N. 1051 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 ottobre 2004
Ordinanza emessa il 1° ottobre 2004 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Salvadori Roberto contro R.F.I. S.p.A. Impiego pubblico - Dipendenti dell'Ente Ferrovie dello Stato - Compensi per lavoro straordinario corrisposti per l'anno 1993 - Inclusione nel blocco degli automatismi stipendiali - Lesione del diritto dei lavoratori ad un tasso retributivo maggiorato per le prestazioni di lavoro straordinario sancito dalla Carta sociale europea (art. 4) - Violazione di obbligo internazionale dello Stato - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn. 242/1999 e 470/2002. - D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, comma 5, convertito con modificazioni in legge 14 novembre 1992, n. 438; legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 36; legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 66; legge 23 dicembre 1999, n. 488, art. 22; legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36. - Costituzione, artt. 11 e 117.(GU n.4 del 26-1-2005 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Il ricorrente, premesso di lavorare alle dipendenze della S.p.A. Rete Ferroviaria Italiana (gia' Ferrovie dello Stato Societa' di Trasporti e Servizi per azioni), di avere svolto lavoro straordinario risultante dai prospetti paga prodotti, e retribuito in misura addirittura inferiore al lavoro ordinario, anziche' maggiorata almeno del tasso del 10% come prescritto dalla legge; che ha invece diritto a tale maggiorazione; tutto cio' premesso chiede la condanna della convenuta al pagamento delle conseguenti differenze retributive oltre accessori per il lavoro straordinario prestato sino al 31 dicembre 1999. La convenuta si e' costituita in tutte le cause riunite con difese di analogo tenore, chiedendo il rigetto della domanda, sull'invocazione di una complessa normativa a giustificazione della correttezza del suo operato. In replica alla ricostruzione normativa che - a dire della Convenuta - giustificherebbe il trattamento retributivo impugnato, il ricorrente ha eccepito la illegittimita' costituzionale delle norme di legge di seguito evidenziate. Il giudice, come gia' avvenuto in precedente occasione (Ordinanza 22 ottobre 2003, est. Gelonesi, che si riprende qui di seguito per larghi tratti) ritiene rilevante e non manifestamente infondata la prospettata eccezione di legittimita'. I) Quadro normativo, le norme di legge ordinaria interessate e la rilevanza delle stesse ai fini della soluzione delle controversie dedotte nei giudizi. Come rilevato nella richiamata ordinanza, si appalesa opportuna, «... per bene intendere le complesse questioni dedotte nel presente giudizio, una panoramica sulla normativa, legale e contrattuale, che attiene alla materia del contendere. La contrattazione collettiva del settore cosi' provvede in tema di prestazione di lavoro straordinario. L'art. 44 C.C.N.L. 1990/1992, rubricato "compenso per lavoro straordinario" testualmente dispone: "Per lavoro straordinario si intende quello prestato oltre il normale orario di lavoro, secondo i criteri di cui alle D.C.A. approvate con legge n. 34 dell'11 febbraio 1970 e successive modificazioni ed integrazioni. Le misure orarie del compenso per lavoro straordinario vengono determinate al 1° gennaio di ciascun anno maggiorando la retribuzione convenzionale di cui all'art. 36 del presente contratto, nelle seguenti percentuali: lavoro straordinario diurno feriale 21% lavoro straordinario diurno festivo 40% lavoro straordinario notturno feriale 40% lavoro straordinario notturno festivo 62%" Il concetto di "retribuzione convenzionale" e' stabilito a sua volta dall'art. 36 del medesimo C.C.N.L., ai cui sensi: "La retribuzione convenzionale e' costituita dalla somma dei seguenti elementi: stipendio mensile tabellare, comprensivo delle classi di stipendio in vigore al 1° gennaio di ciascun anno; indennita' integrativa speciale in vigore al 1° gennaio di ciascun anno; rateo della tredicesima mensilita' corrisposta nell'anno precedente". Ai sensi dell'art. 35 C.C.N.L. "retribuzione normale" e' invece costituita da: retribuzione base di cui al precedente art. 33 punto 1, ovvero: stipendio (minimo tabellare, successive classi di stipendio, aumenti periodici biennali, anche convenzionali, eventuale assegno personale pensionabile ed eventuale EDR); indennita' integrativa speciale; indennita' quadri, indennita' di utilizzazione - per la parte corrisposta in relazione all'effettiva presenza in servizio; rateo della tredicesima mensilita' e rateo del premio di esercizio spettanti nell'anno precedente. Da un raffronto tra le due norme contrattuali risulta evidente che la "retribuzione convenzionale" non comprende tutti gli elementi retributivi inclusi invece nella "retribuzione normale". Restano in particolare esclusi: a) l'indennita' quadri (per il personale inquadrato in 8° e 9° livello); b) indennita' di utilizzazione (per il personale inquadrato dal 1° al 7° livello retributivo); c) il rateo del premio di esercizio dl'anno precedente; d) l'EDR. Poiche' peraltro il C.C.N.L. 1990/1992 prevedeva la maggiorazione del 21% per lo straordinario feriale e la maggiorazione del 40% per lo straordinario festivo, la retribuzione oraria per il lavoro straordinario risultava (come e' pacifico tra le parti) comunque superiore a quella prevista per il lavoro ordinario. E' pure pacifico tra le parti che la societa' convenuta, in ottemperanza a quanto previsto dall'art. 44 comma 2 e 36 C.C.N.L. 1990/1992, ha regolarmente provveduto ad adeguare la misura oraria del compenso per lavoro straordinario fino al gennaio 1992 (compreso). E' nel frattempo entrato in vigore l'art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992 n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992 n. 438, ai cui sensi: "Resta ferma sino al 31 dicembre 1993 la vigente disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, e successive modificazioni e integrazioni. I nuovi accordi avranno effetto dal 1° gennaio 1991. Per l'anno 1993 al personale destinatario dei predetti accordi e' corrisposta una somma forfetaria di lire 20.000 mensili per tredici mensilita'. Al personale disciplinato dalle leggi 1° aprile 1981, n. 121, 8 agosto 1990, n. 231, 11 luglio 1988, n. 266, 30 maggio 1988, n. 186, 4 giugno 1985, n. 281, 15 dicembre 1990, n. 395, 10 ottobre 1990, n. 287, ed al personale comunque dipendente da enti pubblici non economici, nonche' a quello degli enti, delle aziende o societa' produttrici di servizi di pubblica utilita' si applicano le disposizioni di cui al presente comma, fatta salva la diversa decorrenza del periodo contrattuale" (comma primo). "Tutte le indennita', compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, comprensivi, per disposizione di legge o atto amministrativo previsto dalla legge, o per disposizione contrattuale, di una quota di indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959 n. 324, e successive modificazioni, o dell'indennita' di contingenza prevista per il settore privato o che siano, comunque, rivalutabili in relazione alla variazione del costo della vita, sono corrisposti per l'anno 1993 nella stessa misura dell'anno 1992" (comma quinto). In definitiva il citato art. 7 ha bloccato per l'anno 1993 sia la contrattazione, sia l'adeguamento automatico dei compensi in qualunque modo legati alla indennita' integrativa speciale, o a quella di contingenza. Il "blocco" della contrattazione (comma primo) non e' stato poi rinnovato, mentre quello di cui al quinto comma e' stato prorogato dapprima (per il triennio 1994-1996) dall'art. 3 comma trentaseiesimo legge 24 dicembre 1993 n. 537, poi (per il triennio 1997-1999) dall'art. 1 comma sessantaseiesimo legge 23 dicembre 1996, n. 662, successivamente (per il triennio 2000-2002) dall'art. 22 legge 488/1999, infine (per il triennio 2003-2005) dall'art. 36 della legge 289/2002. Il citato art. 7 e successive integrazioni e modificazioni (d'ora in poi art. 7, [n.d.r.: norma, e successive disposizioni di rinnovo, verso il quale si rivolgono i dubbi di costituzionalita' dei quali si domanda la soluzione]), secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale e' applicabile nei confronti dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato, poiche' l'ambito di applicazione della disciplina in esso contenuta si estende, alla luce della ratio della norma e del suo espresso disposto "... al personale ... degli enti, delle aziende o societa' produttrici di servizi di pubblica utilita' ..." categoria nella quale indubbiamente deve essere compresa anche la S.p.A. Ferrovie dello Stato (tale applicabilita' e' stata ritenuta chiaramente, se pur implicitamente, dalla Corte costituzionale, sentenza del 17 giugno 1999 n. 242). Secondo un consolidato orientamento della Corte di cassazione l'art. 7, comma quinto, va inteso, in coerenza con il tenore letterale della disposizione, nel senso che ad essere corrisposte per l'anno 1993 (e seguenti) nella stessa misura dell'anno 1992 siano "tutte le indennita', compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, comprensivi di una quota di indennita' integrativa speciale o dell'indennita' di contingenza o comunque rivalutabili in relazione alla variabilita' del costo della vita, e non le sole quote di indennita' integrativa speciale o di indennita' di contingenza contenute nei ricordati emolumenti" (Cass., 11 febbraio 2002, n. 1932; nonche' Cass., 12 febbraio 2002, n. 1996; Cass., ord. 7 marzo 2002, n. 154; Cass., 28 marzo 2002, n. 4554; Cass., 14 marzo 2003, n. 3770; Cass., 2 maggio 2003, n. 6708). In attuazione dell'art. 7 comma 5, come interpretato dal consolidato orientamento della S.C., i compensi per lavoro straordinario svolto dal personale dipendente delle Ferrovie dello Stato S.p.A. sono stati erogati, nel 1993 e negli anni seguenti, nella stessa misura prevista per il 1992. L'art. 5 punto 6 del C.C.N.L. 18 novembre 1994 (c.d. Articolato) ha espressamente stabilito che "rimangono invariati gli importi scaturenti dall'applicazione dell'art. 44 del C.C.N.L. 1990/1992". L'art. 85 punto 2 del C.C.N.L. 6 febbraio 1998 ha a sua volta ribadito che "le misure del compenso per lavoro straordinario sono confermate negli importi attualmente vigenti". Poiche' la contrattazione collettiva del settore ha invece apportato dei miglioramenti in ordine alle altre voci retributive, l'esito della complessa vicenda e' stato proprio quello lamentato nell'atto introduttivo del presente giudizio, cioe' il lavoro straordinario e' stato, a decorrere da un determinato momento, retribuito in misura inferiore rispetto al lavoro ordinario. Ne e' derivato un nutrito contenzioso nel corso del quale si e' assunto che l'art. 7 comma 5, nella parte in cui consente che la prestazione di lavoro straordinario sia retribuita meno di quella del lavoro ordinario, si pone in contrasto con l'art. 36 della Costituzione. La Consulta con la citata sentenza del 17 giugno 1999 n. 242 ha dichiarato infondata la questione di illegittimita' costituzionale della norma osservando tra l'altro che "dinanzi a una scelta interpretativa suscettibile di determinare un contrasto fra la norma censurata e la Costituzione, l'interprete deve ricercarne una diversa che eviti il supposto conflitto; e nel caso di specie l'opzione interpretativa del rimettente non era l'unica plausibile. Con il decreto-legge n. 384 del 1992 il legislatore si e' prefisso di contenere la spesa pubblica agendo lungo due direttrici: da un lato, impedire la stipulazione di nuovi accordi economici collettivi; dall'altro, far cessare la crescita automatica delle retribuzioni per effetto dei meccanismi di indicizzazione. Poiche' tale crescita puo' avvenire in seguito a una nuova contrattazione o attraverso l'indicizzazione, il legislatore ha dunque mirato a precludere sia l'una che l'altra. Tuttavia, mentre l'art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992 impeditivo di nuove contrattazioni, non e' stato prorogato, lo e' stato invece l'art. 7, comma 5, del d.l. n. 384 del 1992 che si applichera' sino al 31 dicembre 1999. L'esame diacronico del `blocco', determinato dalle norme sin qui esaminate, dimostra che il legislatore ha inteso inibire aumenti automatici della retribuzione, e non quelli contrattati. L'art. 7, comma 5, del d.l. n. 384 del 1992 citato, va pertanto interpretato nel senso che la norma ha riguardo unicamente ai meccanismi automatici di indicizzazione e soltanto su questi ultimi ha prodotto effetti di `blocco'. In quei casi, invece, in cui la dinamica retributiva sia agganciata non a voci indicizzate, ma a voci contrattate (come, appunto, nel caso del compenso per lavoro straordinario) la crescita di queste, che non e' vietata dal citato art. 7, comma 1, non impedisce neppure la crescita del compenso per lavoro straordinario". Tale esito interpretativo non e' stato condiviso dalla S.C. che ha, con ordinanza del 7 marzo 2002, nuovamente sollevato la questione di illegittimita' costituzionale della norma in questione ribadendo il proprio consolidato orientamento interpretativo disatteso, come si e' visto, dalla Corte costituzionale. La Corte costituzionale (sentenza 22 novembre 2002 n. 470) ha dichiarato infondata la questione di illegittimita' costituzionale, pur interpretando la norma non nel senso accolto nella propria precedente decisione (appunto sentenza 242 del 1999), ma nel senso ribadito dalla Corte di cassazione. Nella sentenza 470 del 2002 la Corte costituzionale ha in particolare cosi' motivato: `deve ribadirsi ... il principio consolidato secondo cui la proporzionalita' ed adeguatezza della retribuzione va riferita non gia' alle sue singole componenti, ma alla globalita' di essa, ed altresi' il corollario che ... il silenzio dell'art. 36 Cost. sulla struttura della retribuzione e sull'articolazione delle voci che la compongono significa che e' rimessa insindacabilmente alla contrattazione collettiva la determinazione degli elementi che concorrono a formare, condizionandosi a vicenda, il trattamento economico complessivo dei lavoratori, del quale il giudice potra' poi essere chiamato a verificare la corrispondenza ai minimi garantiti dalla norma costituzionale'. Sempre in ordine al quadro normativo concernente la materia del contendere si osserva che l'art. 14 della legge 210/1985 (la legge che ha istituito l'Ente Ferrovie dello Stato quale ente pubblico economico ed ha provveduto alla privatizzazione dei relativi rapporti di lavoro) sancisce: "Tutte le disposizioni di legge e di regolamento vigenti alla entrata in vigore delle presente legge ed applicabili all'organizzazione, all'esercizio ferroviario, alla materia contabile e finanziaria ed ai servizi di igiene e sanita' dell'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, sempreche' siano compatibili con la disciplina dettata dalla presente legge e da norme non derogabili del codice civile o della comunita' economica europea, restano in vigore sino all'adozione dei regolamenti di cui ai successivi terzo e quarto comma". La norma attua una delegificazione nel settore, vale a dire che, in ordine a specifiche materie del settore ferroviario, dispone la abrogazione delle preesistenti leggi speciali, abrogazione rinviata al momento in cui saranno adottati i relativi regolamenti. Lo stesso articolo precisa poi che i regolamenti dell'ente non possono derogare la contrattazione collettiva del settore, lasciando tuttavia nella esclusiva sfera regolamentare talune materie tassativamente elencate. Il successivo art. 21 dopo avere disposto che il rapporto di lavoro del personale dipendente dall'ente e' regolato su base contrattuale collettiva ed individuale, aggiunge il seguente inciso "Fermo restando quanto stabilito" dal precedente art. 14. Per valutare la portata dell'inciso si osserva che il termine "organizzazione", che si legge nel richiamato art. 14, deve ritenersi comprensivo della disciplina dei rapporti di lavoro col personale dipendente dalle ferrovie. Come e' noto puo' ritenersi ormai acquisito alla scienza lavoristica che caratteristica fondamentale del lavoro subordinato, atta a distinguerlo da quello autonomo, va rinvenuta nella circostanza che il dipendente vede la propria attivita' inserirsi nell'apparato produttivo in cui opera, quale elemento essenziale dello stesso, e parte integrante della relativa organizzazione. L'inciso "fermo restando" va quindi inteso non solo nel senso di confermare l'ambito riservato dal richiamato art. 14 alla disciplina regolamentare dell'ente, ma anche nel senso di estendere la c.d. delegificazione al rapporto di lavoro dei dipendenti delle ferrovie; vale a dire che le speciali disposizioni di legge (oltre i regolamenti) che disciplinano il suddetto rapporto saranno abrogati al momento dell'entrata in vigore del primo contratto collettivo del settore, dopo la privatizzazione introdotta dalla legge 210/1985. Rimangono ovviamente in vigore, come del resto ribadito dal citato art. 14, le leggi di carattere generale, che cioe' non si limitano a disciplinare lo specifico settore ferroviario. L'interpretazione ora delineata trova puntuale conferma nello stesso art. 21 che aggiunge: "... i contratti ed i regolamenti di organizzazione che, in sede di prima applicazione della legge, rechino modifiche al vigente regime di costituzione e cessazione dei dipendenti, non possono, a pena di nullita', contenere una disciplina meno favorevole ai lavoratori di quella vigente all'atto di entrata in vigore della presente legge ...", tale disposizione sarebbe del tutto superflua se le norme di legge, che specificamente attengono al rapporto dei dipendenti delle ferrovie, restassero in vigore; in tal caso infatti il contratto collettivo del settore non potrebbe derogarle in senso peggiorativo per i lavoratori. La prospettata interpretazione trova ulteriore conferma sul piano sistematico. La normativa che in determinati settori ha, come in tema di trasporto per ferrovia, privatizzato il pubblico impiego, ha altresi' disposto che le norme di legge disciplinanti il rapporto di lavoro in quello specifico settore sarebbero state abrogate al momento dell'entrata in vigore del successivo contratto collettivo. Cosi' in tema di privatizzazione del rapporto di lavoro con le Poste l'art. 6 comma 6 del d.l. n. 487/1993, convertito con legge n. 71/1994, dispone: `Ai dipendenti dell'ente continuano ad applicarsi i trattamenti vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto fino alla stipulazione di un nuovo contratto». Ed analogamente, in tema di privatizzazione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, l'art. 2 comma 2 del d.lgs. 165/2001 dispone: «Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilita' sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario". Attese le considerazioni svolte la preesistente (alla legge 210/1985) specifica normativa, disciplinante la materia del lavoro straordinario prestato alle dipendenze delle ferrovie, deve ritenersi abrogata al momento dell'entrata in vigore del primo contratto collettivo del settore che e' stato stipulato dopo la emanazione della summenzionata legge n. 210/1985. Devono quindi ritenersi ormai abrogate, quale disciplina speciale concernente l'orario dei ferrovieri, la legge 13 agosto 1969 n. 591, la legge 11 febbraio 1970 n. 34, il d.P.R. 9 novembre 1971 n. 1372, la legge 2 marzo 1974 n. 77; deve altresi' ritenersi abrogato l'ultimo comma dell'art. 1 del r.d.l. 15 marzo 1923 n. 692 nella parte in cui dispone, sempre in tema di disciplina del lavoro straordinario, che, in materia di trasporto per ferrovia (la norma parla piu' genericamente di pubblici servizio), si provvedera' con specifiche disposizioni. Al termine della complessa disamina svolta si puo' concludere che al lavoro straordinario prestato dai dipendenti delle Ferrovie dello Stato sono applicabili le norme di legge che dettano la disciplina generale sulla materia, vale a dire l'art. 2108 c.c., il r.d.l. 15 marzo 1923 n. 692, salva la parte di cui si e' appena detto, l'art. 13 della legge 24 giugno 1997 n. 196, il d.lgs. 66/2003, e le norme della contrattazione collettiva del settore. Alla materia stessa e' altresi' aplicabile, lo si e' visto, il quinto comma dell'art. 7 [n.d.r. del d.l. 384/1992, nonche' le successive norme di legge con le quali il «blocco» e' stato prorogato]. E proprio in adempimento di quanto disposto da quest'ultima norma il contratto collettivo del settore, come si e' accennato, ha bloccato la retribuzione del lavoro straordinario negli importi vigenti al 1992, con gli esiti lamentati nell'atto introduttivo e di cui si e' detto. Tali esiti appaiono quindi del tutto conformi al complesso quadro normativo che si e' prospettato, cosi' come interpretato da una consolidata giurisprudenza della S.C., e che ha superato il vaglio di legittimita' costituzionale sotto il profilo del preteso contrasto con l'art. 36 della Costituzione». Resta da aggiungere che la correttezza della ricostruzione fatta dal tribunale nell'ordinanza sopra trascritta trova inequivoca conferma nel fatto che la Corte costituzionale, in entrambe le occasioni nelle quali e' stata adita sul problema c.d. dello straordinario dei ferrovieri, ha sempre ritenuto rilevante la q.l.c. dell'art. 7 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384 (e della legge di conversione), e successive proroghe, riconducendo a dette disposizioni il risultato che il lavoro straordinario prestato dai dipendenti delle Ferrovie dello Stato venga retribuito in misura inferiore al lavoro ordinario. II) Il dubbio di costituzionalita', della norma di legge (art. 7 d.l. 384/1992, legge 14 novembre 1992, n. 438, successive disposizioni di proroga), e la sua non manifesta infondatezza. Anche a tale riguardo e' d'uopo riportarsi all'ordinanza 22 ottobre 2003, la quale dunque prosegue: «A questo punto del discorso le doglianze del ricorrente dovrebbero ritenersi infondate con conseguente reiezione della domanda attrice. Resta tuttavia da esaminare il delicato problema della compatibilita' fra l'art. 7 comma quinto (nell'interpretazione accolta dalla S.C., non in quella piu' restrittiva resa dalla Corte costituzionale nel suo primo intervento del 1999) e l'art. 4 della parte seconda della Carta sociale europea che recita, fra l'altro: «Per garantire l'effettivo esercizio del diritto ad un'equa retribuzione le parti si impegnano: ...2) a riconoscere il diritto dei lavoratori ad un tasso retributivo maggiorato per le ore di lavoro straordinario ad eccezione di alcuni casi particolari ...». Per le ragioni appresso svolte gli esiti lamentati dal ricorrente appaiono in contrasto con la norma appena trascritta; ne consegue una questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 7 comma 5 sotto un profilo non esaminato nelle precedenti decisioni, delle quali si e' gia' detto, della Corte costituzionale; questione che il giudicante ritiene non manifestamente infondata e rilevante al fine del decidere. Un approfondimento del problema impone un preliminare esame circa la portata della Carta sociale europea. La Carta sociale europea riveduta, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, e' stata ratificata dall'Italia con legge 9 febbraio 1999 n. 30 - Gazzetta Ufficiale 23 febbraio 1999 suppl. ord. - ed e' entrata in vigore il 1° settembre 1999, a seguito dello scambio degli strumenti di ratifica avvenuto il 6 luglio 1999, e comunicato in Gazzetta Ufficiale 5 ottobre 1999 n. 234. Giova, per ben comprendere la complessa problematica che la presente controversia solleva, uno sguardo, sia pur sommario, alla suddetta Carta. Il documento, dopo il preambolo, si svolge in diverse parti. La prima cosi' inizia «Le Parti riconoscono come obiettivo di una politica che perseguiranno con tutti i mezzi, a livello nazionale ed internazionale, la realizzazione di condizioni atte a garantire l'esercizio effettivo dei seguenti principi: ...». E segue una lunga elencazione di principi da ritenersi qui integralmente trascritta. La parte seconda e' composta da 31 articoli, ciascuno dei quali contempla un diritto. Cosi' il citato art. 4 e' intestato: «diritto ad un'equa retribuzione». La successiva parte terza all'articolo A recita: «... ciascuna delle parti si impegna: a) a considerare la parte prima della presente Carta come una dichiarazione che determina gli obiettivi di cui perseguira' l'attuazione con ogni mezzo utile, secondo le disposizioni del paragrafo introduttivo di tale parte; b) a considerarsi vincolata da almeno sei dei nove articoli seguenti della parte seconda della Carta: articoli 1, 5, 6, 7, 12, 13, 16, 19 e 20; c) a considerarsi vincolata a sua scelta da un numero supplementare di articoli o di paragrafi numerati nella parte seconda della Carta, a condizione che il numero totale degli articoli o dei paragrafi numerati che la obbligano non sia inferiore a sedici articoli od a sessantatre paragrafi numerati. 2) gli articoli od i paragrafi selezionati secondo le disposizioni dei capoversi b) e c) del paragrafo uno del presente articolo saranno notificati al Segretario generale del Consiglio d'Europa al momento del deposito dello strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione». Al momento del deposito degli strumenti di ratifica della Carta sociale europea l'Italia ha formulato la seguente dichiarazione: «In accending to the European Social Carter (revised), Italy does not consider itself bound by article 25 (The right of workers to the protection of their claims in the event of the insolvency of their employer) of the Charter». L'Italia, dichiarando di non ritenersi obbligata dall'art. 25 della Carta sociale europea (e soltanto da questo), ha implicitamente, quanto univocamente affermato di ritenersi vincolata dagli altri articoli della seconda parte della Carta, ivi compreso l'art. 4 comma 2. Va inoltre segnalato l'articolo G della parte V della Carta che recita: «I diritti ed i principi enunciati nella parte prima, quando saranno effettivamente attuati, e l'esercizio effettivo di tali diritti e principi come previsto nella parte seconda non potranno essere oggetto restrizioni o di limitazioni non specificate nelle parti I e II ad eccezione di quelle stabilite dalla legge e che sono necessarie, in una societa' democratica, per garantire il rispetto dei diritti e delle liberta' altrui o per proteggere l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale, la salute pubblica o il buon costume». Ora l'art. 4 comma 2 della Carta sociale europea e' gia' stato attuato dall'art. 2108 c.c. e dal r.d.l. n. 692/1923 il cui art. 5 stabilisce per il lavoro straordinario un aumento non inferiore al 10% del compenso previsto per il lavoro ordinario (si e' gia' detto che le specifiche disposizioni di legge nel settore del lavoro alle dipendenze delle ferrovie, e preesistenti alla legge n. 210/1985, sono state abrogate). Tirando le fila del discorso sin qui svolto e' agevole concludere che l'art. 4 comma 2 della Carta sociale europea e' vincolante per lo Stato italiano sia perche' oggetto della apposita dichiarazione formulata dall'Italia al momento del deposito degli strumenti di ratifica, sia - ai sensi dell'articolo G della parte V - perche' attuato nell'ordinamento interno. E giova sottolineare che l'art. 4 comma 2 era presente, negli stessi termini, nel primo testo della Carta sociale europea del 1961, ratificata con legge 3 luglio 1965 n. 929. Deve a questo punto esaminarsi quale sia la efficacia delle norme della Carta sociale europea che il trattato stesso dichiara vincolanti per lo Stato contraente; vale a dire se tale efficacia operi direttamente nell'ordinamento interno dello Stato, o se si concreti esclusivamente in impegni giuridici di carattere internazionale. Ritiene il giudicante che sia da condividere la diffusa opinione secondo cui le norme della Carta sociale, che sanciscono principi e diritti, non sono direttamente applicabili nell'ordinamento degli Stati contraenti, limitandosi a configurare un impegno nell'ambito delle relazioni internazionali degli Stati stessi. Diverse considerazioni inducono a tale conclusione. Innanzitutto la chiara lettera del trattato. Va in proposito richiamata la formula (sopra trascritta) con cui inizia la parte prima. I principi da essa parte sanciti sono espressamente qualificati «obiettivo» di una politica da perseguire «con tutti i mezzi utili». Inoltre i diritti elencati nella parte seconda non vengono prospettati come automaticamente riconosciuti dagli stati contraenti; il trattato usa, significativamente, la espressione «le Parti si impegnano» che puntualmente ricorre in tutti gli articoli della parte seconda. Tale interpretazione sulla portata della Carta sociale viene confermata dall'art. 1 della parte V che recita: «Attuazione degli impegni sottoscritti. Fatti salvi i mezzi di attuazione enunciati in questi articoli, le disposizioni pertinenti degli articoli da 1 a 31 della parte seconda della presente Carta sono attuate da: la legislazione o la regolamentazione; le convenzioni stipulate tra datori di lavoro od organizzazioni di datori di lavoro e organizzazioni di lavoratori; una combinazione di questi due metodi; altri mezzi appropriati ...». La norma appena trascritta conferma appunto che l'attuazione dei principi e dei diritti contemplati dalla Carta sociale europea e' demandata agli Stati contraenti che provvedono, in forza di un impegno assunto, con ampia discrezionalita' quanto ai modi, ai tempi ed ai mezzi. La prospettata interpretazione circa la portata della Carta sociale europea trova infine puntuale ed espressa conferma nel documento annesso alla Carta sociale europea riveduta, in cui si legge testualmente: «Si intende che la Carta contiene impegni giuridici a carattere internazionale la cui applicazione e' sottoposta unicamente al controllo di cui alla parte IV». E tale controllo si realizza attraverso la procedura dei c.d. reclami collettivi, procedura oggetto di una specifica disciplina ed il cui esito non produce effetti diretti nell'ambito dell'ordinamento del singolo stato contraente il cui inadempimento sia stato accertato. Attese le considerazioni svolte l'art. 7 comma 5 [n.d.r. del d.l. n. 384/1992, legge di conversione e succ. proroghe] nella parte in cui per le prestazioni rese oltre il normale orario esclude una retribuzione maggiorata, o addirittura consente un compenso inferiore rispetto al lavoro ordinario, si pone in contrasto con l'art. 4 comma 2 della Carta sociale europea ed integra gli estremi di un inadempimento da parte dello Stato italiano ad obblighi internazionali che traggono origine dalla Carta stessa. E' stato sostenuto che il cennato contrasto non sussisterebbe poiche' l'art. 4 comma 2 con l'inciso «ad eccezione di taluni casi particolari» avrebbe riconosciuto agli Stati contraenti una facolta' di deroga senza limiti (vedi in tal senso Corte di appello di Torino sentenza del 1371/2003 n. 73). La tesi non e' condivisibile; appare infatti insanabilmente contraddittorio attribuire al singolo Stato contraente la facolta', senza limiti, di derogare ad una norma che nel contempo si configura come vincolante per lo Stato medesimo. La contraddittorieta' si supera individuando limiti alla suddetta facolta' di deroga. Nella ricerca di tali limiti, che rendano coerente il trattato, soccorre un principio, che circola nell'ordinamento internazionale, secondo cui eventuali limitazioni a principi e diritti fondamentali, non possono risolversi nella loro sostanziale soppressione, e sono ammissibili purche' giustificate da finalita' di interesse generale, ed il mezzo non sia sproporzionato allo scopo. Si segnala il principio di proporzionalita' quale parametro di ragionevolezza per stabilire i termini e la misura di tollerabilita' di eventuali limitazioni alla concorrenza (vedi in particolare art. 81 par. 3 ed art. 87 paragrafo 3 del TCE). La sentenza della Corte di giustizia (sentenza 13 aprile 2000 causa C - 292/977), in tema di controllo sulle eccedenze strutturali sul mercato del latte, afferma al punto 45 della motivazione che: «restrizioni a diritti fondamentali possono essere operate, in particolare nell'ambito di una organizzazione comune di mercato, purche' tali restrizioni rispondano effettivamente a finalita' di interesse generale perseguite dalla comunita' e non si risolvano, considerato lo scopo perseguito, in un intervento sproporzionato ed inammissibile che pregiudicherebbe la sostanza stessa di tali diritti (vedi in tal senso anche la sentenza 13 luglio 1989 causa 5/1988, Wachauf, raccolta pag. 2609 punto 18)». Ed in tema di divieto di discriminazione la direttiva 27 novembre 2000 n. 2000/78 CE, dispone all'art. 6: «Fatto salvo l'art. 2, paragrafo 2, gli stati membri possono prevedere che le disparita' di trattamento in ragione dell'eta' non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell'ambito del diritto nazionale, da una finalita' legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tali finalita' siano appropriati e necessari». Il principio viene ribadito dall'art. 52 della Carta di Nizza del 7 dicembre 2000 ai cui sensi: «eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle liberta' riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge che deve rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e liberta'. Nel rispetto del principio di proporzionalita' possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalita' di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le liberta' altrui». E' opportuno rilevare che la Carta di Nizza non e' stata ratificata, e' quindi priva di un valore giuridicamente vincolante, tuttavia, risolvendosi in una dichiarazione di intenti degli Stati firmatari, ben puo' porsi quale criterio orientativo in tema di interpretazione. E sempre circa i limiti a sacrifici di diritti fondamentali il protocollo addizionale alla CEDU dispone all'art. 1: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa di utilita' pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale». Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ogni diritto puo' essere considerato bene ai fini della disposizione in oggetto, compresi i diritti di credito (vedi sentenza 20 novembre 1995 nel caso Pressos Compagnia Naviera ed altri contro Belgio; e sentenza del 9 dicembre 1994 nel caso Raffinerie Greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia). E sempre secondo la giurisprudenza della suddetta Corte il limite alla tutela di cui al citato art. 1 deve essere subordinato alla esistenza dei seguenti requisiti: giusto equilibrio tra l'interesse generale della collettivita' e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo, ovvero una ragionevole proporzionalita' tra i mezzi impiegati ed il fine perseguito, in modo tale che l'interessato non venga ad essere gravato da un onere eccessivo (in tal senso sentenza 19 dicembre 1989 Mellancher ed altri contro Austria; 23 aprile 1996 Phocas contro Francia; 23 aprile 1987 Erkner, Hofauer contro Austria). Del resto, in linea col quadro ora delineato la stessa Carta sociale europea nel documento annesso dispone: «Una differenza di trattamento fondata su un motivo obiettivo ragionevole non e' considerata discriminatoria». Alla stregua dei principi appena esposti va inteso l'inciso «ad eccezione di taluni casi particolari» che si legge nell'art. 4 comma 2 della Carta sociale europea. In altri termini tale eccezione dovra' essere assistita da un giusto equilibrio fra il fine di interesse generale perseguito, che nel caso in esame va chiaramente individuato nell'esigenza di arginare spinte inflazionistiche, ed il sacrificio imposto al lavoratore che perde la maggiorazione del compenso per la prestazione resa oltre l'ordinario orario di lavoro. E, a ben guardare, tale giusto equilibrio viene a mancare proprio nella parte in cui l'art. 7 comma 5 non si limita a bloccare la sola voce indennita' integrativa speciale o indennita' di contingenza (come aveva stabilito la Corte costituzionale nel suo primo intervento), ma blocca altresi' nel loro complesso (secondo l'orientamento della S.C. sopra illustrato) le voci retributive di cui le suddette indennita' costituiscono una componente. E' opportuno ricordare quanto si e' sopra accennato, e cioe' che il primo comma del citato art. 7 aveva, per il 1993, bloccato la contrattazione collettiva nella parte economica, mentre il successivo comma 5 aveva bloccato le indennita' soggette ad adeguamenti automatici che prescindono dagli esiti della successiva contrattazione collettiva. Il legislatore aveva quindi perseguito un disegno razionale, e giustificato da un interesse pubblico, vale a dire il blocco temporaneo degli stipendi per frenare spinte inflazionistiche. Successivamente all'anno 1993, come si e' gia' visto, il blocco della contrattazione e' venuto meno, mentre e' rimasto, ed e' tuttora in vigore, quello stabilito dal quinto comma. In questo nuovo quadro ha senso il blocco della sola voce indennita' integrativa speciale, od indennita' di contingenza, voce soggetta ad adeguamenti automatici. Trattasi infatti di una misura volta a fermare quegli aumenti retributivi che, per il loro automatismo, non essendo oggetto di contrattazione collettiva, sfuggono al controllo delle parti stipulanti. Si tratta di una misura che ben si coordina col proposito di mantenere, con la collaborazione delle organizzazioni sindacali, il controllo degli aumenti del costo della vita. Ma la misura in esame diventa priva di ogni ragionevolezza nella parte in cui estende il blocco ad una intera voce per il solo fatto che contiene fra le sue componenti le indennita' di cui sopra (nel caso che ci occupa la voce relativa al compenso per lavoro straordinario), mentre il contratto collettivo del settore puo' aumentare altre voci retributive senza alcun limite legale. L'irragionevolezza ora segnalata (che del resto, come si e' accennato, era stata sottolineata dalla prima decisione della Corte costituzionale, sentenza 242 del 1999) appare in tutta evidenza ove si consideri che il blocco del compenso per il lavoro straordinario dipende dal fatto, del tutto accidentale, che una delle indennita' di cui sopra sia dal contratto collettivo del settore posta quale sua componente; e' un fatto del tutto accidentale poiche' nessuna norma lo impone. In un settore in cui tale evenienza non ricorra il compenso per lavoro straordinario puo' essere aumentato in sede di contrattazione collettiva senza limiti legali. L'esattezza dei rilievi svolti trova puntuale conferma ove si consideri che in ordine al rapporto di lavoro con le Ferrovie la voce compenso per lavoro straordinario potrebbe essere aumentata senza alcun limite legale; sarebbe sufficiente a tal fine, in sede di contrattazione collettiva, ridisegnare la suddetta voce con l'accortezza di escludere dalle sue componenti l'indennita' integrativa speciale, esito contrattuale questo non vietato da alcuna norma. La illustrata irragionevolezza consente agevolmente, richiamati i principi sopra esposti, di concludere che nella specie non sussistono quegli estremi, cui allude l'art. 4 comma 2 parte seconda della Carta sociale europea, idonei ad escludere il tasso retributivo maggiorato per le ore di lavoro straordinario prestate. Tale irragionevolezza consente a maggior ragione di escludere che nella specie ricorrano, a giustificazione della norma interna, quelle esigenze che, ai sensi dell'articolo G della Carta sociale euuropea, sopra trascritto, attengono alla necessita' di «... garantire il rispetto dei diritti e delle liberta' altrui o ... proteggere l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale, la salute pubblica od il buon costume». Si ravvisa quindi un chiaro contrasto fra l'art. 7 comma 5 [n.d.r. del d.l. n. 384/1992, legge di conversione e successive proroghe] (purche', e' bene sottolineare, inteso secondo la interpretazione piu' ampia sostenuta dal consolidato orientamento della Cassazione) e l'art. 4 comma 2 della Carta sociale europea. Ne' il contrasto puo' escludersi sulla base delle ragioni che hanno indotto la Corte costituzionale (vedi la citata sentenza n. 470/2002) a ritenere la suddetta norma di legge conforme all'art. 36 della Costituzione. La Consulta, come emerge dalla motivazione della sentenza nella parte gia' trascritta, e' pervenuta alla cennata conclusione sul presupposto «che il silenzio dell'art. 36 Cost. sulla struttura della retribuzione e sull'articolazione delle voci che la compongono significa che e' rimessa insindacabilmente alla contrattazione collettiva la determinazione degli elementi che concorrono a formare, condizionandosi a vicenda, il trattamento economico complessivo dei lavoratori, del quale il giudice potra' poi essere chiamato a verificare la corrispondenza ai minimi garantiti dalla norma costituzionale». Ebbene proprio tale presupposto manca in ordine al raffronto fra l'art. 7 comma 5 e l'art. 4 comma 2 della Carta sociale europea, atteso che quest'ultima norma, a differenza dell'art. 36 della Costituzione italiana, considera e disciplina la retribuzione anche nelle sue articolazioni, ed in particolare in quell'articolazione costituita dal compenso per il lavoro straordinario. Deve quindi concludersi che l'art. 7 comma 5, giova ribadire nella parte in cui consente di escludere la maggiorazione del compenso per il lavoro straordinario, ponendosi in contrasto con una norma della Carta sociale (l'art. 4 comma 2) che lo Stato italiano e' tenuto ad osservare in forza di impegni di carattere internazionale, viola l'art. 117 della Costituzione cosi' come recentemente riformulato (art. 3 legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3). Tale norma della Costituzione pone infatti un vincolo alla potesta' legislativa dello Stato e delle regioni, costituito dal rispetto degli impegni di carattere internazionale, vincolo che il cennato art. 7 comma 5 ha violato nel senso gia' precisato. Ed e' appena il caso di rilevare che l'istituto della illegittimita' costituzionale si riferisce non solo alle leggi posteriori alla Costituzione, ma anche a quelle anteriori (nel caso in esame a quelle anteriori alla nuova formulazione dell'art. 117 della Costituzione). Sul punto non sono che da richiamare i principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale 1/1956, e le considerazioni ivi svolte. Atteso quanto sopra esposto appare non manifestamente infondata la prospettata questione di illegittimita' costituzionale che, sotto il profilo sopra delineato, non e' stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale». Il rilievo da ultimo risponde alla contestazione fatta da R.F.I. nel corso della discussione, secondo la quale, essendosi in presenza di fattispecie «esaurite» prima della modifica dell'art. 117 Cost., esse non potrebbero in nessun modo risentire dell'entrata in vigore della norma costituzionale assunta a fondamento del dubbio. Giova aggiungere che gia' prima della modifica dell'art. 117 Cost., si riteneva immanente nel sistema il principio in esso espresso, che si ricollegava all'art. 11 Cost. (cfr., ad es., Corte cost., 23 dicembre 1986, n. 286). Per cui, ad ogni buon conto, il dubbio di legittimita', sopra formulato, viene in questa sede prospettato anche con riferimento all'art. 11 Cost. III) Ulteriori notazioni, con riferimento alle specifiche fattispecie, sul punto della rilevanza della questione prospettata ai fini della soluzione delle concrete controversie sottoposte a giudizio. Ancora sul punto della rilevanza della questione prospettata, avuto riguardo all'effettivita' della sua incidenza sulla risoluzione delle controversie pendenti, fermo e ribadito quanto sopra ricordato a proposito delle precedenti occasioni nelle quali la Corte costituzionale e' stata chiamata a sciogliere i dubbi di legittimita' del c.d. regime di blocco dello straordinario dei ferrovieri, nelle quali le questioni stesse sono sempre state considerate rilevanti, e dunque ammissibili, e' opportuno richiamare le ulteriori considerazioni svolte dall'ordinanza 22 ottobre 2003 di questo tribunale: Nel corso della ampia discussione orale la difesa della societa' convenuta ha sostenuto che la prospettata questione di illegittimita' costituzionale non sarebbe rilevante al fine del decidere. Ha infatti sostenuto che la disciplina dettata dal contratto collettivo del settore, sarebbe comunque piu' favorevole, per il lavoratore, della disciplina legale; e cio' in quanto la mancata maggiorazione della retribuzione del lavoro straordinario, o addirittura la sua riduzione a livelli piu' bassi di quelli fissati per il lavoro ordinario, sarebbe uno svantaggio ampiamente compensato da altri vantaggi attribuiti dal contratto collettivo stesso. Sicche', sempre secondo la difesa della convenuta, l'eliminazione dell'art. 7 comma 5, a seguito dell'accoglimento della prospettata questione di illegittimita' costituzionale, non farebbe venire meno l'applicazione del contratto collettivo, che cristallizza il compenso del lavoro straordinario alle misure risalenti al 1992, e non cambierebbe la soluzione della presente controversia; la domanda attrice andrebbe comunque respinta. Tale obiezione, si ripete ampiamente sviluppata in sede di discussione orale, solleva un problema di fondo. Come e' noto nel settore del lavoro e' operante il principio della c.d. inderogabilita' unilaterale, vale a dire le norme di legge che delineano diritti a favore dei lavoratori subordinati non possono, salvo specifiche eccezioni, essere derogate in peggio (per i lavoratori) sia dalla contrattazione collettiva del settore, sia in sede di autonomia individuale. Le eventuali clausole derogative in peggio sono sostituite di diritto dalle piu' favorevoli (per il dipendente) norme di legge. Sul concreto operare di questo principio, pacificamente riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, si sono, come e' noto, contrapposte due tesi: quella del cumulo e quella del conglobamento. La prima circoscrive alle singole clausole la comparazione fra le fonti concorrenti, sicche' il meccanismo sostitutivo si attuerebbe automaticamente per il solo contrasto fra la clausola contrattuale e la corrispondente previsione legale. L'altra teoria ritiene invece che la valutazione di miglior favore dovrebbe fondarsi su di una considerazione dell'intero trattamento contrattuale, o quanto meno della complessiva disciplina dei singoli istituti, ed in tale diversa prospettiva il carattere peggiorativo di una singola clausola potrebbe essere compensato, ai fini del giudizio comparativo finale, dal miglior trattamento nel suo insieme accordato al prestatore a livello di autonomia contrattuale (individuale o collettiva). Ritiene questo giudice, in adesione ad autorevole dottrina che si e' specificamente occupata del problema, che sia da condividere la teoria del cumulo. Piu' ordini di considerazioni inducono a siffatta conclusione. Il criterio del conglobamento e' chiaramente ispirato dall'esigenza di salvaguardare il prodotto dell'autonomia privata, conservando il «voluto» dei contraenti, vale a dire l'armonia, l'equilibrio, il collegamento organico tra le varie condizioni da essi stabilite, l'interdipendenza tra le varie parti della struttura contrattuale. Ma siffatta prospettiva appare in netto contrasto con i principi ispiratori della disciplina del rapporto di lavoro subordinato fortemente caratterizzata da eteronomia, cioe' dalla massiccia presenza di norme unilateralmente inderogabili, dettate a tutela del lavoratore considerato, quale contraente debole, meritevole di protezione (una significativa manifestazione di tale fenomeno si ravvisa proprio nella Carta sociale europea). Si tratta quindi di un settore che pone ai margini l'autonomia privata ed i suoi prodotti; come e' stato osservato da autorevole dottrina il contratto individuale fa nascere il rapporto di lavoro subordinato, ma non lo governa. La teoria del cumulo appare quindi da condividere sotto il profilo sistematico. L'interpretazione sistematica trova poi conferma nella chiara lettera della legge. Infatti, in ordine al conflitto fra legge da un lato e contrattazione (collettiva ed individuale) dall'altro, il meccanismo di risoluzione configurato dalla teoria del cumulo, trova un preciso riscontro nel modello delineato dagli articoli 1339 e 1419 secondo comma dei codice civile. Come e' stato autorevolmente sostenuto l'art. 1339 c.c. delinea un meccanismo di integrazione che viene innescato dalla difformita' di ogni singola clausola apposta dalle parti, e che, mentre trova puntuale conferma nel secondo comma dell'art. 1419 c.c. (volto chiaramente a privare di ogni rilievo, ai fini della conservazione del contratto, le eventuali connessioni esistenti tra le singole clausole contrattuali), non riceve alcuna smentita, anche nel settore del lavoro, sul piano della disciplina positiva. Un ulteriore pregnante argomento induce a condividere la teoria del cumulo. Invero le norme imperative di legge sono volte alla tutela di interessi sociali generali, mentre la previsione contrattuale migliorativa e' rivolta alla soddisfazione di un interesse meramente individuale, o al piu' collettivo. Sicche' la teoria del conglobamento ponendo sullo stesso piano, in sede di comparazione, interessi di diversa natura, comporterebbe la compressione di un interesse generale per la soddisfazione di un interesse individuale o, al piu', collettivo, conseguenza in palese contrasto con i principi in tema di rilevanza e gerarchia degli interessi tutelati dall'ordinamento. Attesa, per le ragioni gia' esposte, la teoria del cumulo, nel caso in esame le norme di legge sulla retribuzione del lavoro straordinario (e' bene ribadire l'art. 2108 c.c. ed il r.d.l. 692/1923 e le successive modifiche) si sostituiscono automaticamente alle norme del contratto collettivo del settore da ritenere illegittime nei sensi e nei limiti che si sono specificati. E la sostituzione prescinde da una valutazione globale del trattamento delineato in sede di contrattazione collettiva. E' da aggiungere che le norme di legge appena citate vanno, secondo una consolidata giurisprudenza, intese nel senso che il tasso di maggiorazione, pari al 10%, va calcolato sulla retribuzione per il lavoro ordinario normalmente e di fatto percepita dal lavoratore. Tuttavia, ad una ulteriore meditazione, la questione che ci occupa presenta ancora un nodo da sciogliere. Le norme di legge che disciplinano la materia dello straordinario (art. 2108 c.c., r.d.l. 692/1923 e successive modificazioni ed integrazioni) non solo dispongono il tasso minimo di maggiorazione (appunto il 10%), ma determinano anche il limite del lavoro ordinario. E su questo ultimo punto, la durata della prestazione lavorativa ordinaria, il C.C.N.L. del settore delinea per il prestatore una disciplina piu' favorevole di quella legale, in quanto riduce la suddetta durata. Ecco quindi il nodo da sciogliere; nel caso in esame la sostituzione delle norme di legge alla disciplina dettata dal C.C.N.L. del settore deve limitarsi alla applicazione del tasso minimo di maggiorazione per il lavoro straordinario svolto, lasciando al contratto collettivo la determinazione del discrimine fra prestazione ordinaria e straordinaria? Oppure la sostituzione deve estendersi anche a tale discrimine? Quanto si e' detto circa le opposte teorie del cumulo e del conglobamento, ed in ordine alle ragioni che inducono ad accogliere la prima, non fornisce un sicuro criterio per risolvere l'interrogativo appena prospettato. Per la individuazione di siffatto criterio si osserva che, secondo la teoria del cumulo come sopra prospettata, la composizione dei conflitti fra legge inderogabile da un lato e contratto collettivo od individuale dall'altro, opera con riferimento a singole clausole; pertanto un approfondimento del problema impone di determinare la nozione di clausola quale ambito di operativita' dell'effetto sostitutivo. Nel contesto che si sta esaminando la clausola non puo' identificarsi con una proposizione autonoma dal punto di vista sintattico e grammaticale, come viene ad esempio delineata dall'art. 1363 c.c. ai fini del problema interpretativo. Il problema che ci occupa e' ben diverso. Invero se, come e' stato autorevolmente e convincentemente argomentato, la nullita' che sta alla base del meccanismo sostitutivo legale deriva dall'essere l'atto negoziale contrario a norme imperative, appare coerente ricercare il valore, l'ampiezza ed i caratteri del precetto legale che si assume violato per accertare se l'atto negoziale lo rispetti o meno. Pertanto in questo ordine di idee la comparazione ai fini di un eventuale effetto sostitutivo deve assumere, quale punto di partenza, una proposizione legale dotata di una autonoma finalita' imperativa e volta alla tutela di un interesse inscindibile; in altri termini, come e' stato efficacemente detto, la unitarieta' della clausola precetto e' unitarieta' di scopo. A questo punto del complesso discorso si rinvengono agevolmente, ad avviso del giudicante, gli strumenti per risolvere il problema che il caso in esame solleva. La disciplina legale del lavoro straordinario chiaramente risponde alla finalita' di scoraggiare il ricorso al lavoro straordinario, e, nel contempo, di premiare la maggiore onerosita' delle prestazioni eccedenti l'orario normale. Ebbene a tale finalita' indubbiamente concorrono sia le disposizioni sul tasso di maggiorazione e sulla sua base di computo, sia quelle sulla durata della normale prestazione lavorativa. E' evidente che una normativa contrattuale che, rispetto a quella legale, riduca la base di computo, ma piu' che proporzionalmente aumenti il tasso di maggiorazione, deve ritenersi piu' favorevole perche' nel complesso comporta una retribuzione del lavoro straordinario piu' elevata di quella calcolata secondo i criteri legali, e quindi meglio della disciplina legale persegue le finalita' sopra accennate. Ed un discorso del tutto analogo si puo' fare con riferimento anche alla durata della normale prestazione lavorativa. La soluzione prospettata e' stata affermata dalla suprema Corte in un caso in cui il contratto collettivo del settore che, in ordine alla retribuzione per il lavoro straordinario, prevedeva, a confronto con la disciplina legale, un tasso di maggiorazione superiore ma, nel contempo, una piu' ristretta base di computo. Ebbene la S.C. ha affermato che la validita' o meno del sistema contrattuale va verificata nel suo complesso, di modo che se risulta assicurato al prestatore un vantaggio economico pari o superiore a quello derivante dall'applicazione dei criteri legislativi, non si attua il meccanismo di sostituzione automatica (Cass. Sez. unite civili 28 aprile 1959 n. 1245; in Riv. giur. lav. 1959 II p. 259). Pertanto alla disciplina contrattuale andrebbe sostituita la disciplina legale per quanto riguarda sia la maggiorazione del compenso, sia la durata del lavoro ordinario. Ed in quest'ordine di idee sembra porsi la S.C. (Cass. Sez. lavoro sentenza n. 6708 del 2003) in un passo del seguente tenore: «Orbene il fatto che la contrattazione collettiva e la piu' recente normativa del settore - in ragione ad una maggiore flessibilita' - abbiano comportato una diversa modulazione del lavoro su di un arco temporale multiperiodale, comporta che il superamento dell'orario contrattualmente definito come "normale" in un periodo piu' ristretto (giorno o settimana), non puo' far considerare le norme "eccedenti" dal punto di vista legale; donde la inapplicabilita' dell'intera normativa - anche attuativa dell'art. 4 della Carta sociale europea, ratificata con legge 9 febbraio 1999 n. 30 - avente ad oggetto il compenso per lo straordinario stricto sensu inteso». Il passo appena trascritto impone un chiarimento. Nel caso in esame, atteso che la retribuzione del lavoro straordinario e' ad un certo momento divenuta inferiore a quella stabilita per il lavoro ordinario, la disciplina legale risulta comunque nel complesso piu' favorevole per il dipendente di quella dettata dal contratto collettivo del settore. E' opportuno sottolineare che, nella specie, il carattere piu' favorevole del trattamento legale dipende anche, paradossalmente, dalla circostanza che la durata della normale prestazione lavorativa stabilita dalla legge sia piu' ampia di quella stabilita in sede contrattuale; tale paradossale risultato discende dal fatto che in sede contrattuale il lavoro straordinario e' retribuito in misura inferiore a quello ordinario. Va quindi comunque ritenuto il carattere piu' favorevole della disciplina legale, che residuerebbe dopo la eliminazione dell'art. 7 comma 5, con conseguente accoglimento, almeno in parte, della domanda attrice. La prospettata questione di illegittimita' costituzionale va quindi ritenuta rilevante».
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale, per contrasto con gli articoli 117 e 11 della Costituzione, dell'art. 7, comma 5, del d.l. 19 settembre 1992 n. 384, convertito con legge 14 novembre 1992 n. 438, dell'art. 3, comma 36, della legge 24 dicembre 1993 n. 537, dell'art. 1, comma 66, della legge 23 dicembre 1996 n. 662, dell'art. 22 legge n. 488/1999, e dell'art. 36 legge n. 289/2002, nella parte in cui, nello stabilire il blocco degli aumenti, non hanno riguardo unicamente ai meccanismi automatici di indicizzazione, ma si estendono anche a voci contrattate, come il compenso per il lavoro straordinario; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il presente giudizio; Ordina che la presente ordinanza, di cui e' stata data lettura in udienza, sia, a cura della cancelleria, notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Genova, addi' 1° ottobre 2004 Il giudice: Bossi 05C0049