N. 2 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 15 gennaio 2005
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 15 gennaio 2005 (del Tribunale di Bergamo) Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento civile promosso dall'avv. Giuseppe Lucibello per il risarcimento dei danni subiti a seguito delle dichiarazioni rese dall'on. Vittorio Sgarbi nel corso di trasmissioni televisive - Deliberazione di insindacabilita' della Camera dei deputati - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Tribunale di Bergamo, prima sezione civile - Denunciata mancanza di nesso funzionale tra opinioni espresse ed attivita' parlamentari. - Deliberazione della Camera dei deputati del 13 novembre 2003. - Costituzione, art. 68, primo comma.(GU n.6 del 9-2-2005 )
Propone il seguente ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera adottata dall'Assemblea in data 13 novembre 2003, che ha dichiarato non sindacabili, a norma dell'art. 68, primo comma della Costituzione, le opinioni espresse dal convenuto on. Sgarbi, che costituiscono oggetto del procedimento civile in epigrafe. Letti gli atti e documenti di causa, si osserva quanto segue: Con atto di citazione notificato il 2 marzo 2001, l'avv. Giuseppe Lucibello ha evocato in giudizio l'on. Vittorio Sgarbi (unitamente a Giorgio Gori ed alla S.p.A. R.T.I.) avanti il Tribunale di Bergamo, domandando l'accertamento del contenuto diffamatorio di una serie di puntate del programma «Sgarbi quotidiani», trasmesso da Canale 5 per conto di R.T.I. S.p.A., con la conseguente condanna dei convenuti, in via solidale o concorrente fra loro, al pagamento dell'importo di lire 1.316.627.000 od altra diversa somma, a titolo di pregiudizi morali, patrimoniali, danno biologico ed esistenziale, nonche' di lire 300.000.000, od altra diversa somma, a titolo di riparazione pecuniaria, oltre alla pubblicazione della sentenza. Ritualmente costituitisi i convenuti, attualmente il procedimento si trova in fase istruttoria. Con missiva del 15 novembre 2003, la Presidenza della Camera dei deputati ha fatto pervenire a questo Tribunale copia della relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere, nonche' del resoconto stenografico della seduta del 13 novembre 2003, nel corso del quale l'Assemblea ha deliberato nel senso che i fatti per i quali e' in corso il procedimento civile nei confronti del deputato Sgarbi concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. Premesso quanto sopra, si rileva in primo luogo che all'anzidetta deliberazione della Camera dei deputati, con cui si riconosce l'operativita' nel caso di specie dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, consegue, com'e' noto, l'effetto inibitorio della prosecuzione del presente giudizio. Il tribunale ha, tuttavia, facolta' di promuovere un controllo circa la correttezza dell'esercizio del potere conferito alla Camera dei deputati dall'art. 68, primo comma Cost., mediante lo strumento del ricorso per conflitto di attribuzione, a norma dell'art. 37, legge 11 marzo 1953, n. 87 (vedansi, per tutte, Corte cost. sentt. n. 129/1996 e n. 364/2001. A tale proposito la Corte costituzionale ha, in piu' occasioni, avuto modo di chiarire, nell'ambito del giudizio in tema di conflitto fra poteri, vertente su una delibera parlamentare affermativa dell'insindacabilita' ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione «.... La Corte non e' giudice dell'impugnazione ...» (sentenze n. 443 del 1993, n. 265 del 1997, n. 375 del 1997), giacche' il vaglio che la stessa e' chiamata a compiere concerne il controllo sulla «... non arbitrarieta' della delibera parlamentare ...» (sentenza n. 1150 del 1988) e, pertanto, si svolge come verifica esterna ...» (sentenza n. 443 del 1993), nel senso che la Corte non puo' rivalutare la ponderazione compiuta dalle Camere, ma soltanto accertare se vi sia stato un uso distorto, arbitrario, del potere parlamentare, tale da vulnerare le attribuzioni degli organi della giurisdizione o da interferire sul loro esercizio. Per usare ancora una volta le parole della Corte «E' pacifico che la funzione della Corte costituzionale in ordine all'art. 68, primo comma Cost., sia quella di accertare - come giudice dei conflitti - se dall'esercizio illegittimo da parte di uno dei poteri confliggenti risulti lesa o menomata una competenza costituzionalmente spettante all'altro; e cioe', in particolare, se l'esercizio della potesta' spettante alla camera di appartenenza in base all'art. 68, primo comma, abbia determinato, per vizi del procedimento o in ragione dell'insussistenza o dell'arbitrarieta' della valutazione dei presupposti richiesti per esercitare tale potere, la lamentata, illegittima interferenza nelle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria» (sentenza n. 289 del 1998; sentenza n. 11 del 2000). Detto accertamento e' volto a «verificare, in base a specifici criteri, piu' complessi rispetto a quelli della mera "localizzazione" dell'atto, l'esistenza di un "nesso funzionale" stretto tra espressione di "opinioni" e di "voti" ed "esercizio" delle funzioni parlamentari» (sentenza n. 11 del 2000). Il nesso funzionale deve cioe' qualificarsi non «come semplice collegamento di argomento o di contesto fra attivita' parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare» (sentenza n. 10 del 2000). Per quanto poi riguarda, in particolare, il c.d. nesso funzionale, la Corte ha altresi' precisato che «segna appunto il discrimine fra le varie manifestazioni dell'attivita' politica di deputati e senatori e le opinioni che godono della particolare garanzia introdotta dall'art. 68, primo comma Cost.; con la conseguenza che non e' possibile ricondurre nella sfera della funzione parlamentare l'intera attivita' politica dei membri delle Camere, perche' tale interpretazione allargata finirebbe per vanificare il requisito stesso del nesso funzionale, trasformando la prerogativa in un privilegio personale» (sentenza n. 329 del 1999; sentenza n. 289 del 1998). Trattasi di un principio del tutto pacifico, che anche la suprema Corte ha ribadito, sostenendo che la prerogativa di insindacabilita' sancita dall'art. 68, primo comma Cost. e' operante a condizione che l'attivita' extraparlamentare si configuri come strettamente connessa all'espletamento delle funzioni tipiche e delle finalita' proprie del mandato parlamentare (Cass., sez. III, 7 giugno 1999 n. 5573). Orbene, nell'ipotesi di specie, non e' dato ravvisare, a parere di questo giudice, alcun collegamento funzionale tra le espressioni ipotizzate come diffamatorie del deputato Sgarbi e la sua attivita' parlamentare; non e', invero, riscontrabile alcuna connessione con atti tipici della funzione parlamentare, ne' risulta possibile individuare nel suo comportamento, portato alla cognizione del tribunale, un qualche intento divulgativo di una scelta o di un'attivita' politico-parlamentare (quale ad es. una proposta di legge, un'interrogazione o un'interpellanza, ecc.). A tale convincimento era, del resto, pervenuta la stessa Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati, la cui proposta (di dichiarare che i fatti per i quali e' in corso il procedimento nei confronti dell'on. Sgarbi non concernono opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni di membro del Parlamento) e' stata cosi' motivata: «... la Giunta ha anche esaminato due richieste d'insindacabilita' del deputato Sgarbi relative a fatti per i quali sono in corso due procedimenti penali pendenti innanzi alla Corte d'appello di Milano ... La Giunta ha concordato pienamente con gli argomenti contenuti nelle pronunce di condanna di primo grado, considerandoli ineccepibili. Essi lo sono in punto di giustizia sostanziale, dal momento che chiunque si sarebbe sentito offeso dalle frasi dell'onorevole Sgarbi che recavano addebiti falsi. Ed e' del tutto capzioso affermare apoditticamente che "un parlamentare puo' dire queste cose, perche' rientra nelle sue funzioni". Sostenerlo significa avere una ben misera concezione del mandato parlamentare. Ma lo sono anche in punto di diritto formale: sono infatti conformi alla giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui "in tema di diritto di critica cio' che determina l'abuso del diritto e' la gratuita' delle espressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione; e' l'uso dell'argumentum ad hominem, inteso a screditare l'avversario politico mediante l'evocazione di una sua pretesa indegnita' o inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni", ... ma sono anche conformi alla giurisprudenza assolutamente costante della Corte costituzionale dal 1998 in poi, che esige per la configurazione della scriminante di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione un sicuro aggancio delle affermazioni rese extra moenia ai contenuti dell'attivita' parlamentare svolta mediante atti tipici». Sennonche' l'Assemblea, dopo che il relatore aveva ribadito il punto di vista della Giunta («Si tratta di affermazioni assolutamente diffamatorie rese dall'onorevole Sgarbi nei confronti dell'avv. Lucibello e che nulla hanno a che vedere con l'attivita' parlamentare dell'onorevole Sgarbi»), e con l'unica dichiarazione di voto dello stesso on. Sgarbi, ha disatteso la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere (cfr. resoconto stenografico della seduta del 13 novembre 2003), deliberando nel senso che i fatti per i quali e' in corso il procedimento nei confronti del deputato Sgarbi concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni. Ad avviso di questo giudice la deliberazione adottata dalla Camera (fra l'altro, priva di motivazione si appalesa del tutto arbitraria giacche', nel caso in parola, difetta ictu oculi il necessario collegamento tra il comportamento per il quale il deputato Sgarbi e' stato citato dinanzi a questo Tribunale e l'esercizio della funzione parlamentare. Va, in particolare, evidenziato come la Camera, respingendo la proposta argomentata della Giunta, abbia del tutto omesso di considerare che: 1) nella funzione parlamentare non si puo' ricondurre l'intera attivita' politica svolta dal deputato o dal senatore: tale interpretazione finirebbe, invero, per vanificare il nesso funzionale posto dall'art.68, primo comma, e comporterebbe il rischio di trasformare la prerogativa in un privilegio personale (vedansi sentenze n. 329 del 1999 e n. 11 del 2000 gia' sopra citate). Nella vicenda in esame, le opinioni espresse dal deputato Sgarbi nei riguardi dell'avv. Lucibello appaiono - secondo la prospettazione dell'attore e fatta salva, evidentemente, qualunque valutazione di merito - del tutto prive di alcuna riferibilita' alle funzioni parlamentari, trattandosi non gia' di espressioni divulgative di una scelta o di un'attivita' politico-parlamentare, bensi' di meri apprezzamenti personali espressi, alla stregua di un qualunque privato cittadino, con riguardo ai protagonisti di una specifica vicenda giudiziaria; 2) la palese carenza del presupposto di applicabilita' della prerogativa di insindacabilita' emerge, in ogni caso e con tutta evidenza, dalla seguente considerazione: anche a voler ammettere che l'insindacabilita' di cui all'art. 68, primo comma della Costituzione si estenda all'attivita' svolta al di fuori delle Camere (per le opinioni espresse in comizi, interviste, ecc.), sicuramente non poteva ravvisarsi nella partecipazione del deputato Sgarbi alla trasmissione diffusa dalla rete televisiva privata «Canale 5» un'attivita' riconducibile all'esercizio delle sue funzioni di membro del Parlamento, atteso che - come si evince dal complesso della documentazione prodotta dalle parti - l'on. Sgarbi e' intervenuto nella suddetta trasmissione nella veste di conduttore di un programma televisivo, denominato «Sgarbi quotidiani», nel corso del quale, com'e' noto, egli aveva l'obbligo (alla luce di uno specifico contratto stipulato con le Reti Televisive Italiane S.p.A., cui fa capo «Canale 5» di commentare ed esprimere le proprie opinioni su argomenti d'attualita' e su quanto riportato dalla stampa in generale. Orbene, poiche' per tali prestazioni era, altresi', contrattualmente prevista una determinata retribuzione, non e' seriamente revocabile in dubbio che l'on. Sgarbi abbia preso parte alle varie puntate del programma «Sgarbi quotidiani» nella sua qualita' di privato cittadino, non essendo ovviamente ammissibile che un membro del Parlamento percepisca aliunde ricompense o retribuzioni come corrispettivo per atti inerenti lo svolgimento del proprio mandato (artt. 67 e 69 della Costituzione). La delibera di insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 13 novembre 2003 appare, pertanto, lesiva delle attribuzioni di questo organo giurisdizionale, in quanto il potere conferito al Parlamento dall'art. 68 Cost. - secondo l'interpretazione della Corte costituzionale - e' stato esercitato in modo arbitrario. Va, pertanto, sollevato conflitto di attribuzione a norma dell'art. 37, legge 11 marzo 1953, n. 87, vertendosi in materia di correttezza dell'esercizio del potere conferito alla Camera dei deputati dall'art. 68, primo comma, Cost. con riferimento alla lesione di attribuzioni giurisdizionali costituzionalmente previste e garantite (artt. 102 e seguenti della Costituzione).
P. Q. M. Visti gli artt. 37, legge 11 marzo 1953, n. 87 e 26 decr. C.C. 16 marzo 1956. Solleva conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati, richiedendo che la Corte costituzionale: 1) dichiari che non spetta alla Camera dei deputati stabilire l'insindacabilita', ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost., delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi, secondo quanto deliberato dalla stessa Camera dei deputati in data 13 novembre 2003. 2) annulli conseguetemente la predetta deliberazione adottata dalla Camera dei deputati (atti Camera, doc. IV-quater n. 35). Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Bergamo, addi' 27 novembre 2003 Il giudice unico: Mocci 05C0102