N. 12 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 22 febbraio 2005

Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 22
febbraio 2005 (della Camera dei deputati)

Parlamento  -  Immunita'  parlamentari  -  Proseguimento da parte del
  Tribunale civile di Messina del procedimento nei confronti dell'on.
  Nicola  Vendola  e  promozione  da parte dello stesso Tribunale del
  giudizio   di   legittimita'   costituzionale  in  via  incidentale
  dell'art. 3  della  legge  n. 140/2003,  dopo  la  deliberazione di
  insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati - Ricorso della
  Camera dei deputati - Denunciata lesione del principio di esercizio
  delle  funzioni parlamentari senza vincolo di mandato - Lesione del
  principio di insindacabilita' del parlamentare.
- Provvedimento  di  rinvio dell'udienza relativa al procedimento nei
  confronti  dell'on.  Nicola  Vendola (R.G. n. 207/2001) assunto dal
  Tribunale  di  Messina  in  data  30 giugno 2003;  provvedimento di
  rinvio  dell'udienza  relativa al medesimo procedimento assunto dal
  Tribunale  di  Messina  in  data  21 luglio  2003; provvedimento di
  trattenimento  della  causa in decisione, relativamente al medesimo
  procedimento, assunto dal Tribunale di Messina in data 22 settembre
  2003;  ordinanza  dal  Tribunale  di Messina 26-27 gennaio 2004 (in
  Gazzetta  Ufficiale  1ª serie speciale, 19 maggio 2004, con il R.O.
  389/2004),  con  la quale e' stato promosso il giudizio incidentale
  di    legittimita'    costituzionale    dell'art. 3   della   legge
  20 giugno 2003, n. 140.
- Costituzione, artt. 67 e 68, primo comma, anche in riferimento agli
  artt. 64, 70, 101, comma secondo.
(GU n.10 del 9-3-2005 )
    Ricorso  della  Camera  dei  deputati,  in persona del Presidente
on. Pier  Ferdinando  Casini,  come  da deliberazioni dell'Ufficio di
Presidenza  n. 171  del  29  aprile 2004 e della Camera del 13 maggio
2004,  e  giusta  mandato per notar Colistra in Roma, 12 luglio 2004,
Rep.  n. 99.637,  rappresentata  e  difesa  dall'avv.  prof.  Massimo
Luciani  ed  elettivamente  domiciliata presso il suo studio in Roma,
via Bocca di Leone, n. 78;

    Contro  il Tribunale civile di Messina, in persona del Presidente
pro  tempore,  in  ragione  e per l'annullamento del provvedimento di
rinvio   dell'udienza   relativa   al   procedimento   nei  confronti
dell'on. Nicola  Vendola (R.G. n. 2807/2001) assunto dal Tribunale di
Messina   in  data  30  giugno  2003;  del  provvedimento  di  rinvio
dell'udienza, relativa al medesimo procedimento assunto dal Tribunale
di Messina in data 21 luglio 2003; del provvedimento di trattenimento
della  causa  in  decisione,  relativamente al medesimo procedimento,
assunto   dal  Tribunale  di  Messina  in  data  22  settembre  2003;
dell'ordinanza  del  Tribunale  di  Messina  26-27  gennaio  2004 (in
Gazzetta  Ufficiale,  lª  Serie spec., 19 maggio 2004, con il n. R.O.
389/2004),  con  la  quale  e' stato promosso giudizio incidentale di
legitimita'  costituzionale  dell'art. 3  della legge 20 giugno 2003,
n. 140,  «nella  parte in cui consente al parlamentare di sollecitare
autonomamente   la  deliberazione  di  insindacabilita'  sottoponendo
direttamente  la  relativa  questione  alla  Camera di appartenenza e
provocando  in  tal  modo, senza alcun contradditrorio, una decisione
preclusiva  dell'ulteriore  corso  del  procedimento civile» e «nella
parte  in  cui,  estendendo l'immunita' del Parlamento ad "ogni altra
attivita'  di  ispezione,  di  divulgazione, di critica e di denunzia
politica,  connessa  alla  funzione  di parlamentare, espletata anche
fuori  dal  Parlamento", non impone una sostanziale corrispondenza di
significati  tra  le  dichiarazioni  rese  al di fuori dell'esercizio
delle  attivita'  parlamentari  tipiche  svolte  in  Parlamento  e le
opinioni  gia'  espresse  nell'ambito  di  queste  ultime»,e  per  la
statuizione che non spetta all'Autorita' giudiziaria e in particolare
al  Tribunale  civile  di Messina proseguire il giudizio pendente nei
confronti  di  un  membro  della  Camera  dei  deputati nonostante la
formulazione  dell'eccezione di applicabilita' dell'art. 68, comma 1,
della  Costituzione,  ne', una volta sopravvenuta la deliberazione di
insindacabilita' del parlamentare da parte della Camera dei deputati,
adottare  altri  atti  del  procedimento ed in particolare promuovere
questione incidentale di legittimita' costituzionale.

                              F a t t o

    1.  -  Con  lettera  indirizzata  al  Presidente della Camera dei
deputati  in  data  7 ottobre 2003, l'on. Nicola Vendola segnalava la
pendenza  nei  propri  confronti di un procedimento civile innanzi il
Tribunale  di  Messina,  introdotto  con  atto di citazione di S.E.S.
S.p.A.  editrice  del  quotidiano «La Gazzetta del Sud», nel quale si
lamentava  la  lesione  dell'onorabilita'  della  testata  e  del suo
direttore,  Nino  Calarco,  in  ragione  della  diffusione  da  parte
dell'on. Vendola,  durante  una  conferenza stampa, di un dossier dal
titolo «L'uomo del Ponte».
    L'on. Vendola  segnalava  altresi  che  nel corso del giudizio il
proprio  difensore  aveva  eccepito in due occasioni l'applicabilita'
della  guarentigia dell'insindacabilita' di cui all'art. 68, comma 1,
Cost.  Tanto,  invero,  era accaduto all'udienza del 30 giugno 2003 e
all'udienza del 21 luglio 2003, quando gia' vigeva la legge 20 giugno
2003,  n. 140  (entrata  in  vigore il 22 giugno 2004), a tenor della
quale  (art. 3,  comma  3)  «Nei  casi di cui al comma 1 del presente
articolo  e  in ogni altro caso in cui ritenga applicabile l'articolo
68,  primo  comma,  della  Costituzione...  Nel  processo  civile, il
giudice  pronuncia  sentenza  con  i provvedimenti necessari alla sua
definizione;  le  parti  sono  invitate a precisare immediatamente le
conclusioni  ed  i  termini, previsti dall'articolo 190 del codice di
procedura civile per il deposito delle comparse conclusionali e delle
memorie  di  replica,  sono  ridotti,  rispettivamente,  a quindici e
cinque  giorni.  Analogamente  il  giudice  provvede  in  ogni  altro
procedimento  giurisdizionale,  anche  d'ufficio,  in  ogni  stato  e
grado».  La stessa legge n. 140 del 2003, poi, dispone (art. 3, comma
4)   che  «Se  non  ritiene  di  accogliere  l'eccezione  concernente
l'applicabilita'  dell'articolo  68,  primo comma, della Costituzione
proposta  da  una  delle parti, il giudice provvede senza ritardo con
ordinanza non impugnabile, trasmettendo direttamente copia degli atti
alla  Camera  alla  quale  il  membro  del  Parlamento  appartiene  o
apparteneva  al  momento del fatto. Se l'eccezione e' sollevata in un
processo civile dinanzi al giudice istruttore, questi pronuncia detta
ordinanza  nell  `udienza  o entro cinque giorni» e (art. 3, comma 5)
che «Se il giudice ha disposto la trasmissione di copia degli atti, a
norma del comma 4, il procedimento e' sospeso fino alla deliberazione
della  Camera e comunque non oltre il termine di novanta giorni dalla
ricezione  degli  atti  da  parte  della  Camera  predetta. La Camera
interessata  puo'  disporre  una  proroga del termine non superiore a
trenta giorni. La sospensione non impedisce, nel procedimento penale,
il  compimento  degli atti non ripetibili e, negli altri procedimenti
degli atti urgenti».
    Orbene,  nonostante  tali chiare disposizioni normative, riferiva
sempre  l'on. Vendola,  all'udienza  del  30  giugno  2003 il giudice
(onorario)  procedente  si  limitava a rinviare la causa al 21 luglio
2003  per l'espletamento di prova per testi, riservandosi di decidere
solo  in  un  secondo momento sulla menzionata eccezione. All'udienza
del   21   luglio   2003,  poi,  sempre  nonostante  la  reiterazione
dell'eccezione,   il   giudice  disponeva  di  procedere  alla  prova
testimoniale,  riservandosi  di decidere sull'eccezione unitamente al
merito  e rinviando per la precisazione delle conclusioni all'udienza
del  22  settembre  2003.  In tale udienza il giudice si riservava di
decidere  nel merito, concedendo alle parti i termini di legge per le
loro comparse conclusionali.
    Tanto  rappresentato,  l'on. Vendola chiedeva al Presidente della
Camera  dei deputati di assumere tutte le iniziative opportune per la
tutela delle prerogative parlamentari.
    Il  Presidente  della Camera dei deputati riteneva di considerare
la   lettera   dell'on. Vendola  come  domanda  di  deliberazione  di
insindacabilita'  e  conseguentemente  investiva  della  questione il
presidente    della   giunta   per   le   autorizzazioni,   invitando
l'on. Vendola a trasmettergli ogni utile documentazione.
    2.  -  La giunta per le autorizzazioni esaminava la domanda nella
seduta  del 30 ottobre 2003 e nella seduta del 5 novembre 2003, nella
quale  ultima  deliberava  all'unanimita' di dare mandato al relatore
perche'  riferisse  all'Assemblea  «nel senso che i fatti oggetto del
procedimento   in   titolo   rientrano   nell'ambito   d'applicazione
dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione».
    La  conforme  relazione era presentata alla Presidenza in data 10
novembre 2003.
    Nella  seduta  del  13  novembre  2003  la  Camera  dei  deputati
deliberava,  a larghissima maggioranza (368 si; 7 no; 1 astenuto) nel
senso    dell'insindacabilita',    in   ragione   dell'applicabilita'
dell'art. 68, comma 1, Cost.
    3.  -  Con  una  nuova  lettera,  indirizzata al Presidente della
Camera   dei   deputati  in  data  18  febbraio  2004,  l'on. Vendola
riassumeva  nuovamente  i  fatti  gia'  esposti  nella  lettera del 7
ottobre  2003 e rappresentava altresi' che nonostante la sopravvenuta
deliberazione  di  insindacabilita'  il  giudice  procedente  (ora un
magistrato   togato)   aveva   sollevato   questione  incidentale  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 3 della legge 20 giugno 2003,
n. 140,  di  bel  nuovo  rifiutandosi di procedere nel rispetto delle
norme   di   legge   e   dei  consolidati  principi  acclarati  dalla
giurisprudenza  costituzionale.  Pertanto, l'on. Vendola rinnovava la
richiesta  al  Presidente della Camera dei deputati di assumere tutte
le iniziative opportune per la tutela delle prerogative parlamentari.
    Il Presidente della Camera dei deputati rimetteva la lettera, per
competenza, al presidente della giunta per le autorizzazioni.
    4.  -  La  giunta esaminava la questione nelle sedute del 3 marzo
2004  e del 17 marzo 2004, nella quale ultima deliberava che gli atti
e i comportamenti del Tribunale di Messina, sopra descritti, dovevano
ritenersi  lesivi  delle  prerogative  della  Camera  dei  deputati e
approvava  lo  schema  di parere che invitava la Camera a proporre il
conseguente ricorso per conflitto di attribuzione.
    Con deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza n. 171 del 29 aprile
2004 e della Camera del 13 maggio 2004 si provvedeva in conformita'.
    I  provvedimenti  e  gli  atti in epigrafe risultano lesivi delle
attribuzioni  costituzionali della ricorrente Camera dei deputati per
i seguenti motivi di

                               Diritto

    1. - Preliminarmente, quanto all'ammissibilita' del ricorso.
    Sull'ammissibilita'  del  presente ricorso non possono sussistere
dubbi.
    1.1. - Quanto alla legittimazione processuale, pacifica e' quella
passiva  del Tribunale di Messina. E' principio consolidato, infatti,
che  «i singoli organi giurisdizionali, nell'esercizio delle funzioni
giurisdizionali,  possono  in  genere  essere  parti nei conflitti di
attribuzione»  (cosi'  ord.  n. 150  del 1980, ma v. gia' prima ordd.
nn. 228 e 229 del 1975; successivamente, ex plurimis, ordd. nn. 250 e
261 del 1998; 319 del 1999; 102 del 2000; 232 del 2003).
    Non  meno  evidente  e' la legittimazione della ricorrente Camera
dei  deputati.  La legittimazione attiva di questa, infatti, e' stata
ripetutamente   riconosciuta,   in   quanto   essa   puo'   esprimere
«definitivamente la volonta' del potere che essa rappresenta» (sentt.
nn. 58  del  2004;  263 del 2003; 225 del 2001; 265 del 1997; 379 del
1996;  1150  del  1988; 129 del 1981; ord. n. 150 del 1980; cui adde,
per il Senato, sent. n. 129 del 1996).
    Non  dubbia  e'  anche la sussistenza dei requisiti oggettivi del
conflitto  di  attribuzione. Vi e', infatti, conflitto risolvibile ai
sensi  degli artt. 134 Cost. e 37, legge 11 marzo 1953, n. 87, quando
(senza  che  necessariamente vi sia vindicatio potestatis: cfr. gia',
ad  es., sentt. nn. 110 del 1970 e 129 del 1981) si controverte sulla
delimitazione  della  sfera  delle attribuzioni costituzionali di due
poteri  dello  Stato.  Nella  specie,  e'  evidente che oggetto della
presente  controversia  e', appunto, la delimitazione dei confini tra
le  attribuzioni  costituzionali  (d'uno  dei  soggetti)  del  potere
legislativo  e  quelle  (d'uno  dei soggetti) del potere giudiziario.
Costituzionalmente  garantito,  invero,  e'  il potere dell'Autorita'
giudiziaria  di pronunziarsi sulla domanda giudiziale di risarcimento
del  danno.  Per quanto riguarda la Camera dei deputati, a sua volta,
e'  costituzionalmente garantito che essa possa esercitare le proprie
attribuzioni,   collegialmente  e  nell'attivita'  dei  suoi  singoli
componenti, senza indebite interferenze da parte di atri poteri dello
Stato,  nel  rispetto  del  principio  di  autonomia,  indipendenza e
liberta'  delle  istituzioni  parlamentari  sancito  (oltre che dagli
artt. 64 e 70) dagli artt. 67 e 68 della Costituzione.
    1.2.  - Che in discussione siano le attribuzioni della Camera dei
deputati,  dunque,  e'  evidente.  Non  si  potrebbe,  in  contrario,
sostenere  che  le  attribuzioni lese sarebbero, qui, solo quelle del
singolo  parlamentare  (in  quanto  titolare del diritto a non essere
chiamato  a  rispondere  per  aver  manifestato  opinioni  coperte da
insindacabilita'  tempestivamente  eccepita  e  poi asseverata da una
delibera  della  Camera  di  appartenenza non contestata nelle debite
forme)  e  non  anche  quelle  della  Camera di appartenenza. Codesta
ecc.ma  Corte,  invero,  ha gia' statuito che il singolo parlamentare
«impropriamente    ...,   utilizza   lo   strumento   del   conflitto
d'attribuzione,  invece  di  avvalersi - come tutti i cittadini - dei
mezzi   endoprocessuali   d'impugnazione   degli  atti  asseritamente
viziati,   nonche'   di   quelli   diretti  a  provocare  l'eventuale
affermazione  di  responsabilita'  disciplinare,  civile o penale del
magistrato  cui egli rimprovera il comportamento non legittimo» (ord.
n. 101 del 2000; conformemente, sent. n. 225 del 2001).
    In  presenza  di tali precedenti, i dubbi sull'ammissibilita' non
hanno  ragione  di  sussistere.  Per  mero tuziorismo vale la pena di
osservare,  comunque,  che  la  negazione  della legittimazione della
Camera   dei   deputati   dimenticherebbe   che  le  prerogative  dei
parlamentari  non  sono  strumenti  di garanzia delle loro situazioni
soggettive   individuali,  ma  strumenti  di  tutela  della  funzione
parlamentare   nel   suo  complesso,  e  quindi  dell'istituzione  di
appartenenza  (cosi'  la  costante giurisprudenza costituzionale e la
dottrina dominante).
    1.3.  -  Si  deve,  inoltre,  osservare  che  e'  presente, senza
incertezze,  l'interesse  a  ricorrere  della Camera dei deputati. La
Camera,  infatti,  lamenta  - come appresso si vedra' - la lesione di
proprie,  specifiche  prerogative  costituzionali.  In disparte, poi,
l'assenza  di  un  termine per promuovere i conflitti di attribuzione
tra poteri dello Stato, tale interesse e' senz'altro attuale, poiche'
gli  atti  impugnati  hanno  prodotto  e  stanno tuttora producendo i
propri   effetti   lesivi   (in   particolare:   sulla  questione  di
costituzionalita' illegittimamente sollevata dal Tribunale di Messina
non si e' ancora pronunciata codesta ecc.ma Corte).
    1.4. - Non si potrebbe, infine, sostenere che il presente ricorso
sia  inammissibile  in quanto intenderebbe contestare le modalita' di
esercizio  della  funzione  giudiziaria.  Come e' ben noto, e come da
ultimo   ha   ribadito   la   sent.  n. 154  del  2004,  gli  «organi
costituzionali»   ben   possono   «contesta[re]   atti  di  autorita'
giurisdizionali    ritenuti    lesivi    della    propria   posizione
costituzionale». Nella specie, poi, la ricorrente Camera dei deputati
non   contesta   affatto   il   semplice   esercizio  della  finzione
giudiziaria, bensi' la stessa appartenenza all'ordine giudiziario del
potere  in  concreto  esercitato (cfr. ad es. sentt. nn. 58 del 2004;
263 del 2003; 225 del 2001).
    Premesso  che  e'  scontata l'ammissibilita' di conflitti avverso
atti  giudiziari,  ivi  comprese  le  pronunce  suscettibili d'essere
oggetto  delle  comuni  impugnazioni  (cfr,  ad es., sent. n. 266 del
1999),   va   detto   che  qui  la  ricorrente  contesta  appunto  la
titolarita', in capo al giudice, del potere di proseguire il giudizio
(e  di  sollevare  addirittura  questione incidentale di legittimita'
costituzionale) nonostante le previsioni (in attuazione dell'art. 68,
comma  1,  Cost.)  di cui alla legge n. 140 del 2003 e la delibera di
insindacabilita'   adottata   dalla   Camera   di   appartenenza  del
parlamentare.  Non  si  tratta  certo  della  censura  di  un  errore
nell'interpretazione    della    legge,   ma   specificamente   della
contestazione  della  spettanza,  non  solo  a  quel  giudice,  ma  a
qualunque  giudice,  del  potere di pregiudicare l'indipendenza delle
Camere e di condizionare il libero esercizio del mandato parlamentare
adottando  atti  come  quelli  qui  in  contestazione. Cio' di cui la
ricorrente   si   duole,   in   altri   termini,  e'  che  il  potere
giurisdizionale,    nella    specie,   abbia   adottato   statuizioni
«obiettivamente  e  sostanzialmente  non  riconducibili all'esercizio
delle attribuzioni dello stesso» (sent. n. 99 del 1991).
    E'  pacifico  in  dottrina,  poi,  che se codesta ecc.ma Corte ha
negato  di poter esercitare un sindacato degli errori in iudicando lo
ha  fatto solo perche', altrimenti, si sarebbe trasformata in giudice
dell'impugnazione.  E'  davvero  difficile  capire, pero', come nella
presente  fattispecie  possa  aversi  un  giudizio di «impugnazione»,
atteso che la ricorrente non e' ne' poteva essere, parte nel giudizio
che  ha  originato  il  presente  conflitto, sicche' non ha strumenti
processuali «ordinari» per tutelare le proprie attribuzioni. Qui, non
e'  neppur  pensabile  che  si  pretenda  di  trasformare il giudizio
innanzi   alla   Corte   «inammissibilmente  in  un  nuovo  grado  di
giurisdizione»  (sent. n. 27 del 1999), per la chiara circostanza che
un  «grado di giurisdizione» precedente o diverso, al quale la Camera
potesse o possa accedere, semplicemente, non esiste. Se la ricorrente
vuole  avere  giustizia  non ha che un solo strumento: adire l'ecc.ma
Corte  costituzionale,  promovendo  il  conflitto di attribuzione. E,
come  e'  noto,  il  conflitto tra poteri ha quantomeno una «funzione
residuale»,  in  quanto, come e' stato rilevato in dottrina (da parte
di R. Bin), «ad esso si puo' ricorrere laddove manchino altre risorse
giurisdizionali»,  ovvero  qualora  «non  vi  siano  altri  strumenti
giurisdizionali  per  ripristinare  la  prevalenza della regola sulla
politica».
    2.  -  Nel merito. Violazione degli artt. 67 e 68, comma 1, della
Costituzione  (anche  per  come  attuato  dalla legge 20 giugno 2003,
n. 140), anche in riferimento agli artt. 64, 70 e 101, comma 2, Cost.
L'art. 68,  comma  1,  della  Costituzione  dispone che «I membri del
Parlamento  non  possono  essere chiamati a rispondere delle opinioni
espresse  e  dei  voti  dati  nell'esercizio  delle  loro  funzioni».
L'art. 67,  a  sua volta, dispone che «Ogni membro del Parlamento ...
esercita  le  sue  funzioni  senza vincolo di mandato». E' (anche) da
tali  previsioni  costituzionali  che  si  enuclea  il  principio  di
indipendenza,  autonomia e liberta' delle Camere del Parlamento, alle
quali  e'  garantito l'esercizio delle funzioni senza interferenze da
parte di altri poteri. Tale principio e' clamorosamente violato nella
fattispecie che ne occupa.
    Occorre  distinguere,  onde  dimostrare - si confida - l'assoluta
illegittimita'  degli  atti  impugnati,  tra  quelli  che  sono stati
compiuti prima e quelli che sono stati compiuti dopo l'adozione della
delibera di insindacabilita' da parte della Camera dei deputati.
    2.1.  -  Quanto  agli  atti  compiuti  prima  della  delibera  di
insindacabilita',  si  deve  ricordare  che,  come  gia'  esposto  in
narrativa,  la legge 20 giugno 2003, n. 140 (gia' in vigore all'epoca
dei fatti) dispone (fra l'altro) quanto segue:
        a)  «Nei  casi  di  cui al comma 1 del presente articolo e in
ogni  altro  caso  in  cui  ritenga  applicabile l'articolo 68, primo
comma,  della  Costituzione  ...  Nel  processo  civile,  il  giudice
pronuncia   sentenza   con   i   provvedimenti   necessari  alla  sua
definizione;  le  parti  sono  invitate a precisare immediatamente le
conclusioni  ed  i  termini, previsti dall'articolo 190 del codice di
procedura civile per il deposito delle comparse conclusionali e delle
memorie  di  replica,  sono  ridotti,  rispettivamente,  a quindici e
cinque  giorni.  Analogamente  il  giudice  provvede  in  ogni  altro
procedimento giurisdizionale, anche d'ufficio, in ogni stato e grado»
(art. 3, comma 3);
        b)  «Se  non  ritiene  di  accogliere l'eccezione concernente
l'applicabilita'  dell'articolo  68, primo comma, della Costituzione,
proposta  da  una  delle parti, il giudice provvede senza ritardo con
ordinanza non impugnabile, trasmettendo direttamente copia degli atti
alla  Camera  alla  quale  il  membro  del  Parlamento  appartiene  o
apparteneva  al  momento del fatto. Se l'eccezione e' sollevata in un
processo civile dinanzi al giudice istruttore, questi pronuncia detta
ordinanza nell'udienza o entro cinque giorni» (art. 3, comma 4);
        c)  «Se il giudice ha disposto la trasmissione di copia degli
atti,  a  norma  del  comma  4,  il procedimento e' sospeso fino alla
deliberazione della Camera e comunque non oltre il termine di novanta
giorni  dalla ricezione degli atti da parte della Camera predetta. La
Camera interessata puo disporre una proroga del termine non superiore
a  trenta  giorni.  La  sospensione  non  impedisce, nel procedimento
penale,  il  compimento  degli  atti  non  ripetibili  e, negli altri
procedimenti, degli atti urgenti» (art. 3, comma 5).
    Come  la  stessa  ecc.ma  Corte ha rilevato, tale disciplina deve
«considerarsi   di   attuazione,   e   cioe'  finalizzata  a  rendere
immediatamente  e  direttamente  operativo  sul  piano processuale il
disposto  dell'art. 68, primo comma» della Costituzione (sent. n. 120
del   2004).   In   quanto   normativa  di  attuazione,  essa,  lungi
dall'alterare,  integra il parametro costituzionale, nel senso che ne
costituisce  il  ragionevole  e corretto svolgimento, operando talune
indispensabili scelte normative, utili al miglior funzionamento delle
previsioni costituzionali attuate.
    Nella  specie,  il  legislatore  ha disegnato un procedimento nel
quale  le posizioni dei soggetti istituzionali coinvolti, che sono le
Camere    del   Parlamento   e   l'Autorita'   giudiziaria,   vengono
opportunamente contemperate.
    Interessa  qui,  in  particolare,  la  previsione  relativa  alla
sospensione  del  procedimento  (al  fine  di  acquisire  la delibera
sull'insindacabilita'   da   parte  della  Camera  di  appartenenza),
nell'ipotesi  in  cui  sia  formulata  un'eccezione di applicabilita'
dell'art. 68,   comma   1,   Cost.,   non   condivisa  dall'autorita'
giudiziaria procedente. Tale previsione, invero, e' imputabile ad una
chiara e ragionevole preoccupazione: se la sospensione non fosse atto
dovuto,  la  conclusione  del  giudizio  nei  confronti di un singolo
parlamentare     (in    assenza    dello    scrutinio    parlamentare
dell'insindacabilita)    dipenderebbe    dall'elemento,   del   tutto
estrinseco e accidentale, della rapidita' dell'Autorita' giudiziaria.
E' interesse obiettivo dell'ordinamento, invece, che siano assicurate
le  condizioni per l'acquisizione della delibera di insindacabilita'.
E'  quanto,  appunto, stabilisce la normativa in discussione, che per
questo  profilo  costituisce piano svolgimento dell'art. 68, comma 1,
Cost.  (come  e'  stato  ricordato  in  dottrina  -  da  L.  Elia - i
costituenti  avevano  inteso  collegare  strettamente  la guarentigia
dell'insindacabilita'  e il suo accertamento da parte della Camera di
appartenenza).
    Piano  e,  si  badi,  ragionevole svolgimento, in quanto la legge
stabilisce che la delibera sull'insindacabilita' debba essere assunta
entro  novanta  giorni  (prorogabili  per  non piu' di altri trenta).
Inoltre,  la  sospensione  non impedisce il compimento degli atti non
ripetibili  (nel  giudizio  penale) e di quelli urgenti (nel giudizio
civile).  Cio'  significa  che  non  vi  e'  alcun  sacrificio per le
prerogative  dell'autorita'  giudiziaria,  ma soltanto una disciplina
del  procedimento  che assicura la possibilita' di un pieno confronto
tra  la  valutazione  dei fatti operata dalle Camere e quella operata
dalla  stessa  autorita' giudiziaria. Il tutto, con il controllo e il
definitivo sindacato di codesta ecc.ma Corte costituzionale, che puo'
essere adita con apposito ricorso per conflitto di attribuzione.
    Tale essendo la disciplina, attuativa dell'art. 68 Cost., vigente
all'epoca  dei  fatti,  non si comprende come il Tribunale di Messina
abbia    potuto   disattenderla.   Oltretutto,   della   legittimita'
costituzionale   di  tale  disciplina  il  Tribunale  ha  formalmente
dubitato  (emanando  apposita  ordinanza  di  rimessione)  solo  dopo
l'adozione  della  deliberazione  di insindacabilita'. Cio' significa
che,  precedentemente,  ha illegittimamente disapplicato la descritta
normativa,  in  palese  violazione  dei  piu' elementari principi del
nostro   Stato   costituzionale   di   diritto  (e,  in  particolare,
dell'art. 101,  comma  2,  Cost.,  che obbliga il giudice al rispetto
della  legge e che ben puo' essere utilmente invocato in questa sede,
ove  si  discute proprio del vulnus arrecato ad un altro potere dello
Stato  a  causa - anche - della mancata osservanza di tale previsione
costituzionale).
    2.2.  -  Quanto  agli  atti  che  hanno  seguito  la  delibera di
insindacabilita'  (si  tratta dell'ordinanza di rimessione, descritta
in epigrafe), va detto quanto segue.
    2.2.1.    -    Il    procedimento    relativo    all'accertamento
dell'insindacabilita'   delle  opinioni  espresse  dai  parlamentari,
disciplinato  dai principi stabiliti dalla Costituzione, prima ancora
che dalla legge n. 140 del 2003 era stato disegnato secondo i criteri
puntualmente  ricostruiti  da codesta ecc.ma Corte costituzionale sin
dalla sent. n. 1150 del 1988.
    In quella occasione, e' ben noto, la Corte ebbe a giudicare di un
conflitto  di  attribuzione  proposto  dalla  Corte d'appello di Roma
contro il Senato della Repubblica. La ricorrente aveva contestato che
il  Senato  avesse  «il  potere  di esercitare, in questa materia, la
funzione   giurisdizionale   che,  istituzionalmente,  spetta  invece
all'autorita'  giudiziaria ordinaria». Tanto, poiche' la ricorrente -
cosi'  come  la  Corte  ha  ritenuto  nella  menzionata  pronuncia  -
«intende[va]  dire  che,  mentre  il secondo comma concede a ciascuna
Camera  il  potere  di  sottrarre  i propri membri alla giurisdizione
penale  per  fatti  ad  essi  imputabili a titolo di reato, "il primo
comma,   invece,   in   ordine  alla  garanzia  sostanziale,  nessuna
competenza attribuisce al Parlamento"».
    Ebbene,  come  la stessa sent. n. 1150 del 1988 ricorda, la Corte
di  appello  di  Roma  aveva  dedotto,  da tale premessa, che, «se la
Camera  di  appartenenza  afferma che i fatti addebitati a un proprio
membro sono coperti dall'irresponsabilita' ex art. 68, primo comma, e
quindi  ordina  la restituzione degli atti al Ministro, tale delibera
impedisce  il  proseguimento  dell'azione  penale  in  quanto implica
rifiuto  dell'autorizzazione a procedere, ma non puo' avere l'effetto
preteso  dal  Senato  di  impedire  anche l'accertamento dei fatti da
parte  del giudice civile, al quale sia stata proposta una domanda di
risarcimento dei danni».
    La  sentenza  in  commento affermo' che «Tra la premessa (esatta)
che l'art. 68, primo comma, non attribuisce alle Camere un potere del
tipo  di  quello previsto dal secondo comma e la conclusione ..., che
in  materia di irresponsabilita' dei parlamentari nessuna competenza,
in assoluto, spetta al Parlamento, v'e' un salto logico evidente».
    Infatti,  «La  prerogativa del primo comma (c.d. insindacabilita)
attribuisce  alla  Camera  di  appartenenza  il potere di valutare la
condotta  addebitata  a un proprio membro, con l'effetto, qualora sia
qualficata  come esercizio delle funzioni parlamentari, di inibire in
ordine  ad  essa una difforme pronuncia giudiziale di responsabilita'
sempre  che  ...  il  potere  sia  stato  correttamente  esercitato».
Nondimeno,  «il potere valutativo delle Camere non e' arbitrario», ma
«e'  soggetto  a  un  controllo  di  legittimita',  operante  con  lo
strumento del conflitto di attribuzione ...».
    Conseguentemente,  «qualora  il  giudice  di  una causa civile di
risarcimento dei danni, promossa da una persona lesa da dichiarazioni
diffamatorie    fatte   da   un   deputato   o   senatore   in   sede
extraparlamentare,   reputi   che   la   delibera   della  Camera  di
appartenenza,   affermante  l'irresponsabilita'  del  proprio  membro
convenuto  in giudizio. sia il risultato di un esercizio illeggittimo
(o,   come  altri  si  esprime,  di  "cattivo  uso")  del  potere  di
valutazione,  puo'  provocare il controllo della Corte costituzionale
sollevando davanti a questa conflitto di attribuzione».
    La  sent.  n. 1150 del 1988, quindi, ha stabilito i seguenti, non
derogabili principi:
        a)  il  primo comma dell'art. 68 Cost. attribuisce a ciascuna
Camera il potere di stabilire se una certa opinione manifestata da un
proprio  membro  sia  coperta  dalla  garanzia dell'insindacabilita',
apprestata da tale disposizione costituzionale;
        b) l'effetto dell'eventuale deliberazione di insindacabilita'
e'  quello  di  «inibire  ...  una  difforme  pronuncia giudiziale di
responsabilita»;
        c) il potere valutativo della Camera non e' insindacabile, ma
soggetto al controllo di legittimita' della Corte costituzionale, che
tuttavia  deve  essere attivato con apposito ricorso per conflitto di
attribuzione dell'autorita' giudiziaria procedente;
        d)  il  solo strumento per contestare (e' impedire) l'effetto
inibitorio  della  deliberazione di insindacabilita', pertanto, e' il
ricorso per conflitto di attribuzione.
    2.2.2.  -  Orbene,  anche  nella  fattispecie  che  ne occupa, il
Tribunale    di    Messina,   di   fronte   alla   deliberazione   di
insindacabilita',  aveva a disposizione due strade: a) condividere la
valutazione  di  applicabilita' della guarentigia dell'art. 68, comma
1,  Cost., e statuire di conseguenza; b) contestare tale valutazione,
proponendo  conflitto  di  attribuzione  a  tutela  delle prerogative
dell'Ordine  giudiziario. La via seguita dal Tribunale (promozione di
un  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge
n. 140  del  2003, tamquam la deliberazione parlamentare non fuisset)
non  rientra  affatto  tra  quelle  che  la  Costituzione consente di
imboccare.
    2.2.3. - La fattispecie che ne occupa, in realta', e' identica ad
altre  che  l'ecc.ma  Corte  costituzionale  ha  gia'  avuto  modo di
scrutinare,  pronunciandosi  nel senso dell'illegittimita' degli atti
compiuti dall'autorita' giudiziaria.
    In  particolare, la sent. n. 129 del 1996 si e' pronunciata su di
un  conflitto  proposto  dal  Senato  della Repubblica sulla seguente
vicenda:
        a) il Senato aveva deliberato di dichiarare insindacabili, ai
sensi  dell'art. 68, primo comma, Cost., talune opinioni espresse dal
sen. Carmine  Mancuso,  comunicando  tale deliberazione al Presidente
della   Sezione  II  penale  del  Tribunale  di  Palermo,  che  stava
procedendo   nei   confronti   del   parlamentare  per  il  reato  di
diffamazione aggravata;
        b) il Tribunale di Palermo (ritenendo che l'art. 68, comma 1,
Cost.,  prevedesse  una  condizione  di  non  punibilita'  e  non  di
procedibilita) rigetto' l'eccezione di improcedibilita' formulata dal
parlamentare  imputato  e  dispose  doversi procedere al dibattimento
nonostante la delibera di insindacabilita';
        c)   in  seguito  a  tale  provvedimento  il  Senato  propose
conflitto  di  attribuzione, chiedendo (oltre alla declaratoria sulla
spettanza del potere) l'annullamento di detto provvedimento.
    La risposta della Corte fu cristallina:
        i)  fu,  anzitutto,  ammesso  l'intervento  della  Camera dei
deputati,  poiche'  «la  materia  del  contendere e' costituita dalla
posizione   -   assunta  dal  provvedimento  giudiziale  impugnato  -
contrastante  con la qualificazione giuridica della deliberazione del
Senato  come  causa  immediatamente impeditiva della prosecuzione del
procedimento  penale pendente a carico del senatore Carmine Mancuso»,
sicche'  era  «incontestabile  l'interesse  comune  dei  due rami del
Parlamento  a  ottenere  una  sentenza che affermi l'inerenza di tale
effetto  alla  prerogativa  parimenti attribuita ai loro membri dalla
norma costituzionale, ristabilendo gli equilibri costituzionali messi
in gioco, al di la' del singolo caso, dal conflitto di attribuzione»;
        ii) furono richiamate, poi, le sentt. nn. 1150 del 1988 e 443
del  1993,  che  avevano «interpretato l'art. 68, primo comma, Cost.,
nel  senso che esso attribuisce alla Camera di appartenenza il potere
di   valutare  la  condotta  addebitata  a  un  proprio  membro,  con
l'effetto,    qualora   sia   ritenuta   esercizio   delle   funzioni
parlamentari,  di  inibire  in  ordine ad essa una difforme pronuncia
giudiziale, sempre che il potere sia stato correttamente esercitato»;
        iii) conseguentemente, fu ribadito che «Qualora reputi che la
delibera  favorevole  all'applicazione dell'art. 68, primo comma, sia
il  risultato di un esercizio non corretto del potere ... il giudice,
al   quale   si  e'  rivolta  la  persona  lesa  dalle  dichiarazioni
diffamatorie   contestate,   puo'   soprassedere  alla  dichiarazione
immediata  di  applicabilita'  dell'art. 68  sollevando  conflitto di
attribuzione  davanti  a  questa  Corte,  con  effetto sospensivo del
giudizio pendente davanti a lui»;
        iv)  fu  constatato  che  «questa interpretazione della norma
costituzionale»  non  era  stata  rispettata dal tribunale, in quanto
«Pur  senza  contestare  la  valutazione  espressa  dal Senato ... il
tribunale ... ha disposto la celebrazione del dibattimento»;
        v) si ricordo' che per sorreggere tale decisione il tribunale
aveva  invocato  due  argomenti: «a) la condizione di non punibilita'
prevista dall'art. 68, primo comma, Cost., non rientra tra le ipotesi
di   proscioglimento   prima   del   dibattimento  contemplate  dagli
artt. 129,  comma  2,  e  469 cod. proc. pen.; b) deve trovare tutela
l'eventuale  interesse  del querelante ... all'accertamento della sua
totale estraneita' ai fatti di reato attribuitigli»;
        vi)  entrambi  questi  argomenti  furono  ritenuti  privi  di
fondamento.  Il  primo,  in  quanto  «e' certo che alla deliberazione
della  Camera  di  appartenenza  che  la  riconosce  e'  coessenziale
l'effetto  inibitorio  dell'inizio  o della prosecuzione di qualsiasi
giudizio  di  responsabilita' penale o civile per il risarcimento dei
danni»,  sussistendo  «l'obbligo  del giudice - quando non ritenga di
sollevare  conflitto  di attribuzione - di dichiarare immediatamente,
in  ogni  stato  e  grado del processo, la causa di irresponsabilita'
dell'imputato,  affermata  dalla Camera di appartenenza», obbligo che
«discende  direttamente  dalla  norma costituzionale». Il secondo, in
quanto   «rovescia   il   bilanciamento   di  interessi  operato  dal
legislatore  costituente. A tutela del principio (corrispondente a un
interesse  generale  della  comunita'  politica)  di  indipendenza  e
autonomia  del  potere legislativo nei confronti degli altri organi e
poteri  dello Stato, l'art. 68 Cost. sacrifica il diritto alla tutela
giurisdizionale  del  cittadino che si ritenga offeso nell'onore o in
altri  beni della vita da opinioni espresse da un senatore o deputato
nell'esercizio  delle sue funzioni. Questa prerogativa dei membri del
Parlamento,  poiche'  costituisce, sul piano del diritto sostanziale,
una   causa  di  irresponsabilita'  dell'autore  delle  dichiarazioni
contestate,   comporta,   sul   piano   processuale,   l'obbligo  per
l'autorita'   giudiziaria   di   prendere  atto  della  deliberazione
parlamentare e di adottare le pronunce conseguenti»;
        vii)  si  confermo'  che per l'autorita' giudiziaria «Il solo
rimedio   e'   dato  dalla  possibilita'  di  controllo  della  Corte
costituzionale  sulla  correttezza della deliberazione: controllo che
il giudice puo' promuovere col mezzo del conflitto di attribuzione».
    Come  si  vede,  una fattispecie in tutto analoga alla presente e
una pronuncia che costituisce un puntualissimo precedente in termini.
    Precedente  che  e'  stato  confermato anche, ad es., dalla sent.
n. 265  del 1997, che ha ribadito che la delibera di insindacabilita'
determina  un'effetto  inibitorio sul giudizio»; dall'ord. n. 177 del
1998,   che   ha   confermato  essere  illegittimo  che  «l'autorita'
giudiziaria continui a procedere malgrado l'intervenuta deliberazione
di  insindacabilita'  della Camera»; dalla sent. n. 329 del 1999, che
ha  rigettato  un  ricorso della Camera dei deputati che lamentava la
prosecuzione    di   un   giudizio   nonostante   una   delibera   di
insindacabilita'  solo  in  quanto (in accoglimento di un contestuale
ricorso  dell'autorita'  giudiziaria)  vi  era stato il contemporaneo
«annullamento  con  effetti  ex  tunc»  di  quella  delibera (sicche'
l'esito,  senza  la  retroattiva  perdita  di  effetti, sarebbe stato
diverso);  dalla  sent. n. 469 del 1999, che ha dichiarato cessata la
materia  del  contendere  in  un  conflitto analogo al presente, solo
perche'    era    «intervenuta   assoluzione   dell'interessato   [il
sen. Frasca]   con   la   formula  "perche'  non  punibile  ai  sensi
dell'art. 68  della  Costituzione" e ... [cio] induce a constatare la
convergente  valutazione,  fra  i  soggetti  del conflitto, in ordine
all'operativita'  della menzionata norma costituzionale relativamente
alle  opinioni  espresse  dal  senatore  Frasca» (non e' fuor d'opera
rammentare che in quella occasione l'assoluzione fu pronunciata dallo
stesso Tribunale di Messina, oggi resistente).
      2.2.4.  -  Non  basta.  in  disparte  il  fatto  che  tutta  la
giurisprudenza  costituzionale  in materia di insindacabilira', anche
quando    non    pronuncia    l'illegittimita'    dei   provvedimenti
giurisdizionali   che   determinano   la  prosecuzione  del  processo
nonostante  la delibera della Camera ex art. 68, comma 1, Cost., vale
da puntuale precedente in termini, si deve considerare che l'assoluta
imprescindibilita' del procedimento disegnato dalla sent. n. 1150 del
1988  e'  stata  affermata  anche in una controversia in qualche modo
speculare alla presente.
    La sent. n. 379 del 1996, invero, ha giudicato su di un conflitto
proposto dalla Camera dei deputati contro la Procura della Repubblica
presso   il  Tribunale  di  Roma,  che  aveva  indagato  su  presunte
irregolarita'  in  talune  votazioni  svoltesi nell'aula della stessa
Camera. La difesa della Procura aveva eccepito l'inammissibilita' del
conflitto  in  quanto  la  Camera  avrebbe dovuto, prima di proporlo,
adottare    la   deliberazione   di   insindacabilita'   (riservatale
dall'art. 68  Cost.),  che avrebbe dovuto essere - semmai - censurata
dall'autorita' giudiziaria.
    Codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale,  pero', ha rigettato tale
eccezione,  osservando  che  «il  conflitto promosso dalla Camera dei
deputati  non fa leva esclusivamente sull'art. 68, primo comma, della
Costituzione,   che   anzi   questa   disposizione  e'  invocata  per
argomentare l'esistenza e la latitudine dell'autonomia garantita alle
Camere.  L'invasione  della  sfera  di  autonomia  della  Camera  dei
deputati  e'  dedotta  dalla  ricorrente  sull'espresso  rilievo  che
l'autorita'  giudiziaria,  avendo  affermato  la  sindacabilita'  del
comportamento  dei  due ex deputati alla luce del solo art. 68, primo
comma,  abbia  sottaciuto  dell'art. 64 della Costituzione, che detta
sfera  di  autonomia  direttamente  tutela. In questo caso, lo schema
procedimentale  delineato  da  questa  Corte a partire dalla sentenza
n. 1150 del 1988, che postula il previo apprezzamento della Camera di
appartenenza  in  ordine  alla  sindacabilita'  delle  espressioni  o
dichiarazioni  del  parlamentare  che  si  assumano  eccedenti la sua
funzione  - apprezzamento sul quale soltanto si esercita il controllo
di   questa   Corte   in   sede  di  conflitto  -  non  puo'  operare
automaticamente ...».
    Se ne deduce, con piana evidenza, che laddove sia questione della
(pretesa)  violazione  dei limiti al potere delle Camere di affermare
l'insindacabilita'  dei  loro  membri, imposti dall'art. 68 Cost., lo
schema  procedimentale non puo' che essere quello sopra descritto: a)
deliberazione   della   Camera;  b)  proposizione  del  conflitto  di
attribuzione  da parte dell'autorita' giudiziaria; c) pronuncia della
Corte   costituzionale.  Nessuno  spazio,  invece,  e'  previsto  per
attivita'  dell'autorita'  giudiziaria  che,  pur dopo la delibera di
insindacabilita',   tengano   luogo  del  ricorso  per  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato.
    Nello  Stesso  senso  e'  anche  la costante giurisprudenza della
Corte  di cassazione. Infatti «quando il potere del Parlamento si sia
manifestato  con una dichiarazione di insindacabilita' delle opinioni
espresse  dal  parlamentare,  al giudice ordinario non rimane ... che
prenderne  atto ovvero sollevare un conflitto di attribuzioni dinanzi
alla Corte costituzionale ...» (Cass. pen., Sez. V, 16 novembre 1998,
n. 1826;  conformemente,  Cass.  pen.,  Sez.  V,  24  settembre 2001,
n. 36592).  Molto  chiaramente,  anzi, e' stato affermato, sulla scia
della  giurisprudenza costituzionale, che sussiste una vera e propria
««coessenzialita» dell'effetto inibitorio di inizio o prosecuzione di
ogni  giudizio  di responsabilita' alla pronuncia di insindacabilita'
proveniente  dalla  Camera  di  appartenenza»  (Cass. pen., Sez. V, 6
maggio 1998, n. 8412).
    2.2.5.  -  Non  varrebbe  obiettare,  a fronte di questa messe di
conformi  precedenti  giurisprudenziali,  che la recente sent. n. 120
del  2004  avrebbe  implicitamente  (sarebbe  da  dire: obliquamente)
consentito  di derogare al procedimento di cui alla sent. n. 1150 del
1988.  A  parte il facile rilievo che, se cosi' fosse, si tratterebbe
di una vera e propria overruling, che avrebbe avuto bisogno di chiara
ed esplicita argomentazione, va osservato quanto segue.
    In  quella  occasione  la  Corte  si  e'  pronunciata su numerose
questioni  incidentali  di  legittimita' costituzionale nei confronti
dell'art. 3,  commi  1,  3,  4,  5  e  7, della legge 20 giugno 2003,
n. 140.
    Non  interessa,  ovviamente,  ripercorrere qui le motivazioni che
hanno  sorretto  la  declaratoria  di  infondatezza  resa dalla sent.
n. 120  del  2004.  Conta,  invece,  rilevare  che  la  questione  di
costituzionalita'  e'  stata scrutinata nel merito nonostante ch'essa
fosse stata sollevata (peraltro da uno solo dei remittenti) dopo che,
al  processo  era  stata  acquisita  una  delibera  della  Camera dei
deputati  che dichiarava insindacabili le opinioni in contestazione e
prima  del  promovimento  di un conflitto di attribuzione. E' questo,
appunto, l'elemento che parrebbe, ad un primo sommario esame, rendere
meno  salda  la  posizione  qui sostenuta dalla ricorrente Camera dei
deputati. Non e', pero', cosi'.
    Nel  corso  del giudizio innanzi la Corte, per vero, l'Avvocatura
dello  Stato  aveva  eccepito  l'inammissibilita'  delle questioni di
legittimita'  costituzionale  sollevate, prospettando, come riferisce
la  sentenza  in commento, «il carattere "anticipato" della questione
di   costituzionalita'   del  comma  1  del  citato  art. 3  rispetto
all'ipotizzata  instaurazione  di un conflitto di attribuzione con la
Camera  competente».  Tale  eccezione,  pero',  e' stata respinta, in
quanto  «i  giudici  rimettenti  erano  chiamati,  innanzi  tutto, ad
applicare  nei  rispettivi  giudizi  proprio  quel  comma  della  cui
costituzionalita' appunto dubitavano».
    Ora,  sembra  evidente che, cosi' statuendo, codesta ecc.ma Corte
costituzionale  si  e' limitata a constatare che, in sede di giudizio
incidentale,  nell'ordine  logico  seguito  dai  remittenti,  l'esame
dell'art. 3,  comma  1,  della  legge  n. 140 del 2003 veniva «prima»
degli   altri   accertamenti.   Nulla   ha   detto,  tuttavia,  sulla
legittimita'  del  promovimento del giudizio di costituzionalita' per
rapporto  al  rispetto  della  sfera  di attribuzioni riservata dalla
Costituzione  alle  Camere  del  Parlamento.  Tale  aspetto  non solo
poteva,  ma doveva rimanere del tutto impregiudicato (e non sondato),
in  quanto  le  prerogative  costituzionali  dei singoli poteri dello
Stato   non   possono   essere   tutelate   ex  officio  dalla  Corte
costituzionale ma debbono essere difese da ciascun potere a mezzo del
conflitto  di  attribuzione  se  e quando lo si ritiene opportuno. Il
giudizio  per  conflitto di attribuzione e' un giudizio di parti e ad
impulso  di  parte  (pel  quale  e'  anche  ammessa  l'estinzione per
rinuncia accettata: art. 26, comma 6, N.I.). Tanto, tutt'al contrario
del  giudizio  incidentale, che e' promosso in ragione dell'oggettiva
rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della quaestio e che, una
volta iniziato, e' condotto a compimento a prescindere dalla volonta'
delle «parti» (ammesso che cosi' possano tecnicamente chiamarsi: sono
note, sul punto, le incertezze della dottrina) costituite.
    L'eccezione  della  difesa  erariale,  insomma,  prima ancora che
infondata  avrebbe  potuto  dirsi  addirittura inammissibile, poiche'
pretendeva   di   invocare   un   limite   procedimentale  (stabilito
dall'art. 68    Cost.,   per   come   interpretato   dalla   costante
giurisprudenza successiva alla sent. n. 1150 del 1988) che e' posto a
presidio esclusivo delle attribuzioni costituzionali delle Camere del
Parlamento.  Alle  Camere  soltanto,  percio',  spetta  farlo valere.
Poiche',  in  quella  occasione,  ne' la Camera ne' il Senato avevano
proposto  conflitto,  la pronuncia di codesta ecc.ma Corte non poteva
essere  altra che quella che e' stata. E da essa non si puo' ricavare
la  benche'  minima statuizione sulla diversa questione che ne occupa
oggi,  in  un  diverso  tipo  di  giudizio, nel confronto con diversi
parametri   costituzionali   e   in  ragione  della  (indispensabile)
imziativa  del  potere  leso  dagli  atti  e  dai  comportamenti  qui
censurati.
    2.2.6.  -  Vale  la  pena,  giunti a questo punto, ricordare che,
sebbene  una  parte  della  dottrina  l'abbia  sostenuta, la tesi che
seguendo  il  modello  procedimentale della sent. n. 1150 del 1988 si
reintrodurrebbe  dalla finestra l'autorizzazione a procedere cacciata
(con la legge cost. n. 3 del 1993) dalla porta non ha pregio.
    Ai  sensi  del  primo  comma  dell'art. 68  della Costituzione, i
parlamentari «non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni
espresse  e  dei  voti dati nell'esercizio delle loro funzioni». Tale
disposizione  costituzionale,  nella  formulazione  introdotta  dalla
legge  cost.  29 ottobre 1993, n. 3, e' significativamente ancor piu'
garantista di quella originaria («I membri del Parlamento non possono
essere  perseguiti  ...)  e  riprende il testo proposto, in Assemblea
costituente,  dalla  Commissione  dei  75.  Cio'  -  sembra  palese -
nell'intento  di  bilanciare  la  soppressione  dell'autorizzazione a
procedere con il rafforzamento della garanzia dell'insindacabilita'.
    A  maggior  ragione in seguito alla revisione del 1993, pertanto,
il  modello  procedimentale  ricostruito dalla sent. n. 1150 del 1988
deve   essere   rigorosamente   rispettato:   la   deliberazione   di
insindacabilita'  impedisce la stessa vocatio in ius del parlamentare
assistito  dalla guarentigia costituzionale. Nessuna autorizzazione a
procedere,  dunque,  ma  semplicemente l'accertamento che le opinioni
espresse   e   i  voti  dati  sono  legati  da  un  nesso  funzionale
all'esercizio  del  mandato.  Se  e'  riscontrato  questo  nesso,  il
procedimento  (civile o penale che sia) non puo' avere corso e nessun
atto  puo'  essere  compiuto  dal  giudice  procedente  (ad eccezione
dell'emanazione  di  una  pronuncia  «assolutoria»).  Il  giudice ha,
peraltro,  l'arma del conflitto di attribuzione per far accertare che
quel  nesso,  in  realta',  e'  carente: tale arma - come dimostra la
giurisprudenza  costituzionale  degli ultimi anni - e' tutt'altro che
spuntata,   non   essendo   affatto  raro  che  le  deliberazioni  di
insindacabilita'   delle   Camere   siano   annullate   dal   giudice
costituzionale.
    Evidente  e  grave,  pertanto,  la violazione dell'art. 68 Cost.,
commessa dal Tribunale di Messina.
    2.2.7.  -  Nella  fattispecie  che  ne  occupa, la violazione dei
consolidati principi stabiliti dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma
Corte  costituzionale  in  applicazione  degli  artt. 67  e  68 della
Costituzione appare, dunque, evidente.
    Piu'  in particolare, deve essere considerato che l'art. 68 della
Costituzione  e'  intimamente  saldato  al  precedente  art. 67,  che
stabilisce il principio del libero mandato parlamentare. E' nelle due
statuizioni costituzionali, infatti, nel loro combinato disposto, che
l'indipendenza, l'autonomia e la liberta' delle Camere del Parlamento
(peraltro  garantita  anche  dagli  artt. 64  e 70, ch riservano alle
Camere  la  potesta'  di autonormazione e la funzione legislativa, in
entrambi  i  casi senza interferenze esterne) trovano la piu' piena e
piu'   efficace   tutela.  Questa  tutela  (che  anche  quando  copre
direttamente atti o comportamenti dei singoli componenti resta tutela
dell'istituzione  parlamentare)  si  articola  attraverso istituti di
varia natura giuridica: l'insindacabilita' per le opinioni espresse e
i  voti  dati  (art. 68,  comma  1);  la c.d. immunita' dagli arresti
(art. 68,  comma  2);  la  garanzia  del  domicilio  del parlamentare
(art. 68,  comma  2:  cfr.  sent.  n. 58  del  2004); la tutela dalle
intercettazioni  e  dai  sequestri indebiti (art. 68, comma 3). Tutti
istituti,  appunto,  preordinati  alla  garanzia  della  liberta' del
mandato   parlamentare,   dell'autonomia  e  dell'indipendenza  delle
Assemblee rappresentative.
    E'   alla   famiglia   di  tali  guarentigie  che  appartiene  il
procedimento    necessario    per    contestare    la   delibera   di
insindacabilita'  che  appaia  viziata  (in  quanto  lesiva delle sue
attribuzioni) all'autorita' giudiziaria.
    Per  la  verita',  parte  della  dottrina  ha  dubitato  che tale
necessario  procedimento  potesse  desumersi  dalle  previsioni degli
artt. 67 e 68 Cost., ma ha dubitato a torto.
    E'  evidente,  invero,  che  proprio  la logica delle guarentigie
parlamentari,  stabilite a tutela dell'istituzione e non del singolo,
impone   che   il   concreto  ricorrere  dell'  insindacabilita'  sia
apprezzato,   preliminarmente,  dalla  Camera  di  appartenenza,  non
potendo essere affidata la valutazione della connessione tra opinione
(o  voto)  e  funzione  alla  diretta  interlocuzione  tra il singolo
parlamentare  e  il  magistrato  procedente.  L'intermediazione della
delibera  parlamentare,  in  altri  termini, costituisce un passaggio
necessario ed imprescindibile in un sistema nel quale la Costituzione
ha  voluto  garantire  l'autonomia  e l'indipendenza delle Camere del
Parlamento e non conferire un privilegio singolare ai loro membri (e,
si  badi,  e'  ovvio  che  trattandosi  di organo collegiale non puo'
valere  il  procedimento disegnato dalla sent. n. 154 del 2004 per la
contestazione  dell'insindacabilita'  delle  opinioni  di  un  organo
monocratico).  E'  cio'  di  cui  non  si  avvede  la dottrina che ha
criticato  la  sent.  n. 1150 del 1988: criticare il procedimento ivi
previsto  non  significa  contestare  un  privilegio  in favore delle
Camere,  ma  -  tutt'al  contrario - significa trasformare una saggia
garanzia  dell'istituzione  in  una immotivata e arcaica garanzia dei
singoli  parlamentari, in violazione dell'art. 68 della Costituzione.
A tal proposito, anzi, va osservato che il meccanismo stabilito dalla
legge  n. 140  del  2003  fornisce il completamento necessario per la
piena  attuazione dell'art. 68, richiedendo sempre la previa delibera
parlamentare,   ma   nella   puntuale   garanzia   delle  prerogative
dell'autorita' giudiziaria (che puo' adottare gli atti non ripetibili
o urgenti e puo' procedere in caso di inerzia della Camera competente
oltre il - breve - limite di tempo stabilito).
    Che  la  deliberazione parlamentare, poi, abbia effetti inibitori
nei  confronti  delle successive attivita' dell'Autorita' giudiziaria
consegue pianamente a tale struttura e a tale funzione delle garanzie
costituzionali:  l'apprezzamento  dell'insindacabilita'  e' riservato
alle  Camere  e non puo' essere disatteso dal magistrato; nel caso di
apprezzamento positivo, l'adozione della delibera di insindacabilita'
e'   di  per  se'  risolutiva  di  tutte  le  questioni  dedotte  nel
procedimento innanzi l'autorita' giudiziaria e consente al magistrato
procedente  soltanto  di  prenderne  atto;  nondimeno, se la delibera
costituisce  esercizio illegittimo dei poteri della Camera e viola le
prerogative  dell'autorita'  giudiziaria, questa ben puo' contestarla
con  ricorso  per  conflitto  di  attribuzione; null'altro, pero', e'
consentito fare una volta che la delibera sia stata adottata.
    Ben  lungi  dall'essere  una  «invenzione»  della  giurisprudenza
costituzionale,  insomma,  l'itinerario disegnato dalla sent. n. 1150
del  1988  e' - puramente e semplicemente - la puntuale traduzione in
termini  procedimentali dell'assetto sostanziale dei valori stabilito
dalla  Costituzione.  La  giurisprudenza  di  codesta,  ecc.ma  Corte
costituzionale lo ha, del resto, ripetutamente affermato.
    La  cit.  sent.  n. 379  del  1996  ha,  con  limpida  chiarezza,
affermato  che  la  Costituzione  propone  «un equilibrio razionale e
misurato  tra  le  istanze  dello  Stato  di  diritto, che tendono ad
esaltare   i   valori   connessi  all'esercizio  della  giurisdizione
(universalita'  della legge, legalita', rimozione di ogni privilegio,
obbligatorieta'  dell'azione  penale,  diritto di difesa in giudizio,
ecc.) e la salvaguardia di ambiti di autonomia parlamentare sottratti
al  diritto  comune,  che  valgono  a  conservare alla rappresentanza
politica   un  suo  indefettibile  spazio  di  liberta»,  e  che  «La
fisiologica interferenza tra due situazioni di liberta' genera ... un
conflitto  tra  valori  dotati entrambi di cogenza costituzionale, in
relazione  al  quale  questa  Corte  ha  gia'  delineato  il  modello
procedimentale di composizione ...».
    Il  percorso  che  le  Camere  e  l'autorita'  giudiziaria devono
rispettare,  insomma,  e' desumibile dagli stessi artt. 67 e 68 della
Costituzione  e  -  come detto - traduce in termini procedimentali il
bilanciamento  tra  valori  sostanziali  gia'  compiuto  dalla stessa
Costituzione    (il    punto   e'   pacifico   nella   giurisprudenza
costituzionale: v., da ultimo, sent. n. 11 del 2000).
                              P. Q. M.
    Chiede  che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare
che   non  spetta  all'autorita'  giudiziaria  e  in  particolare  al
Tribunale  civile  di  Messina  proseguire  il  giudizio pendente nei
confronti  di  un  membro  della  Camera  dei  deputati nonostante la
formulazione  dell'eccezione di applicabilita' dell'art. 68, comma 1,
della  Costituzione,  ne', una volta sopravvenuta la deliberazione di
insindacabilita' del parlamentare da parte della Camera dei deputati,
adottare  altri  atti  del  procedimento ed in particolare promuovere
questione    incidentale    di    legittimita'    costituzionale    e
conseguentemente annullare i seguenti atti:
        a)   provvedimento   di   rinvio   dell'udienza  relativa  al
procedimento    nei    confronti    dell'on. Nicola   Vendola   (R.G.
n. 2807/2001)  assunto  dal  Tribunale  di  Messina in data 30 giugno
2003;
        b)  provvedimento di rinvio dell'udienza relativa al medesimo
procedimento assunto del Tribunale di Messina in data 21 luglio 2003;
        c)  provvedimento  di trattenimento della causa in decisione,
relativamente  al  medesimo  procedimento,  assunto  dal Tribunale di
Messina in data 22 settembre 2003;
        d)  ordinanza  del  Tribunale  di  Messina 26-27 gennaio 2004
(nella  Gazzetta  Ufficiale,  1ª  serie spec., 19 maggio 2004, con il
n. R.O.   389/2004),   con   la  quale  e'  stato  promosso  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 20
giugno  2003,  n. 140,  nella  parte  precisata  al dispositivo della
predetta ordinanza.
        Roma, addi' 16 luglio 2004
       On. Pier Ferdinando Casini - Avv. prof. Massimo Luciani
05C0258