N. 1026 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 settembre 2004

Ordinanza  emessa  il  24 settembre 2004 dalla Commissione tributaria
provinciale  di Macerata sul ricorso proposto da Ballatori Gianfranco
contro Agenzia delle entrate - Ufficio di Macerata

Imposte  e  tasse  in  genere  -  Imposta  regionale  sulle attivita'
  produttive (IRAP) - Soggetti passivi - Esercenti arti e professioni
  in  maniera  abituale  e  in  forma  individuale  ed autonoma senza
  l'ausilio  di collaboratori e dipendenti e con l'impiego di modesti
  beni  strumentali  -  Indetraibilita'  dell'imposta  ai  fini delle
  imposte  sui  redditi  -  Riferimento  ad  una  astratta  capacita'
  economica  del  contribuente - Ingiustificato deteriore trattamento
  rispetto  agli  imprenditori  che  possono stabilire il quantum del
  «valore   aggiunto»   -   Violazione   dei  principi  di  capacita'
  contributiva e di eguaglianza, del diritto di difesa, nonche' della
  riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali.
- Decreto  legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 3, comma 1,
  lett. c), 4, 8 e 11.
- Costituzione artt. 3, 23, 24 e 53.
(GU n.2 del 12-1-2005 )
                LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
                        Svolgimento dei fatti
    Con   ricorso  depositato  il  17  dicembre  2003  e  ritualmente
notificato  all'Agenzia delle entrate di Macerata il 18 novembre 2003
il  dott.  Gianfranco  Ballatori,  rappresentato  e  difeso dal dott.
Roberto  Angeletti  ha proposto ricorso contro il silenzio rifiuto in
ordine  all'istanza  di rimborso dell'imposta IRAP versata negli anni
1998-2002 presentata il 20 luglio 2002 all'Ufficio imposte dirette di
Macerata,   senza   che   a  tale  istanza  sia  stato  emesso  alcun
provvedimento da parte dell'Ufficio.
    Il  contenuto  sia  dell'istanza  di  rimborso che del ricorso e'
identico per quanto riguarda gli aspetti fattuali e di diritto.
    Si afferma, in particolare, che il Ballatori, nato a Loreto il 14
ottobre  1951  e residente in Civitanova Marche, esercita l'attivita'
di   medico  convenzionato  con  la  locale  struttura  del  servizio
sanitario  nazionale (l'azienda unita' sanitaria locale), ha proposto
istanza     di     rimborso     dell'IRAP    versata    negli    anni
1998-1999-2000-2001-2002   per  un  importo  di  Euro  11.955,98  (L.
23.150.000).  Il  silenzio rifiuto e' sorto in quanto, nel termine di
giorni  novanta  dalla proposizione dell'istanza, non e' stato emesso
alcun provvedimento espresso.
    Da  cio'  la  proponibilita'  del ricorso basato sul fatto che il
ricorrente, medico convenzionato e, quindi, libero professionista, ha
svolto  in  questi anni la sua attivita' senza l'ausilio di personale
dipendente  e/o  collaboratori coordinati e continuativi, utilizzando
beni  strumentali  per  un  importo  modesto e comunque, strettamente
funzionale all'espletamento della propria attivita'.
    Stando  cosi'  le  cose, si afferma sempre nel ricorso de quo, e'
venuto  meno  il  presupposto  fondamentale  per  l'assoggettabilita'
all'imposta  IRAP.  Si  invoca,  sul  punto, la autorita' della Corte
costituzionale  che,  con  sentenza  n. 156  del  21  maggio  2001 ha
statuito  che  il  presupposto  fondamentale  del tributo in esame e'
costituito  dall'esercizio  abituale  di  un'attivita'  autonomamente
organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di un determinato
bene o servizio.
      Aggiunge  il  ricorso  che  la Corte costituzionale ha di fatto
limitato    a   tali   fattispecie   l'assoggettamento   all'imposta,
interpretando  la  normativa  nel  senso  che,  soltanto  nal caso di
impresa,    sussiste    connaturato   a   tale   nozione   l'elemento
organizzativo,  mentre  nel caso di lavoro autonomo, ancorche' svolto
con  carattere  di  abitualita', e' possibile ipotizzare un'attivita'
professionale  svolta  in  assenza di organizzazione di capitali e di
lavoro.
    A  mente  della  giurisprudenza  citata  in  ricorso,  tra cui la
Commissione tributaria provinciale di Trento, sezione I, del 5 luglio
2001,  n. 101,  occorre  che l'opera personale del professionista non
assuma   carattere  decisivo  e  prevalente  per  l'acquisizione  del
reddito,  ma  che  l'attivita'  possa  svilupparsi  «in  assenza  del
professionista»,  in modo che i «fattori capitale e lavoro utilizzati
nell'attivita'  siano  coordinati  ed  organizzati  in  modo talmente
autonomo  da essere in grado di creare valore aggiunto anche da soli,
senza l'apporto personale del professionista».
    Nel   caso   allora   di   medico,   che   esercita   l'attivita'
necessariamente  con  il  solo apporto personale, essendo il capitale
impiegato  meramente  marginale,  non  puo'  ricorrere  l'ipotesi  di
un'attivita'  autonomamente organizzata, sicche' quanto pagato a fini
IRAP risulta indebito e deve essere rimborsato.
    Si  concludeva  nel  senso  che  dovesse essere rimborsata l'IRAP
pagata,  secondo  l'elenco  riportato nell'istanza di rimborso pari a
complessivi Euro 11.955,98.
    Ha  allegato al ricorso il dott. Ballatori le denunce dei redditi
per  gli  anni  di  riferimento, Quadro IQ, oltre che le quietanze di
pagamento    dell'imposta    (documenti    questi    non   contestati
dall'Ufficio).  L'Agenzia delle entrate ha ammesso che l'attivita' e'
stata  esercitata in via esclusivamente personale, senza l'ausilio di
collaboratori   e   dipendenti   e  con  l'impiego  di  modesti  beni
strumentali,  ma  ha affermato che ugualmente il ricorso e' infondato
alla  luce  di  una  diversa  interpretazione  da darsi alla sentenza
ricordata  della  Corte  costituzionale  ed alla luce anche di alcune
pronunce di Commissioni regionali.
    Si  e'  osservato  in  particolare  che  la sentenza invocata nel
ricorso  ha  confermato  la legittimita' delle disposizioni contenute
nel  decreto legislativo istitutivo dell'IRAP, n. 446/1997; e la loro
piena rispondenza ai principi costituzionali.
    Invero  siamo  di  fronte  ad  una imposta di carattere reale che
colpisce  il  valore  aggiunto prodotto dalle attivita' autonomamente
organizzate,   valore   che  e'  direttamente  connesso  all'elemento
organizzativo,   che  costituisce  l'indice  idoneo  della  capacita'
contributiva.
    Quest'elemento  organizzativo  e'  connaturato  con la nozione di
impresa,  che sussiste nel caso di attivita' libero professionale pur
svolta in assenza di fattori della produzione.
    Riconosce  l'Ufficio  che  nella  motivazione della sentenza piu'
volte  citata  e' stato affermato che un'attivita' di lavoro autonomo
svolta  in  difetto  di  organizzazione di capitali o lavoro altrui -
condizione  questa  da  verificare, in via di fatto - non realizza il
presupposto   dell'imposta   con   la   conseguente  inapplicabilita'
dell'imposta  medesima  alle  varie situazioni, ma aggiunge che, alla
luce  del  fatto  che  l'Alta  Corte  non ha modificato i presupposti
oggettivi  di applicazione del tributo indicati negli artt. 2 e 3 del
decreto   legislativo  n. 446/1997,  e'  consentito  interpretare  la
suddetta  decisione  nell'unico senso fatto proprio della ratio della
decisione  e  che cioe' la locuzione autonomamente organizzata, cosi'
come  precisato  nella  circolare  ministeriale n. 141/E del 4 giugno
1998,  vada  inteso  nel  senso che si deve trattare non di attivita'
libero  professionali  svolte abitualmente, in modo autonomo, ma solo
di   casi   di   collaborazione   coordinata   e  continuativa  (c.d.
parasubordinazione)  disciplinata  dall'art. 49,  comma 2, lettera a)
del  T.U.I.R.,  oppure  di prestazioni libero professionali del tutto
occasionali.
    L'attivita'  libero professionale abituale ancorche' svolta senza
l'ausilio  di  dipendenti  e  con impiego di modesti beni strumentali
rientra nella prefigurazione delle norme istitutive dell'IRAP.
    Invero  si  afferma  nella citata memoria di costituzione, che e'
stata  ritualmente  depositata  il  2  dicembre  2003, e, quindi, nei
termini,  che da una lettura coordinata degli artt. 2 e 3 del decreto
legislativo  n. 446/1997  risulta  evidente  che  il  requisito della
organizzazione  connota  l'attivita'  di  tutti  i  soggetti  passivi
indicati   nell'art. 3  e,  quindi,  anche  degli  esercenti  arti  e
professioni di cui all'art. 49, comma 1 del medesimo T.U.
    Dopo  avere  citato  la  risoluzione  n. 32  del  31 gennaio 2002
dell'Agenzia delle entrate centrale, a mente della quale non siamo di
fronte  nemmeno  ad una sentenza interpretativa di rigetto sicche' la
interpretazione   della  normativa  deve  essere  quella  liberamente
effettuata  da  dottrina  e  da  giurisprudenza,  si  afferma che gli
orientamenti  piu'  accreditati  smentiscono  in  modo palese la tesi
della parte ricorrente.
    Invero   la  Commissione  tributaria  regionale  di  Venezia  con
sentenza  n. 82  del  26  settembre  2002,  ha  affermato  che  tutta
l'attivita'  abituale  libero professionale rientra tra i presupposti
dell'imposta  de  qua,  essendo  ininfluente  la  quantificazione dei
singoli  fattori  della  produzione  tra  di  loro coordinati e cioe'
organizzati. Per produrre valore aggiunto e' sufficiente la capacita'
di  ottenere  credito  o  la  possibilita'  di procurarsi una propria
clientela   senza   che   rilevi   la   maggiore  o  minore  autonoma
organizzazione  individuata  dalla  coordinazione  di quantita' anche
minime di qualche elemento enunciato o similare.
    Secondo  quella Commissione, prosegue la memoria de qua, solo per
i  professionisti  sprovvisti  totalmente  di  propria organizzazione
difetta  il  presupposto di applicabilita' dell'IRAP, come ad esempio
nel  caso  del professionista che svolga la sua attivita' a favore di
associazioni, enti, altri studi professionali, ecc.
    Viene  poi  citata la Commissione tributaria regionale di Bologna
che,  con  sentenza  n. 120  del  25 settembre 2002, ha affermato che
l'elemento caratterizzante della inesistenza di una organizzazione e'
rappresentato  dal  fatto  che  questa attivita' viene controllata da
altri soggetti. Non rileva affatto per il professionista la esistenza
o meno di capitali o beni strumentali, dato che per organizzazione si
deve intendere la capacita' di produrre reddito mediante l'impiego di
intelligenza,  cultura  e  professionalita'  prevalenti  rispetto  al
lavoro  eventualmente  manuale,  sempre che sussista discrezionalita'
della  prestazione  nell'esercizio dell'attivita' effettuata altresi'
indipendentemente dal risultato.
    Affermati  questi principi di diritto la Agenzia delle entrate di
Macerata  rileva  che l'attivita' di un medico generico, quale quella
esercitata  dal  ricorrente,  rientra  tra  quelle di lavoro autonomo
disciplinate  dagli  artt. 49,  comma  1 e 50 del T.U.I.R., in quanto
nella  stessa  sono rinvenibili sia l'autonomia delle prestazioni non
coordinate  ne'  dirette  da  altri,  sia  la professionalita' che si
realizza   attraverso   comportamenti   coordinati   tra   loro,  sia
l'abitualita'  che  sussiste  quando gli atti vengono posti in essere
con   continuita'  e  sistematicita',  sia,  infine,  la  natura  non
imprenditoriale  che  si  caratterizza  nella  prevalenza del fattore
lavoro  sul fattore capitale e nella mancanza di un'organizzazione in
forma d'impresa delle risorse economiche ed umane disponibili.
    Ha  concluso,  quindi,  l'Ufficio per l'irrilevanza del fatto che
quel  medico  non  avesse  alcuni collaboratori e potesse disporre di
modesti  beni  strumentali,  in  quanto siamo di fronte ugualmente ad
un'attivita' autonomamente organizzata.
    Sussistendo  il  presupposto  per  l'applicazione dell'IRAP si e'
chiesto il rigetto del ricorso ad ogni effetto di legge.
    All'udienza  del  9  aprile  2004 veniva effettuata la riserva ai
sensi  dell'art. 35  del  decreto legislativo n. 546/1992, che veniva
sciolta con ordinanza del 7 maggio 2004, con la quale veniva ordinato
al  ricorrente  di  depositare l'elenco analitico delle spese esposte
nel  Modello  Unico  2001  alla  voce  1 Q 28 in L. 26.841.000, con i
relativi  importi  per  ciascuna delle spese stesse, e si rinviava la
trattazione del ricorso alla udienza del 18 giugno 2004.
    Il ricorrente ha eseguito l'ordinanza con deposito dell'elenco in
data  4  giugno 2004 ed all'udienza del 18 giugno 2004 si decideva di
sollevare  d'Ufficio  la  questione  di costituzionalita' delle norme
poste  a base del ricorso emettendo formale ordinanza che cosi' viene
motivata, in

                               Diritto

    Si  solleva la questione di incostituzionalita' degli artt. 2, 3,
comma  1,  lettera  c), 4, 8 e 11 del decreto legislativo 15 dicembre
1997,  n. 446  nelle parti che soggettano all'imposta regionale sulle
attivita' produttive (IRAP) anche gli esercenti di arti e professioni
che svolgano abitualmente la propria attivita' in forma individuale e
cioe'  non  in  forma  associata,  ed  in  modo autonomo, purche' non
difetti in modo assoluto la organizzazione di capitali e di lavoro; e
cio'  per  contrasto  con gli artt. 3, 23, 24 e 53 della nostra Carta
costituzionale.
               I In punto a rilevanza della questione
    Come  risulta  dalla  esposizione  dei  fatti il ricorrente e' un
libero professionista (medico convenzionato con il Servizio sanitario
nazionale)  che,  nello  svolgimento  della  sua  attivita',  non  ha
dipendenti  (e  cio'  e'  pacifico  tra  le  parti  e  risulta  dalla
documentazione  prodotta),  ne'  collaboratori neanche esterni, ed ha
impiegato  negli anni di riferimento modesti beni strumentali, quelli
tipici  del  medico  ed  indispensabili  per  l'esercizio  della  sua
attivita' professionale, come emerge anche dalla istruttoria eseguita
a seguito della richiamata ordinanza.
    I  suoi  redditi  sono  quelli  medi  di un libero professionista
medico,  nel  1988  ha  avuto ricavi per L. 189.164.000 e costi di L.
25.438.000.  Lo  stesso e' avvenuto nell'anno successivo; nel 2000 ha
avuto  ricavi lievemente superiori L. 192.654.000 con costi pari a L.
26.841.000,  e cosi' anche negli anni successivi, senza variazioni di
rilievo.
    In  tale  situazione  di  fatto  non vi sarebbero dubbi, a parere
della  Commissione,  che egli dovrebbe essere assoggettato ad IRAP in
tutti  gli  anni  di  riferimento,  dato  che  viene qui condivisa la
interpretazione  secondo  cui  e' sufficiente per l'assoggettamento a
tributo  del  libero  professionista  che egli goda di un reddito che
consenta  di  ricavare  il  sufficiente  per  vivere,  che abbia beni
strumentali   adeguati   all'attivita'  svolta  ed  eserciti  la  sua
attivita' continuativamente e cioe' non occasionalmente, oltre che in
modo autonomo nel senso che non dipenda da altrui organizzazioni (nel
nostro  caso  il  ricorrente  esercita  la  sua  attivita'  in  piena
autonomia, come risulta pacifico in atti). Nulla rileva che non abbia
dipendenti   e   collaboratori   esterni,   essendo  sufficienti  per
l'assoggettamento a tributo i dati sopra specificati.
    Ai  fini  della  giusta  interpretazione della norma come diritto
vivente  la  Commissione  fa  propria  la  interpretazione  delle due
decisioni  di Commissioni regionali citate nella memoria dell'Ufficio
e  dinanzi riassunte nelle parti essenziali delle loro motivazioni, e
in particolare si condividono nella sostanza le tesi dell'ufficio che
hanno  trovato recentemente conforto nella sentenza della Commissione
tributaria   regionale   dell'Emilia-Romagna,   Sezione   di   Parma,
n. XXXIII,  del  14  gennaio  2004,  n. 62  pubblicata  per esteso in
Giurisprudenza di merito 2004, pagine 1275 e seguenti secondo cui non
integra  il  presupposto  impositivo dell'IRAP il solo caso in cui il
lavoro autonomo sia svolto in assenza di organizzazione di capitali e
lavoro,  con  la  conseguenza  che  e'  sufficiente per giungere alla
ridetta  imposizione  che si abbia una organizzazione che consenta di
ricavare   un  reddito  non  basso,  che  utilizzi  beni  strumentali
adeguati,  oppure  in  alternativa  abbia  dei  dipendenti; requisito
questo   non   assolutamente   necessario   essendo  sufficiente  una
organizzazione  capace di produrre un reddito che non sia modesto con
beni  strumentali adeguati ed anche modesti (nella fattispecie di cui
a quest'ultima decisione sono stati ritenuti sufficienti beni di poco
piu' 9 milioni).
    E' vero che il soggetto contemplato da tale decisione aveva anche
collaboratori esterni pagati, ma dal tenore della sentenza si ritiene
sufficiente  al fine di verificarsi il presupposto per la imposizione
del  Tributo,  una  sia  pur  minima  organizzazione e cioe' che tale
«attivita'  di  lavoro  autonomo»  non  sia  «svolta  in  assenza  di
organizzazione di capitali e lavoro».
    Ma si deve ritenere che e' impossibile che un professionista, che
svolga  il  suo  lavoro  in  modo  continuativo  e  professionalmente
adeguato  non  abbia  una sua organizzazione sia pure minima, essendo
sufficiente  la  stessa  capacita'  intellettiva  di produrre reddito
testimoniata  dalla  professionalita' adeguata allo svolgimento della
sua  attivita' unita a beni strumentali funzionali alla stessa, anche
se   di   modesto   costo.   L'unica   eccezione,  considerata  anche
dall'Ufficio  come  rilevante ai fini dell'esclusione del presupposto
d'imposta,  e'  che  il  libero  professionista  si  avvalga  di  una
organizzazione   di   altri,  cioe'  collabori  nell'interno  di  una
struttura altrui.
    Condivisa  tale  interpretazione  nel  senso che per escludere la
capacita'  impositiva  occorre che l'attivita' autonoma sia svolta in
assenza di organizzazione di capitali e lavoro, non vi sono dubbi che
la questione di costituzionalita' delle norme di cui agli artt. 2, 3,
comma  1,  lettera  c), 4, 8 e 11 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446
che  assoggettano  all'IRAP anche gli esercenti di arti e professioni
che  svolgano  abitualmente la propria attivita' in forma individuale
ed  in  modo  autonomo,  purche'  non  difetti  in  modo  assoluto la
organizzazione di capitali e di lavoro, per contrasto con le norme di
cui  agli  artt. 3,  23,  24 e 53 della Costituzione e' rilevante, in
quanto,  una  volta  dichiarata  la  incostituzionalita'  di esse, il
ricorso   dovra'  essere  accolto,  in  quanto  non  esiste  piu'  il
presupposto impositivo dell'IRAP relativamente alla posizione di quel
libero professionista.
    Da cio' consegue che il tributo non potra' rendersi applicabile a
quei  liberi  professionisti,  che  non  svolgano attivita' meramente
occasionali  (perche'  allora  non  rileverebbe  alcuna  questione di
costituzionalita'  essendo  essi  esclusi  per  interpretazione della
stessa  Agenzia delle entrate dall'IRAP medesima), ma che abbiano una
loro organizzazione nel senso che risulta dalla interpretazione delle
norme in partibus quibus che qui si condivide.
    E  tale  interpretazione  porta  a  risultati  non  conformi alla
Costituzione  nei  sensi e sotto i profili che vengono qui di seguito
illustrati.
      II In punto a non manifesta infondatezza della questione
    II.1.  -  I  profili che vengono qui illustrati sono radicalmente
diversi  da  quelli  sollevati  da altre Commissioni tributarie e che
sono  state oggetto della Sentenza di rigetto di codesta Corte del 21
maggio   2001,   n. 156   e  di  successive  ordinanze  di  manifesta
infondatezza  tra  cui la n. 426 del 18 ottobre 2002, dal momento che
non  si  discute  ne' puo' discutersi dei profili oramai superati dai
precedenti  specifici  in  questa  materia,  non potendo avere alcuna
rilevanza  giuridica pretese disparita' di trattamento tra redditi di
lavoro  autonomo  con redditi di impresa oppure con redditi di lavoro
subordinato.
    Assai  rilevante  invece  costituisce l'enucleazione della natura
giuridica  del  tributo  che,  secondo  quanto risulta dalla indicata
sentenza,  non  rientra  tra  le  imposte sul reddito, ma costituisce
imposta  avente  carattere  reale,  il  cui presupposto e' costituito
dall'elemento dell'organizzazione.
    In  particolare  essa colpisce con carattere di realita' un fatto
economico,  diverso  dal reddito «comunque espressivo di capacita' di
contribuzione» in capo a chi, in quanto organizzatore dell'attivita',
e'  autore  delle  scelte  dalle  quali  deriva la ripartizione della
ricchezza  prodotta  tra  i  diversi  soggetti  che,  in varia misura
concorrono  alla  sua  creazione».  Ed  allora,  prosegue  la  citata
sentenza,  per  quanto  riguarda  l'attivita' di lavoro autonomo, non
necessariamente  sussiste,  come  nel  caso della impresa, l'elemento
organizzativo, ma puo' ipotizzarsi «un'attivita' professionale svolta
in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui».
    In  quest'ultimo  caso,  da accertare in via di fatto, risultera'
mancante   il   presupposto  stesso  della  imposta  sulle  attivita'
produttive  rendendosi inapplicabile l'art. 2 del decreto legislativo
in parola.
    Ritiene  questa  Commissione che tali parti motive della sentenza
in  oggetto  siano  da  interpretarsi nel senso che, per escludere il
presupposto    dell'imposta   debbano   sussistere   due   condizioni
alternative  risultanti dalla disgiuntiva «O» posta tra i capitali ed
il  lavoro  altrui  e cioe' ci si deve trovare in assenza di capitali
propri   e/o   in   assenza  di  lavoro  altrui  e  cioe'  non  avere
collaboratori  o  dipendenti.  In sostanza la stessa presenza di beni
strumentali  anche  minimi  come  un'autovettura,  oppure  apparecchi
necessari  per  l'esercizio della professione medica, oppure macchine
da scrivere o computer utilizzati da qualsiasi libero professionista,
di  fronte  ad  un'attivita'  abitualmente svolta e continuativa, non
potrebbe  non rientrare nel ricordato concetto di organizzazione, pur
in  assenza  di  dipendenti.  E'  questa  la  interpretazione  che la
Commissione  ritiene  da  dare  a  questa sentenza che afferma poi in
proposito   che   «l'IRAP  non  colpisce  il  reddito  personale  del
contribuente,  bensi'  il  valore  aggiunto  prodotto dalle attivita'
autonomamente organizzate».
    Tale   autonoma   organizzazione   e'   sicuramente  propria  del
ricorrente e comunque, concerne ogni libero professionista che svolga
in  modo  continuativo  la  sua  attivita'  e  che,  pur  non  avendo
dipendenti  o  collaboratori, abbia una sua autonomia di scelte nella
utilizzazione anche di beni strumentali propri.
    II.2.  -  A  seguito  di tale decisione di rigetto delle proposte
questioni  di  costituzionalita', facendo leva sulle affermazioni che
abbiamo   teste'   enucleato,  molte  Commissioni  tributarie  specie
provinciali  si  sono  impegnate  in una specie di gara giuridica per
dare  contenuto in diritto ed in fatto al concetto di organizzazione,
fonte della realta' della imposta medesima. I risultati sono stati di
una  assoluta  contraddittorieta',  in  quanto  abbiamo decisioni che
affermano  che,  in  assenza di personale dipendente, non sussiste il
presupposto   impositivo,   nulla   rilevando  la  presenza  di  beni
strumentali  propri,  mentre  altre  decisioni,  pubblicate  in molte
riviste, affermano che non sussiste il presupposto per la imposizione
nei  casi  di  un  libero  professionista  che  esercita  la  propria
attivita'  presso  uno  studio  professionale  altrui e cioe' gode di
onorari percepiti per la collaborazione prestata nello studio altrui.
    Si  osserva,  nel  ricco  panorama  giurisprudenziale che risulta
dalle   riviste   specializzate   del  settore,  che  le  Commissioni
provinciali    contengono    aperture    e   spunti   favorevoli   al
professionista,  pur  in  presenza - ad esempio - della proprieta' di
beni  strumentali  propri di valore non esiguo, mentre le Commissioni
regionali e non solo quelle citate nella presente ordinanza affermano
nella  sostanza  che il fatto stesso che venga esercitata l'attivita'
libero  professionale  con abitualita' ed autonomia costituisce prova
della  organizzazione  posta a base della decisione costituzionale di
rigetto che abbiamo dinanzi richiamato.
    Ovviamente  riteniamo  non opportuno in questa sede effettuare un
panorama  giurisprudenziale  sulla materia e tanto meno richiamare le
tesi  della  dottrina  molto  piu'  favorevoli per il contribuente ed
adesive  per  quanto  riguarda  le  decisioni  delle Commissioni piu'
aperte nella formulazione del concetto di organizzazione, limitandoci
pero'  ad  evidenziare  che  la  Commissione  trib.  regionale  della
Lombardia  sezione I di Milano del 22 aprile 2004, n. 13 che si legge
in  Bollettino  tributario  2004,  1112  e  seguenti ha concluso che,
qualora  siamo  di  fronte  ad  un  esercente  l'attivita'  di arti e
professioni  che  decida autonomamente «nel senso di libero arbitrio»
l'organizzazione   del   proprio   lavoro,  sussiste  il  presupposto
impositivo  dell'IRAP,  mentre  l'assoluta  mancanza  di  elementi di
organizzazione  e'  una  ipotesi  inesistente. Ma tale decisione deve
essere  adeguatamente interpretata; non e' vero, come evidenziato dal
commento  dottrinario,  che  la  Commissione abbia voluto fornire una
nozione  diversa  di organizzazione rispetto a quella formulata dalla
Alta  Corte,  ma  ha  voluto  soltanto  evidenziare che e' diversa la
ipotesi  dell'assenza della organizzazione rispetto alla esistenza di
una  organizzazione anche basata su pochi beni di scarso valore; solo
nel   primo   caso   il  professionista  e'  esente  dall'imposizione
tributaria.  Questa  decisione non merita le critiche della dottrina,
tanto che gli esempi forniti nella nota riguardano professionisti che
si  avvalgono  della  organizzazione  altrui  che  pacificamente sono
esenti dal tributo.
    Invece  si  ritiene impossibile scriminare l'assoggettabilita' al
tributo  sulla  base  del  quantum  dei beni organizzativi, se pochi,
scarsi  oppure  di  maggior  valore, dato che il tributo non offre in
proposito  alcuna  tipizzazione  chiara e cioe' non contiene elementi
per  stabilire in che cosa consista la organizzazione propria e cioe'
di  quali e quanti beni strumentali debba essere fornito, dal momento
che   una   indagine  puramente  quantitativa  sul  valore  dei  beni
strumentali  rappresenta  non  una  specie  di  interpretazione della
norma,  ma  un'attivita'  creativa  della  stessa.  Anche  il  medico
nell'esempio   effettuato   dalla   dottrina   che  riceve  e  visita
nell'ambulatorio (proprio) non puo' essere privo di beni strumentali;
lo  stesso  apparecchio  per  misurare  la  pressione del sangue o lo
stesso  lettino  in  cui  adagiare  il  paziente  sono  comunque beni
organizzati  per  l'esercizio  dell'attivita';  il problema semmai si
sposta  dall'an dei beni sempre sussistente, al quantum degli stessi,
ma   una  tale  indagine  creativa  della  norma  non  e'  consentita
all'interprete  che  deve  prendere  atto che organizzazione comunque
esiste.
      Pur  non  giungendosi  ad affermare che e' sufficiente avere la
capacita'  di  produrre  reddito  e  cioe'  la  professionalita'  per
giungere   ad   applicare   il   tributo,   tuttavia   e'  certo  che
organizzazione  presuppone la sussistenza di beni strumentali che non
possono  mancare  in  un  libero professionista, anche se egli non ha
dipendenti  o  collaboratori,  a meno che non lavori per altri oppure
utilizzi  beni  altrui,  come  autovettura  del titolare dello studio
oppure  il  medico  che  non  abbia  alcun ambulatorio e cioe' svolga
attivita'  occasionale,  come  potrebbe  essere  un  medico  gia'  in
pensione,  ma  in  questo  caso non deve possedere nemmeno un proprio
apparecchio o una propria autovettura.
    II.3. - Le considerazioni che precedono consentono di entrare nel
cuore   delle  problematiche  di  non  manifesta  infondatezza  della
proposta questione di costituzionalita'.
    In   sostanza  la  interpretazione  della  norma  in  riferimento
all'attivita'  degli  esercenti  arti  e  professioni, in ordine alla
sussistenza  del  requisito  indispensabile  della  organizzazione e,
quindi,  del  verificarsi  certo  del  presupposto  della realta' del
tributo che colpisce un valore aggiunto prodotto, secondo le efficaci
e  giuridicamente  ineccepibili espressioni che si leggono nella piu'
volte richiamata sentenza, non ha in se' un filo conduttore preciso e
cioe'  non  e'  possibile  enucleare  una  base  certa e definita per
giungere  a  stabilire in concreto la sussistenza dei presupposti del
tributo.
    La  incertezza  si ha non soltanto per stabilire il discrimen tra
assenza   di   organizzazione   o   presenza  di  organizzazione,  in
riferimento  ad  un  supposto  -  minimo  o  meno  -  valore dei beni
strumentali,  ma  soprattutto  nello  stabilire  quale  sia l'apporto
dell'attivita'  professionale e personale del soggetto che produce un
reddito  che  non deve essere colpito dall'imposta e quanto invece e'
costituito  dal  valore  aggiunto  determinatosi  per  effetto  della
organizzazione.  Se il tributo ha natura reale, deve essere stabilita
una   divaricazione  netta  tra  l'apporto  personale  ed  il  valore
aggiunto,  nel  senso  che  solo  quest'ultimo  possa  e debba essere
colpito.
    Mentre  cio'  e'  certo  nel  caso  dell'impresa in cui il valore
aggiunto  e'  dato  da  tutta  la  produzione,  nel caso di esercente
attivita'  libero  professionale  oppure di artista, non e' possibile
colpire  con  imposizione  quello  che  e'  il  mero frutto della sua
professionalita'   intellettiva   e   cioe'   la   sua  intelligenza,
preparazione, esperienza ecc. che assume una valenza diversa rispetto
alla  pur  sussistente organizzazione dei beni sempre presente in via
di  massima  nel  caso  di  attivita'  libero  professionale, che sia
continuativa,  abituale  e  produca  un  reddito dignitoso o di media
entita'.
    Vengono  quindi  a confluire nel tributo piu' elementi in fatto e
in  diritto  e cioe' l'elemento che in se' e' produttivo di reddito e
che  non puo' essere soggetto ad imposizione, dall'elemento di natura
reale  e  cioe'  il  figlio  diretto  della organizzazione e, quindi,
deriva   dalla  presenza  di  eventuali  maggiori  beni  strumentali,
dall'esistenza di dipendenti, ecc.
    In  sostanza  qui si deve rivendicare una coerenza interpretativa
della   norma   in  oggetto,  proprio  sulla  base  della  pienamente
condivisibile sentenza della Corte costituzionale.
    Per  coerenza,  se e' vero che l'IRAP non e' imposta sul reddito,
ma  reale,  il  discrimen  tra  capitale  e  lavoro  deve  pur essere
effettuato;  se  si  vuol  colpire la capacita' di contribuzione, che
deriva  dalla  migliore e piu' efficace organizzazione dell'attivita'
con  la  effettuazione  di  scelte dalle quali deriva la ripartizione
della  ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura
concorrono  alla  sua  creazione»,  non  e'  possibile assoggettare a
tributo l'intero reddito esposto dal professionista nel quadro «e» di
legge, ma e' necessario che si sappia quale sia nel quantum l'apporto
legato  da un nesso causale tra questa organizzazione e la produzione
della ricchezza, dovendosi ovviamente esonerare, per coerenza, quanto
deriva  dalla  ricordata  capacita'  personale  e  professionale  che
prescinde    ovviamente    dalla    maggiore    o   minore   presenza
dell'organizzazione.
    In   tale   situazione   il   tributo  e'  sicuramente  privo  di
specificazione  concreta  di  tutte  le  sue  componenti  impositive,
difettando  la  base imponibile dell'indice di natura reale derivante
con  nesso  causale,  anche eventualmente presuntivo, da sottoporre a
tributo.  Nella  specie  nel  modello  IQ  si deve riportare l'intero
reddito prodotto.
    Siamo  quindi di fronte ad una carenza degli elementi che possano
determinare  il  quantum della imposta in modo coerente con le stesse
premesse  fornite dal massimo interprete delle nostre leggi: la Corte
costituzionale.
    II.4.  - Le conclusioni cui si giunge facilmente dall'esame della
struttura  del  tributo  dimostrano  come tale tipo di imposizione si
pone  in  contraddittorieta'  con  quanto  voluto  dallo  statuto dei
diritti  del contribuente che se non contiene norme integrative della
costituzione,  e'  pur  sempre  il faro che deve guidarci anche nella
interpretazione nella applicazione delle norme tributarie.
    Ed  in  realta'  la  legge  27  giugno  2000,  n. 212, specie con
l'art. 1,  costituisce  non  solo  la  attuazione, ma anche la giusta
interpretazione  degli  artt. 3, 23 e 53 della Costituzione, che sono
le norme che vengono qui addotte al fine di dimostrare il sospetto di
incostituzionalita'  che  grava  sulle  menzionate  norme  istitutive
dell'IRAP nei riguardi degli esercenti arti e professioni.
    Tale  disposizione  della  legge  n. 212/2000,  ricollegata con i
successivi  artt. 2  e  4,  detta  il  principio  della  chiarezza  e
trasparenza  delle  disposizioni  tributarie  che rappresenta in modo
icastico  il  titolo  dello  stesso, altrettanto fondamentale, art. 2
della  legge  medesima. In sostanza le disposizioni tributarie devono
essere  chiare  e  trasparenti, dal contenuto specifico e determinato
accessibile  alla maggioranza dei contribuenti, i quali, oltre tutto,
sono facoltatizzati ad adire gli organi tributari per avere la giusta
interpretazione della norma.
    Nel  caso  in  cui  la  legge  tributaria  sia  irrimediabilmente
inesatta  nel  suo  contenuto  il  legislatore  deve  al  piu' presto
provvedere con norma interpretativa.
    Questa  chiara  novita'  nel nostro ordinamento non puo' lasciare
tollerabile  e  sopportabile  una normativa come quella di specie, in
cui  difettano  la  determinazione  e  la specificazione concreta dei
presupposti per l'applicazione del tributo.
    Ed  invero  la  impossibilita'  di  stabilire quale sia il valore
aggiunto nel quantum posto a base del tributo, il fissare quale debba
essere  la  organizzazione che sia suscettibile di essere valutata al
fine  di  stabilire non solo l'astratta assoggettabilita' al tributo,
ma  anche  il  quantum  dovuto  per  questo  valore  aggiunto  che e'
espressione  della  natura  reale del tributo stesso, non possono non
essere poste a base del sospetto di incostituzionalita'.
    Non  si  dimentichi  che  tale  scissione,  nell'applicazione del
tributo  della  parte  relativa  al  reddito  personale,  dal  valore
aggiunto  derivante  dalla  maggiore  o  minore organizzazione non e'
consentita  dalla  legge  se  si  pensi  che  essa esige che l'intero
reddito del professionista, indicato a fini IRPEF sia riportato nella
denuncia  IRAP  e  precisamente  nel ricordato modello IQ a titolo di
valore della produzione lorda.
    L'unica  possibilita'  di  detrazione e' riferita alle spese pure
menzionate  nello  stesso quadro inerente l'IRPEF dei professionisti.
Superato il problema della duplicazione del reddito professionale, in
quanto  non  piu'  rilevante  alla  luce  della  precedente ricordata
pronuncia,  resta  comunque  il fatto che il concetto di realita' del
tributo  non e' collimante con il sistema prefigurato dal legislatore
e  cioe'  di  assoggettare l'intero reddito al tributo, una volta che
comunque   sussista  una  specie  di  organizzazione.  Invero  e'  da
considerarsi insito nel giudizio dato nella fondamentale sentenza del
21 maggio  2001,  n. 156,  che  la organizzazione causa e fonte della
realita'  rappresenta  una  condicio  -  sine qua non, per il sorgere
della  pretesa  tributaria,  ma  non  esaurisce  i  presupposti della
imposta,  ove  si  tenga ferma la necessita' del binomio inscindibile
reddito   di  fonte  personale  e  valore  aggiunto  derivante  dalla
utilizzazione e sfruttamento della organizzazione medesima.
    Diversamente  opinando  e  cioe'  riconducendo l'an ed il quantum
della  pretesa  tributaria  alla  sola esistenza della organizzazione
nell'an,  non  avrebbe  senso  la  differenziazione  teorizzata nella
ricordata  sentenza  tra  «il  fatto  economico  diverso  dal reddito
espressivo di capacita' di contribuzione in capo al soggetto» che, in
quanto organizzatore dell'attivita e' autore delle scelte dalle quali
deriva la ripartizione della ricchezza....», ed il reddito stesso che
non  e' confondersi con il valore aggiunto prodotto (vedasi punto 6.2
della sentenza stessa).
    In sostanza difettano le condizioni di specificazione e chiarezza
volute  dal  nostro  ordinamento  nella  formulazione  delle norme de
quibus  in riferimento alla imposizione del tributo agli esercenti le
arti e professioni.
    E cio' perche' gli elementi che devono necessariamente concorrere
nella  fattispecie,  ma  di cui uno solo e' soggetto ad imposizione e
cioe'  il  valore  aggiunto,  non  sono scindibili nella formulazione
della  norma,  non  potendosi individuare l'apporto di ciascuno nella
formazione della ricchezza soggetta ad imposizione.
    Tale  problematica  non e' stata affatto affrontata dal Ministero
nella  sua nota circolare, essendosi limitato a stabilire quali siano
le condizioni perche' un reddito possa andare esente da imposta e non
invece quali debbano essere i componenti della imposizione ma cio' in
realta'   non  poteva  essere  effettuato,  data  la  stessa  confusa
formulazione della norma medesima.
    II.5.  - Alla luce di quanto precede riteniamo che un tributo del
genere,  nella  soggetta  materia,  contrasti,  innanzitutto, con gli
artt.  3  e  53  della  Costituzione, dal momento che quel difetto di
specificazione  degli  elementi  necessari  per l'assoggettabilita' a
tributo  di una determinata ricchezza (incertezza sul concetto stesso
di  organizzazione)  e,  inoltre, per stabilire il quantum del valore
aggiunto  qualora  la  risposta  al  primo  quesito  in  ordine  alla
esistenza  della  organizzazione  sia  positiva,  oltre a causare non
chiarezza  nella formulazione della norma, con indeterminatezza della
stessa   base   normativa,  crea  una  situazione  di  disparita'  di
trattamento   tra  questo  tipo  di  contribuenti  e  gli  altri  pur
assoggettati  a  tale  tributo  che  possono stabilire il quantum del
valore  aggiunto,  come  accade per le imprese, societa' ed in genere
per  tutti gli imprenditori, enumerati insieme agli esercenti le arti
e  professioni nell'ambito delle norme de quibus. E cio' con ritenuta
violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    Ma  soprattutto  cio'  urta con l' art. 23 della Costituzione che
esige,  alla  luce  anche  delle  ricordate  norme  dello statuto dei
diritti  del  contribuente,  che  vi siano chiarezza e specificazione
nella  imposizione  della  prestazione  patrimoniale  assoggettata  a
tributo.
    Ed anche non e' manifestamente infondata la questione relativa al
contrasto  con  l'art. 53 della Cost. in quanto non e' rinvenibile in
modo specifico la capacita' contributiva da assoggetare all'IRAP, dal
momento  che  non  e' enucleata legislativamente la nozione di valore
aggiunto  ipotizzato  in  via teorica e generica, ma non calato nella
singola realta' di ogni fattispecie.
    E  vogliamo  anche  aggiungere  il  possibile conflitto anche con
l'art. 24  sul diritto di difesa del contribuente, il quale non e' in
grado  di  conoscere  quali siano gli obblighi propri e quale tipo di
difesa  possa  svolgere  di  fronte ad un tributo di cui manca quella
doverosa  specificazione. Ovviamente riteniamo che tale contrasto sia
maggiore con il primo comma dell'art. 24.
    La  stessa  storia  giudiziaria  che si e' formata in conseguenza
della prima sentenza della Corte costituzionale, con la presentazione
di  centinaia  di  ricorsi  da  parte di soggetti che per un titolo o
altro  ritenevano  di non avere una organizzazione sufficiente atta a
formare  quel  fantomatico  valore  aggiunto,  dimostra  come  tutti,
contribuenti  e  giudici,  si  siano trovati di fronte ad un ostacolo
insormontabile  stanti  le acute osservazioni del Ministero nelle sue
circolari  che  hanno  evidenziato  come  la sentenza n. 146/2001 non
abbia  contenuto  interpretativo,  ma  contenga  solo alcuni concetti
cardine,   che   poi  nella  realta'  hanno  dato  luogo  a  difformi
orientamenti giurisprudenziali.
    Riteniamo,  pertanto,  dovere di codesta Commissione di chiedere,
l'annullamento  di  queste  norme  cosi'  confuse,  in modo da poi il
legislatore  possa  dare  una  nuova  disciplina al tributo che tenga
conto  dei  principi  costituzionali  che vengano ad essere formulati
dalla auspicata emananda sentenza.
    II.6.  -  E  prima  di  concludere,  questa  Commissione  intende
chiarire  che  non  si chiedono questa o quella interpretazione della
normativa de qua, ma una sentenza di annullamento del tributo, tenuto
conto  del fatto che questa Commissione ritiene non possa effettuarsi
una   interpretazione,   che   sia   conforme   alla   nostra   Carta
costituzionale,  dal  momento che solo il legislatore potra' e dovra'
far  chiarezza nella enucleazione dei singoli presupposti di imposta,
non potendo trovare una sicura e certa base imponibile la cosi' detta
realta' del tributo.
    E  non e' possibile, alla luce di tutto quanto precede che sia il
giudice a colmare con la sua fantasia il vuoto della legge e cioe' ad
entrare  nelle  questioni  astratte  di  organizzazione  e  di valore
aggiunto,  quando  solo  il  legislatore puo' colmare queste lacune e
stabilire   i  presupposti  chiari  e  specifici  per  l'applicazione
dell'IRAP,  adeguandosi  ai  concetti  e  precetti,  vero  frutto  di
civilta' giuridica, che sono nati con l'entrata in vigore della legge
27 luglio 2000, n. 212.
    Ma  per  giungere a tanto, occorre che sia annullata la legge qui
sospettata di incostituzionalita'.

                                 III

    Per  tutte  le  ragioni  sopra  esposte  la  Commissione dichiara
rilevante  e  non  manifetamente  infondata  per  contrasto  con  gli
artt. 3,   23,   24   e   53  della  Costituzione,  la  questione  di
costituzionalita'  degli  artt.  2, 3, comma 1, lettera c), 4, 8 e 11
del  d.lgs.  15 dicembre  1997,  n. 446, nelle parti che assoggettano
all'imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive (IRAP) anche gli
esercenti  arti  e  professioni  che svolgano abitualmente la propria
attivita'  in  forma  individuale  ed  in  modo autonomo, purche' non
difetti  in  maniera  assoluta  la  organizzazione  di  capitali e di
lavoro,   e   rimette   la   decisione  sulla  questione  alla  Corte
costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visti   gli   artt. 134   della   Costituzione,   I  della  legge
costituzionale  9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 21 marzo 1953,
n. 87.
    Sospende  il giudizio ruolo generale n. 790/2003 nei confronti di
Ballatori Gianfranco, in epigrafe indicato, fino alla decisione sulla
presente questione;
    Dispone  la  trasmissione  alla  Corte  costituzionale degli atti
relativi a questo giudizio;
    Ordina   alla  segreteria  della  Commissione  di  notificare  la
presente ordinanza nella sua integralita' alle parti in causa e cioe'
al  ricorrente ed all'Agenzia delle entrate costituita, al Presidente
del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'  di comunicarla al Presidente
della   Camera  dei  deputati  ed  al  Presidente  del  Senato  della
Repubblica.
    Cosi' deciso in Macerata, nella Camera di consiglio del 18 giugno
2004.
                      Il Presidente: De Santis
                                                 L'estensore: Felici
04C1423