N. 366 ORDINANZA 17 - 26 novembre 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Aborto   e   interruzione   volontaria  della  gravidanza  -  Diritto
  all'interruzione  della  gravidanza - Inadempimento dell'obbligo di
  esatta informazione in tempo utile da parte dei medici del servizio
  sanitario  -  Risarcimento  del  danno subito - Assunta lesione dei
  diritti  inviolabili  dell'uomo,  dei  principi  in tema di pena di
  morte  e  di  tutela  della  salute - Totale difetto di motivazione
  sulla rilevanza della questione - Manifesta inammissibilita'.
- Legge 22 maggio 1978, n. 194, artt. 5, 6 e 7.
- Costituzione, artt. 2, 27, ultimo comma, e 32.
(GU n.47 del 1-12-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Valerio ONIDA;
  Giudici:  Carlo  MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo
MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio   di   legittimita'   costituzionale  dell'art. 6,  in
connessione  con  gli artt. 5 e 7, della legge 22 maggio 1978, n. 194
(Norme  per  la  tutela  sociale della maternita' e sull'interruzione
volontaria  della  gravidanza),  promosso con ordinanza del 21 luglio
2003  dal  Tribunale  di  Udine  nel procedimento civile vertente tra
Gianpaolo  Sut  ed altra, in proprio e nella qualita' di esercenti la
potesta'  genitoriale, e l'Azienda per i servizi sanitari n. 5 «Bassa
Friulana»,   iscritta   al  n. 110  del  registro  ordinanze  2004  e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, 1ª serie
speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 13 ottobre 2004 il giudice
relatore Franco Bile.
    Ritenuto  che,  con ordinanza del 21 luglio 2003, il Tribunale di
Udine  ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale degli
articoli 5,  6  e  7 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la
tutela  sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria della
gravidanza),  in  riferimento agli articoli 2, 27, ultimo comma, e 32
della Costituzione;
        che,  secondo quanto riferisce il rimettente, la questione e'
stata  sollevata  nel  corso  di un giudizio promosso nel 1994 da due
coniugi  -  in  proprio  e  quali esercenti la potesta' parentale sul
figlio  minore  nato  nel 1988, presso la struttura ospedaliera della
convenuta,  con  una ipoplasia del femore sinistro - contro un'unita'
sanitaria  locale  (USL), poi divenuta azienda per i servizi sanitari
(ASL),   per   ottenerne  la  condanna  «al  risarcimento  dei  danni
patrimoniali,  non  patrimoniali,  morali,  alla  salute,  biologici,
esistenziali,   psichici,  alla  serenita'  familiare,  edonistici  e
quant'altro, sofferti conseguentemente all'inadempimento dell'obbligo
di  esatta  informazione  in  tempo  utile»  da  parte  del personale
sanitario  della  convenuta  «in  ordine  alle  possibili  anomalie o
malformazioni  del  nascituro  al fine di poter prendere le opportune
decisioni  anche circa l'interruzione della gravidanza, nonche' sulla
possibilita'    della    cura   delle   stesse   se   tempestivamente
diagnosticate»;
        che  il  rimettente  -  dopo  aver  dato conto dei successivi
svolgimenti  processuali  -  individua  l'oggetto  del contendere nel
risarcimento  del danno asseritamente subito dalla madre per non aver
potuto,  a  causa  dell'errata  diagnosi  della  struttura sanitaria,
esercitare  (ai  sensi  dell'art. 6  della  legge n. 194 del 1978) il
diritto   all'interruzione   della   gravidanza   per  le  «rilevanti
malformazioni   del  nascituro  che  avrebbero  determinato  come  da
conclusioni  del  consulente  tecnico d'ufficio grave pericolo per la
salute psichica della donna»;
        che  in  particolare,  secondo il rimettente, il consulente -
accertato  come  il  minore  fosse  «affetto  da  grave malformazione
congenita del femore sinistro, che poteva essere riconosciuta fin dal
primo  trimestre di gravidanza con esame ecografico accurato» - aveva
concluso  che «il mancato riconoscimento della malformazione entro il
primo  trimestre  di  gestazione  non  aveva  permesso  alla madre di
richiedere  l'interruzione volontaria della sua gravidanza» e «che la
nascita  del figlio ha causato un danno psicofisico ed economico alla
coppia  oltre  alla sofferenza psicologica e fisica che accompagna il
bambino fin dalla nascita»;
        che  il  rimettente  -  premesso  che «la madre unitamente al
coniuge  agisce  anche  per  il  piccolo ... danneggiato dal fatto di
essere  vivo  -  ancorche'  con un arto piu' corto - e non defunto» -
ritiene    non    manifestamente    infondata    la    questione   di
costituzionalita' «dell'art. 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194, ed
in  connessione con lo stesso quella degli artt. 5 e 7 della medesima
legge»;
        che,  a suo avviso, tali norme contrasterebbero anzitutto con
l'art. 2  della  Costituzione  «che  riconosce e garantisce i diritti
inviolabili   dell'uomo,   usando  appositamente  questa  espressione
generica  che  fa  riferimento  all'essere  umano,  e  non  quella di
cittadino»,  in  quanto  -  essendo  «il  primo diritto di ogni uomo»
quello  alla  vita  - sarebbe incongrua e contraria al detto articolo
«la  possibilita'  che  una persona ancorche' si tratti di un bambino
non  ancora  nato  venga  soppressa  per  la  possibilita' che la sua
nascita  fisicamente  imperfetta  arrechi  una sofferenza psicologica
alla  madre,  costituendo altro e diverso soggetto avente la medesima
dignita' del bambino»;
        che   le  norme  in  esame  contrasterebbero,  altresi',  con
l'art. 27,  ultimo  comma, della Costituzione, il quale, «vietando la
pena  di  morte,  implicitamente  esclude  che  la morte possa essere
applicata in via amministrativa»; e con l'art. 32 della Costituzione,
che  «tutela  la salute come fondamentale diritto dell'individuo», in
quanto  nel  termine individuo si dovrebbe ritenere compreso anche il
bambino non nato;
        che la questione di costituzionalita' dell'art. 6 della legge
n. 194  del  1978  sarebbe rilevante «in quanto e' precisamente dalla
violazione  del preteso diritto riconosciuto dall'articolo stesso che
conseguirebbe nella fattispecie il danno risarcibile»;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  tramite  l'Avvocatura  generale  dello Stato, con una
memoria   nella   quale   sostiene   l'inammissibilita'   e  comunque
l'infondatezza della questione.
    Considerato  che  dalla  pur non chiara esposizione della vicenda
oggetto  del  giudizio a quo, contenuta nell'ordinanza di rimessione,
si  ricava  -  da un lato - che le domande risarcitorie, proposte dai
genitori  in  proprio  e per conto del figlio minore, si basano sugli
accertamenti  ecografici  eseguiti sulla gestante presso la struttura
ospedaliera  della convenuta, da cui sarebbe stato possibile rilevare
la  malformazione  del  feto,  e - dall'altro - che tali accertamenti
furono svolti quando la gravidanza durava da oltre novanta giorni;
        che,  pertanto, la questione di costituzionalita' e' ritenuta
dal  giudice rilevante in quanto concerne le norme da cui deriverebbe
l'asserito  diritto  della  gestante  a chiedere l'interruzione della
gravidanza dopo i primi novanta giorni dal suo inizio, la cui lesione
avrebbe determinato l'ingiustizia del danno risarcibile;
        che   le   precisazioni   del   rimettente,   in  particolare
sull'idoneita' della taciuta malformazione ad arrecare grave pericolo
alla  salute  psichica  della  madre, rivelano come, nella specie, la
possibilita'  di  interrompere la gravidanza, in ipotesi preclusa dal
comportamento  della  convenuta,  sia  riconducibile  alla lettera b)
dell'impugnato art. 6 della legge n. 194 del 1978;
        che  questa  norma  ammette  bensi' l'interruzione volontaria
della  gravidanza dopo i primi novanta giorni, quando siano accertati
processi  patologici  (tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o
malformazioni del nascituro) che determinino un grave pericolo per la
salute  fisica  o psichica della donna, ma all'ulteriore condizione -
prevista  dall'art. 7,  terzo  comma,  della  stessa legge, anch'esso
impugnato - che non sussista possibilita' di vita autonoma del feto;
        che  pertanto  il giudice rimettente - per ritenere rilevante
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  proposta nei termini
indicati  -  avrebbe  dovuto motivatamente affermare che, trascorsi i
primi  novanta  giorni di gravidanza, la gestante, se informata delle
malformazioni  del  feto,  avrebbe  potuto,  in  base  alla normativa
impugnata,  decidere  l'eventuale  interruzione  della gravidanza, in
quanto  non sussisteva la possibilita' di vita autonoma del nascituro
malformato;
        che  infatti  -  se  tale  possibilita' fosse sussistita - la
gravidanza non avrebbe potuto essere interrotta, e il giudice sarebbe
stato  in  grado  di  decidere  (nel  senso  del rigetto) sul capo di
domanda  relativo ai danni conseguenti alla mancata interruzione, per
la  concreta  inconfigurabilita' della posizione giuridica soggettiva
in  ipotesi  ingiustamente  lesa  ai  sensi dell'art. 2043 del codice
civile,  e su tale decisione l'eventuale accoglimento della questione
proposta non avrebbe spiegato alcun effetto;
        che  il silenzio dell'ordinanza sul punto comporta percio' il
totale difetto di motivazione sulla rilevanza della questione;
        che,    quindi,   la   questione   deve   essere   dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  degli  articoli 5,  6  e  7 della legge
22 maggio  1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternita'
e  sull'interruzione  volontaria  della  gravidanza),  sollevata,  in
riferimento   agli   articoli 2,   27,   ultimo  comma,  e  32  della
Costituzione, dal Tribunale di Udine, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2004.
                        Il Presidente: Onida
                         Il redattore: Bile
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 26 novembre 2004.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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