N. 96 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 novembre 2004
Ordinanza emessa il 17 novembre 2004 dal G.I.P. del Tribunale di Verona nel procedimento penale a carico di Pirana Maria Reati tributari - Definizione automatica per gli anni pregressi - Prevista non punibilita' per i reati commessi in materia tributaria - Natura di amnistia «condizionata» di tale condono fiscale - Inosservanza della procedura prevista per la concessione dell'amnistia - Insussistenza del presupposto dell'eccezionalita' - Contrasto con il principio di uguaglianza - Violazione del principio di capacita' contributiva - Incidenza sul dovere di osservanza della Costituzione e delle leggi - Lesione del principio di obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale. - Legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9. - Costituzione, artt. 1, 3, 53, 54, 79 e 112.(GU n.10 del 9-3-2005 )
IL TRIBUNALE Decidendo in ordine alla richiesta di archiviazione avanzata dal p.m. nel p.p. n. 1361/04 RG NR, pendente davanti a questa a.g. nei confronti di Pirana Maria, ha pronunziato la seguente ordinaza. Il presente procedimento ha ad oggetto il reato tributario di cui all'art. 4 d.lgs. n. 74/2000 con riferimento alla presentazione di una dichiarazione dei redditi infedele, per omessa indicazione di elementi attivi per importo tale che l'imposta evasa e' risultata superiore ad euro 103.291,38, e si riferisce quindi a reato non ancora prescritto; la notizia di reato risulta apparentemente fondata, in esito alle ispezioni contabili ed agli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza presso la ditta di oreficieria gestita dalle indagate; in relazione al suddetto reato non si ravvisano pertanto allo stato elementi utili all'archiviazione per infondatezza della notizia di reato, ed il p.m. invero chiede l'archiviazione avendo l'Agenzia delle Entrate segnalato che la societa' in oggetto ha definito quanto oggetto del processo verbale di constatazione ai sensi dell'art. 9 della legge n. 289/2002, che prevede la sanatoria (ad istanza dell'interessato e dietro pagamento di una somma costituente una ridottissima percentuale, prefissata dalla norma, dell'imposta dovuta per gli anni precedenti in base alle ultime dichiarazioni dei redditi presentate), dei reati tributari di dichiarazione fraudolenta, mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. n. 74/2000), di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifizi (art. 3 medesimo d.lgs), di dichiarazione infedele (art. 4), di omessa dichiarazione (art. 5), di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10). Poiche' il reato oggetto del procedimento e' rientrante appunto tra quelli che l'art. 9 della suddetta legge n. 289/2002 consente vengano estinti per effetto del descritto meccanismo condonatorio, questo giudice e' chiamato a fare applicazione della normativa indicata ai fini della propria decisione in ordine alla archiviabilita' o meno del procedimento, che a giudizio di questo giudice, alla stregua degli elementi considerati, puo' essere disposta solo per effetto del disposto del citato art. 9 del d.lgs n. 289/2003. In realta', a parere di questo giudicante, si pone una questione relativa alla legittimita' costituzionale, per evidente contrasto con gli artt. 3, 53 e 79 della Costituzione, delle leggi di condono, o sanatoria che dir si voglia, in materia tributaria e penale; questione che deve essere seriamente affrontata stante l'abuso dell'istituto negli ultimi anni, atteso che il «condono» di cui alla predetta legge n. 289/2002 (e successive modificazioni), originariamente previsto per i periodi di imposta in relazione ai quali, alla data del 31 ottobre 2002, fosse gia' scaduto il termine per la presentazione delle dichiarazioni redditi ed Iva, e' stato esteso - giusta la espressa previsione di cui all'art. 44 della legge n. 350/2003 - anche al periodo fiscale in corso al 31 dicembre 2002, per il quale le dichiarazioni siano state presentate entro il 31 ottobre 2003: di talche', per la prima volta nella storia della Repubblica, l'efficacia di un condono fiscale e' stata estesa anche all'anno fiscale in corso all'atto della sua emanazione, e cioe' all'anno immediatamente successivo a quello cui era originariamente limitata la sua originaria vigenza, cosi' ingenerando nel contribuente l'ovvia aspettativa del ricorso a condoni anche per gli anni fiscali immediatamente successivi ed ancora in corso: con grave danno alla certezza del diritto ed alle ragioni fiscali dello Stato, oggetto di tutela diretta, sia pure implicita, ad opera dell'art. 53 della Costituzione. Analoga - ma ovviamente non coincidente - questione di illegittimita' costituzionale e' gia' stata sollevata da questo giudice in altri procedimenti con riferimento al c.d. condono edilizio disciplinato dalla, legge n. 326/2003, per ritenuto contrasto con gli artt. 3 e 79 della Costituzione, con ordianze depositate in data 5 dicembre 2003; e la Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 197 del 24 - 28 giugno 2004, ha disposto la restituzione degli atti a questo giudice, ritenendo di avere operato una modifica sostanziale della disciplina impugnata con l'emanazione, in quelle stesse date, della sentenza n. 196/2004, che aveva dichiarato la parziale illegittimita' costituzionale dell'art. 32 della legge n. 326/2003; di talche', a giudizio della Corte, si poneva il problema di «un nuovo esame dei termini delle questioni e della loro perdurante rilevanza nei giudizi a quibus». Osserva il giudicante che la Corte, con la sentenza n. 196/2004, che non decideva sulle ordinanze di rimessione pronunziate da questo giudice, non appare aver tuttavia vagliato le specifiche censure che questo giudice aveva mosso alla legittimita' in se' delle leggi di condono o sanatoria, avendo la Corte osservato che, nel sollevare la questione, le (altre) autorita' rimettenti non avevano svolto argomentazioni diverse da quella gia' confutate dalla Corte con proprie precedenti sentenze, alle quali pertanto riteneva di doversi uniformare. Ritiene questo giudice di avere invece ulteriori argomentazioni da sottoporre al vaglio della Corte, e tali che dovrebbero verosimilmente indurla a rivedere le sue pur argomentate pregresse decisioni in ordine a compatibilita' costituzionale delle leggi di condono con effetti estintivi del reato. Preliminarmente e' da osservarsi che la legge n. 289/2003, pur prevedendo agli artt. 8, 9 e 15 un procedimento di sanatoria cui consegue la «esclusione della punibilita' ad ogni effetto», non appare introdurre ex post e con effetto solo retroattivo una nuova scriminante, ne' altra atipica causa di non punibilita' operante solo per il passato (nelle quali ipotesi, la norma si porrebbe senz'altro in evidente contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte in cui esclude la possibilita' di ricorrere ad una procedura di «liceizzazione» del fatto anche a coloro che non hanno gia' commesso il reato), ma, di fatto, una evidente causa di estinzione del reato. Tanto premesso, puo' quindi passarsi all'esame particolareggiato delle rilevabili cause di illegittimita' costituzionale della normativa indicata. Il contrasto con l'art. 79 della Costituzione Va quindi prima di tutto ricordato, quanto al contrasto con l'art. 79 comma 1 della Costituzione, che tale norma affida la potesta' di estinguere i reati con atto legislativo solo alla legge di amnistia, che deve essere approvata con la maggioranza qualificata di 2/3 dei membri di ciascuna Camera. Tale puntualizzazione appare di tutto rilievo, atteso che la previsione di un procedimento estintivo di tutti i reati di una determinata specie, purche' gia' commessi entro una data prefissata, subordinata al pagamento di somme ed altri comportamenti del reo entro altra data prefissata, altro non e' che un'amnistia condizionata come disciplinata dall'art. 151 comma 4 c.p.; e cio' a prescindere dal nomen iuris («condono», «sanatoria» et similia) prescelto dal legislatore ordinario e che non puo' valere a mascherare l'effettiva natura del provvedimento emanato, a meno che non si voglia ritenere che i limiti posti dalla Costituzione al legislatore ordinario si concretino solo nel divieto di utilizzare determinati nomina piuttosto che altri. Infatti, opinare diversamente significa accettare la frustrazione delle garanzie e dei vincoli posti dalla Costituzione in relazione all'oggetto, allo scopo ed alla funzione di quei provvedimenti che - come quelli che, dichiarando l'estinzione di determinati reati, purche' gia' commessi, sono disciplinati nelle forme della legge di amnistia - appaiono dotati di particolare rilevanza costituzionale (operando sulla eguaglianza dei cittadini davanti alla legge penale), sicche' non a caso la legge fondamentale dello Stato li disciplina operando una attenta, ragionata e non casuale ripartizione di competenze tra i poteri dello Stato e, nell'ambito delle attribuzioni dello stesso potere, prevede altresi' procedure e limiti per l'esercizio dello stesso. Va quindi ricordato che analoghe questioni di incostituzionalita' per violazione dell'art. 79 Cost., sollevate in relazione a precedenti leggi di «condono», furono ritenute non fondate dalla Corte costituzionale, che escluse - anche in ragione dell'eccezionalita' dell'istituto - che le leggi di condono potessero essere equiparate ad amnistie condizionate, anche in ragione della complessita' delle fattispecie di sanatoria; cio', tuttavia, in forza di argomentazioni che, a distanza di tempo, ed alla luce dell'esperienza maturatasi in questi anni in ordine all'uso ed abuso degli strumenti di condono e sanatoria, appaiono meritevoli di riconsiderazione, almeno in relazione al caso in oggetto, atteso che: a) e' proprio dell'amnistia c.d. «condizionata» vedere l'effetto estintivo del reato promanare non gia' in via diretta ed immediata dal provvedimento di clemenza, ma dall'adempimento da parte dell'interessato di obblighi od oneri specificati dal suddetto provvedimento di clemenza, oltre che dal verificarsi di condizioni eventualmente esterne alla volonta' dello interessato: sicche' la circostanza che l'effetto estintivo previsto dalla richiamata legge n. 289/2002 consegua ad una fattispecie talora complessa (ex artt. 8 e 9 essendo necessario anche la presentazione di una dichiarazione integrativa, ed eventualmente una regolarizzazione delle scritture contabili, oltre al versamento di una somma di danaro generalmente - ma non nel caso di cui all'art. 9 - commisurata all'imposta evasa), peraltro tutta consistente di obblighi il cui adempimento e' rimesso alla volonta' dell'imputato, appare attagliarsi perfettamente alla figura dell'amnistia condizionata; non a caso, si osserva, in un'epoca in cui le forme costituzionali erano forse oggetto di maggior rispetto, analoghi effetti di esrnzione di reati tributari (e per altro con ampiezza ben inferiore a quanto previsto dalla legge n. 289/2002) furono perseguiti con la legge delega di amnistia e successivo d.P.R. n. 23/1992; e' per tale complesso di ragioni che non convincono, ed appaiono superate dall'effetto dell'abuso dell'istituto nel giro di un decennio, le diverse argomentazioni proprie di Corte costituzionale 369/1988 e 427/1995, che comunque sembravano poggiare sul rilievo dell'eccezionalita' dell'istituto (eccezionalita' negata appunto dall'abuso dell'istituto e su cui comunque, ampiamente si dira' oltre, per negarne la sussistenza); ne' puo' diversamente opinarsi in forza della circostanza che la legge n. 289/2002 non estingua i reati in relazione ai quali sia gia' intervenuta una sentenza di condanna anche solo in primo grado, in quanto tanto non priva detta legge delle caratteristiche fondamentali proprie della legge di amnistia, atteso che tale peculiare disciplina attiene allo specifico atteggiarsi della condizione (presentazione di dichiarazione integrativa e pagamento di una somma prima della conoscenza formale della richiesta di rinvio a giudizio) al cui verificarsi gli effetti del provvedimento di clemenza sono assoggettati; b) in ogni caso, quand'anche volesse ritenersi, reiterando l'insegnamento di cui alle due pronunzie della Corte costituzionale citate da ultimo, che la complessita' (peraltro eventuale) della fattispecie estintiva delineata dalle procedure di cui agli artt. 8, 9 e 15 della legge n. 289/2002 mal si attagli alla figura dell'amnistia condizionata, non puo' comunque non dubitarsi fortemente della legittimita' costituzionale di provvedimenti legislativi aventi effetti estintivi del reato ma diversi dall'amnistia, atteso che quello di emanare quest'ultima (con un procedimento particolarmente garantito dalla necessaria sussistenza del voto positivo della maggioranza dei 2/3 dei componenti di ciascuna delle Camere su ogni articolo oltre che sul testo finale) e' l'unico potere che la Carta costituzionale assegni al Parlamento come strumento ed espressione di una potesta' assolutamente eccezionale (di talche' e' lo stesso insegnamento della Corte costituzionale a ricordare che presupposti legittimanti devono esserne situazioni particolari) di paralisi dell'azione penale, che l'art. 112 Cost. vuole obbligatoria e, secondo il comune insegnamento della dottrina costituzionale, irretrattabile; alla luce ditali considerazioni, e dello stesso insegnamento della Corte costituzionale ricordato da ultimo, appare invero da negarsi l'attribuzione al Legislatore di un potere di estinzione del reato o di esclusione della punibilita' mediante leggi ordinarie quali espressione di un potere «atipico» che invero non risulta affatto previsto dalla Costituzione; b-bis) invero, anche l'esegesi storica della Carta costituzionale conduce allo stesso risultato interpretativo: nell'impianto originario, il potere di emanare amnistia era assegnato al Presidente della Repubblica, sia pure su legge di delega del Parlamento: legge, tuttavia, che costituiva in capo al Presidente della Repubblica un potere, e non gia' un obbligo (di emanare l'amnistia); potere, a sua volta, che era assegnato al Capo dello Stato perche', nella sua veste di garante super partes delle istituzioni e della Costituzione, valutasse l'opportunita' di emanare un provvedimento di amnistia, che la Costituzione evidentemente non voleva assegnato all'arbitrio delle contingenti maggioranze politiche, stante l'ovvio ed evidente pericolo di abusi della maggioranza e della realizzazione di privilegi di esenzione dall'obbligatorieta' dell'azione penale, e quindi in violazione di tale ultimo principio, dalla Costituzione istituito a garantire l'effettivita' del principio di eguaglianza dei cittadini anche nel processo penale. Nell'impianto successivo alla modifica apportata dalla legge costituzionale n. 1/1992, all'emanazione dell'amnistia e' necessaria una legge votata con maggioranza altamente qualificata (2/3 dei componenti di ciascuna Camera, per ogni articolo e sul testo complessivo), al fine precipuo di realizzare quella stessa garanzia la cui tutela era prima affidata al Presidente della Repubblica, atteso che - sottratto il relativo potere a quest'ultimo (anche al fine di accentuarne la deresponsabilizzazione politica) - solo il concorso di maggioranze altamente qualificate, statisticamente di gran lunga eccedenti quelle proprie delle maggioranze di governo, poteva garantire da quel pericolo di abusi cui gia' si e' accennato; b-ter) ne consegue che, come premesso, le leggi di «condono» o «sanatoria», in cui l'effetto estintivo o comunque di esclusione della responsabilita' penale per fatti gia' commessi e' collegata all'adempimento di condizioni od obblighi da parte dell'imputato, sia o meno detto adempimento sottoposto a controllo da parte di organi amministrativi, sono senz'altro costituzionalmente illegittime se non adottate con le maggioranza qualificate di cui all'art. 79 Cost.: infatti, se non costituiscono provvedimenti di amnistia condizionata «mascherata», senz'altro si pongono oltre i limiti dei poteri assegnati dalla Costituzione al Parlamento, e sono pertanto comunque illegittimi costituzionalmente. A prescindersi dal nomen iuris attribuibile agli istituti estintivi disciplinati dagli artt. 8, 9 e 15 della legge n. 289/2002, questi appaiono comunque costituzionalmente illegittimi: se e' un'amnistia, e' in concreto incostituzionale perche' deliberata senza la maggioranza qualificata imposta dall'art. 79 comma 1 Cost.; se non e' un provvedimento di amnistia mascherata, e' incostituzionale perche' la Costituzione appare aver volutamente ed scientemente previsto solo l'amnistia - in forza del suo particolare procedimento deliberativo, prima rimesso ad un potere del Capo dello Stato pur se su delega del Parlamento, poi ad una maggioranza altamente qualificata - come unico strumento per paralizzare per via normativa l'esercizio dell'azione penale e derogare al principio dell'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge penale. Il contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione (Principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e principio della doverosita' del concorso alla spesa pubblica secondo la propria capacita' contributiva). Effetto principe di ogni legge di condono o sanatoria, ed anche delle leggi di amnistia, e' quello di operare una disparita' di trattamento tra i cittadini: sia perche' coloro che hanno violato la legge vengono trattati come coloro che non l'hanno violata (ed anzi, talora, addirittura meglio, come e' nel caso in oggetto, in cui il reo, inadempiente dell'obbligazione tributaria, si libera delle conseguenze penali e tributarie della sua violazione pagando una somma non corrispondente alla sua obbligazione tributaria ed anzi sensibilmente inferiore alla stessa); sia perche', tra cittadini entrambi contravventori della legge, alcuni beneficiano del provvedimento di clemenza, altri no (ad esempio, in dipendenza del tempus commissi delicti o del titolo del reato loro ascrivibile e non ricompreso - pur eventualmente a parita' di pena edittale - tra quelli oggetto del provvedimento di clemenza). E' per tale ragione che, anche con riferimento alle leggi di amnistia, la Corte costituzionale ha nel passato rilevato che le stesse debbano giustificarsi in relazione a circostanza particolari, nelle quali possa trovarsi ragionevole fondamento e giustificazione della previsione di una simile disparita' di trattamento; e la previsione costituzionale di maggioranze altamente qualificate (addirittura piu' ampie di quelle necessarie per una legge di riforma costituzionale) per l'emanazione della legge di amnistia sembra appunto assolvere in buona parte alla stessa esigenza. Nel caso di leggi di condono o sanatoria che, come quella in oggetto, sono state adottate senza le maggioranze previste dall'art. 79 della Costituzione, l'effetto di disparita' di trattamento diviene di assoluta evidenza; e cio' tanto piu' con riferimento proprio alla specifica normativa prevista dagli artt. 15 e 9 della legge n. 289/2002, come meglio oltre si dira'. Va subito sgombrato il campo da ogni possibile equivoco in ordine alla pretesa assimilabilita' dei condoni all'istituto dell'oblazione disciplinato dagli artt. 162 e 162-bis del codice penale, dalla quale sia l'amnistia che il provvedimento di condono tributario, al di la' dei nomina iuris scelti dal legislatore, profondamente si differenziano. Infatti, l'oblazione e' un mezzo di estinzione del reato previsto dal legislatore in via ordinaria, generale ed astratta per tutti i reati, generalmente ancora da commettere e non gia' commessi, rientranti in una determinata tipologia (contravvenzioni puniti con pena pecuniaria, da sola o in alternativa a quella detentiva), che li caratterizza come reati di ridotta gravita', per i quali e' gia' in via ordinaria prevista la pena pecuniaria, come unica pena o come alternativa alla pena detentiva; l'effetto estintivo del reato e' ricollegato al pagamento di una somma che, essendo una quota rilevante del massimo della pena pecuniaria prevista per tali reati (tant'e' che non e' prevista oblazione per i reati per i quali la pena da irrogarsi abbia natura detentiva), assolve nel concreto alle finalita' proprie della condanna a pena pecuniaria, e non appare pertanto porsi in violazione con i principi di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge penale. Rileva pertanto che, invece, sia l'amnistia (condizionata o meno) che il condono tributario disciplinato dalle norme richiamate sono rivolti solo a reati gia' commessi prima dell'emanazione del provvedimento estintivo, essendo peraltro il c.d. «condono» connesso al pagamento di somme che non costituiscono quota parte della pena prevista per i reati «condonabili» (ordinariamente, ed in particolare nel caso in oggetto, puniti solo con pena detentiva e non gia' con pena detentiva) sicche', anche per tal via, il suddetto «condono» si presta ad assurgere a lesione del principio di eguaglianza tra i cittadini (tra quelli che hanno rispettato la legge e quelli che non l'hanno rispettata, e tra quelli che sono stati condannati con pena di legge e quelli che, magari per la maggior capacita' di rendere difficoltoso l'accertamento della loro responsabilita', ancora non sono stati condannati a pena di legge, e mai lo saranno grazie proprio al «condono»): principio di eguaglianza peraltro che la stessa legge di amnistia rispetta - in quel che appare essere l'insegnamento della Corte costituzionale - ove ancorata ad eventi e situazioni eccezionali, mentre l'attuale legge di condono sembra essere ancorata solo ad una eccezionale difficolta' (apparentemente politica, piu' che oggettiva) di reperire altrimenti fonti finanziarie sufficienti a coprire le spese dello Stato. Da ultimo, va osservato che, per quel che poi piu' specificamente e' proprio del procedimento di cui all'art. 9 della legge n. 289/2002 - nemmeno appare invocabile il precedente (ove mai dal mancato sindacato di una norma ordinaria possa farsi derivare la legittimita' o meno di altra norma) apparentemente costituito dal d.lgs. n. 218/1997, che egualmente estingueva i reati laddove il contribente aderisse all'accertamento eseguito dall'ufficio finanziario: ed invero, tale ultimo istituto non solo aveva effetti estintivi della punibilita' estremamente piu' limitati di quelli propri della legge n. 289/2002 (in pratica, estingueva solo le contravvenzioni di cui all'art. 1 della legge n. 516/1982), ma inoltre non si poneva in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. a differenza di quanto invece accade nel caso del procedimento di cui all'art. 9 della legge n. 289/2002: infatti, nel caso di accertamento con adesione, il contribuente pagava pressocche' integralmente le maggiori imposte dovute, e godeva dell'esenzione solo parziale dalle sanzioni pecuniarie previste in via tributaria per le violazioni contestate, sicche' il principio di eguaglianza davanti alla legge, anche tributaria, era sostanzialmente rispettato; invece, nell'ipotesi di cui all'art. 9 della legge n. 289/2002, il contribuente infedele e' esonerato da ogni sanzione, ed e' tenuto a versare una percentuale (pari alla miserrima somma dell'8% dell'imposta di cui all'ultima dichiarazione) della maggiore imposta accertata. Concludendo, la disciplina di cui all'art. 9 della legge n. 289/2002 (nonche' di cui all'art. 8 della legge, secondo un meccanismo che con accenti di ancor maggior gravita' si ravvisa nel procedimento di cui all'art. 15 della stessa legge: norme che qui tuttavia non vengono in immediato rilievo, se non per segnalare la filosofia di fondo di un provvedimento normativo di manifesta incostituzionalita), realizza con tutta evidenza un trattamento di ingiustificato ed iniquo favore (estinzione della responsabilita' penale e dell'obbligazione tributaria mediante pagamento di una quota - compresa tra il 30 ed il 35% delle maggiori imposte dovute - di detta obbligazione) nei confronti del cittadino e contribuente disonesto rispetto al contribuente corretto e fedele, con conseguente manifesta violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione, che predicano l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge in generale, a quella tributaria in particolare, e non ammettono pertanto che il cittadino infedele possa ricevere un trattamento di maggior favore rispetto al cittadino fedele, atteso che e' insegnamento costante della Corte costituzionale che ogni disparita' di trattamento deve rinvenire una ragionevole giustificazione, e la commissione di un illecito (penale e/o tributario) non puo' evidentemente assurgere a giustificazione di un privilegio o comunque di un trattamento di favore proprio in materia penale e fiscale. Violazione dell'art. 54 della Costituzione Va inoltre osservato che, pur espressamente sancendo lo stesso art. 54 della Costituzione che tutti i cittadini hanno il dovere di osservare la Costituzione e le leggi, la legge di condono tributario si pone invece a premio (come appena osservato) di chi la legge abbia violato, ed addirittura a disincentivazione del cittadino onesto al rispetto per il futuro delle norme di legge: cosi' ravvisando questo giudice nella normativa di condono una violazione anche del citato art. 54 della Costituzione; ed infatti, se l'art. 54 Cost. impone ai cittadini di osservare la legge, con detto comando vincola anche il Legislatore ordinario sia non premiare chi la legge non osservi, sia a non creare le condizioni che favoriscano - mediante i descritti effetti di disincentivazione - future inosservanza della Legge; si osservi che recenti notizie di cronaca riferiscono di come determinati ambienti politici, evidentemente raccogliendo aspirazioni ed aspettative ormai diffusesi tra contribuenti inadempimenti - abbiano suggerito di emanare nuove leggi di condono tributario, o di ampliare l'estensione temporale di quelle gia' promulgate. Confutazione della ricorrenza di casi di «eccezionalita» La stessa Corte costituzionale, peraltro, come si accennava, ha sempre strettamente collegato la legittimita' costituzionale delle leggi di condono alla ricorrenza di situazioni particolari ed a carattere eccezionale, che, uniche, avrebbero assicurato la legittimita' costituzionali di leggi estintive della punibilita' penale e non aventi le caratteristiche delle leggi di amnistia; premesso che da cio' si evince che secondo la stessa Corte costituzionale, pertanto, le leggi di sanatoria e condono non sono ordinariamente legittime costituzionalmente, ma possono diventarlo solo in dipendenza di situazioni eccezionali, e riservando al successivo sviluppo di questa ordinanza alcune doverose riflessioni sulla dignita' costituzionale della categoria della «eccezionalita» quale ipotesi di deroga ai principi costituzionali, vale la pena qui richiamare - perche' espressive di principi che, mutatis mutandis (sostituendo, ad es., le parole «condono tributario» a «condono edilizio», «evasione fiscale» a «abusivismo edilizio»; «tutela delle ragioni fiscali dello Stato e del principio di obbligo di partecipazione secondo la propria capacita' contributiva» a «tutela del paesaggio»), appaiono validi anche nel caso in oggetto - le parole che ancora con la citata sentenza n. 196/2004, la Corte ha pronunziato, affermando che: «Questa Corte, nella gia' richiamata giurisprudenza in tema di condono edilizio, ha piu' volte messo in evidenza che fondamento giustificativo di questa legislazione e' stata la necessita' di "chiudere un passato illegale" in attesa di poter infine giungere ad una repressione efficace dell'abusivismo edilizio, pur se non sono state estranee a simili legislazioni anche "ragioni contingenti e straordinarie di natura finanziaria" (tra le altre, cfr. sentenze n. 256 del 1996, n. 427 del 1995 e n. 369 del 1988, nonche' ordinanza n. 174 del 2002). Cio' a giustificazione di un provvedimento normativo senza dubbio eccezionale e straordinario, che deve trovare la propria ratio sia nella "persistenza del fenomeno dell'abusivismo, con conseguente esigenza di recupero della legalita'", sia nella imputabilita' di tale fenomeno di abusivismo "almeno in parte, proprio alla scarsa incisivita' e tempestivita' dell'azione di controllo del territorio da parte degli enti locali e delle regioni" (cfr. sentenza n. 256 del 1996 e, analogamente, sentenze n. 302 del 1996 e n. 270 del 1996). Su questo piano, non puo' negarsi che la legislazione statale negli ultimi anni sia profondamente mutata, prevedendo ormai strumenti preventivi e repressivi adeguati, e che abbia trovato anche una sua relativa stabilizzazione nel recente testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia adottato con d.P.R. n. 380 del 2001 (non a caso, il comma 2 dello stesso art. 32 impugnato si riferisce appunto - seppur con norma contestata dalle ricorrenti ed alla quale si fara' riferimento oltre - a questo testo unico come ad una fonte idonea a creare discontinuita' nella stessa legittimazione ad adottare un condono edilizio). Al tempo stesso, non poche realta' comunali e regionali sembrano aver assunto linee di politica amministrativa e legislativa coerenti con un'azione di contrasto dell'abusivismo edilizio, anche se certo non in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale. In realta', la giurisprudenza di questa Corte ha sempre considerato ogni condono edilizio, che incide - come si e' ripetutamente sottolineato - sulla sanzionabilita' penale e sulla stessa certezza del diritto, nonche' sulla tutela di valori essenziali come il paesaggio e l'equilibrato sviluppo del territorio, solo come un istituto "a carattere contingente e del tutto eccezionale" (in tale senso, ad esempio, sentenze n. 427 del 1995 e n. 416 del 1995), ammissibile solo "negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale" (sentenza n. 369 del 1988), dovendo in altre parole "trovare giustificazione in un principio di ragionevolezza" (sentenza n. 427 del 1995). Pertanto questa Corte, specie dinanzi alla sostanziale reiterazione - tramite l'art. 39 della legge n. 724 del 1994 - del condono edilizio degli anni ottanta, piu' volte ha ammonito che non avrebbe superato il vaglio di costituzionalita' una ulteriore reiterazione sostanziale della preesistente legislazione del condono (fra le molte, cfr. sentenze n. 427 del 1995 e n. 416 del 1995, nonche' ordinanze n. 174 del 2002, n. 45 del 2001 e n. 395 del 1996). Tali affermazioni, tuttavia, non implicano l'illegittimita' costituzionale di ogni tipo di condono edilizio straordinario, mai affermata da questa Corte. Piuttosto, occorre uno stretto esame di costituzionalita' del testo legislativo che preveda un nuovo condono edilizio, al fine di individuare un ragionevole fondamento, nonche' elementi di discontinuita' rispetto ai precedenti condoni edilizi, in modo da evitare l'obiezione secondo cui si sarebbe in realta' prodotto un vero e proprio ordinamento legislativo stabile, diverso e contrapposto a quello ordinario, della cui gestione per di piu' sono in larga parte titolari soggetti istituzionali diversi dallo Stato. Sottoponendo l'art. 32 oggetto del presente giudizio all'esame se sussista una giustificazione del condono, rileva il comma 2 di questo articolo, il quale esprime - seppure con linguaggio in parte improprio - l'opportunita' che si preveda ancora una volta un intervento straordinario di condono edilizio nelle contingenze particolari della recente entrata in vigore del testo unico delle disposizioni in materia edilizia (che - tra l'altro - disciplina analiticamente la vigilanza sull'attivita' urbanistico-edilizia e le relative responsabilita' e sanzioni), nonche' dell'entrata in vigore del nuovo Titolo V della seconda Parte della Costituzione, che consolida ulteriormente nelle regioni e negli enti locali la politica di gestione del territorio». Orbene deve assolutamente rilevarsi che, se senz'altro l'evasione fiscale e' un fenomeno radicato e quindi perdurante nella societa' italiana, comunque non appare giustificarsi il ricorso al condono fiscale, una volta che il d.lgs. n. 74/2000 ha gia' profondamente ristretto le ipotesi di reati tributari, limitandone il numero e subordinandone in genere la rilevanza al superamento di elevatissime soglie di punibilita'; infine, il condono in oggetto non appare segnare alcuna discontinuita' con i precedenti condoni, atteso che non ne restringe, ma semmai amplia, l'ambito e l'oggetto, prevedendo la «condonabilita» anche di reati che - come quelli di cui all'art. 4 della legge n. 516/1982, ora artt. 2, 3, e 10 del d.lgs. n. 74/2000 - sono stati sempre tradizionalmente tenuti fuori dall'ambito dei provvedimenti di clemenza. Alla stregua delle considerazioni svolte, appare del tutto conseguente ritenere quindi l'illegittimita' costituzionale, in via di principio, delle leggi di «sanatoria» o «condono», e senz'altro di quella che qui interessa, in quanto la Costituzione - si ritiene necessario ripeterlo - e' chiara nel riservare alla legge di amnistia, col suo particolare procedimento deliberativo (previsto a garanzia del principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge penale e per sottrarre detto principio alla disponibilita' ed alle scelte di maggioranze contingenti), la possibilita' di produrre effetti estintivi del reato gia' commesso. Ne', a parere di questo giudice, appare possibile affermare in via di principio che detti effetti estintivi possano essere connessi a differenti fonti e procedimenti normativi (appunto, le leggi c.d. di «sanatoria» o «condono»), in dipendenza da pretese ragioni di «eccezionalita»; perche' invero, anche laddove la suddetta categoria della «eccezionalita», quale ipotesi di deroga ai principi costituzionali, possa essere intesa come dotata di dignita' costituzionale, e' dalla natura stessa della Costituzione che discende l'impossibilita' che, nel vigente assetto costituzionale, vi sia posto per leggi di «condono» o «sanatoria» che abbiano effetti estintivi dell'illecito penale, fuori dei casi disciplinati nelle legittime forme delle leggi di amnistia. Al fine di meglio motivare tali esiti ermeneutici cui questo giudice e' addivenuto, non appare inutile ripercorrere alcune nozioni in ordine alla natura della Costituzione della Repubblica italiana, pur se senz'altro ben note alla Corte, ma necessarie all'esplicazione delle ragioni della presente decisione. Come e' noto, la Costituzione e' la legge fondamentale dello Stato: cio' non solo nel senso che si pone al vertice della gerarchia delle fonti ma, prima di tutto, nel senso che la stessa e' la legge fondante dello Stato, nella sua veste di patto sociale che assicura la pacifica convivenza dei cittadini pur se portatori di opposti interessi: e' infatti in forza di detto patto sociale che i convenuti concordano nel sottomettersi al principio di maggioranza, e cioe' di vedersi vincolati dalle scelte da quest'ultima operate, in quanto dette scelte comunque non potranno incidere - se non in casi particolari, e con maggioranze talmente qualificate da manifestare oggettivamente la necessita' della modifica per il bene comune - sul nucleo fondante di quel patto sociale, e sui diritti e le altre situazioni personali di cui detto patto proclama la (almeno tendenziale) inviolabilita'. Con la Costituzione, pertanto, si stabilisce un nucleo di principi e valori comuni di cui si afferma l'assoluta rilevanza e che pertanto si vogliono sottratti all'eventuale strapotere o dittatura della maggioranza, la quale ultima e' normalmente contingente e transeunte; per tal verso, la Costituzione delinea pertanto l'anima e l'identita' di fondo di una nazione (e la ragion d'essere dello Stato che ne e' ente strumentale), che persiste nel tempo a prescindere da quelle che siano le maggioranze contingenti. Ne consegue l'assoluta delicatezza del tema delle deroghe all'assetto costituzionale motivate da «ragioni di eccezionalita»: deroghe che la Costituzione non ammette ne' in alcuna forma prevede, e che pertanto appare assolutamente rischioso ricavare in via interpretativa da un vuoto normativo che non offre agganci, se non la condivisa considerazione che, nell'ambito dei valori costituzionali, e' ravvisabile una sorta di «gerarchia», taluni principi apparendo piu' importanti - per la piu' immediata e diretta pertinenza con la tutela della persona - degli altri, pur tutti apparendo indefettibili perche' oggetto di previsione costituzionale; il che, tuttavia, si e' sempre ritenuto giustificare al piu' una compressione - nella ricerca di un equilibrio tra esigenze eventualmente contrapposte ma tutte di rilievo costituzionale - del rispetto di un principio costituzionale, ove assolutamente necessaria ad assicurare la tutela di un principio di rango «sovraordinato»: e non gia' la sia pure momentanea negazione del rispetto del principio «subordinato». Anzi, vale la pena ricordare come con la citata sentenza n. 196/2004 la stessa Corte costituzionale ha espressamente affermato che la «primarieta» non legittima un primato assoluto in una ipotetica scala gerarchica dei valori costituzionali, ma origimia la necessita' che essi debbano sempre essere presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni; in altri termini, la «primarieta» degli interessi che assurgono alla qualifica di «valori costituzionali» non puo' che implicare l'esigenza di una compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei processi decisionali all'interno dei quali si esprime la discrezionalita' delle scelte politiche o amnministrative». Appare quindi senz'altro legittimo che una legge ordinaria, chiamata a disciplinare una materia in cui vengano in conflitto beni-interessi entrambi oggetto di tutela costituzionale, possa operare un contemperamento di detti interessi ricercando il punto di equilibrio tra gli stessi nella ponderazione comparata della diversa rilevanza ed importanza gerarchica dei principi coinvolti (come ricorda la stessa sentenza n. 196/2004 della Corte costituzionale); ma non che - a tutela di un principio costituzionale - in un determinato ambito o in una determinata materia un altro principio costituzionale, di rango asseritamente inferiore, venga sacrificato o compresso drasticamente sino a svuotarlo sostanzialmente di tutela, e cioe' si «deroghi» a detto principio: e cio' perche' la Costituzione e comunque quella legge fondamentale che nella sua unitarieta' (e quindi, in tutte le sue parti) delinea l'assetto di fondo dello Stato che la comunita' nazionale ha deciso di darsi come condizione della sua pacifica esistenza e della legittimazione della istituzioni statuali, e non ammette pertanto lesioni nemmeno parziali. Tra i principii piu' importanti, e forse il piu' importante in assoluto (come svelato anche dalla sua collocazione quasi in apertura della Carta costituzionale), appare senz'altro essere il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, senza del quale non appare nemmeno predicabile la nozione di costituzione come patto sociale, perche' un patto e' equo, ed e' tale, solo se stipulato tra eguali: e l'intera Costituzione appare ispirata dal principio di eguaglianza ed equita', quali fondamenta dello Stato democratico di diritto. Per tal verso, si usa talora dire che la Costituzione appare quindi assimilabile ad un trattato o contratto: con la differenza che, nei trattati, gli Stati si riservano clausole di recesso o sospensione dell'applicazione degli stessi, in situazioni particolari, a tutela dell'interesse nazionale, cosi' come nei contratti ad ogni parte spetta il diritto di chiederne la risoluzione per inadempimento dell'altra parte; mentre, nell'attuale assetto Costituzionale, la tutela dell'eventuale «contraente debole» (e cioe', la contingente minoranza) dagli eventuali abusi del «contraente» di maggioranza, non riposa altro che nella indipendenza ed imparzialita' dei suoi giudici, ed in primis della Corte costituzionale, chiamati a valutare la correttezza costituzionale dell'operato della maggioranza. Diversamente da quanto la stessa Corte ha ritenuto con la sentenza n. 196/2004 in tema di reati edilizi, non puo' nel caso in oggetto ritenersi che la tutela dei diritti dei cittadini al rispetto dei principi «primari» possa essere rinvenuta in altre forme; se infatti, quanto al rispetto degli artt. 117, 118, 119 (e, in parte, 9) Cost., va condivisa l'osservazione che «il doveroso riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo specificativo - all'interno delle scelte riservate al legislatore nazionale - delle norme in tema di condono contribuisce senza dubbio a rafforzare la piu' attenta e specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio, che sono - per loro natura - i piu' esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi», e' peraltro del tutto evidente come manchino istituzioni ulteriori legittimate a farsi titolari - e quindi ad assurgere al ruolo di interlocutori del Governo o del Parlamento - dell'interesse al rispetto del principio di cui all'art. 3 Cost. e di quelli che ne sono corollari attuativi in tema di eguaglianza davanti alla legge penale e tributaria: l'unica via aperta e' quella dell'eccezione di incostituzionalita' rimessa al giudice, e del sindacato della Corte costituzionale su detta eccezione, con pronunzia abrogativa della norma eventualmente ritenuta incostituzionale per violazione dei principi «primari». Ritornando quindi al tema della possibilita' o meno di fondare su situazioni di «eccezionalita» le eventuali deroghe ai principi costituzionali, e ricordato come l'unico appiglio all'accoglimento di tale tesi possa rinvenirsi nella ipotetica gerarchia ravvisabile tra i valori costituzionali (di talche' potrebbe al piu' - ammesso e non concesso che ai principi costituzionali si possa «derogare» - ipotizzarsi la possibilita' di derogare ad un principio solo se assolutamente necessario a tutelarne uno di rango maggiore), e richiamate le considerazioni appena svolte in ordine alla natura della Costituzione come patto sociale di garanzia contro gli abusi della maggioranza, e la conseguente assoluta necessita' di evitare che tali abusi possano essere perpetrati dietro lo schermo di una pretesa situazione di eccezionalita', ritiene questo giudice che, anche a volersi ammettere la possibilita' che situazioni di eccezionalita' possano giustificare una deroga (nel senso anzidetto) ai principi costituzionali, non possano non trarsene le conseguenze che seguono: 1) non sono suscettibili di deroga - se non a garanzia di altri principi di rango ancora superiore (ad es. la intangibilita' della vita o salute umana), e sempre che il sacrificio sia contenuto nei limiti dell'assolutamente indispensabile - i principi rientranti tra quelli all'apice della scala gerarchica dei valori costituzionali, posto che e' a tutela di questi ultimi principi, semmai, che puo' ipotizzarsi la possibilita' di una deroga a principi di rango inferiore; tra i principi di vertice, in primo luogo, occorre evidenziare quello di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e quelli che (come quello dell'obbligatorieta' ed irretrattabilita' dell'azione penale, che pongono tutti cittadini in posizione di parita' avanti alla legge penale; quelli sulla capacita' contributiva, che detta parita' realizzano avanti alle leggi fiscali e tributarie) ne sono i corollari. 2) in un sistema di Costituzione rigida, quale e' quello vigente, le deroghe (nel senso di sia pure parziale negazione o disapplicazione di un principio costituzionale), quand'anche ipotizzabili, devono comunque essere limitate ai casi di assoluta eccezionalita'; questi ultimi devono essere tali in maniera assolutamente oggettiva, indiscutibile, e non gia in forza di valutazioni politiche o prospettazioni di parte (anche perche' queste sfuggirebbero al sindacato della Corte costituzionale, giusta il disposto dell'art. 28 della legge n. 87/1953: sicche' affermare il contrario legittimerebbe la possibilita' di violazioni anche gravissime della Costituzione in forza di contingenti valutazioni politiche), e tantomeno possono pertanto consistere in mere situazioni di difficolta' cui si sarebbe potuto ovviare attraverso i normali strumenti normativi; 3) la deroga (nel senso suddetto) a principi costituzionali di rango subordinato a quello che si intende tutelare deve infatti presentarsi come assolutamente necessaria, e la situazione non puo' essere intesa come «eccezionale» se diversamente evitabile; la «deroga» deve quindi essere l'unica via percorribile per la salvaguardia di un principio costituzionale di valore assolutamente essenziale; 4) non possono pertanto essere ritenuti casi di assoluta ed oggettiva eccezionalita' nemmeno quelli che potevano essere previsti e cui si poteva ovviare per tempo in via ordinaria e con strumenti costituzionalmente corretti perche' rispettosi di tutti i principi costituzionali; 5) non e' quindi eccezionale nemmeno quella situazione che sia stata dolosamente o con colpa grave realizzata da scelte operate da chi all'eccezionalita' intenda far ricorso a giustificazione di deroghe ai principi costituzionali, altrimenti si aprirebbe il varco ad abusi incontrollabili della maggioranza, che potrebbe artatamente creare situazioni di eccezionalita' per giustificare le piu' odiose violazioni dei principi costituzionali. Specialmente l'ultimo dei punti affrontati, potendo involgere accertamenti ed apprezzamenti che agevolmente puo' apparire che sconfinino nell'ambito delle valutazioni politiche, svela appieno la estrema delicatezza (almeno dal punto di vista della sindacabilita' per via giudiziaria) delle questioni attinenti alla possibilita' di derogare ai principi costituzionali per ragioni di eccezionalita'; ma non e' tanto su questo (pur se rilevante), quanto sui punti 1, 2, 3 e 4 che occorre ed e' sufficiente appuntare l'attenzione dell'interprete nel valutare la legittimita' costituzionale delle leggi di condono o sanatoria, e cioe' di quelle leggi che producono effetti estintivi del reato senza assumere le forme garantite delle leggi di amnistia (che, come gia si' e osservato, sono adottabili solo con maggioranze estremamente qualificate, a garanzia appunto dagli abusi della maggioranza contingente; cosi' come, per la stessa ragione, originariamente l'emanazione del provvedimento di amnistia era affidato al Presidente della Repubblica, cui spettava l'insindacabile valutazione in ordine alla opportunita' costituzionale di dar corso o meno alla legge delega di amnistia emanata dalla maggioranza parlamentare). Quanto al punto 1), come peraltro gia' accennato, le leggi di condono e di sanatoria ledono il principio di eguaglianza, in quanto derogano al principio della parita' dei cittadini di fronte alla legge penale, non solo sottoponendo taluni a pena (che per i reati di cui all'art. 4 della legge n. 516/1982 che qui interessano, e' congiuntamente pecuniaria e detentiva; solo detentiva per il reato di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 74/2000) ed altri no (in quanto tenuti solo a versare somme per lo piu' assolutamente irrisorie e senza altri effetti penali), ma anche premiando il cittadino disonesto rispetto quello onesto, estinguendo non solo il debito penale del primo, ma garantendogli anche la conservazione di un bene di rilevantissima importanza, che si vieta invece (si pensi alla spesso ingente quota dei propri redditi, che si sottrae all'imposizione; si pensi alle costruzioni in violazione degli strumenti urbanistici, realizzabili solo in forza della predetta sanatoria di un abuso) al cittadino onesto: dalla consumazione di un illecito, si permette cosi' che venga a discendere una situazione di maggior favore nonnativo per il cittadino disonesto che per il cittadino onesto; il tutto, quindi, in termini di estrema ed eccezionale ingiustizia per disparita' di trattamento: e per tale ragione, le leggi di condono appaiono direttamente lesive di principi costituzionali di rango assolutamente primario. Quanto ai punti 2), 3) e 4) (che si trattano unitariamente stante la loro strettissima interdipendenza logica), occorre rilevare come tale lesione sia stata realizzata al di fuori dei casi di oggettiva eccezionalita', e senza necessita': in realta', le leggi di condono (quelle di condono tributario come quelle di condono edilizio) risultano oggettivamente essere state il frutto di una scelta di politica economica e finanziaria non necessaria se non nell'ottica - eminentemente politica, e cioe' svincolata dalla necessita' oggettiva - di finanziare l'attivita' statale senza ricorrere alla leva fiscale (quale alternativa a quei «tagli strutturali» della spesa pubblica la cui necessita' era stata piu' volte rimarcata dalle istituzioni economiche internazionali, ma che oggettivamente era difficile realizzare in tempi brevi), ed in assenza peraltro di situazioni di disequilibrio finanziario di carattere eccezionale e non altrimenti affrontabili. Memore della necessita' (propria non solo della Corte costituzionale in forza dell'art. 28 della legge n. 87/1953, ma anche di questo giudice, atteso che tale norma esprime senz'altro un principio di ordine generale, cristallizzato anche dall'art. 101 comma 2 Cost., che vuole le decisioni del giudice essere vincolate solo alla legge) di non fondare la propria decisione su valutazioni politiche anziche' sui fatti, questo giudicante deve in primo luogo evidenziare come il senso della norma sia di vietare che il giudice decida in forza non gia' dell'applicazione della legge (ordinaria o costituzionale), ma in forza di proprie personali scelte di valori od opinioni: la legge, pertanto, deve essere oggetto (come peraltro ogni res judicanda) di uno scrutinio al quale saranno estranee sia le personali convinzioni del giudice, sia ragioni di politica contingente, che pertanto ne' dovranno condurre ad una conclusione di incostituzionalita', ne' salvare dall'abrogazione la norma che si ponga in contrasto con la Costituzione. Questo giudice e' poi tenuto ad osservare come quanto qui si va ad esporre non consta di valutazioni, ma di mero rilievo di fatti della cronaca parlamentare degli ultimi anni, di cui i mass media hanno dato diffusa notizia, e da cui si evince come i vari condoni (fiscali, edilizi, ecc.) siano stati lo strumento prescelto per perseguire l'equilibrio di bilancio nell'ambito dei c.d. parametri di Maastricht senza intervenire ne' sul lato della leva fiscale, ne' su quello strutturale della spesa, una volta che gli ordinari strumenti finanziari a legislazione vigente si erano rivelati insufficienti, per essere stata la crescita economica - e quindi l'ammontare del gettito fiscale - inferiore alle previsioni del Governo, che la cronaca permette di rilevare erano state sempre state ritenute eccezionalmente ottimistiche dalle istituzioni internazionali, al cui parere imparziale ci si e' adeguati sempre con grande ritardo, peraltro allorche' anche le stime piu' pessimistiche erano ormai superate, per essere state le stesse ulteriormente riviste al ribasso dai suddetti organismi internazionali. La riprova e' nella notevolissima entita' della manovra finanziaria da approvarsi (che, su indicazione del nuovo ministro competente, il DPEF approvato ha stimato in circa 24 miliardi di euro) per rientrare nell'equilibrio di bilancio: cifra il cui importo, attesane l'entita' ragguardevole, non e' di certo maturato tutto ad un tratto, come si evince esaustivamente non solo dall'entita' dello sbilancio, ma anche dall'avallo che a tale ricostruzione e' peraltro offerto da autorevolissimi esponenti della maggioranza (si segnala, ad es. l'intervista rilasciata dall'on. Bondi e pubblicata dal Corriere della Sera in data 4 luglio 2004, a pag. 6, ove si e' testualmente ammesso che sin dal 2002 sarebbe occorso essere piu' sinceri ed ammettere che le stime di crescita erano irrealisticamente ottimistiche). Ancora una volta, si ricorda tuttavia che recenti notizie di cronaca riferiscono di come determinati ambienti politici, evidentemente raccogliendo aspirazioni ed aspettative ormai diffusesi tra contribuenti inadempimenti, abbiano suggerito di emanare nuove leggi di condono tributario, o di ampliare l'estensione temporale di quelle gia' promulgate: il che appare dimostrare come cio' che dovrebbe essere l'eccezionalita' appaia sempre di piu' manifestarsi come un rimedio ordinario ai problemi di finanza generale dello Stato. Quanto si e' sin qui esposto, pertanto, permette di evidenziare come la «deroga» ai principi di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione sia stata realizzata per far fronte ad una situazione economico-finanziaria delle casse dello Stato, che avrebbe potuto essere agevolmente diversamente risolta senza compromettere i suddetti principi costituzionali, semplicemente agendo per tempo e sulla base di stime veritiere con la leva fiscale e tenendo sotto controllo la spesa pubblica; la situazione di difficolta' finanziaria che ha portato alla dichiarata necessita' di una manovra di 24 miliardi euro (ingente, ma neanche questa di per se' valevole a definire come «eccezionale» la presente situazione) non solo sarebbe anch'essa affrontabile per vie ordinarie (lo Stato italiano ha nel passato non remoto varato manovre anche piu' consistenti), ma di certo non puo' essere definita eccezionale, se sono corretti - come a questo giudicante pare - i «paletti» logici e normativi da porsi al concetto di eccezionalita', elencati ai numeri 1, 2, 3 e 4 che precedono. A ben vedere, di veramente eccezionale nella situazione che interessa appare esservi solo il grado di violazione dei principi costituzionali coinvolti ed il trattamento di privilegio e favore assicurato al reo: con le leggi di condono tributario, si e' prevista la possibilita' di sanare le conseguenze di gravi violazioni fiscali, e le connesse responsabilita' penali ed amministrative, mediante il pagamento di somme assolutamente risibili e costituenti una percentuale ridottissima dell'originaria obbligazione tributaria.
P. Q. M. Visti gli artt. 1, legge cost. n. 1/1948, e 23 della legge n. 87/1953; Ritenuta d'uffico rilevante e non manifestaente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 9 della legge n. 289/2002, per contrasto con gli artt. 1, 3, 53, 54, 79, 112 Costituzione, nella parte in cui prevede la non punibilita' per i reati (ed in particolare, quello di cui all'art. 4 d.lgs. n. 74/2000 oggetto dl presente procedimento) commessi in materia tributaria; Ordina la trasmissione della presente ordinanza e degli atti del procedimento alla Corte costituzionale per la decisione sulla suddetta questione di costituzionalita'; Sospende il procedimento in corso; Ordina la notificazione della presente ordinanza all'indagata, al suo difensore, al p.m., ed al Presidente del Consiglio dei ministri, e la sua comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Verona, addi' 17 novembre 2004 Il giudice: Sernia 05C0259