violenza sessuale, integrante, in tutto
o   in  parte,  la  condotta  descritta  nell'art. 609-bis  c.p.:  la
punibilita'  ai  sensi  della  norma in esame, dunque, deve ritenersi
estesa,  qualora  anche  solo  uno  dei  soggetti  compia  un atto di
violenza   sessuale,   in  presenza  di  una  qualsiasi  condotta  di
partecipazione,  secondo  le  regole  comuni del concorso di persone,
purche' tenuta in una situazione di effettiva presenza sul luogo e al
momento   del   reato.   L'orientamento   della   giurisprudenza   di
legittimita',   che   sotto   questo   profilo  appare  al  tribunale
ineccepibile,  e' costante e costittuisce «diritto vivente» (cfr., ad
es.,  Cass. 10 febbraio 2004, Gabura e altri; Cass. 13 novembre 2003,
Pacca  e  altro,  cit.;  Cass. 22 gennaio 2003, Passariello ed altri;
Cass.  5 aprile 2000, Giannuzzi e altro; Cass. 3 giugno 1999, Bombaci
e altro).
    Analogamente   e'   pacifico  in  giurisprudenza  e  dottrina  il
significato   dell'ampia   nozione   di  «atto  sessuale»,  contenuta
nell'art. 609-bis  c.p.,  frutto  dell'opportuno  superamento, con la
legge  n. 66/1996,  della  distinzione fra violenza carnale e atti di
libidine  violenti, non piu' coerente con il mutato oggetto giuridico
delle  norme in tema di violenza sessuale e con l'esigenza di evitare
alla vittima invasive indagini processuali.
    Atto  sessuale, dunque, e' qualsiasi atto, anche di breve durata,
diretto   ed   idoneo  a  compromettere  la  liberta'  della  persona
attraverso  l'eccitazione  o il soddisfacimento dell'istinto sessuale
dell'agente (fra le ultime cfr. Cass. 2 luglio 2003, Del Bravo; Cass.
13 febbraio 2003, Tomassetti; Cass. 27 febbraio 2003, De Feudis).
    Non  vi  e'  dubbio che anche un «palpeggiamento» dei glutei, per
quanto  di brevissima durata, rientri nella nozione di atto sessuale,
tale da integrare la fattispecie della violenza sessuale.
    Proprio  in  ragione  della  ampia  nozione  di  «atto sessuale»,
dell'assenza  di una diversa ipotesi criminosa di «molestie sessuali»
nonche'  dell'esigenza  di  non  punire  in  modo  sproporzionato  ed
irrazionale  (con  pena minima di cinque anni di reclusione) condotte
di  minore  gravita', il legislatore ha previsto l'attenuante de qua,
applicabile  nei  casi  di  minore lesivita' del fatto, rapportata in
concreto al bene giuridico tutelato.
    Ora,  l'esclusione assoluta di detta circostanza attenuante per i
casi  di violenza sessuale di gruppo (fattispecie «ad ampio spettro»,
come  sopra  ricordato)  non pare coerente, razionale e, soprattutto,
rispettosa  del  principio  di  uguaglianza sancito dall'art. 3 della
Carta costituzionale.
    Anche  all'interno  di  una  ipotesi  delittuosa  di  eccezionale
gravita',  quale quella introdotta dall'art. 609-octies c.p., sarebbe
stato  necessario prevedere l'attenuante del caso di minore gravita',
operante  in particolare sul versante oggettivo (modalita' ed entita'
dell'atto  compiuto),  proprio perche' sono ben ipotizzabili condotte
non  altamente  lesive  della  liberta'  sessuale,  meritevoli di una
riduzione  di  pena,  che  non  farebbe  comunque  venir  meno - come
evidenziato   da  qualche  autore  -  la  differenza  di  trattamento
sanzionatorio    fra    «molestia»    monosoggettiva   e   «molestia»
plurisoggettiva (essendo diverse le pene edittali).
    L'incoerenza  del  sistema  e'  ancora  piu'  evidente laddove si
consideri  che la circostanza attenuante in esame e' riferibile anche
alle  condotte  di violenza sessuale aggravate per l'eta' inferiore a
dieci  anni  della vittima (art. 609-ter c.p.) ed all'ipotesi di atti
sessuali con minorenni (art. 609-quater c.p.), con la conseguenza che
la  ricorrenza  dell'attenuante  non  puo'  essere negata per il solo
fatto  della  tenera eta' della persona offesa (in proposito cfr., ad
es., Cass. 11 febbraio 2003, Trezza; Cass. 9 luglio 2002, Capaccioli;
Cass. 30 gennaio 2001, Ippia).
    La  disparita'  di  trattamento  appare evidente: lo stesso «atto
sessuale»  (si ipotizzi proprio una «manata» sui glutei assestata con
fine  di libidine) potrebbe essere in astratto punito - a prescindere
dall'eventuale   riconoscimento   di  altri  eventuali  attenuanti  o
diminuenti  -  con  la  pena  di un anno e otto mesi di reclusione se
compiuto  da  una  sola  persona, eventualmente anche in danno di una
vittima  in  tenerissima  eta',  e  con la pena minima di sei anni di
reclusione  se posto in essere da due persone (con le precisazioni di
cui sopra quanto alla condotta dei partecipi).
    Ritiene  il  tribunale condivisibile l'orientamento gia' espresso
in dottrina, in sede di primi commenti alla norma in esame, in ordine
alla   illegittimita'   costituzionale  (o,  quanto  meno,  alla  non
manifesta infondatezza della relativa questione) dell'art. 609-octies
c.p.,  per  violazione  dell'art. 3 comma primo Cost. (e, quindi, del
principio di ragionevolezza quale accezione particolare del principio
di  uguaglianza),  nella  parte in cui non prevede una diminuzione di
pena  per  le  ipotesi  di  violenza  sessuale  di  gruppo  di minore
gravita',  con  disparita'  di  trattamento  rispetto  alla  medesima
condotta  di  ridotta  offensivita'  realizzata  da  un solo agente e
punita  in  modo congruo ex art. 609-bis comma terzo c.p., richiamato
anche dall'art. 609-quater comma terzo codice penale.
    La    sproporzione    e    l'irragionevolezza   del   trattamento
sanzionatorio  per  casi  quali  quello  in esame, avente una modesta
offensivita'   (per   quanto  moralmente  riprovevole,  lesivo  della
dignita'  e  liberta'  della  donna  nonche' penalmente apprezzabile)
configgono  anche  con  il principio della funzione rieducativa della
pena (art. 27, comma terzo Cost.), non apparendo soddisfacente quanto
in  proposito  sostenuto  dalla  Corte  di cassazione per motivare la
compatibilita'  della  norma in esame con detta funzione, che sarebbe
in  ogni caso «assolta nella fase esecutiva attraverso il trattamento
penitenziario  e  le  misure  alternative  alla  detenzione  previste
dall'ordinamento»  (cosi'  Cass.  24 ottobre  2002,  Raffi  ed altri,
cit.).
    La   questione  proposta,  oltre  ad  essere  manifestamente  non
infondata (lo stesso pubblico ministero ha sollecitato il tribunale a
sollevare  la  questione,  nel  caso in cui non ritenesse applicabile
alla fattispecie contestata l'attenuante del caso di minore gravita),
e'  rilevante  nel  giudizio  de  quo,  atteso  che  la  richiesta di
applicazione della pena, ritenuta congrua, non puo' essere allo stato
accolta, in assenza di un intervento del giudice delle leggi che, con
una   pronunzia   additiva,  estenda  la  possibilita'  di  applicare
l'attenuante  prevista  dall'art. 609-bis ult. comma c.p. al reato di
cui all'art. 609-octies codice penale.
                              P. Q. M.
    Vsto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 609-octies c.p. nella parte in
cui  non  e'  prevista  l'applicabilita' dell'attenuante dei «casi di
minore  gravita»,  in relazione agli artt. 3, comma primo e 27, comma
terzo della Costituzione.
    Dispone  la  trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale e
sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
comunicata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
        Ravenna, addi' 13 agosto 2004
                      Il Presidente: D'Agostini
04C1299