N. 94 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 novembre 2004
Ordinanza emessa l'11 novembre 2004 dal tribunale amministrativo regionale della Puglia - sez. staccata di Lecce sul ricorso proposto da Toumi Mouhiddine contro il Ministero dell'interno Straniero - Ingresso e soggiorno per lavoro autonomo - Revoca del permesso di soggiorno ed espulsione mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, in caso di condanna con sentenza irrevocabile per determinati reati - Automaticita' della sanzione - Eguale ingiustificato trattamento sanzionatorio di fatti anche di minore gravita' (nella specie detenzione ai fini della vendita di audiocassette abusive) - Violazione del principio di uguaglianza - Incidenza sul principio di proporzionalita' ed adeguatezza delle sanzioni. - D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 26, comma 7-bis, aggiunto dall'art. 21, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189. - Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo. Straniero - Espulsione mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica - Opposizione avverso il decreto di espulsione - Competenza attribuita al giudice di pace del luogo ove ha sede l'autorita' che ha disposto l'espulsione, anziche' al giudice amministrativo - Violazione del principio di riserva di giurisdizione del giudice amministrativo per la tutela degli interessi legittimi. - D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 8, sostituito dall'art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, come modificato dall'art. 1, comma 2, del d.l. 14 settembre 2004, n. 241. - Costituzione, artt. 100, primo comma, e 103, primo comma.(GU n.10 del 9-3-2005 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella Camera di Consiglio del 29 settembre 2004. Visto il ricorso n. 1777/2004 proposto da Toumi Mouhiddine rappresentato e difeso da Sansone Maurizio, Sansone Gaetano con domicilio eletto in Lecce, via Zanardelli, 7, presso Vantaggio Angelo; Contro Ministero dell'interno - Roma, rappresentato e difeso dalla Avvocatura distretturale dello Stato, con domicilio eletto in Lecce, via F. Rubichi, 23, presso la sua sede per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, del provvedimento cat. A. 12/2004 imm. n. 08, emesso dal questore di Brindisi in data 31 gennaio 2004, notificato in data 25 agosto 2004, di revoca del titolo di soggiorno; del successivo e consequenziale decreto di espulsione emesso dal prefetto della provincia di Brindisi in data 6 febbraio 2004, notificato in data 25 agosto 2004; del contestuale ordine emesso dal questore di Brindisi in data 25 agosto 2004 di trattenimento presso il Centro di temporanea permanenza di Restinco (Brindisi); di ogni altro atto presupposto, antecedente e/o successivo per quanto non noto; Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso; Vista la domanda di sospensione della escuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno - Roma; Udito il relatore dott. Massimiliano Balloriani e uditi altresi' per le parti l'avv. Vantaggiato, in sostituzione degli avvocati M. G. Sansone, e l'avvocato dello Stato Libertini; Considerato in fatto e diritto quanto segue. F a t t o Il 31 gennaio 2004, il questore di Brindisi, in applicazione dell'art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 286/1998, con il provvedimento impugnato, ha revocato al ricorrente il permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, atteso che il medesimo e' risultato essere stato condannato, in data 28 marzo 2003 (con sentenza divenuta irrevocabile il 7 luglio 2003), alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 2.000 di multa, con sentenza emessa dal Tribunale ordinario di Brindisi - Sezione staccata di Fasano, per la violazione della norma di cui all'art. 171, lettera b), della legge n. 633/1941, sul diritto d'autore, poiche' trovato in possesso di 119 musicassette («da altri abusivamente duplicate o riprodotte») destinate alla vendita. Inoltre, il ricorrente, oltre al provvedimento del questore di Brindisi, di annullamento del permesso di soggiorno, ha altresi' impugnato il decreto di espulsione adottato dal prefetto di Brindisi il 6 febbraio 2004, adottato ai sensi dell'art. 13, comma 2, in conseguenza della revoca del permesso di soggiorno. Questo tribunale, rilevando profili di illegittimita' costituzionale a carico dell'art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 286/1998, laddove dispone che «La condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizione del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazionei, relativi alla tutela del diritto di autore (...) comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l'espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica», con ordinanza n.1095/2004, ha accolto l'istanza cautelare fino alla pronunzia di codesta Corte sulla q.l.c. sollevata con la presente ordinanza, ed ha, conseguentemente, confermato la sospensione dei provvedimenti impugnati, gia' disposta con decreto presidenziale n.1041/2004. La sospensione, inoltre, e' stata estesa anche al decreto di espulsione del prefetto, rilevando questo tribunale, altresi', profili di illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 8, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, laddove, cosi' come modificato dal comma 2, dell'art. 1, d.-l. 14 settembre 2004, n. 241, prevede che «Avverso il decreto di espulsione puo' essere presentato unicamente il ricorso al giudice di pace del luogo in cui ha sede l'autorita' che ha disposto l'espulsione. Il termine e' di sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione». D i r i t t o 1. - La rilevanza della q.l.c., nella presente fase di giudizio, e' resa evidente dalla premessa in fatto, dalla quale si evince che la pronunzia della Corte costituzionale, sulla legittimita' di entrambe le norme indicate, condiziona la tutela cautelare, nei termini in cui e' stata richiesta dal ricorrente. 2. - L'art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 286/1998, laddove dispone che «La condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore (...) comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l'espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica», si manifesta costituzionalmente illegittimo, per diversi motivi. 2.1. - Innanzitutto e' palese il contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Dal combinato disposto degli artt. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286/1998, secondo cui «Non e' ammesso in Italia lo straniero che (...) sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone o che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'art. 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la liberta' sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minore da impiegare in attivita' illecite», art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286/1998, secondo cui «Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo son rifiutati e, se il permesso di soggiorno e' stato rilasciato, esso e' revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato», art. 13, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 286/1998, secondo cui «L'espulsione e' disposta dal prefetto quando lo straniero: a) e' entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera (...); b) (...) quando il permesso di soggiorno e' stato revocato o annullato, (...)», art. 15 del d.lgs. n. 286/1998, secondo cui «Fuori dei casi previsti dal codice penale, il giudice puo' ordinare l'espulsione dello straniero che sia condannato per taluno dei delitti previsti dagli artt. 380 e 381 del codice di procedura penale, sempre che risulti socialmente pericoloso», si desume, con chiarezza, che l'espulsione dal territorio nazionale (sia in via amministrativa che come misura di sicurezza) dello straniero extracomunitario, regolarmente entrato, presuppone pur sempre un giudizio di pericolosita' sociale, spesso ancorato alla commissione di reati perticolarmente sintomatici di tale pericolosita' sociale. L'aver previsto, con l'art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 286/1998, che «La condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore (...) comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l'espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica», postula, evidentemente, che il legislatore abbia collocato tale illecito penale sullo stesso piano dei «reati previsti dall'art. 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la liberta' sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da desinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attivita' illecite», che, in caso di condanna, ai sensi del combinato disposto degli artt. 4, comma 3, 5, comma 5, e 13, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 286/1998, comportano, di fatto, l'espulsione automatica (a prescindere da qualsivoglia giudizio di pericolosita) dello straniero regolarmente entrato in Italia. E' evidente, pertanto, l'irragionevolezza del giudizio del legislatore che, sotto il profilo della sintomaticita' della pericolosita' sociale dello straniero e delle conseguenti esigenze di tutela, sostanzialmente, pone i reati indicati dall'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286/198 sullo stesso piano di quelli di cui al Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, che prevedono pene edittali notevolmente inferiori, ed in particolare sullo stesso piano del reato di cui all'art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633, cui e' stato condannato il ricorrente e che prevede una pena edittale massima di un anno di reclusione. 2.2. - L'irragionevolezza si manifesta, inoltre, allorche' il legislatore, a condotte dotate di offensivita' palesemente diverse (quelle espresse dai reati richiamati nell'art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 286/1998 e quelle espresse da quelli richiamati nell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286/1998), assoggetta gli autori a conseguenze sfavorevoli di identico contenuto. 2.3. - Questo tribunale non concorda (appare doveroso specificarlo ai fini dell'ammissibilita' della presente ordinanza di rimessione) con la qualificazione giuridica dell'espulsione, prevista dall'art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 286/1998, quale pena accessoria ai reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, come invece ritenuto da altra giurisprudenza (v. ordinanza del 27 maggio 2004 del tribunale ordinario di Lecce, in G.U. n. 38 del 29 settembre 2004, con la quale e' stata rimessa, alla Corte costituzionale, q.l.c. del medesimo art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 289/1998). Si ritiene, infatti, che essa non integri un effetto penale della condanna, ma costituisca l'oggetto di un successivo procedimento amministrativo vincolato, anche se trae fondamento dalla sentenza di condanna pronunziata a carico dello straniero. Il fatto che il legislatore abbia vincolato l'amministrazione all'adozione di un atto amministrativo, non giustifica la considerazione secondo cui gli effetti di esso debbano esse qualificati come pena accessoria della condanna penale, ed a tal fine e' sufficiente un mero rinvio alle interpretazioni operate dalla giurisprudenza nella vigenza di una fattispecie dagli aspetti procedurali per molti aspetti analoghi a quelli in esame, ossia quella prevista dell'art. 85 del d.P.R. n. 3/1957, che prevedeva la destituzione di diritto dei pubblici dipendenti, a seguito di condanna penale (Consiglio Stato, sez. VI, 6 luglio 1988, n. 913, Corte costituzionale, 14 ottobre 1988, n. 971). Del resto, la stessa lettera dell'art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 286/1998 evidenzia che la condanna penale e' solo un presupposto dell'ulteriore attivita' amministrativa vincolata. L'art. 26, comma 7-bis, infatti, dispone, come seguito della condanna penale, una ben precisa successione di due provvedimenti: la revoca (che e' sostantivo che indica comunemente l'atto amministrativo di secondo grado, piuttosto che gli effetti costitutivi prodotti da una sentenza) del permesso di soggiorno e l'espulsione (in via amministrativa). Tale lettura e' poi avvalorata anche dalla collocazione della disposizione: se il legislatore avesse voluto considerare l'espulsione quale pena accessoria, l'avrebbe, ragionevolmente, collocata nell'ambito dell'art. 16, che disciplina le espulsioni disposte dal giudice penale, nella sentenza di condanna. Nel caso in esame, tale interpretazione e' avvalorata anche dalla sentenza di condanna adottata dal giudice unico del tribunale di Brindisi - Sezione staccata di Fasano, che non contiene la menzione dell'espulsione come pena accessoria. In via del tutto incidentale, si rileva che anche l'improbabile configurazione dell'espulsione di cui all'art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 286/1998, come pena accessoria ai reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n .633, comunque non rende meno evidente l'rrazionalita' illustrata nei punti precedenti. A tale fine e' sufficiente il paragone con l'art. 15 del d.lgs. n. 286/1998, secondo cui, nel caso di condanna di uno straniero per delitti ben piu' gravi di quelli richiamati dall'art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 286/1998, cioe' per alcuno dei delitti previsti dagli artt. 380 e 381 del codice di procedura penale, il giudice puo' ordinare l'espulsione solo se lo straniero stesso risulti, in concreto, socialmente pericoloso. Oltre a tale manifesta e irragionevole sproporzione, si palesa cosi' l'ulteriore circostanza che tale ipotetica pena accessoria e', in astratto ed in concreto, del tutto svincolata da esigenze di tutela della sicurezza pubblica, e quindi ricollegabile solo ad esigenze sanzionatorie, ed allora essa si manifesta comunque parimenti illegittima, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, poiche' realizza, senza giustificazione, a parita' di illecito, una discriminazione nell'entita' sanzionatoria, tra cittadini e stranieri. 2.4. - L'articolo 26 comma 7-bis del d.lgs. 286/1998, e' altresi' illegittimo per contrasto con gli articoli 2 e 41 della Costituzione, laddove, per apprestare una tutela centrale e sproporzionata al diritto d'autore (oggi a tutela, soprattutto, del patrimonio e del mercato) espone ad un sacrificio assoluto la condizione dello straniero, esprimendo cosi' un giudizio in contrasto con la scala di valori espressa nella Carta costituzionale, ove la difesa dei valori fondamentali della persona umana, a prescindere dalla nazionalita', e' sicuramente anteposta a quella del patrimonio, del mercato e delle attivita' economiche della persona stessa. 2.4. - Il paragone con il procedimento di irrogazione della previgente destituzione di diritto dei pubblici dipendenti, inoltre, permette di utilizzare, ai fini della presente questione, alcune considerazioni svolte dalla Corte costituzionale, nella sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, che dichiaro' costituzionalmente illegittimo l'articolo 85 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957, laddove prevedeva la destituzione di diritto dei pubblici dipendenti, a seguito di condanna penale. In quella occasione, la Corte costituzionale ha richiamato il principio, evincibile dal sistema, dell'indispensabile esigenza di graduare qualunque sanzione al caso concreto, precisando che l'ordinamento appare «orientato, oggi, verso la esclusione di sanzioni rigide, avulse da un confacente rapporto di adeguatezza col caso concreto». Ora, anche alla luce di tale fondamentale principio di graduazione, evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza citata, l'art. 26 comma 7-bis del d.lgs. n. 286/1998 si palesa illegittimo, per violazione degli articoli 27 comma 3 e 3 della Costituzione, dato che esso vincola la revoca del permesso di soggiorno ed il conseguente provvedimento di espulsione, al mero presupposto della condanna per uno dei reati in esso richiamati (che si presentano molto eterogenei gia' nelle previsioni astratte ed ancor piu' eterogenei possono rivelarsi in concreto), cosi' impedendo la valutazione della reale entita' del fatto concreto e conducendo all'aberrante risultato che la condanna per detenzione, ai fini di vendita, anche di una sola audiocassetta «abusiva», comporti irrimediabilmente l'immediata espulsione di uno straniero regolarmente soggiornante nel nostro Paese. Nel caso in esame, il giudice penale ha espressamente riconosciuto la modesta entita' del fatto e pronosticato che il reo si sarebbe astenuto, per il futuro, dal commettere ulteriori reati, quindi ha disposto la sospensione della pena. Cio' nonostante la stessa sentenza, di fatto, ha rappresentato un presupposto ineludibile dell'espulsione in via amministrativa dello straniero regolarmente soggiornante in Italia. 3. - Anche l'art. 13 comma 8 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, laddove, cosi' come modificato dal comma 2 dell'art. 1, d.l. 14 settembre 2004, n. 241, prevede che «Avverso il decreto di espulsione puo' essere presentato unicamente il ricorso al giudice di pace del luogo in cui ha sede l'autorita' che ha disposto l'espulsione. Il termine e' di sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione», si manifesta costituzionalmente illegittimo. Non si vuole, in questa sede, riproporre semplicemente censure analoghe a quelle proposte dal Tribunale amministrativo regionale di Catania, con ordinanza del 29 novembre 2000, che ha sollevato, d'ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 6, comma 10, e 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui non devolvono ad un unico giudice e, segnatamente, al giudice amministrativo, le controversie relative al soggiorno degli stranieri in Italia. Tali censure, difatti, sono gia' state ritenute infondate da codesta Corte con la sentenza del 18 dicembre 2001, n. 414, nella quale e', tra l'altro, affermato che «rientra nella discrezionalita' del legislatore, ripartire, a seconda della tipologia e del contenuto dell'atto, la giurisdizione tra il giudice amministrativo ed il giudice ordinario, conferendo anche un eventuale potere di annullamento con gli effetti previsti dalla legge» e che «d'altro canto, dovendosi escludere l'esistenza di pregiudizialita' amministrativa nella materia considerata, il soggetto privato avrebbe potuto trovare piena tutela contro il provvedimento di espulsione avanti al giudice ordinario, che avrebbe potuto esercitare un sindacato incidentale sul presupposto atto di rifiuto o di rinnovo di permesso di soggiorno (e disapplicarlo), con effetti di illegittimita' derivata sull'atto oggetto della sua giurisdizione piena, ovviamente se ritualmente adita». La questione di legittimita' che si pone oggi, difatti, tiene conto dell'orientamento recentemente espresso nella sentenza di codesta Corte n. 204/2004, che ha precisato e specificato il ruolo del giudice amministrativo come giudice della funzione amministrativa, dell'attivita' amministrativa procedimentalizzata, escludendo che «dalla Costituzione non si desumano i confini entro i quali il legislatore ordinario, esercitando il potere discrezionale suo proprio (piu' volte riconosciuto gli da questa Corte), deve contenere i suoi interventi volti a ridistribuire le funzioni giurisdizionali tra i due ordini di giudici». Si denunzia, pertanto, l'illegittimita' dell'art. 13 comma 8 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, cosi' come modificato dal comma 2 dell'art. 1, d.l. 14 settembre 2004, n. 241, poiche' in contrasto con gli articoli 100 comma 1 e 103 comma 1 della Costituzione, che prevedono una riserva di giuridisdizione a favore del giudice amministrativo, per la tutela degli interessi legittimi, intesa oggi come tutela giudiziaria a fronte dell'esercizio della funzione amministrativa. Difatti, anche quando, come nel caso in esame, l'amministrazione nell'ambito del procedimento amministrativo dettagliatamente regolato dalla legge, sia totalmente vincolata nell'adozione del provvedimento, si e' pur sempre di fronte all'esercizio di una funzione amministrativa e, a fronte del provvedimento, la posizione del privato e' pur sempre di interesse legittimo (Consiglio Stato, sez. VI, 15 maggio 2003, n. 2661). Del resto, l'art. 5 comma 3 del d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito in legge, con modificazioni, con legge 28 febbraio 1990, n. 39, gia' prevedeva che «contro i provvedimenti di espulsione dal territorio dello Stato e contro il diniego e la revoca del permesso di soggiorno e' ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale del luogo del domicilio eletto dallo straniero» ed, inoltre, l'art. 13 comma 11 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 tuttora prevede che «contro il decreto di espulsione emanato ai sensi del comma 1 e' ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma». 3.1. - A cio' si aggiunga l'irragionevolezza dell'art. 13 comma 8 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, cosi' come modificato dal comma 2 dell'art. 1, 14 settembre 2004, n. 241, laddove, rimettendo al giudice di pace la giurisdizione e competenza per l'impugnazione dei provvedimenti di espulsione, di fatto, rende inutile la pronunzia, collegiale, del giudice amministrativo sui provvedimenti afferenti al permesso di soggiorno, ai sensi dell'art. 6 comma 10 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, atteso che l'interesse principale vantato dallo straniero e' quello di rimanere nel territorio nazionale, ed esso viene inciso in via principale dal provvedimento di espulsione. Del resto lo straniero, anche non impugnando tempestivamente il provvedimento di annullamento o revoca del permesso di soggiorno dinnanzi al giudice amministrativo, puo' adire il giudice di pace ed ottenere, solo in tal caso, una tutela piena, potendo il giudice di pace stesso disapplicare il provvedimento amministrativo di revoca o di annullamento del permesso di soggiorno, come rilevato da codesta Corte nella sentenza del 18 dicembre 2001, n. 414. Del resto, anche se l'illegittimita' del provvedimento di revoca o annullamento del permesso di soggiorno sara' pronunziata solo dal giudice di pace, al fine della disapplicazione, comunque l'amministrazione dovra' conformarsi a tale decisione. D'altro canto, invece, salvo il caso di tempestiva sentenza di annullamento o tempestiva ordinanza di sospensione giurisdizionale del provvedimento di revoca o annullamento del permesso di soggiorno, nessun effettivo risultato pratico potra' ottenere lo straniero ricorrendo al giudice amministrativo, potendo, nelle more della decisione del giudice amministrativo, intervenire la decisione di rigetto del ricorso innanzi al giudice di pace, sull'impugnazione del provvedimento di espulsione, rendendo cosi' vano l'eventuale successivo accoglimento del ricorso avverso i provvedimenti incidenti sul permesso di soggiorno, dato che tale accoglimento non potrebbe, di fatto, tutelare l'interesse del ricorrente a rimanere in territorio italiano. Ancor piu' evidente e' l'inutilita' pratica di una sentenza di rigetto da parte del giudice amministrativo, sul ricorso avverso i provvedimenti incidenti sul permesso di soggiorno, atteso che il giudice di pace, in sede di giudizio sul provvedimento di espulsione, potrebbe pur sempre disapplicare il provvedimento di revoca o annullamento del permesso di soggiorno e annullare il decreto di espulsione. Quindi, benche' ci si trovi di fronte ad un'attivita' amministrativa procedimentalizzata, e' il giudice di pace ad essere dotato di maggiori poteri di quello amministrativo sull'intero procedimento, complesso, teso all'espulsione dello straniero, ed in sostanza e' il giudice di pace ad essere dotato del reale potere di tutela dell'interesse legittimo del ricorrente a rimanere legittimamente nel territorio dello Stato. Cio', a meno di voler considerare il provvedimento di espulsione per revoca o annullamento del permesso di soggiorno come provvedimento meramente esecutivo (cosa che non appare sostenibile, visto che il provvedimento di espulsione, almeno con riferimento alle modalita' ed ai tempi, ha un proprio contenuto discrezionale, ulteriore rispetto alla revoca o annullamento del permesso di soggiorno), e pertanto affetto da invalidita' derivata e soggetto a caducazione automatica. Anche in tal caso, tuttavia, si paleserebbe illegittima la norma che ne affida la giurisdizione al giudice di pace, poiche' quest'ultimo sarebbe spesso chiamato a decidere di un atto ormai espunto dall'ordinamento.
P. Q. M. Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 26 comma 7-bis del d.lgs. n. 286/1998, laddove dispone che «La condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, (...) comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l'espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica» e dell'art. 13, comma 8, del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, laddove, cosi' come modificato dal comma 2 dell'art. 1, d.l. 14 settembre 2004, n. 241, prevede che «Avverso il decreto di espulsione puo' essere presentato unicamente il ricorso al giudice di pace del luogo in cui ha sede l'autorita' che ha disposto l'espulsione. Il termine e' di sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione»; Sospende il giudizio in corso; Ordina la trasmissione di questa ordinanza e degli atti del giudizio alla Corte costituzionale; Ordina la notificazione di questa ordinanza alle parti in causa ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri e la sua comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Lecce, nella Camera di consiglio del 29 settembre 2004. Il Presidente: Costantini L'estensore: Balloriani 05C0249