N. 12 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 22 febbraio 2005
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 22 febbraio 2005 (della Camera dei deputati) Parlamento - Immunita' parlamentari - Proseguimento da parte del Tribunale civile di Messina del procedimento nei confronti dell'on. Nicola Vendola e promozione da parte dello stesso Tribunale del giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale dell'art. 3 della legge n. 140/2003, dopo la deliberazione di insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati - Ricorso della Camera dei deputati - Denunciata lesione del principio di esercizio delle funzioni parlamentari senza vincolo di mandato - Lesione del principio di insindacabilita' del parlamentare. - Provvedimento di rinvio dell'udienza relativa al procedimento nei confronti dell'on. Nicola Vendola (R.G. n. 207/2001) assunto dal Tribunale di Messina in data 30 giugno 2003; provvedimento di rinvio dell'udienza relativa al medesimo procedimento assunto dal Tribunale di Messina in data 21 luglio 2003; provvedimento di trattenimento della causa in decisione, relativamente al medesimo procedimento, assunto dal Tribunale di Messina in data 22 settembre 2003; ordinanza dal Tribunale di Messina 26-27 gennaio 2004 (in Gazzetta Ufficiale 1ª serie speciale, 19 maggio 2004, con il R.O. 389/2004), con la quale e' stato promosso il giudizio incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140. - Costituzione, artt. 67 e 68, primo comma, anche in riferimento agli artt. 64, 70, 101, comma secondo.(GU n.10 del 9-3-2005 )
Ricorso della Camera dei deputati, in persona del Presidente on. Pier Ferdinando Casini, come da deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza n. 171 del 29 aprile 2004 e della Camera del 13 maggio 2004, e giusta mandato per notar Colistra in Roma, 12 luglio 2004, Rep. n. 99.637, rappresentata e difesa dall'avv. prof. Massimo Luciani ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via Bocca di Leone, n. 78; Contro il Tribunale civile di Messina, in persona del Presidente pro tempore, in ragione e per l'annullamento del provvedimento di rinvio dell'udienza relativa al procedimento nei confronti dell'on. Nicola Vendola (R.G. n. 2807/2001) assunto dal Tribunale di Messina in data 30 giugno 2003; del provvedimento di rinvio dell'udienza, relativa al medesimo procedimento assunto dal Tribunale di Messina in data 21 luglio 2003; del provvedimento di trattenimento della causa in decisione, relativamente al medesimo procedimento, assunto dal Tribunale di Messina in data 22 settembre 2003; dell'ordinanza del Tribunale di Messina 26-27 gennaio 2004 (in Gazzetta Ufficiale, lª Serie spec., 19 maggio 2004, con il n. R.O. 389/2004), con la quale e' stato promosso giudizio incidentale di legitimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140, «nella parte in cui consente al parlamentare di sollecitare autonomamente la deliberazione di insindacabilita' sottoponendo direttamente la relativa questione alla Camera di appartenenza e provocando in tal modo, senza alcun contradditrorio, una decisione preclusiva dell'ulteriore corso del procedimento civile» e «nella parte in cui, estendendo l'immunita' del Parlamento ad "ogni altra attivita' di ispezione, di divulgazione, di critica e di denunzia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori dal Parlamento", non impone una sostanziale corrispondenza di significati tra le dichiarazioni rese al di fuori dell'esercizio delle attivita' parlamentari tipiche svolte in Parlamento e le opinioni gia' espresse nell'ambito di queste ultime»,e per la statuizione che non spetta all'Autorita' giudiziaria e in particolare al Tribunale civile di Messina proseguire il giudizio pendente nei confronti di un membro della Camera dei deputati nonostante la formulazione dell'eccezione di applicabilita' dell'art. 68, comma 1, della Costituzione, ne', una volta sopravvenuta la deliberazione di insindacabilita' del parlamentare da parte della Camera dei deputati, adottare altri atti del procedimento ed in particolare promuovere questione incidentale di legittimita' costituzionale. F a t t o 1. - Con lettera indirizzata al Presidente della Camera dei deputati in data 7 ottobre 2003, l'on. Nicola Vendola segnalava la pendenza nei propri confronti di un procedimento civile innanzi il Tribunale di Messina, introdotto con atto di citazione di S.E.S. S.p.A. editrice del quotidiano «La Gazzetta del Sud», nel quale si lamentava la lesione dell'onorabilita' della testata e del suo direttore, Nino Calarco, in ragione della diffusione da parte dell'on. Vendola, durante una conferenza stampa, di un dossier dal titolo «L'uomo del Ponte». L'on. Vendola segnalava altresi che nel corso del giudizio il proprio difensore aveva eccepito in due occasioni l'applicabilita' della guarentigia dell'insindacabilita' di cui all'art. 68, comma 1, Cost. Tanto, invero, era accaduto all'udienza del 30 giugno 2003 e all'udienza del 21 luglio 2003, quando gia' vigeva la legge 20 giugno 2003, n. 140 (entrata in vigore il 22 giugno 2004), a tenor della quale (art. 3, comma 3) «Nei casi di cui al comma 1 del presente articolo e in ogni altro caso in cui ritenga applicabile l'articolo 68, primo comma, della Costituzione... Nel processo civile, il giudice pronuncia sentenza con i provvedimenti necessari alla sua definizione; le parti sono invitate a precisare immediatamente le conclusioni ed i termini, previsti dall'articolo 190 del codice di procedura civile per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, sono ridotti, rispettivamente, a quindici e cinque giorni. Analogamente il giudice provvede in ogni altro procedimento giurisdizionale, anche d'ufficio, in ogni stato e grado». La stessa legge n. 140 del 2003, poi, dispone (art. 3, comma 4) che «Se non ritiene di accogliere l'eccezione concernente l'applicabilita' dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione proposta da una delle parti, il giudice provvede senza ritardo con ordinanza non impugnabile, trasmettendo direttamente copia degli atti alla Camera alla quale il membro del Parlamento appartiene o apparteneva al momento del fatto. Se l'eccezione e' sollevata in un processo civile dinanzi al giudice istruttore, questi pronuncia detta ordinanza nell `udienza o entro cinque giorni» e (art. 3, comma 5) che «Se il giudice ha disposto la trasmissione di copia degli atti, a norma del comma 4, il procedimento e' sospeso fino alla deliberazione della Camera e comunque non oltre il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti da parte della Camera predetta. La Camera interessata puo' disporre una proroga del termine non superiore a trenta giorni. La sospensione non impedisce, nel procedimento penale, il compimento degli atti non ripetibili e, negli altri procedimenti degli atti urgenti». Orbene, nonostante tali chiare disposizioni normative, riferiva sempre l'on. Vendola, all'udienza del 30 giugno 2003 il giudice (onorario) procedente si limitava a rinviare la causa al 21 luglio 2003 per l'espletamento di prova per testi, riservandosi di decidere solo in un secondo momento sulla menzionata eccezione. All'udienza del 21 luglio 2003, poi, sempre nonostante la reiterazione dell'eccezione, il giudice disponeva di procedere alla prova testimoniale, riservandosi di decidere sull'eccezione unitamente al merito e rinviando per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 22 settembre 2003. In tale udienza il giudice si riservava di decidere nel merito, concedendo alle parti i termini di legge per le loro comparse conclusionali. Tanto rappresentato, l'on. Vendola chiedeva al Presidente della Camera dei deputati di assumere tutte le iniziative opportune per la tutela delle prerogative parlamentari. Il Presidente della Camera dei deputati riteneva di considerare la lettera dell'on. Vendola come domanda di deliberazione di insindacabilita' e conseguentemente investiva della questione il presidente della giunta per le autorizzazioni, invitando l'on. Vendola a trasmettergli ogni utile documentazione. 2. - La giunta per le autorizzazioni esaminava la domanda nella seduta del 30 ottobre 2003 e nella seduta del 5 novembre 2003, nella quale ultima deliberava all'unanimita' di dare mandato al relatore perche' riferisse all'Assemblea «nel senso che i fatti oggetto del procedimento in titolo rientrano nell'ambito d'applicazione dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione». La conforme relazione era presentata alla Presidenza in data 10 novembre 2003. Nella seduta del 13 novembre 2003 la Camera dei deputati deliberava, a larghissima maggioranza (368 si; 7 no; 1 astenuto) nel senso dell'insindacabilita', in ragione dell'applicabilita' dell'art. 68, comma 1, Cost. 3. - Con una nuova lettera, indirizzata al Presidente della Camera dei deputati in data 18 febbraio 2004, l'on. Vendola riassumeva nuovamente i fatti gia' esposti nella lettera del 7 ottobre 2003 e rappresentava altresi' che nonostante la sopravvenuta deliberazione di insindacabilita' il giudice procedente (ora un magistrato togato) aveva sollevato questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140, di bel nuovo rifiutandosi di procedere nel rispetto delle norme di legge e dei consolidati principi acclarati dalla giurisprudenza costituzionale. Pertanto, l'on. Vendola rinnovava la richiesta al Presidente della Camera dei deputati di assumere tutte le iniziative opportune per la tutela delle prerogative parlamentari. Il Presidente della Camera dei deputati rimetteva la lettera, per competenza, al presidente della giunta per le autorizzazioni. 4. - La giunta esaminava la questione nelle sedute del 3 marzo 2004 e del 17 marzo 2004, nella quale ultima deliberava che gli atti e i comportamenti del Tribunale di Messina, sopra descritti, dovevano ritenersi lesivi delle prerogative della Camera dei deputati e approvava lo schema di parere che invitava la Camera a proporre il conseguente ricorso per conflitto di attribuzione. Con deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza n. 171 del 29 aprile 2004 e della Camera del 13 maggio 2004 si provvedeva in conformita'. I provvedimenti e gli atti in epigrafe risultano lesivi delle attribuzioni costituzionali della ricorrente Camera dei deputati per i seguenti motivi di Diritto 1. - Preliminarmente, quanto all'ammissibilita' del ricorso. Sull'ammissibilita' del presente ricorso non possono sussistere dubbi. 1.1. - Quanto alla legittimazione processuale, pacifica e' quella passiva del Tribunale di Messina. E' principio consolidato, infatti, che «i singoli organi giurisdizionali, nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, possono in genere essere parti nei conflitti di attribuzione» (cosi' ord. n. 150 del 1980, ma v. gia' prima ordd. nn. 228 e 229 del 1975; successivamente, ex plurimis, ordd. nn. 250 e 261 del 1998; 319 del 1999; 102 del 2000; 232 del 2003). Non meno evidente e' la legittimazione della ricorrente Camera dei deputati. La legittimazione attiva di questa, infatti, e' stata ripetutamente riconosciuta, in quanto essa puo' esprimere «definitivamente la volonta' del potere che essa rappresenta» (sentt. nn. 58 del 2004; 263 del 2003; 225 del 2001; 265 del 1997; 379 del 1996; 1150 del 1988; 129 del 1981; ord. n. 150 del 1980; cui adde, per il Senato, sent. n. 129 del 1996). Non dubbia e' anche la sussistenza dei requisiti oggettivi del conflitto di attribuzione. Vi e', infatti, conflitto risolvibile ai sensi degli artt. 134 Cost. e 37, legge 11 marzo 1953, n. 87, quando (senza che necessariamente vi sia vindicatio potestatis: cfr. gia', ad es., sentt. nn. 110 del 1970 e 129 del 1981) si controverte sulla delimitazione della sfera delle attribuzioni costituzionali di due poteri dello Stato. Nella specie, e' evidente che oggetto della presente controversia e', appunto, la delimitazione dei confini tra le attribuzioni costituzionali (d'uno dei soggetti) del potere legislativo e quelle (d'uno dei soggetti) del potere giudiziario. Costituzionalmente garantito, invero, e' il potere dell'Autorita' giudiziaria di pronunziarsi sulla domanda giudiziale di risarcimento del danno. Per quanto riguarda la Camera dei deputati, a sua volta, e' costituzionalmente garantito che essa possa esercitare le proprie attribuzioni, collegialmente e nell'attivita' dei suoi singoli componenti, senza indebite interferenze da parte di atri poteri dello Stato, nel rispetto del principio di autonomia, indipendenza e liberta' delle istituzioni parlamentari sancito (oltre che dagli artt. 64 e 70) dagli artt. 67 e 68 della Costituzione. 1.2. - Che in discussione siano le attribuzioni della Camera dei deputati, dunque, e' evidente. Non si potrebbe, in contrario, sostenere che le attribuzioni lese sarebbero, qui, solo quelle del singolo parlamentare (in quanto titolare del diritto a non essere chiamato a rispondere per aver manifestato opinioni coperte da insindacabilita' tempestivamente eccepita e poi asseverata da una delibera della Camera di appartenenza non contestata nelle debite forme) e non anche quelle della Camera di appartenenza. Codesta ecc.ma Corte, invero, ha gia' statuito che il singolo parlamentare «impropriamente ..., utilizza lo strumento del conflitto d'attribuzione, invece di avvalersi - come tutti i cittadini - dei mezzi endoprocessuali d'impugnazione degli atti asseritamente viziati, nonche' di quelli diretti a provocare l'eventuale affermazione di responsabilita' disciplinare, civile o penale del magistrato cui egli rimprovera il comportamento non legittimo» (ord. n. 101 del 2000; conformemente, sent. n. 225 del 2001). In presenza di tali precedenti, i dubbi sull'ammissibilita' non hanno ragione di sussistere. Per mero tuziorismo vale la pena di osservare, comunque, che la negazione della legittimazione della Camera dei deputati dimenticherebbe che le prerogative dei parlamentari non sono strumenti di garanzia delle loro situazioni soggettive individuali, ma strumenti di tutela della funzione parlamentare nel suo complesso, e quindi dell'istituzione di appartenenza (cosi' la costante giurisprudenza costituzionale e la dottrina dominante). 1.3. - Si deve, inoltre, osservare che e' presente, senza incertezze, l'interesse a ricorrere della Camera dei deputati. La Camera, infatti, lamenta - come appresso si vedra' - la lesione di proprie, specifiche prerogative costituzionali. In disparte, poi, l'assenza di un termine per promuovere i conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, tale interesse e' senz'altro attuale, poiche' gli atti impugnati hanno prodotto e stanno tuttora producendo i propri effetti lesivi (in particolare: sulla questione di costituzionalita' illegittimamente sollevata dal Tribunale di Messina non si e' ancora pronunciata codesta ecc.ma Corte). 1.4. - Non si potrebbe, infine, sostenere che il presente ricorso sia inammissibile in quanto intenderebbe contestare le modalita' di esercizio della funzione giudiziaria. Come e' ben noto, e come da ultimo ha ribadito la sent. n. 154 del 2004, gli «organi costituzionali» ben possono «contesta[re] atti di autorita' giurisdizionali ritenuti lesivi della propria posizione costituzionale». Nella specie, poi, la ricorrente Camera dei deputati non contesta affatto il semplice esercizio della finzione giudiziaria, bensi' la stessa appartenenza all'ordine giudiziario del potere in concreto esercitato (cfr. ad es. sentt. nn. 58 del 2004; 263 del 2003; 225 del 2001). Premesso che e' scontata l'ammissibilita' di conflitti avverso atti giudiziari, ivi comprese le pronunce suscettibili d'essere oggetto delle comuni impugnazioni (cfr, ad es., sent. n. 266 del 1999), va detto che qui la ricorrente contesta appunto la titolarita', in capo al giudice, del potere di proseguire il giudizio (e di sollevare addirittura questione incidentale di legittimita' costituzionale) nonostante le previsioni (in attuazione dell'art. 68, comma 1, Cost.) di cui alla legge n. 140 del 2003 e la delibera di insindacabilita' adottata dalla Camera di appartenenza del parlamentare. Non si tratta certo della censura di un errore nell'interpretazione della legge, ma specificamente della contestazione della spettanza, non solo a quel giudice, ma a qualunque giudice, del potere di pregiudicare l'indipendenza delle Camere e di condizionare il libero esercizio del mandato parlamentare adottando atti come quelli qui in contestazione. Cio' di cui la ricorrente si duole, in altri termini, e' che il potere giurisdizionale, nella specie, abbia adottato statuizioni «obiettivamente e sostanzialmente non riconducibili all'esercizio delle attribuzioni dello stesso» (sent. n. 99 del 1991). E' pacifico in dottrina, poi, che se codesta ecc.ma Corte ha negato di poter esercitare un sindacato degli errori in iudicando lo ha fatto solo perche', altrimenti, si sarebbe trasformata in giudice dell'impugnazione. E' davvero difficile capire, pero', come nella presente fattispecie possa aversi un giudizio di «impugnazione», atteso che la ricorrente non e' ne' poteva essere, parte nel giudizio che ha originato il presente conflitto, sicche' non ha strumenti processuali «ordinari» per tutelare le proprie attribuzioni. Qui, non e' neppur pensabile che si pretenda di trasformare il giudizio innanzi alla Corte «inammissibilmente in un nuovo grado di giurisdizione» (sent. n. 27 del 1999), per la chiara circostanza che un «grado di giurisdizione» precedente o diverso, al quale la Camera potesse o possa accedere, semplicemente, non esiste. Se la ricorrente vuole avere giustizia non ha che un solo strumento: adire l'ecc.ma Corte costituzionale, promovendo il conflitto di attribuzione. E, come e' noto, il conflitto tra poteri ha quantomeno una «funzione residuale», in quanto, come e' stato rilevato in dottrina (da parte di R. Bin), «ad esso si puo' ricorrere laddove manchino altre risorse giurisdizionali», ovvero qualora «non vi siano altri strumenti giurisdizionali per ripristinare la prevalenza della regola sulla politica». 2. - Nel merito. Violazione degli artt. 67 e 68, comma 1, della Costituzione (anche per come attuato dalla legge 20 giugno 2003, n. 140), anche in riferimento agli artt. 64, 70 e 101, comma 2, Cost. L'art. 68, comma 1, della Costituzione dispone che «I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni». L'art. 67, a sua volta, dispone che «Ogni membro del Parlamento ... esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». E' (anche) da tali previsioni costituzionali che si enuclea il principio di indipendenza, autonomia e liberta' delle Camere del Parlamento, alle quali e' garantito l'esercizio delle funzioni senza interferenze da parte di altri poteri. Tale principio e' clamorosamente violato nella fattispecie che ne occupa. Occorre distinguere, onde dimostrare - si confida - l'assoluta illegittimita' degli atti impugnati, tra quelli che sono stati compiuti prima e quelli che sono stati compiuti dopo l'adozione della delibera di insindacabilita' da parte della Camera dei deputati. 2.1. - Quanto agli atti compiuti prima della delibera di insindacabilita', si deve ricordare che, come gia' esposto in narrativa, la legge 20 giugno 2003, n. 140 (gia' in vigore all'epoca dei fatti) dispone (fra l'altro) quanto segue: a) «Nei casi di cui al comma 1 del presente articolo e in ogni altro caso in cui ritenga applicabile l'articolo 68, primo comma, della Costituzione ... Nel processo civile, il giudice pronuncia sentenza con i provvedimenti necessari alla sua definizione; le parti sono invitate a precisare immediatamente le conclusioni ed i termini, previsti dall'articolo 190 del codice di procedura civile per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, sono ridotti, rispettivamente, a quindici e cinque giorni. Analogamente il giudice provvede in ogni altro procedimento giurisdizionale, anche d'ufficio, in ogni stato e grado» (art. 3, comma 3); b) «Se non ritiene di accogliere l'eccezione concernente l'applicabilita' dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, proposta da una delle parti, il giudice provvede senza ritardo con ordinanza non impugnabile, trasmettendo direttamente copia degli atti alla Camera alla quale il membro del Parlamento appartiene o apparteneva al momento del fatto. Se l'eccezione e' sollevata in un processo civile dinanzi al giudice istruttore, questi pronuncia detta ordinanza nell'udienza o entro cinque giorni» (art. 3, comma 4); c) «Se il giudice ha disposto la trasmissione di copia degli atti, a norma del comma 4, il procedimento e' sospeso fino alla deliberazione della Camera e comunque non oltre il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti da parte della Camera predetta. La Camera interessata puo disporre una proroga del termine non superiore a trenta giorni. La sospensione non impedisce, nel procedimento penale, il compimento degli atti non ripetibili e, negli altri procedimenti, degli atti urgenti» (art. 3, comma 5). Come la stessa ecc.ma Corte ha rilevato, tale disciplina deve «considerarsi di attuazione, e cioe' finalizzata a rendere immediatamente e direttamente operativo sul piano processuale il disposto dell'art. 68, primo comma» della Costituzione (sent. n. 120 del 2004). In quanto normativa di attuazione, essa, lungi dall'alterare, integra il parametro costituzionale, nel senso che ne costituisce il ragionevole e corretto svolgimento, operando talune indispensabili scelte normative, utili al miglior funzionamento delle previsioni costituzionali attuate. Nella specie, il legislatore ha disegnato un procedimento nel quale le posizioni dei soggetti istituzionali coinvolti, che sono le Camere del Parlamento e l'Autorita' giudiziaria, vengono opportunamente contemperate. Interessa qui, in particolare, la previsione relativa alla sospensione del procedimento (al fine di acquisire la delibera sull'insindacabilita' da parte della Camera di appartenenza), nell'ipotesi in cui sia formulata un'eccezione di applicabilita' dell'art. 68, comma 1, Cost., non condivisa dall'autorita' giudiziaria procedente. Tale previsione, invero, e' imputabile ad una chiara e ragionevole preoccupazione: se la sospensione non fosse atto dovuto, la conclusione del giudizio nei confronti di un singolo parlamentare (in assenza dello scrutinio parlamentare dell'insindacabilita) dipenderebbe dall'elemento, del tutto estrinseco e accidentale, della rapidita' dell'Autorita' giudiziaria. E' interesse obiettivo dell'ordinamento, invece, che siano assicurate le condizioni per l'acquisizione della delibera di insindacabilita'. E' quanto, appunto, stabilisce la normativa in discussione, che per questo profilo costituisce piano svolgimento dell'art. 68, comma 1, Cost. (come e' stato ricordato in dottrina - da L. Elia - i costituenti avevano inteso collegare strettamente la guarentigia dell'insindacabilita' e il suo accertamento da parte della Camera di appartenenza). Piano e, si badi, ragionevole svolgimento, in quanto la legge stabilisce che la delibera sull'insindacabilita' debba essere assunta entro novanta giorni (prorogabili per non piu' di altri trenta). Inoltre, la sospensione non impedisce il compimento degli atti non ripetibili (nel giudizio penale) e di quelli urgenti (nel giudizio civile). Cio' significa che non vi e' alcun sacrificio per le prerogative dell'autorita' giudiziaria, ma soltanto una disciplina del procedimento che assicura la possibilita' di un pieno confronto tra la valutazione dei fatti operata dalle Camere e quella operata dalla stessa autorita' giudiziaria. Il tutto, con il controllo e il definitivo sindacato di codesta ecc.ma Corte costituzionale, che puo' essere adita con apposito ricorso per conflitto di attribuzione. Tale essendo la disciplina, attuativa dell'art. 68 Cost., vigente all'epoca dei fatti, non si comprende come il Tribunale di Messina abbia potuto disattenderla. Oltretutto, della legittimita' costituzionale di tale disciplina il Tribunale ha formalmente dubitato (emanando apposita ordinanza di rimessione) solo dopo l'adozione della deliberazione di insindacabilita'. Cio' significa che, precedentemente, ha illegittimamente disapplicato la descritta normativa, in palese violazione dei piu' elementari principi del nostro Stato costituzionale di diritto (e, in particolare, dell'art. 101, comma 2, Cost., che obbliga il giudice al rispetto della legge e che ben puo' essere utilmente invocato in questa sede, ove si discute proprio del vulnus arrecato ad un altro potere dello Stato a causa - anche - della mancata osservanza di tale previsione costituzionale). 2.2. - Quanto agli atti che hanno seguito la delibera di insindacabilita' (si tratta dell'ordinanza di rimessione, descritta in epigrafe), va detto quanto segue. 2.2.1. - Il procedimento relativo all'accertamento dell'insindacabilita' delle opinioni espresse dai parlamentari, disciplinato dai principi stabiliti dalla Costituzione, prima ancora che dalla legge n. 140 del 2003 era stato disegnato secondo i criteri puntualmente ricostruiti da codesta ecc.ma Corte costituzionale sin dalla sent. n. 1150 del 1988. In quella occasione, e' ben noto, la Corte ebbe a giudicare di un conflitto di attribuzione proposto dalla Corte d'appello di Roma contro il Senato della Repubblica. La ricorrente aveva contestato che il Senato avesse «il potere di esercitare, in questa materia, la funzione giurisdizionale che, istituzionalmente, spetta invece all'autorita' giudiziaria ordinaria». Tanto, poiche' la ricorrente - cosi' come la Corte ha ritenuto nella menzionata pronuncia - «intende[va] dire che, mentre il secondo comma concede a ciascuna Camera il potere di sottrarre i propri membri alla giurisdizione penale per fatti ad essi imputabili a titolo di reato, "il primo comma, invece, in ordine alla garanzia sostanziale, nessuna competenza attribuisce al Parlamento"». Ebbene, come la stessa sent. n. 1150 del 1988 ricorda, la Corte di appello di Roma aveva dedotto, da tale premessa, che, «se la Camera di appartenenza afferma che i fatti addebitati a un proprio membro sono coperti dall'irresponsabilita' ex art. 68, primo comma, e quindi ordina la restituzione degli atti al Ministro, tale delibera impedisce il proseguimento dell'azione penale in quanto implica rifiuto dell'autorizzazione a procedere, ma non puo' avere l'effetto preteso dal Senato di impedire anche l'accertamento dei fatti da parte del giudice civile, al quale sia stata proposta una domanda di risarcimento dei danni». La sentenza in commento affermo' che «Tra la premessa (esatta) che l'art. 68, primo comma, non attribuisce alle Camere un potere del tipo di quello previsto dal secondo comma e la conclusione ..., che in materia di irresponsabilita' dei parlamentari nessuna competenza, in assoluto, spetta al Parlamento, v'e' un salto logico evidente». Infatti, «La prerogativa del primo comma (c.d. insindacabilita) attribuisce alla Camera di appartenenza il potere di valutare la condotta addebitata a un proprio membro, con l'effetto, qualora sia qualficata come esercizio delle funzioni parlamentari, di inibire in ordine ad essa una difforme pronuncia giudiziale di responsabilita' sempre che ... il potere sia stato correttamente esercitato». Nondimeno, «il potere valutativo delle Camere non e' arbitrario», ma «e' soggetto a un controllo di legittimita', operante con lo strumento del conflitto di attribuzione ...». Conseguentemente, «qualora il giudice di una causa civile di risarcimento dei danni, promossa da una persona lesa da dichiarazioni diffamatorie fatte da un deputato o senatore in sede extraparlamentare, reputi che la delibera della Camera di appartenenza, affermante l'irresponsabilita' del proprio membro convenuto in giudizio. sia il risultato di un esercizio illeggittimo (o, come altri si esprime, di "cattivo uso") del potere di valutazione, puo' provocare il controllo della Corte costituzionale sollevando davanti a questa conflitto di attribuzione». La sent. n. 1150 del 1988, quindi, ha stabilito i seguenti, non derogabili principi: a) il primo comma dell'art. 68 Cost. attribuisce a ciascuna Camera il potere di stabilire se una certa opinione manifestata da un proprio membro sia coperta dalla garanzia dell'insindacabilita', apprestata da tale disposizione costituzionale; b) l'effetto dell'eventuale deliberazione di insindacabilita' e' quello di «inibire ... una difforme pronuncia giudiziale di responsabilita»; c) il potere valutativo della Camera non e' insindacabile, ma soggetto al controllo di legittimita' della Corte costituzionale, che tuttavia deve essere attivato con apposito ricorso per conflitto di attribuzione dell'autorita' giudiziaria procedente; d) il solo strumento per contestare (e' impedire) l'effetto inibitorio della deliberazione di insindacabilita', pertanto, e' il ricorso per conflitto di attribuzione. 2.2.2. - Orbene, anche nella fattispecie che ne occupa, il Tribunale di Messina, di fronte alla deliberazione di insindacabilita', aveva a disposizione due strade: a) condividere la valutazione di applicabilita' della guarentigia dell'art. 68, comma 1, Cost., e statuire di conseguenza; b) contestare tale valutazione, proponendo conflitto di attribuzione a tutela delle prerogative dell'Ordine giudiziario. La via seguita dal Tribunale (promozione di un giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge n. 140 del 2003, tamquam la deliberazione parlamentare non fuisset) non rientra affatto tra quelle che la Costituzione consente di imboccare. 2.2.3. - La fattispecie che ne occupa, in realta', e' identica ad altre che l'ecc.ma Corte costituzionale ha gia' avuto modo di scrutinare, pronunciandosi nel senso dell'illegittimita' degli atti compiuti dall'autorita' giudiziaria. In particolare, la sent. n. 129 del 1996 si e' pronunciata su di un conflitto proposto dal Senato della Repubblica sulla seguente vicenda: a) il Senato aveva deliberato di dichiarare insindacabili, ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost., talune opinioni espresse dal sen. Carmine Mancuso, comunicando tale deliberazione al Presidente della Sezione II penale del Tribunale di Palermo, che stava procedendo nei confronti del parlamentare per il reato di diffamazione aggravata; b) il Tribunale di Palermo (ritenendo che l'art. 68, comma 1, Cost., prevedesse una condizione di non punibilita' e non di procedibilita) rigetto' l'eccezione di improcedibilita' formulata dal parlamentare imputato e dispose doversi procedere al dibattimento nonostante la delibera di insindacabilita'; c) in seguito a tale provvedimento il Senato propose conflitto di attribuzione, chiedendo (oltre alla declaratoria sulla spettanza del potere) l'annullamento di detto provvedimento. La risposta della Corte fu cristallina: i) fu, anzitutto, ammesso l'intervento della Camera dei deputati, poiche' «la materia del contendere e' costituita dalla posizione - assunta dal provvedimento giudiziale impugnato - contrastante con la qualificazione giuridica della deliberazione del Senato come causa immediatamente impeditiva della prosecuzione del procedimento penale pendente a carico del senatore Carmine Mancuso», sicche' era «incontestabile l'interesse comune dei due rami del Parlamento a ottenere una sentenza che affermi l'inerenza di tale effetto alla prerogativa parimenti attribuita ai loro membri dalla norma costituzionale, ristabilendo gli equilibri costituzionali messi in gioco, al di la' del singolo caso, dal conflitto di attribuzione»; ii) furono richiamate, poi, le sentt. nn. 1150 del 1988 e 443 del 1993, che avevano «interpretato l'art. 68, primo comma, Cost., nel senso che esso attribuisce alla Camera di appartenenza il potere di valutare la condotta addebitata a un proprio membro, con l'effetto, qualora sia ritenuta esercizio delle funzioni parlamentari, di inibire in ordine ad essa una difforme pronuncia giudiziale, sempre che il potere sia stato correttamente esercitato»; iii) conseguentemente, fu ribadito che «Qualora reputi che la delibera favorevole all'applicazione dell'art. 68, primo comma, sia il risultato di un esercizio non corretto del potere ... il giudice, al quale si e' rivolta la persona lesa dalle dichiarazioni diffamatorie contestate, puo' soprassedere alla dichiarazione immediata di applicabilita' dell'art. 68 sollevando conflitto di attribuzione davanti a questa Corte, con effetto sospensivo del giudizio pendente davanti a lui»; iv) fu constatato che «questa interpretazione della norma costituzionale» non era stata rispettata dal tribunale, in quanto «Pur senza contestare la valutazione espressa dal Senato ... il tribunale ... ha disposto la celebrazione del dibattimento»; v) si ricordo' che per sorreggere tale decisione il tribunale aveva invocato due argomenti: «a) la condizione di non punibilita' prevista dall'art. 68, primo comma, Cost., non rientra tra le ipotesi di proscioglimento prima del dibattimento contemplate dagli artt. 129, comma 2, e 469 cod. proc. pen.; b) deve trovare tutela l'eventuale interesse del querelante ... all'accertamento della sua totale estraneita' ai fatti di reato attribuitigli»; vi) entrambi questi argomenti furono ritenuti privi di fondamento. Il primo, in quanto «e' certo che alla deliberazione della Camera di appartenenza che la riconosce e' coessenziale l'effetto inibitorio dell'inizio o della prosecuzione di qualsiasi giudizio di responsabilita' penale o civile per il risarcimento dei danni», sussistendo «l'obbligo del giudice - quando non ritenga di sollevare conflitto di attribuzione - di dichiarare immediatamente, in ogni stato e grado del processo, la causa di irresponsabilita' dell'imputato, affermata dalla Camera di appartenenza», obbligo che «discende direttamente dalla norma costituzionale». Il secondo, in quanto «rovescia il bilanciamento di interessi operato dal legislatore costituente. A tutela del principio (corrispondente a un interesse generale della comunita' politica) di indipendenza e autonomia del potere legislativo nei confronti degli altri organi e poteri dello Stato, l'art. 68 Cost. sacrifica il diritto alla tutela giurisdizionale del cittadino che si ritenga offeso nell'onore o in altri beni della vita da opinioni espresse da un senatore o deputato nell'esercizio delle sue funzioni. Questa prerogativa dei membri del Parlamento, poiche' costituisce, sul piano del diritto sostanziale, una causa di irresponsabilita' dell'autore delle dichiarazioni contestate, comporta, sul piano processuale, l'obbligo per l'autorita' giudiziaria di prendere atto della deliberazione parlamentare e di adottare le pronunce conseguenti»; vii) si confermo' che per l'autorita' giudiziaria «Il solo rimedio e' dato dalla possibilita' di controllo della Corte costituzionale sulla correttezza della deliberazione: controllo che il giudice puo' promuovere col mezzo del conflitto di attribuzione». Come si vede, una fattispecie in tutto analoga alla presente e una pronuncia che costituisce un puntualissimo precedente in termini. Precedente che e' stato confermato anche, ad es., dalla sent. n. 265 del 1997, che ha ribadito che la delibera di insindacabilita' determina un'effetto inibitorio sul giudizio»; dall'ord. n. 177 del 1998, che ha confermato essere illegittimo che «l'autorita' giudiziaria continui a procedere malgrado l'intervenuta deliberazione di insindacabilita' della Camera»; dalla sent. n. 329 del 1999, che ha rigettato un ricorso della Camera dei deputati che lamentava la prosecuzione di un giudizio nonostante una delibera di insindacabilita' solo in quanto (in accoglimento di un contestuale ricorso dell'autorita' giudiziaria) vi era stato il contemporaneo «annullamento con effetti ex tunc» di quella delibera (sicche' l'esito, senza la retroattiva perdita di effetti, sarebbe stato diverso); dalla sent. n. 469 del 1999, che ha dichiarato cessata la materia del contendere in un conflitto analogo al presente, solo perche' era «intervenuta assoluzione dell'interessato [il sen. Frasca] con la formula "perche' non punibile ai sensi dell'art. 68 della Costituzione" e ... [cio] induce a constatare la convergente valutazione, fra i soggetti del conflitto, in ordine all'operativita' della menzionata norma costituzionale relativamente alle opinioni espresse dal senatore Frasca» (non e' fuor d'opera rammentare che in quella occasione l'assoluzione fu pronunciata dallo stesso Tribunale di Messina, oggi resistente). 2.2.4. - Non basta. in disparte il fatto che tutta la giurisprudenza costituzionale in materia di insindacabilira', anche quando non pronuncia l'illegittimita' dei provvedimenti giurisdizionali che determinano la prosecuzione del processo nonostante la delibera della Camera ex art. 68, comma 1, Cost., vale da puntuale precedente in termini, si deve considerare che l'assoluta imprescindibilita' del procedimento disegnato dalla sent. n. 1150 del 1988 e' stata affermata anche in una controversia in qualche modo speculare alla presente. La sent. n. 379 del 1996, invero, ha giudicato su di un conflitto proposto dalla Camera dei deputati contro la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, che aveva indagato su presunte irregolarita' in talune votazioni svoltesi nell'aula della stessa Camera. La difesa della Procura aveva eccepito l'inammissibilita' del conflitto in quanto la Camera avrebbe dovuto, prima di proporlo, adottare la deliberazione di insindacabilita' (riservatale dall'art. 68 Cost.), che avrebbe dovuto essere - semmai - censurata dall'autorita' giudiziaria. Codesta ecc.ma Corte costituzionale, pero', ha rigettato tale eccezione, osservando che «il conflitto promosso dalla Camera dei deputati non fa leva esclusivamente sull'art. 68, primo comma, della Costituzione, che anzi questa disposizione e' invocata per argomentare l'esistenza e la latitudine dell'autonomia garantita alle Camere. L'invasione della sfera di autonomia della Camera dei deputati e' dedotta dalla ricorrente sull'espresso rilievo che l'autorita' giudiziaria, avendo affermato la sindacabilita' del comportamento dei due ex deputati alla luce del solo art. 68, primo comma, abbia sottaciuto dell'art. 64 della Costituzione, che detta sfera di autonomia direttamente tutela. In questo caso, lo schema procedimentale delineato da questa Corte a partire dalla sentenza n. 1150 del 1988, che postula il previo apprezzamento della Camera di appartenenza in ordine alla sindacabilita' delle espressioni o dichiarazioni del parlamentare che si assumano eccedenti la sua funzione - apprezzamento sul quale soltanto si esercita il controllo di questa Corte in sede di conflitto - non puo' operare automaticamente ...». Se ne deduce, con piana evidenza, che laddove sia questione della (pretesa) violazione dei limiti al potere delle Camere di affermare l'insindacabilita' dei loro membri, imposti dall'art. 68 Cost., lo schema procedimentale non puo' che essere quello sopra descritto: a) deliberazione della Camera; b) proposizione del conflitto di attribuzione da parte dell'autorita' giudiziaria; c) pronuncia della Corte costituzionale. Nessuno spazio, invece, e' previsto per attivita' dell'autorita' giudiziaria che, pur dopo la delibera di insindacabilita', tengano luogo del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Nello Stesso senso e' anche la costante giurisprudenza della Corte di cassazione. Infatti «quando il potere del Parlamento si sia manifestato con una dichiarazione di insindacabilita' delle opinioni espresse dal parlamentare, al giudice ordinario non rimane ... che prenderne atto ovvero sollevare un conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale ...» (Cass. pen., Sez. V, 16 novembre 1998, n. 1826; conformemente, Cass. pen., Sez. V, 24 settembre 2001, n. 36592). Molto chiaramente, anzi, e' stato affermato, sulla scia della giurisprudenza costituzionale, che sussiste una vera e propria ««coessenzialita» dell'effetto inibitorio di inizio o prosecuzione di ogni giudizio di responsabilita' alla pronuncia di insindacabilita' proveniente dalla Camera di appartenenza» (Cass. pen., Sez. V, 6 maggio 1998, n. 8412). 2.2.5. - Non varrebbe obiettare, a fronte di questa messe di conformi precedenti giurisprudenziali, che la recente sent. n. 120 del 2004 avrebbe implicitamente (sarebbe da dire: obliquamente) consentito di derogare al procedimento di cui alla sent. n. 1150 del 1988. A parte il facile rilievo che, se cosi' fosse, si tratterebbe di una vera e propria overruling, che avrebbe avuto bisogno di chiara ed esplicita argomentazione, va osservato quanto segue. In quella occasione la Corte si e' pronunciata su numerose questioni incidentali di legittimita' costituzionale nei confronti dell'art. 3, commi 1, 3, 4, 5 e 7, della legge 20 giugno 2003, n. 140. Non interessa, ovviamente, ripercorrere qui le motivazioni che hanno sorretto la declaratoria di infondatezza resa dalla sent. n. 120 del 2004. Conta, invece, rilevare che la questione di costituzionalita' e' stata scrutinata nel merito nonostante ch'essa fosse stata sollevata (peraltro da uno solo dei remittenti) dopo che, al processo era stata acquisita una delibera della Camera dei deputati che dichiarava insindacabili le opinioni in contestazione e prima del promovimento di un conflitto di attribuzione. E' questo, appunto, l'elemento che parrebbe, ad un primo sommario esame, rendere meno salda la posizione qui sostenuta dalla ricorrente Camera dei deputati. Non e', pero', cosi'. Nel corso del giudizio innanzi la Corte, per vero, l'Avvocatura dello Stato aveva eccepito l'inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate, prospettando, come riferisce la sentenza in commento, «il carattere "anticipato" della questione di costituzionalita' del comma 1 del citato art. 3 rispetto all'ipotizzata instaurazione di un conflitto di attribuzione con la Camera competente». Tale eccezione, pero', e' stata respinta, in quanto «i giudici rimettenti erano chiamati, innanzi tutto, ad applicare nei rispettivi giudizi proprio quel comma della cui costituzionalita' appunto dubitavano». Ora, sembra evidente che, cosi' statuendo, codesta ecc.ma Corte costituzionale si e' limitata a constatare che, in sede di giudizio incidentale, nell'ordine logico seguito dai remittenti, l'esame dell'art. 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003 veniva «prima» degli altri accertamenti. Nulla ha detto, tuttavia, sulla legittimita' del promovimento del giudizio di costituzionalita' per rapporto al rispetto della sfera di attribuzioni riservata dalla Costituzione alle Camere del Parlamento. Tale aspetto non solo poteva, ma doveva rimanere del tutto impregiudicato (e non sondato), in quanto le prerogative costituzionali dei singoli poteri dello Stato non possono essere tutelate ex officio dalla Corte costituzionale ma debbono essere difese da ciascun potere a mezzo del conflitto di attribuzione se e quando lo si ritiene opportuno. Il giudizio per conflitto di attribuzione e' un giudizio di parti e ad impulso di parte (pel quale e' anche ammessa l'estinzione per rinuncia accettata: art. 26, comma 6, N.I.). Tanto, tutt'al contrario del giudizio incidentale, che e' promosso in ragione dell'oggettiva rilevanza e non manifesta infondatezza della quaestio e che, una volta iniziato, e' condotto a compimento a prescindere dalla volonta' delle «parti» (ammesso che cosi' possano tecnicamente chiamarsi: sono note, sul punto, le incertezze della dottrina) costituite. L'eccezione della difesa erariale, insomma, prima ancora che infondata avrebbe potuto dirsi addirittura inammissibile, poiche' pretendeva di invocare un limite procedimentale (stabilito dall'art. 68 Cost., per come interpretato dalla costante giurisprudenza successiva alla sent. n. 1150 del 1988) che e' posto a presidio esclusivo delle attribuzioni costituzionali delle Camere del Parlamento. Alle Camere soltanto, percio', spetta farlo valere. Poiche', in quella occasione, ne' la Camera ne' il Senato avevano proposto conflitto, la pronuncia di codesta ecc.ma Corte non poteva essere altra che quella che e' stata. E da essa non si puo' ricavare la benche' minima statuizione sulla diversa questione che ne occupa oggi, in un diverso tipo di giudizio, nel confronto con diversi parametri costituzionali e in ragione della (indispensabile) imziativa del potere leso dagli atti e dai comportamenti qui censurati. 2.2.6. - Vale la pena, giunti a questo punto, ricordare che, sebbene una parte della dottrina l'abbia sostenuta, la tesi che seguendo il modello procedimentale della sent. n. 1150 del 1988 si reintrodurrebbe dalla finestra l'autorizzazione a procedere cacciata (con la legge cost. n. 3 del 1993) dalla porta non ha pregio. Ai sensi del primo comma dell'art. 68 della Costituzione, i parlamentari «non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni». Tale disposizione costituzionale, nella formulazione introdotta dalla legge cost. 29 ottobre 1993, n. 3, e' significativamente ancor piu' garantista di quella originaria («I membri del Parlamento non possono essere perseguiti ...) e riprende il testo proposto, in Assemblea costituente, dalla Commissione dei 75. Cio' - sembra palese - nell'intento di bilanciare la soppressione dell'autorizzazione a procedere con il rafforzamento della garanzia dell'insindacabilita'. A maggior ragione in seguito alla revisione del 1993, pertanto, il modello procedimentale ricostruito dalla sent. n. 1150 del 1988 deve essere rigorosamente rispettato: la deliberazione di insindacabilita' impedisce la stessa vocatio in ius del parlamentare assistito dalla guarentigia costituzionale. Nessuna autorizzazione a procedere, dunque, ma semplicemente l'accertamento che le opinioni espresse e i voti dati sono legati da un nesso funzionale all'esercizio del mandato. Se e' riscontrato questo nesso, il procedimento (civile o penale che sia) non puo' avere corso e nessun atto puo' essere compiuto dal giudice procedente (ad eccezione dell'emanazione di una pronuncia «assolutoria»). Il giudice ha, peraltro, l'arma del conflitto di attribuzione per far accertare che quel nesso, in realta', e' carente: tale arma - come dimostra la giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni - e' tutt'altro che spuntata, non essendo affatto raro che le deliberazioni di insindacabilita' delle Camere siano annullate dal giudice costituzionale. Evidente e grave, pertanto, la violazione dell'art. 68 Cost., commessa dal Tribunale di Messina. 2.2.7. - Nella fattispecie che ne occupa, la violazione dei consolidati principi stabiliti dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale in applicazione degli artt. 67 e 68 della Costituzione appare, dunque, evidente. Piu' in particolare, deve essere considerato che l'art. 68 della Costituzione e' intimamente saldato al precedente art. 67, che stabilisce il principio del libero mandato parlamentare. E' nelle due statuizioni costituzionali, infatti, nel loro combinato disposto, che l'indipendenza, l'autonomia e la liberta' delle Camere del Parlamento (peraltro garantita anche dagli artt. 64 e 70, ch riservano alle Camere la potesta' di autonormazione e la funzione legislativa, in entrambi i casi senza interferenze esterne) trovano la piu' piena e piu' efficace tutela. Questa tutela (che anche quando copre direttamente atti o comportamenti dei singoli componenti resta tutela dell'istituzione parlamentare) si articola attraverso istituti di varia natura giuridica: l'insindacabilita' per le opinioni espresse e i voti dati (art. 68, comma 1); la c.d. immunita' dagli arresti (art. 68, comma 2); la garanzia del domicilio del parlamentare (art. 68, comma 2: cfr. sent. n. 58 del 2004); la tutela dalle intercettazioni e dai sequestri indebiti (art. 68, comma 3). Tutti istituti, appunto, preordinati alla garanzia della liberta' del mandato parlamentare, dell'autonomia e dell'indipendenza delle Assemblee rappresentative. E' alla famiglia di tali guarentigie che appartiene il procedimento necessario per contestare la delibera di insindacabilita' che appaia viziata (in quanto lesiva delle sue attribuzioni) all'autorita' giudiziaria. Per la verita', parte della dottrina ha dubitato che tale necessario procedimento potesse desumersi dalle previsioni degli artt. 67 e 68 Cost., ma ha dubitato a torto. E' evidente, invero, che proprio la logica delle guarentigie parlamentari, stabilite a tutela dell'istituzione e non del singolo, impone che il concreto ricorrere dell' insindacabilita' sia apprezzato, preliminarmente, dalla Camera di appartenenza, non potendo essere affidata la valutazione della connessione tra opinione (o voto) e funzione alla diretta interlocuzione tra il singolo parlamentare e il magistrato procedente. L'intermediazione della delibera parlamentare, in altri termini, costituisce un passaggio necessario ed imprescindibile in un sistema nel quale la Costituzione ha voluto garantire l'autonomia e l'indipendenza delle Camere del Parlamento e non conferire un privilegio singolare ai loro membri (e, si badi, e' ovvio che trattandosi di organo collegiale non puo' valere il procedimento disegnato dalla sent. n. 154 del 2004 per la contestazione dell'insindacabilita' delle opinioni di un organo monocratico). E' cio' di cui non si avvede la dottrina che ha criticato la sent. n. 1150 del 1988: criticare il procedimento ivi previsto non significa contestare un privilegio in favore delle Camere, ma - tutt'al contrario - significa trasformare una saggia garanzia dell'istituzione in una immotivata e arcaica garanzia dei singoli parlamentari, in violazione dell'art. 68 della Costituzione. A tal proposito, anzi, va osservato che il meccanismo stabilito dalla legge n. 140 del 2003 fornisce il completamento necessario per la piena attuazione dell'art. 68, richiedendo sempre la previa delibera parlamentare, ma nella puntuale garanzia delle prerogative dell'autorita' giudiziaria (che puo' adottare gli atti non ripetibili o urgenti e puo' procedere in caso di inerzia della Camera competente oltre il - breve - limite di tempo stabilito). Che la deliberazione parlamentare, poi, abbia effetti inibitori nei confronti delle successive attivita' dell'Autorita' giudiziaria consegue pianamente a tale struttura e a tale funzione delle garanzie costituzionali: l'apprezzamento dell'insindacabilita' e' riservato alle Camere e non puo' essere disatteso dal magistrato; nel caso di apprezzamento positivo, l'adozione della delibera di insindacabilita' e' di per se' risolutiva di tutte le questioni dedotte nel procedimento innanzi l'autorita' giudiziaria e consente al magistrato procedente soltanto di prenderne atto; nondimeno, se la delibera costituisce esercizio illegittimo dei poteri della Camera e viola le prerogative dell'autorita' giudiziaria, questa ben puo' contestarla con ricorso per conflitto di attribuzione; null'altro, pero', e' consentito fare una volta che la delibera sia stata adottata. Ben lungi dall'essere una «invenzione» della giurisprudenza costituzionale, insomma, l'itinerario disegnato dalla sent. n. 1150 del 1988 e' - puramente e semplicemente - la puntuale traduzione in termini procedimentali dell'assetto sostanziale dei valori stabilito dalla Costituzione. La giurisprudenza di codesta, ecc.ma Corte costituzionale lo ha, del resto, ripetutamente affermato. La cit. sent. n. 379 del 1996 ha, con limpida chiarezza, affermato che la Costituzione propone «un equilibrio razionale e misurato tra le istanze dello Stato di diritto, che tendono ad esaltare i valori connessi all'esercizio della giurisdizione (universalita' della legge, legalita', rimozione di ogni privilegio, obbligatorieta' dell'azione penale, diritto di difesa in giudizio, ecc.) e la salvaguardia di ambiti di autonomia parlamentare sottratti al diritto comune, che valgono a conservare alla rappresentanza politica un suo indefettibile spazio di liberta», e che «La fisiologica interferenza tra due situazioni di liberta' genera ... un conflitto tra valori dotati entrambi di cogenza costituzionale, in relazione al quale questa Corte ha gia' delineato il modello procedimentale di composizione ...». Il percorso che le Camere e l'autorita' giudiziaria devono rispettare, insomma, e' desumibile dagli stessi artt. 67 e 68 della Costituzione e - come detto - traduce in termini procedimentali il bilanciamento tra valori sostanziali gia' compiuto dalla stessa Costituzione (il punto e' pacifico nella giurisprudenza costituzionale: v., da ultimo, sent. n. 11 del 2000).
P. Q. M. Chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare che non spetta all'autorita' giudiziaria e in particolare al Tribunale civile di Messina proseguire il giudizio pendente nei confronti di un membro della Camera dei deputati nonostante la formulazione dell'eccezione di applicabilita' dell'art. 68, comma 1, della Costituzione, ne', una volta sopravvenuta la deliberazione di insindacabilita' del parlamentare da parte della Camera dei deputati, adottare altri atti del procedimento ed in particolare promuovere questione incidentale di legittimita' costituzionale e conseguentemente annullare i seguenti atti: a) provvedimento di rinvio dell'udienza relativa al procedimento nei confronti dell'on. Nicola Vendola (R.G. n. 2807/2001) assunto dal Tribunale di Messina in data 30 giugno 2003; b) provvedimento di rinvio dell'udienza relativa al medesimo procedimento assunto del Tribunale di Messina in data 21 luglio 2003; c) provvedimento di trattenimento della causa in decisione, relativamente al medesimo procedimento, assunto dal Tribunale di Messina in data 22 settembre 2003; d) ordinanza del Tribunale di Messina 26-27 gennaio 2004 (nella Gazzetta Ufficiale, 1ª serie spec., 19 maggio 2004, con il n. R.O. 389/2004), con la quale e' stato promosso giudizio incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140, nella parte precisata al dispositivo della predetta ordinanza. Roma, addi' 16 luglio 2004 On. Pier Ferdinando Casini - Avv. prof. Massimo Luciani 05C0258