N. 80 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 novembre 2004
Ordinanza emessa il 18 novembre 2004 dal tribunale di Verona nel procedimento penale a carico di Arboit Alessandro ed altri Processo penale - Reati in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa - Giudizio direttissimo - Presentazione dell'imputato in udienza nel termine di 15 giorni dall'arresto o dall'iscrizione nel registro delle notizie di reato - Mancata previsione secondo la giurisprudenza di legittimita' maggioritaria - Violazione del principio di uguaglianza per il deteriore trattamento degli imputati di detti reati rispetto agli altri imputati sottoposti a giudizio direttissimo nei casi indicati dall'art. 449 del c.p.p. - Incidenza sul diritto di difesa - Violazione dei principi del giusto processo. - Decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, art. 6, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111.(GU n.9 del 2-3-2005 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel proc. pen. n. 1007/2004 R.G.Trib. contro Arboit Alessandro + 23. Letta la memoria depositata dalla difesa degli imputati in data 15 novembre 2004, sentite le parti; O s s e r v a 1. - Nel procedimento penale a carico di Arboit Alessandro ed altri 23, imputati di reati in materia di discriminazione razziale etnica e religiosa (artt. 110, 112 comma 1 n. 1, 614, 610, 582 e 594 tutti aggravati dall'art. 3 comma d.l. n. 122/1993 conv. legge n. 205/1993; artt. 110, 112 comma 1 n. 1 e 3 comma 1 lett. b) legge n. 654/1975 e succ. modificazioni; nonche' art. 697 c.p.), il Tribunale di Verona con ordinanza in data 7 aprile 2003, in accoglimento di una questione preliminare sollevata da tutti i difensori degli imputati - e relativa alla necessita' di rispettare il termine di 15 giorni di cui all'art. 449 commi 4 e 5 c.p.p. anche alle ipotesi di giudizio direttissimo atipico di cui all'art. 6, comma 5, legge n. 205/1993 - ha disposto, ai sensi dell'art. 452 c.p.p., la trasmissione degli atti al p.m. affinche' procedesse con le forme del rito ordinario. Nel caso di specie infatti il p.m., a fronte di arresti in flagranza avvenuti il 10 gennaio 2003, ha richiesto il giudizio direttissimo in data 12 marzo 2003, ossia dopo circa 60 giorni dalla commissione del fatto. 2. - Avverso detta ordinanza il Procuratore della Repubblica di Verona ha proposto ricorso per cassazione (ricorso in data 17 aprile 2003 depositato nella cancelleria del Tribunale di Verona il 18 aprile 2003). 3. - La suprema Corte di cassazione, con sentenza della prima sezione penale n. 791 del 4 marzo 2004 (c.c. 11 febbraio 2004) ha annullato senza rinvio l'impugnata ordinanza e ha disposto la restituzione degli atti al Tribunale di Verona per l'ulteriore corso. 4. - A seguito dell'annullamento gli imputati sono stati citati a comparire al giudizio direttissimo avanti a questo tribunale. 5. - All'odierna prima udienza di trattazione i difensori degli imputati hanno illustrato l'eccezione, anticipata con la citata memoria del 15 novembre 2004, di illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 5, d.l. 26 aprile 1993 n. 122 in relazione all'art. 24 nonche' all'art. 111 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che l'imputato debba essere presentato in udienza nel termine di giorni 15 dall'arresto o dall'iscrizione nel registro della notizia di reato (mod. 21). Ad avviso della difesa l'interpretazione del citato art. 6, comma 5, d.l. n. 122/1993 - in senso conforme alla sentenza n. 791/2004 della prima sezione della Cassazione - violerebbe innanzitutto il diritto di difesa (art. 24 Costituzione). A tale riguardo, la difesa degli imputati osserva che se il tempo intercorrente tra l'arresto e il giudizio venisse prolungato superando il limite di 15 giorni stabilito dal legislatore nell'art. 449 comma 5 c.p.p., la pubblica accusa avrebbe la possibilita' di prolungare discrezionalmente le proprie indagini accusatorie senza limitazioni di sorta. La difesa, contrariamente, non avrebbe la possibilita' di conoscere tali emergenze probatorie prima della notifica del decreto di citazione per il giudizio direttissimo, che, dovendo essere eseguita «senza ritardo», potrebbe avvenire anche il giorno antecedente l'udienza. Verrebbe pertanto violato in tale circostanza il diritto alla difesa, atteso che questa non avrebbe la possibilita' di svolgere le indagini previste dagli artt. 391-bis e segg. c.p.p., e di preparare una adeguata strategia tale da garantire all'imputato la miglior tutela giudiziaria. Sottolineano, inoltre, i difensori degli imputati che l'art. 6 del suddetto decreto Mancino viola ampiamente il dettato dell'art. 111 della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2 e in particolare il comma secondo di tale disposizione, secondo il quale «... Ogni processo si volge nel contraddittorio delle parti, in condizione di parita' ...», e il comma terzo dello stesso articolo 111, secondo il quale «... La legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel piu' breve tempo possibile, informata della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico», e «disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa». Ed invero l'art. 6, cosi' come interpretato dalla suprema Corte, concede alla pubblica accusa di potere espletare le necessarie indagini anche all'insaputa dell'indagato per molti mesi o addirittura per anni, mentre nega qualsiasi possibilita' agli imputati di difendersi con le modalita' previste dall'art. 111 della Costituzione. Manca infatti, ad avviso della difesa, ogni condizione di parita' nel giudizio direttissimo tra pubblico ministero e difensore, come invece sancito dal secondo comma dell'art. 111 Cost., ed e' assente, piu' che mai, il diritto, per l'imputato, di essere avvisato, nel piu' breve tempo possibile, relativamente alla natura ed ai motivi dell'accusa, in modo che lo stesso disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa (art. 111, terzo comma, Cost.). La difesa rileva vieppiu' che nel giudizio direttissimo essa deve preparare le proprie argomentazioni a tutela del proprio assistito in 10 giorni, sempre che venga ad essa concesso il termine massimo previsto dall'art. 451 comma quarto c.p.p.; mentre, nel caso in cui si proceda secondo le forme del rito ordinario, il difensore ha a disposizione. per attuare le proprie strategie, almeno 20 giorni stabiliti dall'art. 415-bis c.p.p., 10 giorni secondo quanto disciplinato dall'art. 419 c.p.p. nonche' ulteriori 20 giorni a mente dell'art. 429, comma terzo, c.p.p. I difensori degli imputati rilevano ancora come il giudizio direttissimo sia l'unico, tra i riti alternativi al dibattimento, disciplinati dal codice di rito, che conceda un cosi' corto raggio d'azione alla difesa e che riservi al pubblico ministero una iniziativa cosi' esclusiva nei confronti dell'imputato, in quanto la ratio stessa di tale giudizio speciale e' giustificata dal fatto che sia possibile, per la pubblica accusa, ricorrere ad esso solo in ipotesi tassative e, per quello che qui rileva, in termini ristretti. Se pertanto la legge speciale, il c.d. decreto Mancino, prevede la possibilita' di applicare il rito direttissimo anche al di fuori dei casi previsti dall'art. 449 c.p.p., affinche' la norma non violi i principi della Costituzione, ovverosia il diritto di difesa e il diritto ad un giusto processo, che implichi lo svolgimento dello stesso nel contraddittorio delle parti e in condizioni di parita', e' necessario che esso venga interpretato dalle parti nel senso piu' garantista, e cioe' che sia applicabile bensi' al di fuori dei casi previsti dalla normativa generale, ma che le modalita', e soprattutto i tempi, siano gli stessi di quelli disciplinati dall'art. 449 e segg. c.p.p., al fine di non garantire solamente al pubblico ministero la possibilita' di effettuare indagini per moltissimo tempo comprimendo il diritto della difesa di effettuare le proprie indagini nel termine massimo di 10 giorni. 6. - Ritiene il tribunale che la questione di legittimita' costituzionale, cosi' come formulata ed argomentata, non sia manifestamente infondata. 7. - Ai fini dell'esame e della valutazione della questione e' opportuno, preliminarmente, procedere ad un excursus sulla disciplina e sulla ratio del giudizio direttissimo. Il giudizio direttissimo, al pari del giudizio immediato, «salta» l'udienza preliminare. E cio' con un'economia di tempo e di attivita' processuale: entrambi i riti affluiscono direttamente innanzi al giudice dibattimentale. La scelta di una tale semplificazione dell'iter processuale fa capo esclusivamente al pubblico ministero, beninteso nelle sole ipotesi in cui ricorrano i relativi presupposti normativi. Il giudizio direttissimo, peraltro, si differenzia dal giudizio immediato perche' nel primo caso l'imputato viene presentato direttamente al giudice dibattimentale, mentre nel secondo caso e' il g.i.p. a dovere emettere il decreto di giudizio immediato quando ne ricorrano i presupposti ai sensi degli artt. 453, 454, 455 e 419 comma 5 c.p.p. Il giudizio direttissimo ha come suo presupposto una particolare originaria situazione di evidenza della prova. L'evidenza si rivela nell'avvenuto arresto in flagranza del prevenuto: arresto, obbligatorio o facoltativo (artt. 380, 381 c.p.p.), in cui lo stato di flagranza (art. 382 c.p.p.) esclude la necessita' di particolari o speciali indagini sulla sussistenza del reato e sull'addebitabilita' di questo al prevenuto. L'evidenza della prova si estrinseca, altresi', nell'avvenuta confessione resa dall'indagato al p.m. nel corso dell'interrogatorio (sia nell'ipotesi di indagato a piede libero ex artt. 364, 374 comma 2, 370 comma 1, 388 c.p.p. sia nell'ipotesi di indagato colpito da ordinanza cautelare del g.i.p. comportante custodia in carcere, arresti domiciliari, custodia in casa o luogo di cura ex artt. 294, 391 c.p.p.). La bipartizione dell'evidenza della prova (flagranza del reato con arresto ad iniziativa della p.g., confessione - fuori della flagranza - dell'indagato libero o in custodia cautelare jussu judicis) si deve coniugare, per la corretta instaurazione del rito, con il rispetto del termine stringente di 15 giorni, insuperabile e decorrente dall'arresto ovvero dalla notitia criminis (art. 449 c.p.p.) 1) Oltre al giudizio direttissimo tipico, vale a dire quello disciplinato dal codice di rito, il nostro ordinamento conosce anche altre figure di giudizio direttissimo cd. «atipiche», introdotte storicamente da leggi e decreti speciali, e in particolare: dell'art. 12-bis d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (in materia di armi); dell'art. 6 comma 5 d.l. 26 aprile 1993 n. 122 conv. in legge 25 giugno 1993 n. 205 (in materia di reati di discriminazione etnica, razziale e religiosa); dell'art. 8-bis d.l. 20 agosto 2001 n. 336 conv. in legge 19 ottobre 2001 n. 337 (in materia di repressione dei fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive); degli artt. 12, comma 4, 13, comma 13-ter, e 14 comma 5-quinquies d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e successive modifiche (in materia di immigrazione). In tutte le ipotesi da ultimo indicate il rito direttissimo e' attivato indipendentemente dall'arresto in flagranza o della confessione, quindi prescindendo dal presupposto dell'evidenza della prova. Il rito direttissimo, quindi, si giustifica con le esigenze di celerita', immediatezza ed esemplarita' del processo. Il termine temporale dei 15 giorni si pone come un limite alla valorizzazione dell'evidenza della prova ai fini della celebrazione del giudizio direttissimo, giacche' l'evidenza realizzatasi oltre i 15 giorni ed entro i 90 (giorni) dall'iscrizione del fatto nel registro delle notizie di reato (mod. 21) e' utilizzabile solo per instaurare il giudizio immediato e l'evidenza realizzatasi oltre i 90 giorni non comporta alcuna abbreviazione dell'ordinaria sequela delle scansioni processuali. Poiche' si tratta sempre di riduzioni delle sequenze procedimentali (con limiti anche del giudizio di appello, vds. artt. 452, comma 2 e 458 comma 2 c.p.p.), il giudizio direttissimo, come quello immediato, non e' mai obbligatorio per il p.m., tanto che, pur quando ne ricorrano i presupposti, egli puo' sempre scegliere di non procedere alla loro adozione 2): trattandosi di scelte di rito, esse sono sempre discrezionali, con la differenza, peraltro, che nell'ambito della categoria del giudizi direttissimi c.d. atipici il rito di cui si tratta e' imposto tout court o con espressioni normative quali «il pubblico ministero procede comunque a giudizio direttissimo» o con espressioni normative quali «il pubblico ministero procede al giudizio direttissimo anche fuori dei casi previsti dall'art. 449 c.p.p., salvo che siano necessarie speciali indagini» come stabilito dall'art. 6 comma 5 d.l. 26 aprile 1993, n. 122. convertito con modificazioni nella legge 25 giugno 1993, n. 205. Nell'ipotesi prevista da detto articolo puo', quindi, ritenersi che, per i reati in materia di violenza o di incitamento a commettere violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, nonche' reati associativi in materia di discriminazione o violenza per detti motivi, ovvero qualsiasi reato aggravato dalle citate finalita', il giudizio direttissimo e' obbligatorio in via tendenziale, nel senso che l'esercizio dell'azione penale da parte del p.m. deve avvenire soltanto con decreto di citazione a giudizio direttissimo da emettersi tutte le volte in cui si versa in una situazione di evidenza probatoria che rende superflue specifiche attivita' di indagine e consente al p.m. di pronosticare una non particolare complessita' dell'istruzione dibattimentale. L'accelerazione del rito non puo' comunque comportare una attenuazione delle garanzie difensive. Ne consegue che: a) se non sono necessarie speciali indagini per i reati di che trattasi il p.m. e' tenuto all'obbligo di esercitare l'azione penale con l'emissione del decreto di citazione a giudizio direttissimo anche in assenza dei presupposti generali di ammissibilita' (arresto in flagranza e/o confessione), salvo il rispetto del termine di 15 giorni (dall'arresto e/o dall'iscrizione nel registro di notizie di reato); b) se sono necessarie speciali indagini il p.m. non e', invece, vincolato all'obbligo di esercitare l'azione penale con l'emissione del decreto di citazione a giudizio direttissimo. 8. - Alla luce delle considerazioni suesposte, ritiene il tribunale che l'interpretazione dell'art. 6, comma 5, della legge 25 giugno 1993, n. 205, coerente con il sistema del codice di rito e rispettosa dei principi costituzionali, sia quella proposta con l'ordinanza pronunciata dal Tribunale di Verona all'udienza del 7 aprile 2003, interpretazione condivisa da un ampio indirizzo dottrinario e da parte della giurisprudenza di legittimita'. Non puo', tuttavia, omettersi di rilevare che tale interpretazione e' assolutamente minoritaria nella giurisprudenza di legittimita' come, del resto, e' dimostrato dalla sentenza n. 791 del 4 marzo 2004 con la quale la Corte suprema ha annullato la citata ordinanza. Se tale deve considerarsi il diritto vivente, non vi e' dubbio che la disposizione di cui all'art. 6, comma 5, della citata legge si presti a delle censure di illegittimita' costituzionale con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione. Svincolando la pubblica accusa dal rispetto del termine di 15 giorni si determina, invero, un grave sbilanciamento tra i poteri del pubblico ministero e i diritti dell'imputato in danno di quest'ultimo, consentendosi in astratto all'organo inquirente di procedere ad indagini preliminari, prolungate nel tempo e approfondite nel merito, e di portare tali indagini a conoscenza dell'imputato solo nel momento in cui lo stesso venga presentato al giudice del dibattimento. Se un tale esito si giustifica nei casi previsti dall'art. 449, comma 5, c.p.p., nei quali proprio la brevita' del termine di 15 giorni impedisce lo svolgimento di un'indagine di notevole complessita', ed e' compensato dal corrispondente termine di 10 giorni concesso all'imputato per approntare la sua difesa, non altrettanto puo' dirsi nell'ipotesi in cui sia consentita al pubblico ministero la liberta' assolutamente discrezionale di compiere atti di indagine senza limitazioni temporali che non siano quelle previste dall'art. 405, comma 2, c.p.p. Il rilievo suesposto e' sufficiente, ad avviso, del tribunale, a ritenere violate le disposizioni dell'art. 3 Cost. sotto il profilo della manifesta disparita' di trattamento tra coloro che vengono sottoposti a giudizio direttissimo nei casi indicati dall'art. 449 c.p.p. e coloro che a tale giudizio sono sottoposti nelle ipotesi di cui al c.d. Decreto Mancino; dell'art. 24 Cost. sotto il profilo della compressione delle garanzie difensive; dell'art. 111 Cost. sotto il profilo della condizione di parita' delle parti nel processo, del diritto dell'imputato ad essere informato, nel piu' breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico e, conseguentemente, dell'adeguatezza del tempo a disposizione per approntare la difesa. 9. - La questione di legittimita' costituzionale e' sicuramente rilevante nel processo di cui si tratta. Ed invero, non avendo presentato gli imputati al dibattimento nel termine dei 15 giorni, il pubblico ministero avrebbe dovuto procedere con le forme ordinarie: sarebbero state ripristinate cosi' tutte le garanzie difensive a queste connesse. 1) (Vds. Cass. sez. un. 23 novembre 1990, Colombo e altro). 2) Vds., ex multis, Cass. pen., 30 aprile 1992, Mottes.
P. Q. M. Letto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio n. 1948, n. 1 e l'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per contrarieta' agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dell'art. 6, comma 5, d.l. 26 aprile 1993 n. 122 nella parte in cui, secondo l'interpretazione maggioritaria della giurisprudenza di legittimita', non prevede che l'imputato debba essere presentato in udienza nel termine di giorni 15 dall'arresto o dall'iscrizione nel registro delle notizie di reato; Ordina di conseguenza, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notifica al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Dispone la sospensione del procedimento in corso fino all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 23, quarto comma, legge n. 87/1953. Verona, addi' 18 novembre 2004 Il Presidente: Sannite 05C0234