N. 368 ORDINANZA 17 - 29 novembre 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Mafia  -  Beni  di  cui  non  sia  provata la legittima provenienza -
  Confisca - Contestuale rigetto della proposta di applicazione della
  misura  di  prevenzione  personale per mancanza del requisito della
  pericolosita'  sociale - Inapplicabilita' della misura patrimoniale
  -  Lamentata  irragionevole disparita' di trattamento rispetto alla
  revoca  della  misura  di  prevenzione  personale per il venir meno
  della  pericolosita'  sociale, lesione della tutela dell'iniziativa
  economica  privata  e  della  funzione  sociale  della proprieta' -
  Questione  finalizzata ad introdurre una innovazione conseguente ad
  una scelta di politica criminale - Manifesta inammissibilita'.
- Legge  31 maggio  1965,  n. 575,  art. 2-ter, terzo, quarto e sesto
  comma.
- Costituzione, artt. 3, 41, secondo comma, e 42, secondo comma.
(GU n.1002 del 9-12-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Valerio ONIDA;
  Giudici:  Carlo  MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo
MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 2-ter, terzo,
quarto   e   sesto   comma,   della   legge  31 maggio  1965,  n. 575
(Disposizioni   contro   la   mafia),  promosso,  nell'ambito  di  un
procedimento  di  prevenzione,  dal  Tribunale di Reggio Calabria con
ordinanza  del  14 maggio  1999,  iscritta  al  n. 1125  del registro
ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 2, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Udito  nella  camera  di consiglio del 13 ottobre 2004 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  nel  corso  di  un  giudizio per l'applicazione di
misure di prevenzione personali e patrimoniali il Tribunale di Reggio
Calabria  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3, 41, secondo
comma,   e  42,  secondo  comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 2-ter,  terzo, quarto e sesto
comma,  della  legge  31 maggio  1965, n. 575 (Disposizioni contro la
mafia),  nella  parte in cui non consente «di disporre la confisca di
beni, dei quali si accerti l'illecita provenienza, in caso di rigetto
della  proposta di applicazione della misura di prevenzione personale
per  cessazione  della  pericolosita' sociale del proposto successiva
all'acquisizione illecita dei beni ed antecedente alla decisione»;
        che  il  rimettente  -  premesso  di  essere  investito della
richiesta   di   applicazione   della  misura  di  prevenzione  della
sorveglianza  speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno
e  della  confisca di beni a norma dell'art. 2-ter della legge n. 575
del  1965  e  di  avere respinto la richiesta relativa alla misura di
prevenzione   personale   perche'  la  pericolosita'  sociale  poteva
ritenersi  cessata  «quantomeno  a  partire dalla seconda meta' degli
anni 80»  -  osserva  che,  quanto  alla misura patrimoniale, «non e'
stata fornita allo stato la dimostrazione della legittima provenienza
dei mezzi finanziari impiegati per acquistare» nell'aprile del 1981 e
nel dicembre   del   1985,   e  cioe'  prima  che  a  suo  avviso  la
pericolosita'   sociale   fosse   venuta   meno,  «beni  immobili  di
consistente estensione»;
        che la confisca di tali beni e' peraltro preclusa dal rigetto
della     richiesta     della    misura    personale    sulla    base
dell'interpretazione   giurisprudenziale   consolidata   e  «tale  da
costituire  diritto  vivente»  dell'art. 2-ter della legge n. 575 del
1965,  secondo  cui  il rapporto di pregiudizialita' fra la misura di
prevenzione  personale  e quella patrimoniale sarebbe derogabile solo
nelle ipotesi tassativamente previste dal settimo e dall'ottavo comma
del medesimo articolo;
        che  il  rimettente  ritiene  che la disciplina in esame, non
consentendo  di  applicare  la  misura  di prevenzione patrimoniale a
prescindere  da  quella  personale  nelle  fattispecie caratterizzate
«dalla  cessazione  di  pericolosita' sociale [...] sopravvenuta alla
stipulazione  di  atti  di  acquisto  di alcuni beni», violi in primo
luogo  l'art. 3 Cost. sotto il profilo della irragionevole disparita'
di  trattamento di situazioni identiche: da un lato quella, rilevante
nella  specie,  nella  quale  la  pericolosita'  sociale, presente al
momento  dell'acquisizione  dei beni, viene poi a cessare prima della
decisione del giudice in ordine alla misura di prevenzione personale;
dall'altro  quella  in  cui  la pericolosita' sociale viene meno dopo
l'applicazione  da  parte  del  giudice  della  misura di prevenzione
personale;
        che  il rimettente precisa che il dubbio di costituzionalita'
non  investe il «principio» della pregiudizialita' in se', ma solo il
diverso  trattamento  riservato  dalla  disciplina  censurata  a  due
situazioni  identiche  «sul piano sostanziale», ma tali da dar luogo,
per  la  circostanza meramente accidentale che la pericolosita' cessi
prima  o  dopo  la  decisione del giudice in ordine alla applicazione
della  misura  di prevenzione personale, alle conseguenze antitetiche
del  mantenimento  della  misura  patrimoniale  nel  primo  caso come
affermato dalla giurisprudenza di legittimita' nell'ipotesi di revoca
della  misura  personale e dell'impossibilita' di applicare la misura
patrimoniale nel secondo;
        che ad avviso del rimettente sarebbe ravvisabile un ulteriore
profilo  di illegittimita' in riferimento all'art. 41, secondo comma,
Cost.,  in  quanto  la  disciplina  censurata, nella parte in cui non
consente la confisca dei beni nell'ipotesi in cui non sia applicabile
la  misura  di  prevenzione personale, appresterebbe una tutela della
iniziativa   economica   privata   irragionevolmente  piu'  attenuata
rispetto  ad  altre situazioni in cui, al pari di quella considerata,
vengono  in rilievo condotte che costituiscono indici di appartenenza
ad associazione di tipo mafioso e che incidono sulla sicurezza, sulla
liberta'  e  sulla dignita' umana, «valori protetti dal comma secondo
dell'art. 41 Cost.»;
        che,   infine,   sarebbe   ravvisabile  anche  la  violazione
dell'art. 42,  secondo  comma, Cost. perche' la disciplina impugnata,
impedendo  la  confisca  di  beni di cui non sia provata la legittima
provenienza,  si  pone  in  contrasto con il principio della funzione
sociale  della  proprieta',  che  «per  ragioni  di  coerenza  e  non
contraddizione  dell'ordinamento»  deve valere sia nel caso di revoca
della misura di prevenzione personale, sia in caso di «rigetto per il
medesimo motivo della proposta personale».
    Considerato   che   il   rimettente   dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 2-ter,  terzo,  quarto e sesto comma, della
legge  31 maggio  1965,  n. 575 (Disposizioni contro la mafia), nella
parte  in  cui  non consente di disporre la confisca dei beni, di cui
non  sia  provata  la  legittima  provenienza, in caso di contestuale
rigetto  della  proposta  di applicazione della misura di prevenzione
personale per mancanza del requisito della pericolosita' sociale, che
era pero' presente al momento dell'acquisto dei beni;
        che  la situazione di fatto su cui si innesta la questione di
legittimita'   costituzionale   e'  assai  peculiare,  posto  che  il
rimettente   ritiene   di   poter   accertare,  ora  per  allora,  la
pericolosita'  sociale  del  soggetto  con  riferimento al momento di
acquisto  dei  beni  di  cui  afferma  non  essere  stata  provata la
legittima provenienza;
        che  a  tale fine si basa sulla presunzione che, risalendo al
1983  l'ultimo  elemento  sintomatico  della  pericolosita'  sociale,
ravvisato nella presenza al funerale del fratello di un noto mafioso,
la pericolosita' stessa dovrebbe ritenersi persistente «almeno per il
triennio  successivo»,  e  cioe'  dovrebbe  «coprire» anche l'atto di
acquisto del 1985;
        che  ad  avviso  del  rimettente  la  disciplina censurata si
porrebbe  in  contrasto  con  l'art. 3 Cost., in quanto determina una
irragionevole  disparita'  di  trattamento  rispetto  all'ipotesi del
tutto  analoga di revoca della misura di prevenzione personale per il
venir  meno  della  pericolosita'  sociale, situazione che secondo la
giurisprudenza  non  impone  di revocare anche la misura patrimoniale
della  confisca  disposta  in  precedenza,  nonche' con gli artt. 41,
secondo  comma,  e  42,  secondo  comma, Cost., perche' violerebbe le
esigenze  di  tutela  dell'iniziativa economica privata e la funzione
sociale della proprieta';
        che   con   la  sentenza  n. 335  del  1996,  oltre  che  con
l'ordinanza  n. 721  del 1988 richiamata dal rimettente, questa Corte
ha  gia'  preso in esame, dichiarandola inammissibile, una questione,
analoga  a  quella ora sollevata, relativa all'art. 2-ter della legge
n. 575  del  1965,  censurato  nella  parte in cui non prevede che il
procedimento  di prevenzione possa essere iniziato o proseguito anche
nel  caso di morte del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione
personale,   ai   soli   fini   dell'applicazione  dei  provvedimenti
patrimoniali del sequestro e della confisca dei beni;
        che  la Corte, in un contesto in cui parimenti si chiedeva di
scindere il nesso di pregiudizialita' della misura personale rispetto
a  quelle patrimoniali, ha rilevato che nel sistema legislativo della
prevenzione  antimafia  le misure patrimoniali normalmente accedono a
quelle  personali,  anche  dopo  le  modifiche introdotte dalla legge
19 marzo  1990,  n. 55,  e  dal  decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306,
convertito  nella legge 7 agosto 1992, n. 356, essendo rivolte a beni
che,   oltre   ad   essere   di   provenienza  sospetta,  sono  nella
disponibilita'  di persone socialmente pericolose in quanto indiziate
di appartenere ad associazioni di tipo mafioso;
        che  infatti  anche  nelle situazioni di assenza, residenza o
dimora   all'estero   della   persona   interessata,   per  le  quali
l'art. 2-ter,  settimo  comma,  della  legge n. 575 del 1965 consente
l'applicazione   della   confisca   a  prescindere  dalla  misura  di
prevenzione  personale,  e'  comunque  presupposta una valutazione di
pericolosita' sociale del soggetto;
        che,  in  definitiva,  il vigente sistema legislativo, pur in
presenza  della  tendenza  a  rendere  in  alcuni  casi  le misure di
prevenzione patrimoniali autonome rispetto a quelle personali, rimane
ancorato  al  principio  che  le  misure  patrimoniali  presuppongono
necessariamente  un  rapporto  tra  beni  di  cui  non sia provata la
legittima  provenienza  e soggetti portatori di pericolosita' sociale
che  ne  dispongano,  o  che  siano avvantaggiati dal loro reimpiego,
nell'ambito  di  attivita'  delittuose,  essendo la pericolosita' del
bene  «considerata  dalla  legge  derivare  dalla pericolosita' della
persona che ne puo' disporre» (cosi' sentenza n. 335 del 1996);
        che,  con  particolare riferimento alla confisca, la Corte ha
inoltre  precisato  che  tale  misura,  a  differenza  del sequestro,
«comporta   conseguenze  ablatorie  definitive»,  in  quanto  mira  a
«sottrarre   definitivamente  il  bene  al  "circuito  economico"  di
origine, per inserirlo in altro, esente dai condizionamenti criminali
che   caratterizzano   il   primo»,  sempre  che  «i  presupposti  di
indimostrata  legittima  provenienza dei beni oggetto di confisca, da
un  lato,  e  di  pericolosita'  del soggetto, dall'altro, siano gia'
stati definitivamente accertati»;
        che  un  intervento,  come  quello  auspicato dal rimettente,
volto  a  rendere  possibile l'applicazione della confisca in caso di
contestuale   rigetto   della  richiesta  di  misura  di  prevenzione
personale  per mancanza del requisito della pericolosita' sociale, si
tradurrebbe pertanto in una «innovazione conseguente ad una scelta di
politica criminale» che non rientra nei poteri del giudice chiamato a
pronunciarsi sulla costituzionalita' delle leggi (sentenza n. 335 del
1996 e, in precedenza, ordinanza n. 721 del 1988), ma e' di esclusiva
spettanza del legislatore;
        che    la   questione   deve   pertanto   essere   dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 2-ter,  terzo, quarto e sesto
comma,  della  legge  31 maggio  1965, n. 575 (Disposizioni contro la
mafia),  sollevata, in riferimento agli artt. 3, 41, secondo comma, e
42,  secondo  comma,  della  Costituzione,  dal  Tribunale  di Reggio
Calabria, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2004.
                        Il Presidente: Onida
                     Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 29 novembre 2004
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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