N. 25 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 24 novembre 2004
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 24 novembre 2004 (della Corte d'appello di Milano) Parlamento - Immunita' parlamentari - Giudizio civile promosso dal magistrato Andrea Padalino per il risarcimento dei danni subiti a seguito delle dichiarazioni rese dall'on. Vittorio Sgarbi nel corso di trasmissioni televisive - Deliberazione di insindacabilita' della Camera dei deputati - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dalla Corte di appello di Bolzano, sezione seconda civile - Denunciata mancanza di nesso funzionale tra opinioni espresse ed attivita' parlamentari. - Deliberazione della Camera dei Deputati del 7 ottobre 2003. - Costituzione, art. 68, primo comma.(GU n.49 del 22-12-2004 )
LA CORTE D'APPELLO Nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato promossa in grado d'appello con citazione notificata il 18 novembre 1999 a ministero aiutante ufficiale giudiziario dell'Ufficio unico notificazioni di Milano e posta in deliberazione all'udienza collegiale del 19 novembre 2003 fra Sgarbi Vittorio rappresentato e difeso dagli avv.ti Stefano Previti di Roma e Paola Caterina Pasqua di Milano, presso la quale e' elettivamente domiciliato in via Cesare Battisti n. 1, appellante e Padalino Andrea rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Morvillo presso il quale e' elettivamente domiciliato in via Besana n. 3, Milano, appellato (e appellante incidentale) e R.T.I. - Reti Televisive Italiane S.p.a. elettivamente domiciliata presso l'avv. Carlo Sala, via dei Boschetti n. 1, Milano. Il giudizio in corso e' stato promosso da Andrea Padalino, magistrato in Milano, per ottenere il risarcimento dei danni che afferma subiti a seguito della trasmissione televisiva denominata «Sgarbi quotidiani» del 15 ottobre 1994 e condotta dall'on. Vittorio Sgarbi, durante la quale quest'ultimo pronunciava espressioni «lesive dell'onore» del suddetto magistrato, «denigratorie e integranti il reato di diffamazione», dopo un precedente, analogo episodio verificatosi il 4 agosto 1994 (cfr. atto di citazione Padalino). Lamentava in particolare l'attore che l'on. Sgarbi, prendendo lo spunto dalla citazione per danni notificatagli in riferimento alla precedente trasmissione del 4 agosto 1994, lo aveva accusato di abusare del suo potere e, facendo anche apprezzamenti sulla sua faccia, ribadiva quanto gia' espresso circa l'asserita inadeguatezza del «ragazzo» Padalino a svolgere la propria funzione di G.i.p. presso il Tribunale di Milano. Nel giudizio civile che ne e' seguito il Tribunale di Milano, ritenuta l'esistenza dell'illecito per l'avvenuta lesione dell'onore e della reputazione dell'attore posta in essere al di fuori dell'esercizio dell'attivita' parlamentare, con sentenza 17 settembre/12 ottobre 2000, condannava l'on. Sgarbi al risarcimento dei danni. In pendenza del giudizio di appello, attivato dall'on. Sgarbi con l'impugnazione della suddetta sentenza, la Camera dei deputati, nella seduta del 7 ottobre 2003, ha deliberato nel senso che i fatti oggetto del procedimento concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione, sicche', considerato l'effetto inibitorio inevitabilmente conseguente a tale deliberazione, salvo il controllo eventualmente promosso dal giudice mediante il conflitto di attribuzione (cfr. sentenze n. 379/1996, 19/1993 etc.), reputa questa Corte - investita del gravame avverso la sentenza di primo grado - di dover sollevare tale conflitto alla luce delle seguenti considerazioni. La ritenuta insindacabilita' da parte del giudice ordinario dei fatti oggetto del giudizio, secondo l'opinione della Giunta fatta propria dall'Assemblea, sta nel fatto che l'intento dell'on. Sgarbi non sarebbe stato quello di diffamare la persona del magistrato «quanto piuttosto quello di sensibilizzare l'opinione pubblica circa le distorsioni dell'attuale sistema penale, nell' ambito del quale puo' verificarsi la circostanza che il giudice per le indagini preliminari puo' doversi trovare a decidere in poco tempo, in relazione ad indagini di particolare complessita', finendo, spesso senza sua colpa, con l'appiattirsi sulle posizioni della pubblica accusa e dunque non svolgendo pienamente quel ruolo di terzieta' che pure il codice di procedura penale astrattamente gli assegna». Ha affermato, infatti, tra l'altro, l'on. Sgarbi nella trasmissione del 15 ottobre 1994: «La Procura di Milano e' presidiata da questo giovinetto, guardatene bene la faccia, ditemi se uno con una faccia come questa puo', serenamente e avendo tutto il peso di centinaia di arresti da firmare, non lasciarsi prendere la mano e puo' veramente in poche ore, lui, rivedere quello che ha fatto il pubblico ministero, se con una faccia come questa voi credete che la giustizia possa essere salva», e pertanto, secondo la Giunta e secondo il relatore di maggioranza, si tratterebbe di critica politica rientrante in pieno nell'esercizio della funzione parlamentare indipendentemente dalla sede nella quale le espressioni di cui si duole l'attore sono state pronunciate. Dunque, anche in relazione allo sviluppo legislativo che ha avuto l'insindacabilita' con la modifica dell'art. 68, primo comma della Costituzione, non potrebbe assolutamente condividersi la motivazione della sentenza del Tribunale di Milano che ha condannato l'onorevole Sgarbi perche' in essa si afferma che vi deve essere una stretta connessione dell'attivita' «extra moenia del deputato o senatore con l'attivita' parlamentare, rigorosamente considerata per cui l'insindacabilita' non sarebbe estensibile alla prima se tale rigido collegamento non sussiste. Interpretazione questa eccessivamente restrittiva e oggi superata sulla scorta del nuovo assetto dell'art. 68, primo comma. Cio' premesso, e considerati gli aspetti specifici del caso in esame, al di la' delle generali affermazioni di principio, ritiene questa Corte che la delibera 7 ottobre 2003 della Camera dei deputati si pone in netto contrasto con i principi enunciati in ripetute pronunce dalla Corte costituzionale, oltre che dalla Corte di Cassazione, perche' qui non e' in questione l'indiscussa liberta' di espressione del parlamentare quando tratta argomenti politici in generale e di politica giudiziaria in particolare, di politica giudiziaria anche fuori delle sedi istituzionali e, persino, nel corso di una trasmissione televisiva avente per oggetto «prestazioni artistiche» e della quale il deputato fungeva da conduttore svolgendo tale attivita' nell'ambito di un contratto di diritto privato. Per vero, quello che senza possibilita' di dubbio pone il monologo dell'on. Sgarbi fuori dai limiti del legittimo esercizio della funzione parlamentare e determina l'abuso del diritto e' l'assoluta gratuita' delle espressioni usate, non pertinenti al tema in discussione e, in particolare, il ricorso al c.d. argumentum ad hominem, ossia l'attacco personale inteso a screditare e denigrare l'avversario ponendo l'accento su una sua pretesa indegnita' o inadeguatezza personale piuttosto che sul merito dei suoi atti. E, per di piu', coinvolgendone anche l'aspetto fisico con i gia' accennati giudizi sulla faccia del Padalino. Inoltre, questa dissertazione fisionomica (che costituisce, come risulta dalla trascrizione agli atti, una larga parte dell'intero intervento dello Sgarbi alla trasmissione del 15 ottobre 1994) si segnala anche per la pesante trivialita' e volgarita' del linguaggio (... uno ha la faccia m..., di c... o di s..., etc.) che non consente di assimilare le espressioni usate a una manifestazione di opinioni perche' qui il discorso deborda nel campo dell'ingiuria e del mero dileggio, non mitigato ma semmai enfatizzato dall'evidente artificio retorico della apparente negazione «.... la sua faccia non l'ho qualificata... queste cose di lui non le ho dette». Se tutto questo si vuole insistere a farlo rientrare nelle funzioni di un membro del Parlamento, allora, come giustamente si osserva nella relazione di minoranza, «significa avere una ben misera concezione, del mandato parlamentare». Si deve quindi correttamente concludere, come gia' stabilito da codesta Corte con sentenza 20 giugno 2002 n. 257 con riferimento ad altro episodio che ha avuto per protagonista l'on. Sgarbi, che anche in questo caso manca qualsiasi corrispondenza formale e sostanziale con l'attivita' parlamentare per cui le espressioni usate non possono essere coperte dall'immunita' ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione. Immunita' che non costituisce un privilegio personale del parlamentare ma e' posta a tutela della funzione esercitata. Ne' puo' indurre a diversa conclusione il disposto dell'art. 3 legge 21 giugno 2003, n. 140, in base al quale l'art. 68, primo comma si applica, oltre che per gli atti parlamentari tipici, anche «... per ogni altra attivita' di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori dal Parlamento». Va infatti considerato, in primo luogo, che la nuova norma - per il principio fondamentale sancito dall'art. 11, primo comma delle Preleggi - non puo' riguardare il presente giudizio, non - avendo essa - effetto retroattivo, e in secondo luogo che l'eventuale insindacabilita' non puo' comunque estendersi a manifestazioni che non sono di pensiero ma costituiscono gratuiti insulti e pura denigrazione e si risolvono in una immotivata lesione dei diritti personalissimi altrui (quali l'onore e la reputazione) poiche' in tal caso, e' evidente la rottura del collegamento fra la condotta del parlamentare e la funzione espletata (nesso funzionale sia pur in senso ampio) che anche la nuova norma postula. Ritenuta pertanto la necessita' di sollevare conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato, ammissibile sia sotto il profilo soggettivo, essendo questa Corte d'appello l'organo competente a decidere sulla condotta posta in essere dallo Sgarbi nei riguardi del Padalino, sia sotto quello oggettivo, vertendosi, nella specie, della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 68, primo comma della Carta costituzionale.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost. e 37, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone l'immediata sospensione del giudizio in corso e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale chiedendo che essa: 1) dichiari che non competeva alla Camera dei deputati la valutazione della condotta attribuita all'on. Vittorio Sgarbi in quanto estranea alla previsione normativa dell'art. 68, primo comma della Costituzione; 2) annulli la relativa deliberazione adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 7 ottobre 2003. Milano, addi' 19 novembre 2003 Il Presidente: Odorisio 04C1369