N. 53 SENTENZA 13 - 28 gennaio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Spese  di giustizia - Provvedimento di liquidazione dei compensi agli
  ausiliari del magistrato - Giudizio di opposizione - Competenza del
  giudice  in  composizione monocratica anche nelle ipotesi in cui il
  provvedimento  sia  stato  adottato  da  un  giudice  collegiale  -
  Denunciato eccesso di delega - Non fondatezza della questione.
- D.Lgs.  30 maggio  2002,  n. 113,  art. 170,  come  riprodotto  nel
  decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.
- Costituzione, art. 76.
Spese  di giustizia - Provvedimento di liquidazione dei compensi agli
  ausiliari del magistrato - Giudizio di opposizione - Competenza del
  giudice  in  composizione monocratica anche nelle ipotesi in cui il
  provvedimento  sia  stato  adottato  da  un  giudice  collegiale  -
  Denunciata  carenza nella legge di delega dei limiti e dell'oggetto
  in  una  materia  coperta  da  riserva  assoluta  di  legge  -  Non
  fondatezza della questione.
- Legge  8 marzo  1999,  n. 50,  art. 7,  come modificato dall'art. 1
  della legge 24 novembre 2000, n. 340.
- Costituzione, art. 76.
(GU n.5 del 2-2-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Valerio ONIDA;
  Giudici:   Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,
Francesco   AMIRANTE,   Ugo   DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo
MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 170 del decreto
legislativo  30 maggio  2002,  n. 113 (Testo unico delle disposizioni
legislative  in  materia  di spese di giustizia), come riprodotto nel
decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo
unico  delle  disposizioni  legislative e regolamentari in materia di
spese  di  giustizia),  e dell'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50
(Delegificazione  e  testi  unici  di  norme concernenti procedimenti
amministrativi   -   legge  di  semplificazione 1998),  promossi  con
ordinanze  del 16 ottobre 2003 e del 10 gennaio (n. 2 ordinanze) 2004
dal  Tribunale  di Messina rispettivamente iscritte ai nn. 239, 240 e
422 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 14 e 21, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Il giudice del Tribunale di Messina designato dal Presidente
del  tribunale,  con tre distinte ordinanze (reg. ord. nn. 239, 240 e
422   del  2004)  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art. 76  della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 170
del  decreto  legislativo  30 maggio  2002, n. 113 (Testo unico delle
disposizioni  legislative  in  materia  di  spese di giustizia), come
riprodotto  nel  decreto  del  Presidente  della Repubblica 30 maggio
2002,   n. 115   (Testo   unico   delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari  in materia di spese di giustizia); in via subordinata,
in  riferimento  allo stesso art. 76 della Costituzione, ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 7  della legge
8 marzo   1999,   n. 50  (Delegificazione  e  testi  unici  di  norme
concernenti     procedimenti     amministrativi     -     legge    di
semplificazione 1998),   come   modificato  dall'art. 1  della  legge
24 novembre  2000,  n. 340  (Disposizioni  per  la delegificazione di
norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - legge
di semplificazione 1999).
    Nelle  prime due ordinanze (reg. ord. nn. 239 e 240 del 2004), il
giudice  premette  di  essere  stato  designato  dal  Presidente  del
tribunale  per  la trattazione dei ricorsi proposti avverso i decreti
del  Tribunale  di  Messina, sezione misure di prevenzione, aventi ad
oggetto  la  liquidazione di compensi a periti. Nella terza ordinanza
(reg.  ord.  n. 422  del  2004),  il giudice premette di essere stato
designato dal Presidente del tribunale per la trattazione del ricorso
proposto  avverso  il decreto del Tribunale di Messina, prima sezione
penale  in composizione collegiale, avente ad oggetto la liquidazione
dell'indennita'  di  custodia  di  una  autovettura  sequestrata  nel
procedimento penale.
    Il  giudice  rimettente,  rilevato in tutte le ordinanze che - ai
sensi  dell'art. 170  del  d.P.R.  n. 115  del  2002  -  e' possibile
proporre   opposizione  avverso  i  suddetti  decreti  al  Presidente
dell'ufficio  giudiziario  competente,  che  il  processo  e'  quello
speciale previsto per gli onorari di avvocato e che l'ufficio procede
in  composizione  monocratica sempre, anche nelle ipotesi, come nella
specie,  in  cui  il  provvedimento  sia stato adottato da un giudice
collegiale,  sostiene  che  i  giudizi  non  possano  essere definiti
indipendentemente    dalla    risoluzione    della    questione    di
costituzionalita'.
    Il  giudice si sofferma poi sulla non manifesta infondatezza, con
identica motivazione nelle tre ordinanze.
    Sottolineato  che  la  normativa  previgente (art. 11 della legge
8 luglio  1980,  n. 319  «Compensi spettanti ai periti, ai consulenti
tecnici,  interpreti  e  traduttori  per  le  operazioni  eseguite  a
richiesta  dell'autorita'  giudiziaria»)  prevedeva  che  il  ricorso
dovesse   essere   presentato  innanzi  al  tribunale,  da  ritenersi
ragionevolmente  in  composizione  collegiale  atteso che era l'unica
forma  esistente al momento dell'emanazione della legge, o alla corte
d'appello,   egli   sostiene  che  il  legislatore  delegato,  avendo
trasferito  la competenza dal tribunale in composizione collegiale al
tribunale  in composizione monocratica, ha introdotto una innovazione
radicale,  violando  i  limiti  della  delega.  A  tal  fine richiama
l'art. 7  della legge n. 50 del 1999, anche nella parte in cui rinvia
all'allegato  1,  e, tra i criteri del comma 2, si sofferma su quello
che  prevede  il  «coordinamento formale del testo delle disposizioni
vigenti,  apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche
necessarie  per  garantire  la  coerenza  logica  e sistematica della
normativa  anche  al  fine  di  adeguare e semplificare il linguaggio
normativo».  Deduce  che il legislatore delegato non ha rispettato il
criterio  del  coordinamento  formale,  e  che l'innovazione non puo'
essere  ricondotta al potere di apportare le modifiche necessarie per
garantire  la  coerenza  logica  e sistematica, nemmeno alla luce del
richiamo  -  contenuto  nella  relazione  governativa  -  al  decreto
legislativo  19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione
del  giudice  unico  di  primo  grado),  che ha introdotto il giudice
unico. In proposito sottolinea che la procedura speciale prevista per
gli  onorari  di avvocato (art. 29 della legge 15 giugno 1942, n. 794
«Onorari  di  avvocato e di procuratore per le prestazioni giudiziali
in  materia  civile»),  richiamata  dall'art. 170  impugnato, prevede
espressamente che il tribunale proceda in composizione collegiale.
    Sempre con identica motivazione nelle tre ordinanze, il giudice a
quo  deduce  inoltre,  in via subordinata, il contrasto con l'art. 76
della Costituzione dell'art. 7 della legge delega, nella parte in cui
non  ha  previsto  i  limiti e l'oggetto della delega in una materia,
quale  quella  riguardante  la  competenza  del  giudice,  coperta da
riserva assoluta di legge ai sensi dell'art. 25 della Costituzione.
    2.  -  Nel  giudizio  introdotto  con  l'ordinanza  di rimessione
iscritta  al n. 239 del 2004 del relativo registro, e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile o infondata.
    Rileva  innanzitutto  l'Avvocatura  che l'oggetto della delega e'
definito,  come  risulta dall'allegato 1, della legge n. 50 del 1999,
il  quale,  richiamando  i  regi  decreti 23 dicembre 1865, n. 2700 e
n. 2701  (cosiddetti  campione civile e penale) per il riordino della
materia  delle  spese di giustizia, ricomprende anche il procedimento
per  la  liquidazione  del  compenso  degli  ausiliari  del  giudice.
Aggiunge  che  la  norma  previgente  (art. 11 della legge n. 319 del
1980), riordinata e abrogata dal testo unico, prevede che sul reclamo
decide   il  tribunale,  con  la  conseguenza  che,  se  e'  vera  la
considerazione  che  al  tempo della sua emanazione questo era quello
collegiale,  tuttavia nulla autorizza a leggere tale espressione come
tribunale  collegiale,  dovendo piuttosto essere letta come tribunale
nella  sua ordinaria composizione. Atteso che con la riforma del 1998
la composizione ordinaria del tribunale e' quella monocratica, mentre
costituisce  eccezione  quella  collegiale,  ben ha fatto, secondo la
difesa  erariale,  il legislatore delegato a prevedere, per garantire
la  coerenza  logica  e  sistematica  della  normativa riordinata, la
composizione  monocratica  in  conformita' al principio generale, non
ravvisandosi  ragioni  per  le quali appaia piu' opportuno il ricorso
all'organo  collegiale.  Infine,  conclude  l'Avvocatura, il richiamo
fatto dall'art. 11 previgente all'art. 29 della legge n. 794 del 1942
vale  solo  ai fini di individuare il rito e non l'organo che decide,
atteso  che quella procedura - relativa agli onorari degli avvocati -
poteva  e  puo' svolgersi anche dinanzi al giudice monocratico (prima
pretore, oggi giudice di pace).
    3.  - Anche negli altri due giudizi (reg. ord. nn. 240 e 422), e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata manifestamente infondata.
    Secondo   la  difesa  erariale  la  questione  e'  manifestamente
infondata alla luce dell'art. 7, comma 2, della legge n. 50 del 1999,
in  particolare della lettera c), che prevede l'esplicita indicazione
delle   norme   abrogate,   anche   implicitamente,   da   successive
disposizioni,  nonche'  delle  pronunce della Corte costituzionale in
materia (sentenza n. 220 del 2003).

                       Considerato in diritto

    1.   -  Il  giudice  del  Tribunale  di  Messina,  designato  dal
Presidente del tribunale, con tre distinte ordinanze, ha sollevato in
via principale questione di legittimita' costituzionale dell'art. 170
del  decreto  legislativo  30 maggio  2002, n. 113 (Testo unico delle
disposizioni  legislative  in  materia  di  spese di giustizia), come
riprodotto  nel  decreto  del  Presidente  della Repubblica 30 maggio
2002,   n. 115   (Testo   unico   delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari  in  materia  di  spese  di  giustizia), in riferimento
all'art. 76  della  Costituzione, per avere il legislatore delegato -
al  comma 2  del  suddetto  articolo  -  trasferito la competenza dal
giudice   in  composizione  collegiale  al  giudice  in  composizione
monocratica,   cosi'  introducendo  una  innovazione  radicale  senza
rispettare i limiti della delega.
    Lo  stesso giudice ha sollevato, in via subordinata, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge di delega 8 marzo
1999,  n. 50  (Delegificazione  e  testi  unici  di norme concernenti
procedimenti  amministrativi  -  legge di semplificazione 1998), come
modificato   dall'art. 1   della   legge   24 novembre  2000,  n. 340
(Disposizioni   per   la   delegificazione   di   norme   e   per  la
semplificazione   di   procedimenti   amministrativi   -   legge   di
semplificazione 1999), in riferimento all'art. 76 della Costituzione,
non  prevedendo  la norma impugnata i limiti e l'oggetto della delega
in  una  materia, quale quella riguardante la competenza del giudice,
coperta  da  riserva  assoluta  di  legge ai sensi dell'art. 25 della
Costituzione.
    In considerazione dell'identita' delle questioni, i giudizi vanno
riuniti per essere decisi con unica pronuncia.
    2. - Le questioni sono infondate.
    2.1. - L'opposizione avverso il provvedimento di liquidazione dei
compensi agli ausiliari del magistrato era disciplinata dall'art. 11,
commi  quinto  e  sesto,  della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi
spettanti  ai  periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori
per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorita' giudiziaria) il
quale  prevedeva  il  ricorso  dinanzi  al  tribunale o alla corte di
appello,  ai  quali apparteneva il giudice o presso cui esercitava le
sue  funzioni  il  pubblico  ministero,  ovvero  al tribunale nel cui
circondario  aveva sede il pretore che aveva emesso il decreto (comma
quinto) e stabiliva che il procedimento era regolato dall'articolo 29
della  legge  15  giugno 1942,  n. 794  («Onorari  di  avvocato  e di
procuratore  per  le  prestazioni  giudiziali in materia civile»). Il
giudizio  di opposizione si svolgeva, quindi, in camera di consiglio,
secondo la procedura per la liquidazione degli onorari agli avvocati,
dinanzi ad un giudice in composizione collegiale.
    La  norma  impugnata  -  che  fa  parte  del  testo  unico  delle
disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia  di spese di
giustizia,  emanato  sulla  base  della  delega  conferita al Governo
dall'art. 7  della  legge n. 50 del 1999, come modificato dall'art. 1
della   legge  n. 340  del  2000  -  pur  conservando  il  rinvio  al
procedimento  speciale previsto per gli onorari di avvocato, anche se
nella  forma  indiretta, prevede che l'ufficio giudiziario proceda in
composizione  monocratica.  Secondo  quanto  risulta  dalla relazione
governativa  alla  norma  di cui si tratta - strettamente collegata a
quella   concernente   l'art. 99   dello  stesso  testo  unico  -  il
legislatore  delegato  ha  introdotto  la composizione monocratica in
luogo  di  quella  collegiale  al  fine di adeguare la disciplina del
processo  in  questione alla riforma, operata dal decreto legislativo
19 febbraio  1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice
unico  di  primo grado), in base alla quale il giudice monocratico e'
la   regola,   mentre  quello  collegiale  costituisce  un'eccezione.
Adeguamento   che,   sempre   secondo  l'intenzione  del  legislatore
delegato,  appariva  idoneo ad evitare che una procedura semplificata
in   origine,   nel  contesto  in  cui  la  regola  generale  era  la
composizione  collegiale,  andasse  successivamente  nella  direzione
opposta a quella seguita dal legislatore della riforma.
    Ad   avviso   del  remittente  sarebbe  violato  l'art. 76  della
Costituzione,  non potendosi ricondurre l'innovazione nell'ambito ne'
del   coordinamento  formale,  ne'  delle  modifiche  necessarie  per
garantire   la  coerenza  logica  e  sistematica  -  ai  sensi  della
lettera d),  comma 2,  dell'art. 7 della legge delega - alla luce del
richiamo al d.lgs. n. 51 del 1998 che ha introdotto il giudice unico,
contenuto nella relazione governativa.
    La  censura  e'  priva  di  fondamento. Come gia' affermato nella
sentenza   (in   pari   data)   relativa   ad  analoga  questione  di
costituzionalita'   concernente   l'art. 99   dello   stesso  decreto
legislativo  n. 113  del  2002,  tra  i criteri direttivi individuati
nella  delega  assume rilievo proprio quello invocato dal remittente.
Se  l'obiettivo  e'  quello della coerenza logica e sistematica della
normativa, il coordinamento non puo' essere solo formale, come non ha
mancato  di  sottolineare  anche  il  Consiglio  di  Stato nel parere
espresso nel corso della procedura di approvazione del testo unico.
    Inoltre,  se  l'obiettivo  e'  quello di ricondurre a sistema una
disciplina stratificata negli anni, con la conseguenza che i principi
sono  quelli  gia'  posti  dal legislatore, non e' necessario che sia
espressamente  enunciato  nella  delega  il  principio  gia' presente
nell'ordinamento, essendo sufficiente il criterio del riordino di una
materia  delimitata.  Entro  questi  limiti  il  testo  unico  poteva
innovare per raggiungere la coerenza logica e sistematica e, come nel
caso  di  specie,  prevedere  la  composizione  monocratica, anziche'
collegiale  del  giudice,  applicando  al  processo  in  questione il
principio  generale  affermato  con  la  riforma del 1998, al fine di
rendere  la  disciplina piu' coerente nel suo complesso e in sintonia
con l'evolversi dell'ordinamento.
    Ne'  a  diversa conclusione puo' indurre l'art. 50-bis cod. proc.
civ.  (inserito dall'art. 56 del decreto legislativo n. 51 del 1998),
il  quale,  nell'elencare in via di eccezione, rispetto al successivo
art. 50-ter,  le  cause  in  cui  il tribunale decide in composizione
collegiale,  richiama  (secondo  comma)  i  procedimenti in camera di
consiglio  disciplinati  dagli  articoli 737 e seguenti del codice di
rito,  salvo  che  sia  altrimenti disposto. Infatti, il procedimento
camerale  disciplinato  dall'art. 29  della legge n. 794 del 1942, al
quale  rinvia  la norma impugnata, non rientra tra quelli di cui agli
articoli 737  e  seguenti  del  codice.  A  tal  fine  e' sufficiente
considerare   che   il   provvedimento  non  e'  impugnabile,  mentre
l'art. 739 cod. proc. civ. prevede espressamente il reclamo.
    2.2.  -  E' parimenti infondata la questione di costituzionalita'
dell'art. 7 della legge di delega, sollevata in via subordinata.
    Il testo unico in oggetto trova fondamento nella delega conferita
al Governo dall'art. 7, commi 1 e 2, della legge n. 50 del 1999, come
modificato  dall'art. 1  della legge n. 340 del 2000. Ai fini che qui
interessano,  questa norma prevede l'emanazione di testi unici intesi
a   riordinare   le   materie   elencate   nelle   leggi  annuali  di
semplificazione  (comma 1, lett. b) mediante il richiamo dei relativi
provvedimenti  normativi;  materie che, per il testo unico in tema di
spese  di  giustizia,  risultano  dall'allegato 1 della stessa legge,
numeri  9,  10  e  11,  attraverso l'individuazione, tra i tanti, dei
cosiddetti  campione penale e civile (n. 10), che regolavano anche le
spese  concernenti  gli  ausiliari del giudice. La materia oggetto di
riordino risulta, quindi, delimitata dalla normativa richiamata negli
allegati, mentre i limiti di intervento del legislatore delegato sono
segnati   dai  principi  e  criteri  direttivi  fissati  dall'art. 7,
comma 2.
    Quanto all'evocazione dell'art. 25 della Costituzione, effettuata
dal  remittente  per  rafforzare  la  dedotta violazione dell'art. 76
della  Costituzione  in  riferimento  a  materia  che, concernendo la
competenza del giudice, sarebbe coperta da riserva assoluta di legge,
e'  sufficiente  sottolineare  che  la  norma impugnata disciplina la
composizione dell'organo giudicante e non certamente la competenza.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 170  del  decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo
unico   delle   disposizioni  legislative  in  materia  di  spese  di
giustizia),   come   riprodotto  nel  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  30 maggio  2002,  n. 115  (Testo unico delle disposizioni
legislative  e  regolamentari  in  materia  di  spese  di giustizia),
sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dal giudice
del  Tribunale di Messina designato dal Presidente del tribunale, con
le ordinanze in epigrafe;
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 7  della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi
unici  di  norme  concernenti  procedimenti amministrativi - legge di
semplificazione 1998),   come   modificato  dall'art. 1  della  legge
24 novembre  2000,  n. 340  (Disposizioni  per  la delegificazione di
norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - legge
di   semplificazione 1999),   sollevata   in   via   subordinata,  in
riferimento all'art. 76 della Costituzione, dal giudice del Tribunale
di  Messina  designato dal Presidente del tribunale, con le ordinanze
in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.
                        Il Presidente: Onida
                      Il redattore: Finocchiaro
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 28 gennaio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
05C0131