N. 97 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 novembre 2004

Ordinanza  emessa  il  12  novembre 2004 dalla Corte dei conti - sez.
giur.  per  la  Regione  Puglia  sul  ricorso proposto da Barba Maria
Concetta contro Inpdap ed altra

Previdenza   e   assistenza  sociale  -  Pensione  di  reversibilita'
  corrisposta  dall'INPDAP  -  Soggetti  beneficiari  - Figli nati da
  precedente  matrimonio  del  coniuge  del  pensionato  convivente a
  carico  - Mancata previsione - Ingiustificato deteriore trattamento
  dei  filgli  ex  fratre  conviventi  a carico rispetto ai nipoti ex
  filio,  nelle  stesse  condizioni,  cui  spetta  il  trattamento di
  reversibilita',   in   conseguenza   della   sentenza  della  Corte
  costituzionale    n. 180/1999    -    Incidenza    sulla   garanzia
  previdenziale.
- Legge  8 agosto  1991,  n. 274, art. 17, comma 3; legge 22 novembre
  1962 n. 1646 art. 7, comma 1.
- Costituzione, artt. 3 e 38.
Previdenza   e   assistenza  sociale  -  Pensione  di  reversibilita'
  corrisposta  dall'INPADAP - Soggetti benificiari - Nipoti ex fratre
  del coniuge del pensionato conviventi a carico - Mancata previsione
  -  Ingiustificato  deteriore  e  trattamento  dei  nipoti ex fratre
  conviventi  a  carico  rispetto  ai  nipoti  ex  filio nelle stesse
  condizioni,   cui  spetta  il  trattamento  di  reversibilita',  in
  conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 180/1999 -
  Incidenza sulla garanzia previdenziale.
- Legge  8  agosto  1991, n. 274, art. 17, comma 3; legge 22 novembre
  1962, n. 1646, art. 7, comma 1.
- Costituzione, artt. 3 e 38.
(GU n.10 del 9-3-2005 )
                         LA CORTE DEI CONTI

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso, iscritto al
n. 16515  (ex  6628/C)  deI  registro  di  segreteria, proposto dalla
sig.ra  Barba  Maria  Concetta,  rappresentata e difesa, in virtu' di
procura a rogito notaio A. Gallo del 13 febbraio 2004 rep. n. 73.326,
dall'avv.  Franco  Orlando,  presso  il  cui  studio e' elettivamente
domiciliata in Nardo' alla via Verdi 26;
    Contro  I.N.P.D.A.P.  direzione  provinciale del tesoro -- Lecce,
avverso la nota del 22 dicembre 1998 dell'I.N.P.D.A.P.
    Vista il ricorso;
    Esaminati gli atti ed i documenti di causa;
    Uditi  nella  pubblica  udienza del 13 maggio 2004, l'avv. Franco
Orlando  per la ricorrente, il sig. Antonio Cosimo Ingallo, presente,
per  delega,  in  rappresentanza'  della  Direzione  Provinciale  dei
Servizi  Vari  (ex  Direzione  provinciale del Tesoro) di Lecce ed il
dott.  Giovanni  Romano,  presente,  per  delega,  in  rappresentanza
dell'I.N.P.D.A.P.
    Ritenuto in fatto;
    Con  il  ricorso  in  epigrafe,  la sig.ra Barba Concetta, nata a
Monteroni di Lecce il 1° dicembre 1937, ha esposto:
        di  essere  figlia  dei  sig.  ri  Barba  Franceco  e Lorenzo
Addolorata;
        che,  a  seguito  del  decesso,  in data 13 ottobre 1946, del
padre,  il  fratello  di  quest'ultimo  Barba  Antonio, si assunse il
carico della famiglia contraendo, in data 30 ottobre 1950, matrimonio
con la sig.ra Lorenzo Addolorata;
        che, alla morte, in data 7 marzo 1985, del sig. Barba Antonio
- con il quale la ricorrente e sua madre avrebbero condiviso lo stato
di  famiglia  -  la  pensione  quale ex dipendente di ente locale, fu
assegnata  per riversibilita', alla madre, quindi deceduta in data 30
maggio 1996;
        che,  alla  morte  della madre, la ricorrente sarebbe rimasta
senza  alcun  sostegno, malgrado una invalidita' a qualsiasi proficuo
lavoro per grave diabete mellito, con nefroangiosclerosi, retinopatia
ed ipertensione arteriosa certificata dal Servizio di igiene pubblica
della ex AUSL Lecce/4 nel lontano 11 gennaio 1989;
        che,   con   istanza  del  14  ottobre  1996,  la  ricorrente
presentava  domanda  per  la riversibilita' della pensione degli enti
locali  di  cui  era stato titolare il sig. Antonio Barba e quindi la
madre;
        che,   con  nota  del  22  dicembre  1998  l'I.N.P.D.A.P.  ha
comunicato  di  «non  dare ulteriore corso» all'istanza pensionistica
proposta  dalla ricorrente perche' «allo stato degli atti non risulta
essere orfana di Barba Antonio, dante causa della pensione iscrizione
n. 6339101/R». Avverso il suddetto provvedimento ha proposto gravame,
con il ricorso in epigrafe, la sig.ra Barba Maria Concetta, chiedendo
che   venga   sollevata   questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 82, d.P.R. 1092/1973 e che, comunque, le venga riconosciuto
l'invocato trattamento di riversibilita'.
    A  sostegno  del gravame, proposto, premesso di aver sempre fatto
parte   del  nucleo  familiare  di  Barba  Antonio  ed  a  carico  di
quest'ultimo  sin  dal  giorno  del suo matrimonio con la madre della
ricorrente  (30 ottobre 1950), e sottolineato l'impegno profuso dalla
ricorrente  in  favore  del  predetto nucleo familiare e l'assistenza
prestata in favore, dapprima, del sig. Barba Antonio e, quindi, della
madre,  che  L'avrebbero  lasciata in «stato di bisogno ad un'eta' in
cui,  per  le infermita' e per gli anni, per il grado di cultura, non
e'  in  grado di procurarsi i mezzi minimi per vivere», la ricorrente
ha  dedotto  che  il  rapporto di parentela con il sig. Barba Antonio
avrebbe  «non  solo  nella realta' concreta ma anche sotto il profilo
giuridico  un  carattere  peculiare e piu' intenso rispetto a, quello
che  puo'  instaurarsi  fra un soggetto ed i minori affidatigli dalle
autorita'    competenti»,    allegando    che   «tale   rapporto   e'
particolarmente  disciplinato  e privilegiato dal legislatore sia sul
piano  dei  diritti  che  su  quello  degli  obblighi connessi: basti
pensare al dovere di concorso negli oneri di mantenimento, istruzione
ed  educazione  sancito  dall'art.  148  cod.  civ.  a  carico  degli
ascendenti  e  parenti  entro  il quarto grado, quando i genitori non
hanno  i mezzi sufficienti; all'obbligo di prestare gli alimenti, che
puo' essere assolto anche accogliendo e mantenendo nella propria casa
gli  aventi diritto (artt. 433 e 443 cod. civ.) alla tutela penale di
tali  doveri  ed obblighi» e che «a causa della suddetta peculiarita'
la  legge  esenta  gli ascendenti e gli altri parenti entro il quarto
grado  che  accolgano stabilmente nella propria abitazione un minore,
dal  dovere  di darne comunicazione al giudice tutelare (art. 9 legge
n. 184/1983):  i  nipoti, infatti, fanno parte della loro famiglia di
modo  che  non  occorre  alcun  affidamento  formale  da  parte della
pubblica autorita».
    Secondo  la  prospettazione attorea sarebbe «dunque irragionevole
che,  mentre  i  minori formalmente affidati dagli organi competenti,
legati   da   vincoli  meno  stretti  di  quelli  familiari,  possono
continuare  a  godere  del  trattamento pensionistico del de cuius, i
minori  che vivono a carico dello zio, fratello del padre assicurato,
ne siano esclusi».
    Ha  dedotto  la  ricorrente  che  l'art.  82  d.P.R. n. 1092/1973
sarebbe  costituzionalmente  illegittimo,  in  riferimento all'art. 3
Cost. «in quanto, se ispirato alla finalita' di evitare facili abusi,
pecca  di  eccessivo  rigore  laddove non consente che persistendo la
vivenza a carico ma mancando il formale affidamento, il requisito non
possa essere accertato con qualunque mezzo» per cui «persone prive di
qualsiasi  risorsa  economica  e  della  capacita'  di  procurarsi un
reddito,  come  i  minori  affidati di fatto ai parenti, ricevono una
tutela   inferiore   a   quella  goduta  da  coloro  che  sono  stati
regolarmente  e  formalmente  adottati o affiliati» ed ha chiesto che
venga sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 82
d.P.R n. 1092/1973 «nella parte in cui non include fra i soggetti ivi
elencati anche i minori dei quali sia provata la vivenza a carico del
dante  causa,  che  sia  parente, ascendente, tenuto agli obblighi di
sostentamento del minore, quando il minore, poi divenuto maggiorenne,
abbia  sacrificato  l'intera  vita  all'assistenza gratuita di questo
parente sino alla data della sua morte».
    Con   memoria   depositata   il   22 luglio  2003,  la  Direzione
provinciale dei servizi vari (ex Direzione provinciale del Tesoro) di
Lecce,   premesso   che,   in  applicazione  delle  normative  recate
dall'art. 4)   decreto   legislativo  479/1994  e  dall'art. 2  legge
n. 335/1995, l'I.N.P.D.A.P. e' subentrato, dal 1° gennaio 1999, nelle
competenze  di  ordinatore  di  spesa  in  materia  di trattamento di
quiescenza  dello Stato gia' intestate alle Direzioni provinciali del
Tesoro,  ha  chiesto  l'estromissione  dal giudizio «per sopravvenuto
difetto  di  legittimazione  passiva,  essendo  stata  la  competenza
trasferita all'I.N.P.D.A.P.».
    Con  memoria  depositata  il  9 settembre  2003, si e' costituito
l'intimato  I.N.P.D.A.P.  il quale, premesso che «la ricorrente, nata
il  1° dicembre  1937  a  Monteroni  di  Lecce,  e'  figlia  di Barba
Francesco,  deceduto  il  13 ottobre  1946,  e di Lorenzo Addolorata,
deceduta  il 30 maggio 1996», che «la sig.ra Lorenzo, dopo il decesso
del coniuge, padre appunto dell'attuale ricorrente, contraeva secondo
matrimonio  con  il  sig.  Barba  Antonio (che moriva in data 7 marzo
1985)  e  diveniva titolare di pensione di riversibilita' in qualita'
di  vedova  di  quest'ultimo»  e  che  «il dante causa della pensione
richiesta  dalla  ricorrente, sig. Barba Antonio non era quindi padre
di  quest'ultima»,  ha  dedotto  che  «cio'  giustifica la nota della
Direzione generale I.N.P.D.A.P. - Ufficio V prestazioni previdenziali
in  data 22 dicembre 1998 che la ricorrente impugna, e nella ziali in
data  22 dicembre  1998  che  la ricorrente impugna, e nella quale si
comunica che l'istanza prodotta dalla sig.ra Barba in data 10 ottobre
1997 (non rinvenuta in atti) non puo' essere accolta» e che l'operato
dell'Istituto  in  tale circostanza non sarebbe censurabile in quanto
«considerato  che il decesso del dante causa e' avvenuto nel 1985, e'
il   T.U.  1092/1973  che  trova  applicazione  e  che,  all'art. 82,
individua come possibili destinatari della pensione di riversibilita'
oltre  gli orfani una serie di congiunti ad essi equiparati, ma fra i
quali non figurano anche i figli che il coniuge del dante causa abbia
avuto in precedenti matrimoni», concludendo nel senso di ritenere che
l'istanza della sig.ra Barba sia destituita di fondamento giuridico.
    Con  atto  depositato  all'udienza  del  16 settembre 2003, si e'
costituito,  per  la  ricorrente  l'avv.  Franco Orlando, il quale ha
invocato,  «ad  integrazione e supporto normativo e giurisprudenziale
delle pretese reclamate dalla ricorrente», la legge n. 335 del 1995 e
la sentenza della Corte costituzionale n. 180/1999 ed ha concluso per
l'accoglimento del ricorso.
    Ha  allegato  il  procuratore  della ricorrente che, in base alla
nuova  disciplina  di  cui alla legge n. 335/1995 - che «ha apportato
profonde  modificazioni  al  trattamento in favore dei superstiti dei
dipendenti  pubblici,  estendendo, fra l'altro, la disciplina vigente
presso  l'Amministrazione dell'I.N.P.S. nei confronti delle rimanenti
forme previdenziali esistenti, compresa quella relativa ai dipendenti
pubblici»   -   «la  pensione  di  riversibilita'  ai  superstiti  di
pensionato  spetta  anche  ai  figli  nati  da  precedente matrimonio
dell'altro  coniuge»  e che «la sig.ra Barba, pertanto, acquisisce il
diritto  a  percepire  la pensione di riversibilita' alla morte della
madre  avvenuta  il  30 maggio  1996, in vigenza, quindi, delle norme
I.N.P.S., estese al pubblico impiego con la legge n. 335/1995».
    Ha   dedotto,   inoltre,   la  difesa  attorea  che  la  sentenza
n. 180/1999 della Corte costituzionale «scardina il sistema di cui al
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  1092/1973  in quanto per
assicurare  il  diritto ad ottenere la riversibilita' prescinde dalla
qualita'  di  figlio,  affidato  o affiliato, dando esclusivo risalto
alla  vivenza  a  carico  dei  nonni degli orfani», fattispecie che -
sempre  secondo  il procuratore della ricorrente - sarebbe «speculare
rispetto alla situazione della sig.ra, Barba che si ritrova orfana di
padre e di madre, ma vivente a carico del dante causa, Barba Antonio,
parente di secondo grado, per ben 35 anni».
    All'udienza  del  13 maggio  2004,  l'avv. Franco Orlando, per la
ricorrente,   evidenziata  la  data  di  decesso  della  madre  della
ricorrente (30  maggio 1996) e la data di presentazione della domanda
di  riversibita'  (14 ottobre 1996), ha insistito sull'applicabilita'
dell'art. 191, secondo comma, decreto del Presidente della Repubblica
1092/1973,  anche  alla  luce  della sentenza n. 180/1999 della Corte
costituzionale,  e  sulla sussistenza dei requisiti di nullatenenza e
convivenza,  ha  invocato  la  sentenza  n. 145/2001 della Sez. giur.
Friuli  V.G.,  ne  ha  prodotto  la  massima  ed  ha  dedotto che non
risultano  altri  figli  aventi diritto. Ha concluso, per l'integrale
accoglimento  del  ricorso col riconoscimento dell'invocato diritto a
far   data   dal  primo  giorno  del  mese  successivo  a  quello  di
presentazione  della  domanda  ed  in  subordine ha chiesto che venga
sollevata  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 82 del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  1092/1973 per violazione
dell'art. 3 Cost.
    Il   sig.  Antonio  Cosimo  Ingallo,  presente,  per  delega,  in
rappresentanza  della  Direzione  provinciale  dei  servizi  vari (ex
Direzione  Provinciale del Tesoro) di Lecce ha reiterato la richiesta
di  estromissione dal giudizio per trasferimento delle competenza, ed
ha  richiamato  la  circolare n. 646 del 9 ottobre 1995 del Ministero
del  tesoro, depositandone copia. IL dott. Giovanni Romano, presente,
per  delega,  in rappresentanza dell'I.N.P.D.A.P., si e' rimesso alle
valutazione  della Corte, insistendo per il rigetto. Ha precisato che
trattasi  di'  trattamento  pensionistico  ex  C.P.D.E.L. e che, allo
stato, non risultano altri figli aventi diritto.
    Considerato in

                            D i r i t t o

    La  ricorrente,  nipote  ex  fratre  del  sig.  Barba  Antonio e,
pertanto,   a  termini  dell'art. 76  cod.  civ.,  parente  in  linea
collaterale di terzo grado (e non di secondo grado come dedotto dalla
difesa  attorea),  nonche'  figlia  nata da precedente matrimonio del
coniuge  del  pensionato  e, pertanto, affine in linea retta di primo
grado   dello   stesso,   si   duole   che,   con  l'impugnata  nota,
l'I.N.P.D.A.P., rilevato che allo stato degli atti non risulta essere
orfana  di  Barba  Antonio,  dante  causa  della  pensione iscrizione
n. 6339101/R,   le   abbia  negato  la  riversibilita'  del  suddetto
trattamento pensionistico.
    E'  appena  il  caso  di  premettere  che  sia  la ricorrente che
l'I.N.P.D.A.P.  hanno  indicato,  quale  norma  di riferimento per la
disciplina dell'invocato trattamento di riversibilita', l'art. 82 del
T.U.  approvato  con  d.P.R. n. 1092/1973, relativo al trattamento di
quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato.
    Considerato, peraltro, che nel ricorso introduttivo la ricorrente
ha  allegato che il sig. Barba Antonio era titolare di pensione quale
ex  dipendente  di ente locale e che, all'udienza del 13 maggio 2004,
il  rappresentante  dell'I.N.P.D.A.P.  ha  precisato che «trattasi di
trattamento   pensionistico   ex  C.P.D.E.L.»,  la  disciplina  della
riversibilita'  in favore degli orfani, cui occorre aver riguardo, e'
costituita   non   dall'art. 82   d.P.R.  n. 1092/1973,  relativo  al
trattamento  di  quiescenza  dei  dipendenti  civili e militari dello
Stato,  ma  dalle pertinenti disposizioni relative agli iscritti alla
C.P.D.E.L.,  peraltro  di contenuto analogo, fermo restando che e' al
suddetto  testo  unico  sul  trattamento di quiescenza dei dipendenti
civili  e  militari  dello  Stato  approvato con d.P.R. n. 1092/1973,
quale  disciplina  generale delle pensioni pubbliche, che occorre far
riferimento  per tutti i profili non disciplinati o non compiutamente
disciplinati  dalla  disorganica  normativa  relativa all'ordinamento
delle Casse pensioni degli Isituti di previdenza.
    L'art.  17  (rubricato «orfani») della legge 8 agosto 1991 n. 274
(«acceleramento  delle  procedure  di  liquidazioni  delle pensioni e
delle  ricongiunzioni,  modifiche  ed  integrazioni degli ordinamenti
delle  casse  pensioni  degli  Istituti  di previdenza, riordinamento
strutturale  e  funzionale  della  Direzione  generale degli Istituti
stessi»)  dopo  aver  disposto, al primo comma, che «hanno diritto al
trattamento  di  quiescenza indiretto o di riversibilita', gli orfani
minorenni  del dipendente iscritto alle Casse pensioni degli istituti
di  previdenza  o  del  pensionato,  nonche'  gli  orfani maggiorenni
assolutamente e permanentemente inabili a qualsiasi proficuo lavoro o
in eta' superiore a 60 anni, conviventi a carico del dipendente o del
pensionato  e  nullatenenti»  ha  previsto  al  terzo  comma che sono
equiparati  ai  figli  legittimi,  i  figli  naturali  riconosciuti o
giudizialmente  dichiarati, gli affiliati, qualora non vi siano figli
legittimi  o legittimati aventi diritto al trattamento di quiescenza,
ed  i  figli  adottivi,  sempre  che  la domanda di affiliazione e di
adozione  sia  stata presentata dal dipendente o dal pensionato prima
del compimento del 60° anno di eta».
    In  termini  analoghi  gia'  disponeva  la legge 22 novembre 1962
n. 1646  (recante  «modifiche  agli  ordinamenti  degli  Istituti  di
previdenza  presso  il  Ministero  del tesoro) che, all'art. 7, primo
comma,  prevede  che «sono equiparati ai figli legittimi, ai fini del
trattamento  di  quiescenza indiretto e di riversibilita' delle Casse
pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza, i figli naturali
riconosciuti  a  norma del codice civile [dall'iscritto anteriormente
alla  data di cessazione dal servizio], gli affiliati, qualora non vi
siano  figli  legittimi  aventi  diritto  al trattamento stesso, ed i
figli  adottivi,  sempre che il decreto di affiliazione e di adozione
sia anteriore alla data di cessazione dal servizio dell'iscritto».
    Del  pari  l'art. 82  d.P.R. n. 1092/1973, dopo aver previsto, al
primo  comma,  che  «gli  orfani  minorenni  del  dipendente civile o
militare  di  cui  al  primo comma dell'art. 81 ovvero del pensionato
hanno  diritto  alla  pensione  di riversibilita'; la pensione spetta
anche  agli  orfani  maggiorenni  inabili a proficuo lavoro o in eta'
superiore  a  sessanta anni, conviventi a carico del dipendente o del
pensionato  e  nullatenenti»  ha  disposto, al terzo comma, che «sono
considerati  alla  pari  degli  orfani  i  figli adottivi, purche' la
domanda  di  adozione  sia  stata  presentata  dal  dipendente  o dal
pensionato  prima  del  sessantesimo  anno  di  eta', nonche' i figli
naturali riconosciuti o giudizialmente dichiarati, purche' la domanda
di  dichiarazione giudiziale di paternita' sia anteriore alla data di
morte  del  dante  causa.  Qualora non sopravvivano figli legittimi o
legittimati  ovvero  se  essi  non  hanno  diritto  a  trattamento di
riversibilita', tale trattamento spetta anche agli affiliati, purche'
la  domanda di affiliazione sia stata presentata dal dipendente o dal
pensionato prima del compimento del sessantesimo anno di eta».
    E', evidente, pertanto, che secondo la disciplina del trattamento
di   quiescenza   dei   dipendenti  pubblici,  non  hanno  titolo  al
trattamento  indiretto o di riversibilita' ne' i nipoti ex fratre ne'
i  figli  nati da precedente matrimonio del coniuge dell'assicurato o
del pensionato.
    Diversa la disciplina dettata, in ordine a quest'ultimo punto, in
materia   di   riversibilita'   delle   pensioni   dell'assicurazione
obbligatoria per l'invalidita' e la vecchiaia.
    L'art.   2   d.lgs.  lgt.  18  gennaio  1945  n. 39,  recante  la
«disciplina   del   trattamento   di  riversibilita'  delle  pensioni
dell'assicurazione  obbligatoria  per  l'invalidita'  e la vecchiai»,
prevede,  infatti, al terzo comma, che «il diritto alla pensione, nei
limiti  di  cui all'art. 13 del r.d.l. suddetto» - e cioe' del r.d.l.
14  aprile  1939,  n. 636  - «ed ai commi precedenti, spetta ai figli
legittimi,  legittimati  e  naturali. Sono equiparati ad essi i figli
adottivi, gli affiliati, i minori affidati ai sensi dell'art. 404 del
cod.  civ.,  nonche' i figli naturali ornati da precedente matrimonio
del coniuge dell'assicurato o del pensionato».
    Del  pari,  il  d.P.R.  26  aprile 1957 n. 818 (recante «norme di
attuazione  e  di  coordinamento della legge 4 aprile 1952 n. 218 sul
riordinamento  delle  pensioni  dell'assicurazione  obbligatoria  per
l'invalidita',  la vecchiaia ed i superstiti» ha previsto all'art. 38
che «per il diritto alle prestazioni delle assicurazioni obbligatorie
per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, per la tubercolosi e
per  la  disoccupazione e alle maggiorazioni di esse, sono equiparati
ai  figli  legittimi  o legittimati i figli adottivi e gli affiliati,
quelli  naturali legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati,
quelli  nati  da  precedente matrimonio dell'altro coniuge, nonche' i
minori  regolarmente  affidati  dagli  organi  competenti  a norma di
legge»  (primo comma) e che «agli stessi fini si intendono equiparati
ai genitori gli adottanti, gli affilianti, il patrigno e la matrigna,
nonche'  le persone alle quali l'assicurato fu affidato come esposto»
(secondo comma).
    Premesso   quanto   innanzi,  si  osserva  che,  con  il  ricorso
introduttivo  la  ricorrente ha chiesto che venga sollevata questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  82  d.P.R.  n. 1092/1973
«nella  parte in cui non include fra i soggetti ivi elencati anache i
minori dei quali sia provata la vivenza a carico del dante causa, che
sia  parente,  ascendente,  tenuto agli obblighi di sostentamento del
minore  quando il minore, poi divenuto maggiorenne, abbia sacrificato
l'intera  vita  all'assistenza  gratuita  di questo parente sino alla
data della sua morte».
    Considerato, peraltro, che, da un lato, come innanzi rilevato, in
relazione  alla qualita' di ex dipendente di ente locale e pensionato
C.P.D.E.L.  del  sig.  Barba  Antonio,  la disciplina rilevante, deve
individuarsi  non  nel  cit. art. 82 d.P.R. n. 1092/1973, relativo al
trattamento  di  quiescenza  dei  dipendenti  civili e militari dello
Stato,  ma  nelle  pertinenti  disposizioni,  di  contenuto  analogo,
relative  alla  C.P.D.E.L.,  di  cui  ai surriportati artt. 17, terzo
comma,  della  legge 8 agosto 1991, n. 274 e 7, primo comma, legge 22
novembre  1962  n. 1646, e, dall'altro, che il sig. Barba Antonio non
era  ascendente  ma zio (parente in linea collaterale di terzo grado)
della  ricorrente  nonche' coniuge in seconde nozze della madre della
ricorrente  e,  cioe', patrigno (affine in linea retta) dell'istante,
evidentemente  irrilevante  e,  pertanto,  inammissibile si palesa la
questione di legittimita' costituzionale prospettata dalla ricorrente
con il ricorso introduttivo.
    Reputa,  nondimeno,  la  Sezione  che ricorrano i presupposti per
sollevare  ex  officio questione di legittimita' costituzionale delle
summenzionate  disposizioni  normative  di  cui  agli artt. 17, terzo
comma,  della  legge 8 agosto 1991, n. 274 e 7, primo comma, legge 22
novembre 1962 n. 1646, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.:
        nella parte in cui, al contrario della disciplina dettata con
riferimento  all'assicurazione generale obbligatoria, non contemplano
e,  pertanto,  implicitamente  escludono  dal  novero  dei superstiti
equiparati ai figli ai fini del trattamento di quiescenza indiretto e
di  riversibilita'  delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti
di  previdenza  e,  pertanto, aventi titolo alla riversibilita' della
pensione,  i  figli  nati  da  precedente  matrimonio del coniuge del
pensionato,  di  cui  risulti  provata  la  convivenza a carico dello
stesso dante causa;
        nella   parte   in   cui,   non   contemplano   e,  pertanto,
implicitamente  escludono,  dal  novero  dei superstiti equiparati ai
figli   ai   fini  del  trattamento  di  quiescenza  indiretto  e  di
riversibilita'  delle  Casse pensioni facenti parte degli Istituti di
previdenza,  e  pertanto,  aventi  titolo  alla  riversibilita' della
pensione,  i  nipoti ex frate del pensionato dei quali sia provata la
convivenza  a  carico  del  dante causa, a fronte della contemporanea
previsione,  fra i soggetti aventi diritto alla riversibilita', degli
affiliati.
    Considerato,  peraltro, che l'art. 1, comma 41, legge 335/1995 ha
esteso  la  disciplina  del  trattamento  pensionistico  a favore dei
superstiti  di assicurato e pensionato vigente nell'ambito del regime
dell'   assicurazione   generale   obbligatoria   a  tutte  le  forme
sostitutive  ed  esonerative  di detto regime, la Sezione deve farsi,
preliminarmente,  carico  della  questione  in ordine alla disciplina
applicabile,  ratione temporis, alla riversibilita' della pensione de
qua,  con  particolare riferimento alla determinazione dei superstiti
aventi titolo al relativo trattamento.
    Non  v'e' chi non veda, infatti, che ove, con riferimento al caso
di  specie,  si  ritenesse  applicabile,  in  virtu' del cit. art. 1,
comma 41,  legge  335/1995,  la  disciplina  vigente  nell'ambito del
regime   dell'assicurazione  generale  obbligatoria,  ai  fini  della
determinazione dei soggetti aventi titolo all'invocato trattamento di
riversibilita',  la ricorrente, quale figlia di precedente matrimonio
del  coniuge  del  pensionato, avrebbe titolo, nella ricorrenza degli
ulteriori  presupposti  previsti dalla legge, alla riversibilita' del
trattamento  di  quiescenza gia' intestato al sig. Barba Antonio, con
conseguente  irrilevanza  della prospettata questione di legittimita'
costituzionale.
    Reputa,  peraltro,  la sezione che la suddetta disciplina non sia
applicabile con riferimento alla fattispecie che ne occupa.
    In  proposito,  e'  appena  il  caso  di premettere che il citato
comma 41  dell'art. 1 della legge n. 335/1995 non reca elementi donde
possa desumersene l'efficacia retroattiva.
    E'  bensi'  vero  che  il  secondo  periodo  del  cit. comma, nel
prevedere  che  «in  caso  di  presenza di soli figli di minore eta',
studenti  ovvero  inabili,  l'aliquota  percentuale della pensione e'
elevata  al  70%  limitatamente alle pensioni aventi decorrenza dalla
data  di entrata di vigore della presente legge», e l'ultimo periodo,
nel  disporre  «che sono fatti salvi i trattamenti previdenziali piu'
favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente
legge  con  riassorbimento  sui  futuri miglioramenti», depongono nel
senso  dell'applicabilita' delle disposizioni di cui al cit. comma 41
dell'art. 1  della  legge  n. 335/1995  -  ad  eccezione  della  piu'
favorevole  disposizione di cui al secondo periodo e con la salvezza,
di  cui all'ultimo periodo, dei trattamenti piu' favorevoli in essere
(con   il   correttivo   del  riassorbimento)  -  ai  trattamenti  di
riversibilita' gia' in essere alla data della sua entrata in vigore.
    Sennonche',  cio'  non  implica  e  non comporta che la norma sia
retroattiva,  non potendosi considerare tale la norma che si limiti a
disciplinare  diversamente,  per l'avvenire, rapporti gia' pendenti e
situazioni  di  fatto gia' in essere, senza incidere sulla disciplina
giuridica  del  fatto  generatore  e  senza  disconoscere  o regolare
diversamente gli effetti gia' prodotti.
    L'irretroattivita'   della   norma   induce,   evidentemente   ad
escluderne  l'applicabilita',  con riferimento al caso che ne occupa,
ai  fini  della  determinazione  della  cerchia dei superstiti aventi
titolo   alla   riversibilita'  de  qua,  considerato  che  il  fatto
generatore  dell'invocato  trattamento  di riversibilita', costituito
dalla  morte  dell'assicurato  e  del  pensionato,  si  e' verificato
anteriormente  alla data di entrata in vigore della stessa legge. Non
puo',  invero,  revocarsi  in  dubbio  che,  appunto, alla disciplina
vigente  alla  data  del  decesso  dell'assicurato  o del pensionato,
occorra aver riguardo ai fini dell'individuazione dei soggetti aventi
diritto  al  relativo trattamento di riversibilita' (cfr., ex multis,
Cass. 4 aprile 2001 n. 4925), come vieppiu' palesato dal rilievo che,
con  specifico riferimento alle Casse pensioni degli II.PP., la legge
n. 274/1991 prevede, al primo comma dell'art. 18 (rubricato «pensioni
indirette   o  di  riversibilita»),  che  «le  condizioni  soggettive
previste  per il diritto al trattamento indiretto o di riversibilita'
debbono  sussistere  alla  morte  del  dipendente  o del pensionato e
debbono permanere».
    Ne',   in   contrario,   puo'   attribuirsi  alcun  rilievo  alla
circostanza  che  la data di decesso della madre della ricorrente (30
maggio   1996)   e   la   data  di  presentazione  della  domanda  di
riversibilita' (14 ottobre 1996), siano entrambe successive alla data
del  17  agosto  1995  di  entrata in vigore della legge n. 335/1995,
cosi'  come, parimenti successiva alla stessa data, sarebbe - secondo
la  prospettazione  attorea,  che  ha, all'uopo, invocato l'art. 191,
cpv. d.P.R. 1092/1973 - la decorrenza del trattamento in favore della
ricorrente.
    In ordine al primo dei summenzionati profili, si osserva che, per
quanto  l'istanza  pensionistica  proposta,  in data 28 ottobre 1996,
dalla sig.ra Barba Maria Concetta sia stata dalla stessa formulata in
termini  di devoluzione (ossia «consolidamento») del trattamento gia'
in  godimento della madre, sig.ra Lorenzo Addolorata, e' evidente che
la  ricorrente - ove compresa nel novero dei superstiti aventi titolo
a  beneficiarne  -  avrebbe  avuto,  nella ricorrenza dei presupposti
previsti  dalla  legge, autonomo diritto a percepire, per la quota di
propria  pertinenza,  l'invocato  trattamento  di riversibilita', sin
dalla  data  del decesso del dante causa, essendo, gia' alla suddetta
data,  maggiorenne  (cfr.  art.  88  cpv.  d.P.R. 1092/1973), sicche'
evidentemente  irrilevante e' la data del decesso della madre Lorenzo
Addolorata, non essendo detto evento suscettibile di incidere sull'an
del trattamento di riversibilita' ma solo sul quantum.
    Del  pari,  irrilevante e' la data della domanda, considerato che
se  il legislatore avesse inteso sancire l'applicabilita' della legge
n. 335/1995 alle domande proposte successivamente alla sua entrata in
vigore,  si sarebbe espresso in tal senso, cosi' come si e' espresso,
all'art.  257  d.P.R.  n. 1092/1973, con riferimento alle norme dello
stesso testo unico.
    D'altro  canto,  parimenti  non condivisibile si palesa l'assunto
attoreo  per  cui successiva alla data del 17 agosto 1995, di entrata
in   vigore   della   legge   n. 335/1995,   sarebbe   la  decorrenza
dell'invocato trattamento di riversibilita'.
    In  proposito appare assorbente il rilievo che ove, ai fini della
determinazione  della  cerchia  dei  superstiti  aventi  titolo  alla
riversibilita', si ritenesse applicabile ai sensi dell'art. 41, primo
comma,  legge  n. 335/1995,  con  riferimento alla fattispecie che ne
occupa, la disciplina vigente nell'ambito dell'assicurazione generale
obbligatoria, alla stessa disciplina occorrerebbe aver riguardo anche
ai   fini   della   decorrenza  del  relativo  trattamento,  sicche',
evidentemente,  si  dovrebbe  far  riferimento non al disposto di cui
all'art.  13 legge n. 1646/1962, relativo alle Casse pensioni facenti
parte  degli  Istituti  di  previdenza  - che, dopo aver previsto, al
secondo  comma,  che  in  caso  di morte di iscritto o di titolare di
pensione  diretta,  ai  fini'  del  conferimento  del trattamento di'
quiescenza  indiretto  o  di  riversibilita',  la domanda deve essere
presentata  entro il decennio dalla data di morte dell'iscritto o del
titolare di pensione diretta, ha disposto, al terzo comma, che quando
la  domanda  venga  presentata  successivamente,  il  trattamento  di
quiescenza decorra soltanto dalla data di presentazione della domanda
-  ne',  tam  poco,  all'omologa  disposizione  di  cui all'art. 191,
secondo  comma, (rectius art. 191, terzo comma) d.P.R. n. 1092/1973 -
relativa  al  trattamento  di quiescenza dei dipendenti dello Stato -
invocata  dal  ricorrente,  ma all'art. 5 d.lgs. lgt. 18 gennaio 1945
n. 39  che,  con riferimento all'assicurazione generale obbligatoria,
prevede  che  la  pensione  ai superstiti decorra, in ogni caso, «dal
primo  giorno  del  mese  successivo  a  quello in cui e' avvenuto il
decesso dell'assicurato o del pensionato», e, pertanto, a prescindere
dalla data della presentazione della domanda.
    Cio'   che,  costituisce  ulteriore  riprova  che  l'applicazione
dell'art.  1, comma 41, legge n. 335/1995, con conseguente estensione
della   disciplina   del  trattamento  pensionistico  in  favore  dei
superstiti  dell'assicurato  e del pensionato vigente nell'ambito del
regime  dell'assicurazione  generale  obbligatoria  a  tutte le forme
esclusive   e   sostitutive  di  detto  regime,  per  quanto  attiene
all'individuazione  dei  superstiti  aventi  titolo al trattamento di
riversibilita'  e, piu' in generale, in relazione ai profili genetici
del  trattamento  stesso,  postula  che la data del decesso del dante
causa,   che  costituisce  il  fatto  generatore  del  rapporto,  sia
successiva all'entrata in vigore della stessa legge.
    Considerato,    infatti,    che,   tale   estensione   imporrebbe
l'applicazione    della    disciplina   dell'assicurazione   generale
obbligatoria  anche  per  quanto attiene alla prevista decorrenza del
trattamento  ai  superstiti  dalla data del decesso dell'assicurato e
del  pensionato,  e' evidente che, ammettere l'estensione stessa alle
ipotesi  in  cui il decesso del dante causa sia anteriore all'entrata
in  vigore  della  legge  n. 335/1995, significherebbe annettere alla
disposizione   di   cui   all'art.  1,  comma 41,  legge  n. 335/1995
un'efficacia   retroattiva,   in  difetto  non  solo  di  un'espressa
previsione  normativa  in  tal  senso  ma anche di qualsiasi elemento
donde  possa  desumersi  la  volonta'  del legislatore di derogare al
principio  di  irretroattivita' della legge di cui all'art. 11, primo
comma, disp. prel. cod. civ.
    Alla  luce delle suesposte considerazioni, reputa sezione che, ai
fini  della determinazione della cerchia dei superstiti aventi titolo
alla  riversibilita'  de  qua occorra aver riguardo alla surriportata
normativa  di  cui  agli artt. 17, comma 3, della legge 8 agosto 1991
n. 274  e  7,  primo  comma, legge 22 novembre 1962 n. 1646 che, alla
data  della  morte  del  dante  causa, disciplinava la riversibilita'
delle  pensioni  erogate  dalla  C.P.D.E.L.  e che, come rilevato, al
contrario  della  disciplina  dettata  per  l'assicurazione  generale
obbligatoria  gestita  dall'I.N.P.S., non contemplava, fra i soggetti
equiparati  ai figli e, pertanto, beneficiari della riversibilita', i
figli nati da precedente matrimonio del coniuge dell'assicurato e del
pensionato,  mentre  comune  ad  entrambe  le  suddette  discipline e
l'esclusione dei nipoti ex fratre.
    Sicche'  evidentemente,  secondo  la  censurata disciplina di cui
agli  artt. 17, comma 3, legge 8 agosto 1991 n. 274 e 7, primo comma,
legge  22  novembre  1962  n. 1646,  applicabile ratione temporis, la
ricorrente,  nella  qualita'  di figlia nata da precedente matrimonio
del   coniuge   del   pensionato,   oltreche'  nipote  ex  fratre  di
quest'ultimo,   non   avrebbe   titolo  all'invocato  trattamento  di
riversibilita',  quand'anche  convivente  con il dante causa ed a suo
carico  sino alla data del decesso ed in possesso, sin dalla suddetta
data,  degli  ulteriori  requisiti  soggettivi (inabilita' assoluta e
permanente a qualsiasi proficuo lavoro, nullatenenza) richiesti dalla
legge  per la riversibilita' della pensione in favore degli orfani ed
equiparati  maggiorenni  (art.  40  cpv.  legge n. 379/1995, art. 17,
comma 1, legge n. 274/1991).
    E',  d'altro  canto,  appena  il caso di osservare che l'invocata
sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 180/1999,  con la quale il
giudice  delle  leggi  ha  dichiarato l'illegittimita' costituzionale
dell'art.  38  d.P.R.  26  aprile  1957 n. 818 nella parte in cui non
include  fra i soggetti ivi elencati anche i minori dei quali risulti
provata  la  vivenza  a carico degli ascendenti, non e' evidentemente
applicabile  al  caso  di  specie  sia  perche'  ha ad oggetto non la
normativa   delle  Casse  pensioni  amministrate  dagli  Istituti  di
Previdenza,  cui,  come innanzi rilevato, occorre far riferimento per
la  disciplina  della fattispecie che ne occupa, ma la disciplina del
diritto alle prestazioni dell'assicurazione generale obbligatoria per
l'invalidita',  la  vecchiaia ed superstiti, per la tubercolosi e per
la  disoccupazione,  sia  perche', comunque, ha riguardo ai nipoti ex
filio  (parenti in linea retta) e non ai nipoti ex fratre (parenti in
linea collaterale), come nel caso che ne occupa.
    Premesso  quanto  innanzi,  si osserva che, giusto l'insegnamento
del  giudice delle leggi, «la pensione di riversibilita' appartenente
al  piu'  ampio  genus  delle  pensioni ai superstiti e' una forma di
tutela previdenziale nella quale l'evento protetto e' la morte, cioe'
un  fatto  naturale che, secondo una presunzione legislativa crea una
situazione  di  bisogno  per  i familiari del defunto, i quali sono i
soggetti  protetti»  e  la  relativa  disciplina, in un primo momento
diversa  per  i  dipendenti  pubblici  e per i lavoratori del settore
privato,  ha  ormai  un fondamento sostanzialmente identico per i due
settori,   pubblico  e  privato,  costituendo  una  forma  di  tutela
previdenziale  ed  uno  strumento  necessario  pei  il  perseguimento
dell'interesse della collettivita' alla liberazione di ogni cittadino
dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e
sociali  che  consentono  l'effettivo  godimento dei diritti civili e
politici, realizzando la garanzia della continuita' del sostentamento
ai  superstiti,  gia'  viventi  a  carico del lavoratore deceduto, e,
pertanto, riconducibile all'art. 38 Cost. (cfr. sentenza Corte, cost.
n. 286/1987).
    In  relazione  al  primo  profilo  della prospettata questione di
legittimita'  costituzionale, reputa la sezione che, stante il comune
fondamento  del trattamento in favore dei superstiti, nell'ambito del
sistema pensionistico pubblico e privato - il quale ultimo, pertanto,
ben  puo'  essere assunto quale tertium comparationis - evidentemente
irragionevole ed ingiustificato e, pertanto, in contrasto con l'art.3
Cost.,  si appalesa il deteriore trattamento riservato al figlio nato
da  precedente matrimonio del coniuge di dipendente pubblico iscritto
alle  Casse  facenti parte degli Istituti di previdenza - escluso dal
novero  dei  soggetti aventi titolo alla riversibilita' - rispetto al
figlio  nato  da  precedente  matrimonio  del  coniuge del dipendente
privato,  per  contro  incluso  fra  i  soggetti  aventi  titolo alla
pensione   ai   superstiti,  secondo  il  sistema  dell'assicurazione
generale obbligatoria, considerato, altresi', che trattasi di profilo
attinente  «ai  riflessi  sociali dei vari sistemi pensionistici che,
relativamente  ad  essi,  non  possono  non  essere assoggettati alla
medesima  disciplina,  ove  identiche risultino le situazioni poste a
raffronto» (cfr. Corte cost., sentenza n. 397/1988).
    Come vieppiu' palesato all'evidenza dal rilievo che, con sentenza
n. 181  del 10 febbraio 1988, il giudice delle leggi, investito della
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 4, primo comma,
del  d.lgs.  lgt.  21  novembre 1945 n. 722, in quanto - al contrario
dell'art.  3  del d.P.R. 30 maggio 1955 n. 797, recante la disciplina
degli assegni familiari spettanti ai dipendenti del settore privato -
non  contemplava,  nel  novero  delle persone considerate a carico ai
fini  dell'attribuzione,  in  favore  dei  dipendenti pubblici, delle
quote  di  aggiunta  di  famiglia,  anche i figli nati dal precedente
matrimonio   del   coniuge,   ne   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale  «nella  parte in cui non comprende anche i figli nati
da  precedente matrimonio dell'altro coniuge che ne sia affidatario»,
appunto sulla base dell'osservazione che «nella sfera di connotazioni
che   tuttora   sorreggono   il  riconoscimento  di  una  persistente
diversita'  fra i rapporti di impiego o di lavoro pubblico e privato,
non  rientra  la  regolamentazione  delle categorie di persone per le
quali e' prevista la corresponsione dell'aggiunta di famiglia o degli
assegni  familiari,  istituti che peraltro non differiscono ne' nella
ratio  ne'  nei fini» per cui «nessuna razionale giustificazione puo'
ravvisarsi a sostegno della disparita' di trattamento».
    Considerato,  infatti,  che,  giusto  l'insegnamento della Corte,
costituzionale   (cfr.   sentenza   n. 397/1988),   «la  pensione  di
riversibilita'  costituisce  una  delle  manifestazioni del carattere
proprio  di  retribuzione differita propria delle pensioni» nel senso
che  «se il lavoratore provvedeva al sostentamento proprio e di altri
soggetti con luiconviventi, con l'istituto della riversibilita' si e'
preso  atto  di  questa  realta',  proiettando  sui  soggetti  da lui
assistiti  in  vita,  i  benefici  di  quella  retribuzione,  finche'
perdurano,    dopo   la   sua   morte,   determinati   requisiti   di
assistibilita»,  e'  evidente  che,  cosi'  come e' stata ritenuta in
contrasto  con  la Carta fondamentale, con la summenzionata pronuncia
n. 181/1988,  la  suddetta  disparita'  di trattamento fra dipendenti
pubblici  e privati, in relazione all'omessa contemplazione dei figli
nati  da  precedente  matrimonio  del coniuge (c.d. «figliastri») nel
novero  dei  familiari  viventi  a  carico  del  lavoratore  ai  fini
dell'attribuzione  delle  quote  di  aggiunta di famiglia - aventi la
funzione  di  assicurare  (o concorrere ad assicurare) la sufficienza
della  retribuzione  e  della  pensione  ai  bisogni  della famiglia,
secondo  il  paradigma  di  cui  all'art. 36  Cost.  e,  pertanto, in
definitiva  il  mantenimento  dei  familiari  a  carico  - del pari e
specularmente  deve  ritenersi  ingiustificato il censurato deteriore
trattamento  riservato  ai  figliastri,  secondo  l'ordinamento delle
Casse pensioni facenti parte degli II.PP., con la loro esclusione dal
novero   dei  superstiti  aventi  titolo  alla  riversibilita'  della
pensione,  attesa la rilevata funzione di quest'ultima di assicurare,
dopo  la  morte  del  lavoratore  (o  pensionato), la continuita' del
sostentamento dei familiari gia' viventi a suo carico.
    D'altro canto, considerato che, giusto l'insegnamento di cui alla
cit.  sentenza  della Corte costituzionale n. 181/1988, «gli obblighi
che  incombono  su  entrambi  i  coniugi  verso  la famiglia ai sensi
dell'art. 143 c.c. non possono non comprendere anche i figli nati dal
precedente matrimonio di un coniuge (sciolto per divorzio) ove questi
ne  sia  affidatario»  -  ed  analogamente,  se  non a fortiori, deve
ritenersi  con riferimento ai figli nati dal precedente matrimonio di
un  coniuge  quando,  come  nel  caso  all'esame della sezione, siano
orfani  dell'altro  genitore, quando, cioe', il precedente matrimonio
si  sia  sciolto  per  morte del primo coniuge - e che la ratio della
riversibilita'  dei  trattamenti  pensionistici  consiste  nel  farne
proseguire,  almeno  parzialmente,  anche  dopo  la  morte  del  loro
titolare,  il  godimento  da  parte  dei  soggetti  a  lui  legati da
determinati  vincoli  familiari,  realizzando, in tal modo, anche sul
piano  previdenziale,  una «forma di ultrattivita' della solidarieta'
familiare»  (cfr.  sentenza  Corte, cost. n. 180/1999), evidentemente
irragionevole e, pertanto, in contrasto con l'art. 3 Cost., si palesa
l'esclusione,  da  tale  forma  di  ultrattivita'  della solidarieta'
familiare,  dei  figli  nati da precedente matrimonio del coniuge del
pensionato, conviventi a carico del pensionato stesso.
    E'   d'altro   canto,   evidente,   considerato   il   fondamento
costituzionale  del trattamento di riversibilita', inteso a garantire
la  continuita' del sostentamento ai superstiti, come evidenziato dal
Giudice  delle  Leggi con la summenzionata pronuncia n. 286/1987, che
la  censurata  esclusione  dei  figliastri  dal novero dei superstiti
aventi   titolo   alla  riversibilita'  della  pensione,  si  palesa,
altresi', in contrasto con l'art. 38 Cost.
    In  relazione  al  secondo profilo della prospettata questione di
legittimita'  costituzionale, si osserva che mentre secondo lo stesso
ordinamento  delle  Casse  pensioni  facenti  parte  degli II.PP., ha
titolo  alla  pensione  di riversibilita', qualora non vi siano figli
legittimi  o legittimati aventi diritto al trattamento di quiescenza,
l'affiliato,  non  ha  titolo alla riversibilita' il nipote ex fratre
del  dante  causa,  di  cui risulti provata la vivenza a carico dello
stesso.
    In  proposito,  si osserva che l'istituto dell'affiliazione, gia'
disciplinato  dagli artt. 404 e segg. cod. civ (abrogati dall'art. 77
legge  n. 184/1983)  aveva  - come ritenuto dal Giudice delle Leggi -
carattere  prevalentemente  assistenziale,  in  quanto  con  esso  il
legislatore  ha inteso mettere in moto quell'attivita' privata capace
per il suo apporto di «alleviare la grave situazione di bisogno di un
considerevole numero di minori dei quali non si conoscono i genitori,
ovvero   figli   riconosciuti  dalla  sola  madre  impossibilitata  a
provvedere al loro allevamento, o in stato di abbandono, o ricoverati
in  un  istituto di pubblica assistenza» cosicche' «funzione primaria
dell'affiliazione e' quindi il conseguimento di un fine assistenziale
nei  confronti  dei  minori,  moralmente e materialmente abbandonati»
mentre  «non  da'  luogo  ad  urapporto  di natura familiare, sebbene
attribuisca  al'affiliante  i  poteri  inerenti  alla patria potesta»
(cfr. sentenza Corte costituzionale 9 aprile 1970 n. 57).
    Per  quanto  la  nozione  di famiglia presa in considerazione dal
regime  previdenziale  «non  e' quella ristretta alla famiglia che si
costituisce  con il matrimonio, con i vincoli di consanguineita' e di
affinita»  per  cui  «la  tutela  previdenziale  riguarda  anche quei
rapporti  assistenziali  che  si  atteggiano  in modo simile a quelli
familiari  a condizione che il lavoratore defunto provvedesse in vita
in  via  non occasionale, al sostentamento di soggetti classificabili
come  «familiari»  (cfr.  Corte  costituzionale, sentenza n. 286/1987
cit.),  nondimeno,  non  puo non apparire irragionevole l'esclusione,
dal  novero  dei  soggetti  aventi  titolo  alla riversibilita' della
pensione,  dei  nipoti ex fratre del dante causa (che rientrano nella
nozione  di famiglia, quale societa' naturale fondata sul matrimonio,
con  i  conseguenti  vincoli di consanguineita' ed affinita', essendo
appunto,  rispetto  al  dante  causa, parenti in linea collaterale di
terzo  grado)  a  fronte  dell'inclusione degli affiliati, e cioe' di
soggetti  beneficiari di «rapporti assistenziali che si atteggiano in
modo simile a quelli familiari».
    Con    la   surrichiamata   pronuncia   n. 180/1999,   la   Corte
costituzionale  rilevato che «il rapporto di parentela fra ascendenti
e  discendenti ha - non solo nella realta' concreta ma anche sotto il
profilo  giuridico - un carattere peculiare e piu' intenso rispetto a
quello  che  puo' instaurarsi fra un soggetto ed i minori affidatigli
dagli  organi competenti» in quanto «tale rapporto e' particolarmente
disciplinato  e  privilegiato  dal  legislatore,  sia  sul  piano dei
diritti  che  su  quello  degli  obblighi  connessi: basti pensare al
dovere    di   mantenimento,   istruzione   ed   educazione   sancito
dall'art. 148  cod.civ.  a  carico degli ascendenti quando i genitori
non  hanno i mezzi sufficienti; all'obbligo di prestare gli alimenti,
che  puo' essere assolto anche accogliendo e mantenendo nella propria
casa gli aventi diritto (art. 433 e 443 cod. civ., alla tutela penale
di  tale  doveri  ed  obblighi (art. 570 e 591 c.p.)» ha ritenuto che
«risulta   dunque  irragionevole  che  mentre  i  minori  formalmente
affidati  dagli organi competenti - legati da vincoli meno stretti di
quelli  familiari  in  linea  retta - possono continuare a godere del
trattamento  pensionistico del de cuius, i minori che vivono a carico
dell'ascendente   ne   siano   esclusi,   per   cui   ha   dichiarato
l'illegittimita'   costituzionale   della   censurata  norma  di  cui
all'art. 38  d.P.R.  818/1957  nella  parte  in cui non include fra i
destinatari  diretti  ed  immediati  della pensione di riversibilita'
anche  i  minori  dei quali risulti provata la vivenza a carico degli
ascendenti.
    Non  sfugge  alla sezione che il rapporto fra il dante causa ed i
propri  nipoti ex fratre non sia assimilabile, sul piano giuridico, a
quella fra gli ascendenti ed i rispettivi nipoti ex filio, atteso che
-  contrariamente  a  quanto  dedotto dalla ricorrente con il ricorso
introduttivo  -  solo  a  carico  degli  ascendenti,  e non anche dei
collaterali,  l'art. 148  cod.civ. pone l'obbligazione sussidiaria di
mantenere, istruire ed educare i minori, per l'ipotesi che i genitori
di  questi  ultimi  non abbiano i mezzi sufficienti, e che l'art. 433
cod.  civ.  non  contempla  obblighi di alimenti fra zii e rispettivi
nipoti ex fratre.
    Occorre,  peraltro,  osservare  che  i  suddetti  rapporti,  sono
nondimeno  presi  in  considerazione dall'ordinamento, sulla base del
solo  presupposto di fatto della vivenza a carico ed a prescindere da
un provvedimento di affidamento.
    L'art. 3   del   3   d.P.R.   30 maggio   1955   n. 797  (recante
«approvazione   del   t.u.   delle   norme  concernenti  gli  assegni
familiari»),  infatti,  dopo aver previsto, al secondo comma, che «si
considerano,  altresi',  capi famiglia: a) i prestatori di lavoro che
abbiano  a  carico  fratelli  o  sorelle  o  nipoti  per  la  morte o
l'abbandono  o  l'invalidita'  permanente  al  lavoro del loro padre,
sempreche' la madre non fruisca di assegni familiari; b) i prestatori
di   lavoro  cui  sono  regolarmente  affidati  minori  dagli  organi
competenti  ha  stabilito,  al  successivo  terzo  comma,  che  «sono
equiparati  ai  figli  legittimi o legittimati i figli adottivi e gli
affiliati,  quelli  naturali  legalmente riconosciuti, nonche' quelli
nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge e, per i casi di cui
al  secondo  comma,  i  fratelli  o  sorelle  o  nipoti  ed  i minori
regolarmente affidati dagli organi competenti ai sensi di legge».
    D'altro  canto,  la  legge  n. 184/1983,  recante  la  disciplina
dell'adozione  e  dell'affidamento  dei  minori,  non modificata, sul
punto,  dalla  novella  di  cui  alla  legge  n. 149/2001  dopo  aver
previsto,  all'art.  8,  primo  comma,  che  «sono  dichiarati  anche
d'ufficio in stato di adottabilita' dal tribunale per i minorenni del
distretto  nel  quale si trovano, i minori in situazioni di abbandono
perche'  privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori
e  dei parenti tenuti a provvedervi....», dispone, al successivo art.
9, che «chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie
stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l'accoglienza
si  protragga  per  un  periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso
tale  periodo,  darne  segnalazione al giudice tutelare che trasmette
gli  atti  al  tribunale  per  i minorenni con relazione informativa»
(sesto  comma) e che «nello stesso termine di cui al comma precedente
uguale  segnalazione  deve  essere effettuata dal genitore che affidi
stabilmente  a  chi  non  sia parente entro il quarto grado il figlio
minore per un periodo non inferiore a sei mesi».
    Dalla  coordinata lettura delle surriportate disposizioni e' dato
evincere,  da  un lato, la rilevanza giuridica della vivenza a carico
di   nipoti  ex  frate  e,  dall'altro,  che  non  ricorre  l'ipotesi
dell'abbandono  quando  sussista  un'idonea  assistenza  prestata  da
parenti  entro  il quarto grado - a prescindere dalla circostanza che
agli  stessi faccia o non faccia carico l'obbligo alimentare - atteso
che,  in tale ipotesi, non scattano gli obblighi di segnalazione e di
intervento   previsti   con   riferimento   alle  ipotesi  di  minori
abbandonati.
    In  proposito,  si  osserva  che,  con la summenzionata pronuncia
n. 180/1999,  l'Alta  Corte ha spiegato l'esenzione di cui all'art. 9
legge  n. 184/1983,  degli ascendenti che accolgano stabilmente nella
propria  abitazione  un  minore  dal  dovere di darne segnalazione al
giudice tutelare, con il rilievo che «i nipoti fanno gia' parte della
loro  famiglia,  di modo che non occorre alcun affidamento formale da
parte  delle  pubbliche  autorita'  e',  peraltro,  evidente che tale
conclusione  deve  ritenersi  parimenti valida per la generalita' dei
parenti  (siano  essi in linea retta o in linea collaterale) entro il
quarto  grado,  cui  -  come innanzi rilevato - e' estesa l'esenzione
stessa.
    L'assistenza  continuativa (ossia la vivenza a carico) dei minori
viene,   pertanto,   ricondotta  dall'ordinamento  alla  solidarieta'
familiare in quanto si esplichi nell'ambito dei rapporti di parentela
entro il quarto grado.
    Considerato   che,   come   innanzi   rilevato,  la  ratio  della
riversibilita'  dei  trattamenti  pensionistici  consiste  nel  farne
proseguire almeno parzialmente, anche dopo la morte del loro titolare
il  godimento  da  parte  dei  soggetti  a  lui legati da determinati
vincoli   familiari,  realizzando,  in  tal  modo,  anche  sul  piano
previdenziale,   una   «forma  di  ultrattivita'  della  solidarieta'
familiare»  (cfr.  sentenza  Corte  cost. n. 180/1999), evidentemente
irragionevole e, pertanto, in contrasto con l'art. 3 Cost., oltreche'
con  l'art. 38  Cost., cui come innanzi rilevato, e' riconducibile la
tutela  dei  superstiti,  si  palesa  l'esclusione,  da tale forma di
ultrattivita'  della  solidarieta' familiare, dei familiari legati da
vincoli  di  parentela  entro  il  quarto  grado con il dante causa e
conviventi  a  suo carico, a fronte dell'espressa contemplazione, nel
novero  dei  superstiti  aventi  titolo  alla  riversibilita',  degli
affiliati, e cioe' di soggetti non legati da vincoli di sangue con il
dante  causa ma solo da un rapporto di natura assistenziale che, come
ritenuto  dal  giudice  delle  leggi, non da' luogo ad un rapporto di
natura familiare.
    Non  puo',  d'altro canto, revocarsi in dubbio la rilevanza delle
prospettate   questioni   di   legittimita'  costituzionale,  che  si
appalesano,  pertanto,  pregiudiziali,  considerato  che  l'eventuale
dichiarazione   d'illegittimita'   costituzionale,   delle  censurate
disposizioni  di cui agli artt. 17, terzo comma, della legge 8 agosto
1991  n. 274  e  7,  comma 1,  legge  22 novembre  1962  n. 1646,  in
relazione  all'uno  o  all'altro  dei  profili  prospettati,  con  la
conseguente  equiparazione  agli orfani, ai fini della riversibilita'
della  pensione,  dei figli nati da precedente matrimonio del coniuge
del  pensionato conviventi a carico di quest'ultimo e/o dei nipoti ex
fratre  «conviventi  a  carico  del  dante  causa,  comporterebbe  il
superamento  dell'unico motivo addotto, con il provvedimento gravato,
a  fondamento  della  determinazione  di  non  dare  ulteriore  corso
all'istanza  pensionistica della ricorrente (ossia la circostanza che
«allo  stato  degli  atti  non risulta essere orfana di Barba Antonio
dante causa della pensione iscrizione n. 6339101/R»).
    Ricorrono,  pertanto, i presupposti per sollevare la questione di
legittimita' costituzionale nei termini innanzi esposti.
                              P. Q. M.
    Sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 13 maggio 2004;
    Dichiara rilevante e non manifesirnente infondata la questione di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.:
        degli  artt.  17,  comma  3,  legge 8 agosto 1991 n. 274 e 7,
primo  comma,  legge 22 novembre 1962 n. 1646, nella parte in cui non
contemplano  e,  quindi,  implicitamente  escludono  dal  novero  dei
superstiti aventi diritto alla riversibilita' della pensione, i figli
nati  da  precedente  matrimonio  del  coniuge  del pensionato di cui
risulti provata la convivenza a carico dello stesso dante causa;
        degli  artt.  17, comma 3, della legge 8 agosto 1991 n. 274 e
7,  primo  comma,  legge 22 novembre 1962 n. 1646, nella parte in cui
non  contemplano  e,  quindi, implicitamente escludono dal novero dei
superstiti  aventi  diritto  alla  riversibilita'  della  pensione, i
nipoti  ex fratre del pensionato di cui risulti provata la convivenza
a carico dello stesso dante causa;
    e, per l'effetto;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale e la sospensione del presente giudio ed
    Ordina  che,  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in  causa ed al Presidente del Consiglio dei
ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Bari, addi' 11 novembre 2004
                         Il giudice: Martina
05C0260