N. 97 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 novembre 2004
Ordinanza emessa il 12 novembre 2004 dalla Corte dei conti - sez. giur. per la Regione Puglia sul ricorso proposto da Barba Maria Concetta contro Inpdap ed altra Previdenza e assistenza sociale - Pensione di reversibilita' corrisposta dall'INPDAP - Soggetti beneficiari - Figli nati da precedente matrimonio del coniuge del pensionato convivente a carico - Mancata previsione - Ingiustificato deteriore trattamento dei filgli ex fratre conviventi a carico rispetto ai nipoti ex filio, nelle stesse condizioni, cui spetta il trattamento di reversibilita', in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 180/1999 - Incidenza sulla garanzia previdenziale. - Legge 8 agosto 1991, n. 274, art. 17, comma 3; legge 22 novembre 1962 n. 1646 art. 7, comma 1. - Costituzione, artt. 3 e 38. Previdenza e assistenza sociale - Pensione di reversibilita' corrisposta dall'INPADAP - Soggetti benificiari - Nipoti ex fratre del coniuge del pensionato conviventi a carico - Mancata previsione - Ingiustificato deteriore e trattamento dei nipoti ex fratre conviventi a carico rispetto ai nipoti ex filio nelle stesse condizioni, cui spetta il trattamento di reversibilita', in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 180/1999 - Incidenza sulla garanzia previdenziale. - Legge 8 agosto 1991, n. 274, art. 17, comma 3; legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 7, comma 1. - Costituzione, artt. 3 e 38.(GU n.10 del 9-3-2005 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso, iscritto al n. 16515 (ex 6628/C) deI registro di segreteria, proposto dalla sig.ra Barba Maria Concetta, rappresentata e difesa, in virtu' di procura a rogito notaio A. Gallo del 13 febbraio 2004 rep. n. 73.326, dall'avv. Franco Orlando, presso il cui studio e' elettivamente domiciliata in Nardo' alla via Verdi 26; Contro I.N.P.D.A.P. direzione provinciale del tesoro -- Lecce, avverso la nota del 22 dicembre 1998 dell'I.N.P.D.A.P. Vista il ricorso; Esaminati gli atti ed i documenti di causa; Uditi nella pubblica udienza del 13 maggio 2004, l'avv. Franco Orlando per la ricorrente, il sig. Antonio Cosimo Ingallo, presente, per delega, in rappresentanza' della Direzione Provinciale dei Servizi Vari (ex Direzione provinciale del Tesoro) di Lecce ed il dott. Giovanni Romano, presente, per delega, in rappresentanza dell'I.N.P.D.A.P. Ritenuto in fatto; Con il ricorso in epigrafe, la sig.ra Barba Concetta, nata a Monteroni di Lecce il 1° dicembre 1937, ha esposto: di essere figlia dei sig. ri Barba Franceco e Lorenzo Addolorata; che, a seguito del decesso, in data 13 ottobre 1946, del padre, il fratello di quest'ultimo Barba Antonio, si assunse il carico della famiglia contraendo, in data 30 ottobre 1950, matrimonio con la sig.ra Lorenzo Addolorata; che, alla morte, in data 7 marzo 1985, del sig. Barba Antonio - con il quale la ricorrente e sua madre avrebbero condiviso lo stato di famiglia - la pensione quale ex dipendente di ente locale, fu assegnata per riversibilita', alla madre, quindi deceduta in data 30 maggio 1996; che, alla morte della madre, la ricorrente sarebbe rimasta senza alcun sostegno, malgrado una invalidita' a qualsiasi proficuo lavoro per grave diabete mellito, con nefroangiosclerosi, retinopatia ed ipertensione arteriosa certificata dal Servizio di igiene pubblica della ex AUSL Lecce/4 nel lontano 11 gennaio 1989; che, con istanza del 14 ottobre 1996, la ricorrente presentava domanda per la riversibilita' della pensione degli enti locali di cui era stato titolare il sig. Antonio Barba e quindi la madre; che, con nota del 22 dicembre 1998 l'I.N.P.D.A.P. ha comunicato di «non dare ulteriore corso» all'istanza pensionistica proposta dalla ricorrente perche' «allo stato degli atti non risulta essere orfana di Barba Antonio, dante causa della pensione iscrizione n. 6339101/R». Avverso il suddetto provvedimento ha proposto gravame, con il ricorso in epigrafe, la sig.ra Barba Maria Concetta, chiedendo che venga sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 82, d.P.R. 1092/1973 e che, comunque, le venga riconosciuto l'invocato trattamento di riversibilita'. A sostegno del gravame, proposto, premesso di aver sempre fatto parte del nucleo familiare di Barba Antonio ed a carico di quest'ultimo sin dal giorno del suo matrimonio con la madre della ricorrente (30 ottobre 1950), e sottolineato l'impegno profuso dalla ricorrente in favore del predetto nucleo familiare e l'assistenza prestata in favore, dapprima, del sig. Barba Antonio e, quindi, della madre, che L'avrebbero lasciata in «stato di bisogno ad un'eta' in cui, per le infermita' e per gli anni, per il grado di cultura, non e' in grado di procurarsi i mezzi minimi per vivere», la ricorrente ha dedotto che il rapporto di parentela con il sig. Barba Antonio avrebbe «non solo nella realta' concreta ma anche sotto il profilo giuridico un carattere peculiare e piu' intenso rispetto a, quello che puo' instaurarsi fra un soggetto ed i minori affidatigli dalle autorita' competenti», allegando che «tale rapporto e' particolarmente disciplinato e privilegiato dal legislatore sia sul piano dei diritti che su quello degli obblighi connessi: basti pensare al dovere di concorso negli oneri di mantenimento, istruzione ed educazione sancito dall'art. 148 cod. civ. a carico degli ascendenti e parenti entro il quarto grado, quando i genitori non hanno i mezzi sufficienti; all'obbligo di prestare gli alimenti, che puo' essere assolto anche accogliendo e mantenendo nella propria casa gli aventi diritto (artt. 433 e 443 cod. civ.) alla tutela penale di tali doveri ed obblighi» e che «a causa della suddetta peculiarita' la legge esenta gli ascendenti e gli altri parenti entro il quarto grado che accolgano stabilmente nella propria abitazione un minore, dal dovere di darne comunicazione al giudice tutelare (art. 9 legge n. 184/1983): i nipoti, infatti, fanno parte della loro famiglia di modo che non occorre alcun affidamento formale da parte della pubblica autorita». Secondo la prospettazione attorea sarebbe «dunque irragionevole che, mentre i minori formalmente affidati dagli organi competenti, legati da vincoli meno stretti di quelli familiari, possono continuare a godere del trattamento pensionistico del de cuius, i minori che vivono a carico dello zio, fratello del padre assicurato, ne siano esclusi». Ha dedotto la ricorrente che l'art. 82 d.P.R. n. 1092/1973 sarebbe costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 3 Cost. «in quanto, se ispirato alla finalita' di evitare facili abusi, pecca di eccessivo rigore laddove non consente che persistendo la vivenza a carico ma mancando il formale affidamento, il requisito non possa essere accertato con qualunque mezzo» per cui «persone prive di qualsiasi risorsa economica e della capacita' di procurarsi un reddito, come i minori affidati di fatto ai parenti, ricevono una tutela inferiore a quella goduta da coloro che sono stati regolarmente e formalmente adottati o affiliati» ed ha chiesto che venga sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 82 d.P.R n. 1092/1973 «nella parte in cui non include fra i soggetti ivi elencati anche i minori dei quali sia provata la vivenza a carico del dante causa, che sia parente, ascendente, tenuto agli obblighi di sostentamento del minore, quando il minore, poi divenuto maggiorenne, abbia sacrificato l'intera vita all'assistenza gratuita di questo parente sino alla data della sua morte». Con memoria depositata il 22 luglio 2003, la Direzione provinciale dei servizi vari (ex Direzione provinciale del Tesoro) di Lecce, premesso che, in applicazione delle normative recate dall'art. 4) decreto legislativo 479/1994 e dall'art. 2 legge n. 335/1995, l'I.N.P.D.A.P. e' subentrato, dal 1° gennaio 1999, nelle competenze di ordinatore di spesa in materia di trattamento di quiescenza dello Stato gia' intestate alle Direzioni provinciali del Tesoro, ha chiesto l'estromissione dal giudizio «per sopravvenuto difetto di legittimazione passiva, essendo stata la competenza trasferita all'I.N.P.D.A.P.». Con memoria depositata il 9 settembre 2003, si e' costituito l'intimato I.N.P.D.A.P. il quale, premesso che «la ricorrente, nata il 1° dicembre 1937 a Monteroni di Lecce, e' figlia di Barba Francesco, deceduto il 13 ottobre 1946, e di Lorenzo Addolorata, deceduta il 30 maggio 1996», che «la sig.ra Lorenzo, dopo il decesso del coniuge, padre appunto dell'attuale ricorrente, contraeva secondo matrimonio con il sig. Barba Antonio (che moriva in data 7 marzo 1985) e diveniva titolare di pensione di riversibilita' in qualita' di vedova di quest'ultimo» e che «il dante causa della pensione richiesta dalla ricorrente, sig. Barba Antonio non era quindi padre di quest'ultima», ha dedotto che «cio' giustifica la nota della Direzione generale I.N.P.D.A.P. - Ufficio V prestazioni previdenziali in data 22 dicembre 1998 che la ricorrente impugna, e nella ziali in data 22 dicembre 1998 che la ricorrente impugna, e nella quale si comunica che l'istanza prodotta dalla sig.ra Barba in data 10 ottobre 1997 (non rinvenuta in atti) non puo' essere accolta» e che l'operato dell'Istituto in tale circostanza non sarebbe censurabile in quanto «considerato che il decesso del dante causa e' avvenuto nel 1985, e' il T.U. 1092/1973 che trova applicazione e che, all'art. 82, individua come possibili destinatari della pensione di riversibilita' oltre gli orfani una serie di congiunti ad essi equiparati, ma fra i quali non figurano anche i figli che il coniuge del dante causa abbia avuto in precedenti matrimoni», concludendo nel senso di ritenere che l'istanza della sig.ra Barba sia destituita di fondamento giuridico. Con atto depositato all'udienza del 16 settembre 2003, si e' costituito, per la ricorrente l'avv. Franco Orlando, il quale ha invocato, «ad integrazione e supporto normativo e giurisprudenziale delle pretese reclamate dalla ricorrente», la legge n. 335 del 1995 e la sentenza della Corte costituzionale n. 180/1999 ed ha concluso per l'accoglimento del ricorso. Ha allegato il procuratore della ricorrente che, in base alla nuova disciplina di cui alla legge n. 335/1995 - che «ha apportato profonde modificazioni al trattamento in favore dei superstiti dei dipendenti pubblici, estendendo, fra l'altro, la disciplina vigente presso l'Amministrazione dell'I.N.P.S. nei confronti delle rimanenti forme previdenziali esistenti, compresa quella relativa ai dipendenti pubblici» - «la pensione di riversibilita' ai superstiti di pensionato spetta anche ai figli nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge» e che «la sig.ra Barba, pertanto, acquisisce il diritto a percepire la pensione di riversibilita' alla morte della madre avvenuta il 30 maggio 1996, in vigenza, quindi, delle norme I.N.P.S., estese al pubblico impiego con la legge n. 335/1995». Ha dedotto, inoltre, la difesa attorea che la sentenza n. 180/1999 della Corte costituzionale «scardina il sistema di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1092/1973 in quanto per assicurare il diritto ad ottenere la riversibilita' prescinde dalla qualita' di figlio, affidato o affiliato, dando esclusivo risalto alla vivenza a carico dei nonni degli orfani», fattispecie che - sempre secondo il procuratore della ricorrente - sarebbe «speculare rispetto alla situazione della sig.ra, Barba che si ritrova orfana di padre e di madre, ma vivente a carico del dante causa, Barba Antonio, parente di secondo grado, per ben 35 anni». All'udienza del 13 maggio 2004, l'avv. Franco Orlando, per la ricorrente, evidenziata la data di decesso della madre della ricorrente (30 maggio 1996) e la data di presentazione della domanda di riversibita' (14 ottobre 1996), ha insistito sull'applicabilita' dell'art. 191, secondo comma, decreto del Presidente della Repubblica 1092/1973, anche alla luce della sentenza n. 180/1999 della Corte costituzionale, e sulla sussistenza dei requisiti di nullatenenza e convivenza, ha invocato la sentenza n. 145/2001 della Sez. giur. Friuli V.G., ne ha prodotto la massima ed ha dedotto che non risultano altri figli aventi diritto. Ha concluso, per l'integrale accoglimento del ricorso col riconoscimento dell'invocato diritto a far data dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda ed in subordine ha chiesto che venga sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica 1092/1973 per violazione dell'art. 3 Cost. Il sig. Antonio Cosimo Ingallo, presente, per delega, in rappresentanza della Direzione provinciale dei servizi vari (ex Direzione Provinciale del Tesoro) di Lecce ha reiterato la richiesta di estromissione dal giudizio per trasferimento delle competenza, ed ha richiamato la circolare n. 646 del 9 ottobre 1995 del Ministero del tesoro, depositandone copia. IL dott. Giovanni Romano, presente, per delega, in rappresentanza dell'I.N.P.D.A.P., si e' rimesso alle valutazione della Corte, insistendo per il rigetto. Ha precisato che trattasi di' trattamento pensionistico ex C.P.D.E.L. e che, allo stato, non risultano altri figli aventi diritto. Considerato in D i r i t t o La ricorrente, nipote ex fratre del sig. Barba Antonio e, pertanto, a termini dell'art. 76 cod. civ., parente in linea collaterale di terzo grado (e non di secondo grado come dedotto dalla difesa attorea), nonche' figlia nata da precedente matrimonio del coniuge del pensionato e, pertanto, affine in linea retta di primo grado dello stesso, si duole che, con l'impugnata nota, l'I.N.P.D.A.P., rilevato che allo stato degli atti non risulta essere orfana di Barba Antonio, dante causa della pensione iscrizione n. 6339101/R, le abbia negato la riversibilita' del suddetto trattamento pensionistico. E' appena il caso di premettere che sia la ricorrente che l'I.N.P.D.A.P. hanno indicato, quale norma di riferimento per la disciplina dell'invocato trattamento di riversibilita', l'art. 82 del T.U. approvato con d.P.R. n. 1092/1973, relativo al trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato. Considerato, peraltro, che nel ricorso introduttivo la ricorrente ha allegato che il sig. Barba Antonio era titolare di pensione quale ex dipendente di ente locale e che, all'udienza del 13 maggio 2004, il rappresentante dell'I.N.P.D.A.P. ha precisato che «trattasi di trattamento pensionistico ex C.P.D.E.L.», la disciplina della riversibilita' in favore degli orfani, cui occorre aver riguardo, e' costituita non dall'art. 82 d.P.R. n. 1092/1973, relativo al trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, ma dalle pertinenti disposizioni relative agli iscritti alla C.P.D.E.L., peraltro di contenuto analogo, fermo restando che e' al suddetto testo unico sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato approvato con d.P.R. n. 1092/1973, quale disciplina generale delle pensioni pubbliche, che occorre far riferimento per tutti i profili non disciplinati o non compiutamente disciplinati dalla disorganica normativa relativa all'ordinamento delle Casse pensioni degli Isituti di previdenza. L'art. 17 (rubricato «orfani») della legge 8 agosto 1991 n. 274 («acceleramento delle procedure di liquidazioni delle pensioni e delle ricongiunzioni, modifiche ed integrazioni degli ordinamenti delle casse pensioni degli Istituti di previdenza, riordinamento strutturale e funzionale della Direzione generale degli Istituti stessi») dopo aver disposto, al primo comma, che «hanno diritto al trattamento di quiescenza indiretto o di riversibilita', gli orfani minorenni del dipendente iscritto alle Casse pensioni degli istituti di previdenza o del pensionato, nonche' gli orfani maggiorenni assolutamente e permanentemente inabili a qualsiasi proficuo lavoro o in eta' superiore a 60 anni, conviventi a carico del dipendente o del pensionato e nullatenenti» ha previsto al terzo comma che sono equiparati ai figli legittimi, i figli naturali riconosciuti o giudizialmente dichiarati, gli affiliati, qualora non vi siano figli legittimi o legittimati aventi diritto al trattamento di quiescenza, ed i figli adottivi, sempre che la domanda di affiliazione e di adozione sia stata presentata dal dipendente o dal pensionato prima del compimento del 60° anno di eta». In termini analoghi gia' disponeva la legge 22 novembre 1962 n. 1646 (recante «modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro) che, all'art. 7, primo comma, prevede che «sono equiparati ai figli legittimi, ai fini del trattamento di quiescenza indiretto e di riversibilita' delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza, i figli naturali riconosciuti a norma del codice civile [dall'iscritto anteriormente alla data di cessazione dal servizio], gli affiliati, qualora non vi siano figli legittimi aventi diritto al trattamento stesso, ed i figli adottivi, sempre che il decreto di affiliazione e di adozione sia anteriore alla data di cessazione dal servizio dell'iscritto». Del pari l'art. 82 d.P.R. n. 1092/1973, dopo aver previsto, al primo comma, che «gli orfani minorenni del dipendente civile o militare di cui al primo comma dell'art. 81 ovvero del pensionato hanno diritto alla pensione di riversibilita'; la pensione spetta anche agli orfani maggiorenni inabili a proficuo lavoro o in eta' superiore a sessanta anni, conviventi a carico del dipendente o del pensionato e nullatenenti» ha disposto, al terzo comma, che «sono considerati alla pari degli orfani i figli adottivi, purche' la domanda di adozione sia stata presentata dal dipendente o dal pensionato prima del sessantesimo anno di eta', nonche' i figli naturali riconosciuti o giudizialmente dichiarati, purche' la domanda di dichiarazione giudiziale di paternita' sia anteriore alla data di morte del dante causa. Qualora non sopravvivano figli legittimi o legittimati ovvero se essi non hanno diritto a trattamento di riversibilita', tale trattamento spetta anche agli affiliati, purche' la domanda di affiliazione sia stata presentata dal dipendente o dal pensionato prima del compimento del sessantesimo anno di eta». E', evidente, pertanto, che secondo la disciplina del trattamento di quiescenza dei dipendenti pubblici, non hanno titolo al trattamento indiretto o di riversibilita' ne' i nipoti ex fratre ne' i figli nati da precedente matrimonio del coniuge dell'assicurato o del pensionato. Diversa la disciplina dettata, in ordine a quest'ultimo punto, in materia di riversibilita' delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidita' e la vecchiaia. L'art. 2 d.lgs. lgt. 18 gennaio 1945 n. 39, recante la «disciplina del trattamento di riversibilita' delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidita' e la vecchiai», prevede, infatti, al terzo comma, che «il diritto alla pensione, nei limiti di cui all'art. 13 del r.d.l. suddetto» - e cioe' del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636 - «ed ai commi precedenti, spetta ai figli legittimi, legittimati e naturali. Sono equiparati ad essi i figli adottivi, gli affiliati, i minori affidati ai sensi dell'art. 404 del cod. civ., nonche' i figli naturali ornati da precedente matrimonio del coniuge dell'assicurato o del pensionato». Del pari, il d.P.R. 26 aprile 1957 n. 818 (recante «norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952 n. 218 sul riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti» ha previsto all'art. 38 che «per il diritto alle prestazioni delle assicurazioni obbligatorie per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, per la tubercolosi e per la disoccupazione e alle maggiorazioni di esse, sono equiparati ai figli legittimi o legittimati i figli adottivi e gli affiliati, quelli naturali legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati, quelli nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge, nonche' i minori regolarmente affidati dagli organi competenti a norma di legge» (primo comma) e che «agli stessi fini si intendono equiparati ai genitori gli adottanti, gli affilianti, il patrigno e la matrigna, nonche' le persone alle quali l'assicurato fu affidato come esposto» (secondo comma). Premesso quanto innanzi, si osserva che, con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto che venga sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 82 d.P.R. n. 1092/1973 «nella parte in cui non include fra i soggetti ivi elencati anache i minori dei quali sia provata la vivenza a carico del dante causa, che sia parente, ascendente, tenuto agli obblighi di sostentamento del minore quando il minore, poi divenuto maggiorenne, abbia sacrificato l'intera vita all'assistenza gratuita di questo parente sino alla data della sua morte». Considerato, peraltro, che, da un lato, come innanzi rilevato, in relazione alla qualita' di ex dipendente di ente locale e pensionato C.P.D.E.L. del sig. Barba Antonio, la disciplina rilevante, deve individuarsi non nel cit. art. 82 d.P.R. n. 1092/1973, relativo al trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, ma nelle pertinenti disposizioni, di contenuto analogo, relative alla C.P.D.E.L., di cui ai surriportati artt. 17, terzo comma, della legge 8 agosto 1991, n. 274 e 7, primo comma, legge 22 novembre 1962 n. 1646, e, dall'altro, che il sig. Barba Antonio non era ascendente ma zio (parente in linea collaterale di terzo grado) della ricorrente nonche' coniuge in seconde nozze della madre della ricorrente e, cioe', patrigno (affine in linea retta) dell'istante, evidentemente irrilevante e, pertanto, inammissibile si palesa la questione di legittimita' costituzionale prospettata dalla ricorrente con il ricorso introduttivo. Reputa, nondimeno, la Sezione che ricorrano i presupposti per sollevare ex officio questione di legittimita' costituzionale delle summenzionate disposizioni normative di cui agli artt. 17, terzo comma, della legge 8 agosto 1991, n. 274 e 7, primo comma, legge 22 novembre 1962 n. 1646, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.: nella parte in cui, al contrario della disciplina dettata con riferimento all'assicurazione generale obbligatoria, non contemplano e, pertanto, implicitamente escludono dal novero dei superstiti equiparati ai figli ai fini del trattamento di quiescenza indiretto e di riversibilita' delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza e, pertanto, aventi titolo alla riversibilita' della pensione, i figli nati da precedente matrimonio del coniuge del pensionato, di cui risulti provata la convivenza a carico dello stesso dante causa; nella parte in cui, non contemplano e, pertanto, implicitamente escludono, dal novero dei superstiti equiparati ai figli ai fini del trattamento di quiescenza indiretto e di riversibilita' delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza, e pertanto, aventi titolo alla riversibilita' della pensione, i nipoti ex frate del pensionato dei quali sia provata la convivenza a carico del dante causa, a fronte della contemporanea previsione, fra i soggetti aventi diritto alla riversibilita', degli affiliati. Considerato, peraltro, che l'art. 1, comma 41, legge 335/1995 ha esteso la disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell'ambito del regime dell' assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme sostitutive ed esonerative di detto regime, la Sezione deve farsi, preliminarmente, carico della questione in ordine alla disciplina applicabile, ratione temporis, alla riversibilita' della pensione de qua, con particolare riferimento alla determinazione dei superstiti aventi titolo al relativo trattamento. Non v'e' chi non veda, infatti, che ove, con riferimento al caso di specie, si ritenesse applicabile, in virtu' del cit. art. 1, comma 41, legge 335/1995, la disciplina vigente nell'ambito del regime dell'assicurazione generale obbligatoria, ai fini della determinazione dei soggetti aventi titolo all'invocato trattamento di riversibilita', la ricorrente, quale figlia di precedente matrimonio del coniuge del pensionato, avrebbe titolo, nella ricorrenza degli ulteriori presupposti previsti dalla legge, alla riversibilita' del trattamento di quiescenza gia' intestato al sig. Barba Antonio, con conseguente irrilevanza della prospettata questione di legittimita' costituzionale. Reputa, peraltro, la sezione che la suddetta disciplina non sia applicabile con riferimento alla fattispecie che ne occupa. In proposito, e' appena il caso di premettere che il citato comma 41 dell'art. 1 della legge n. 335/1995 non reca elementi donde possa desumersene l'efficacia retroattiva. E' bensi' vero che il secondo periodo del cit. comma, nel prevedere che «in caso di presenza di soli figli di minore eta', studenti ovvero inabili, l'aliquota percentuale della pensione e' elevata al 70% limitatamente alle pensioni aventi decorrenza dalla data di entrata di vigore della presente legge», e l'ultimo periodo, nel disporre «che sono fatti salvi i trattamenti previdenziali piu' favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge con riassorbimento sui futuri miglioramenti», depongono nel senso dell'applicabilita' delle disposizioni di cui al cit. comma 41 dell'art. 1 della legge n. 335/1995 - ad eccezione della piu' favorevole disposizione di cui al secondo periodo e con la salvezza, di cui all'ultimo periodo, dei trattamenti piu' favorevoli in essere (con il correttivo del riassorbimento) - ai trattamenti di riversibilita' gia' in essere alla data della sua entrata in vigore. Sennonche', cio' non implica e non comporta che la norma sia retroattiva, non potendosi considerare tale la norma che si limiti a disciplinare diversamente, per l'avvenire, rapporti gia' pendenti e situazioni di fatto gia' in essere, senza incidere sulla disciplina giuridica del fatto generatore e senza disconoscere o regolare diversamente gli effetti gia' prodotti. L'irretroattivita' della norma induce, evidentemente ad escluderne l'applicabilita', con riferimento al caso che ne occupa, ai fini della determinazione della cerchia dei superstiti aventi titolo alla riversibilita' de qua, considerato che il fatto generatore dell'invocato trattamento di riversibilita', costituito dalla morte dell'assicurato e del pensionato, si e' verificato anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa legge. Non puo', invero, revocarsi in dubbio che, appunto, alla disciplina vigente alla data del decesso dell'assicurato o del pensionato, occorra aver riguardo ai fini dell'individuazione dei soggetti aventi diritto al relativo trattamento di riversibilita' (cfr., ex multis, Cass. 4 aprile 2001 n. 4925), come vieppiu' palesato dal rilievo che, con specifico riferimento alle Casse pensioni degli II.PP., la legge n. 274/1991 prevede, al primo comma dell'art. 18 (rubricato «pensioni indirette o di riversibilita»), che «le condizioni soggettive previste per il diritto al trattamento indiretto o di riversibilita' debbono sussistere alla morte del dipendente o del pensionato e debbono permanere». Ne', in contrario, puo' attribuirsi alcun rilievo alla circostanza che la data di decesso della madre della ricorrente (30 maggio 1996) e la data di presentazione della domanda di riversibilita' (14 ottobre 1996), siano entrambe successive alla data del 17 agosto 1995 di entrata in vigore della legge n. 335/1995, cosi' come, parimenti successiva alla stessa data, sarebbe - secondo la prospettazione attorea, che ha, all'uopo, invocato l'art. 191, cpv. d.P.R. 1092/1973 - la decorrenza del trattamento in favore della ricorrente. In ordine al primo dei summenzionati profili, si osserva che, per quanto l'istanza pensionistica proposta, in data 28 ottobre 1996, dalla sig.ra Barba Maria Concetta sia stata dalla stessa formulata in termini di devoluzione (ossia «consolidamento») del trattamento gia' in godimento della madre, sig.ra Lorenzo Addolorata, e' evidente che la ricorrente - ove compresa nel novero dei superstiti aventi titolo a beneficiarne - avrebbe avuto, nella ricorrenza dei presupposti previsti dalla legge, autonomo diritto a percepire, per la quota di propria pertinenza, l'invocato trattamento di riversibilita', sin dalla data del decesso del dante causa, essendo, gia' alla suddetta data, maggiorenne (cfr. art. 88 cpv. d.P.R. 1092/1973), sicche' evidentemente irrilevante e' la data del decesso della madre Lorenzo Addolorata, non essendo detto evento suscettibile di incidere sull'an del trattamento di riversibilita' ma solo sul quantum. Del pari, irrilevante e' la data della domanda, considerato che se il legislatore avesse inteso sancire l'applicabilita' della legge n. 335/1995 alle domande proposte successivamente alla sua entrata in vigore, si sarebbe espresso in tal senso, cosi' come si e' espresso, all'art. 257 d.P.R. n. 1092/1973, con riferimento alle norme dello stesso testo unico. D'altro canto, parimenti non condivisibile si palesa l'assunto attoreo per cui successiva alla data del 17 agosto 1995, di entrata in vigore della legge n. 335/1995, sarebbe la decorrenza dell'invocato trattamento di riversibilita'. In proposito appare assorbente il rilievo che ove, ai fini della determinazione della cerchia dei superstiti aventi titolo alla riversibilita', si ritenesse applicabile ai sensi dell'art. 41, primo comma, legge n. 335/1995, con riferimento alla fattispecie che ne occupa, la disciplina vigente nell'ambito dell'assicurazione generale obbligatoria, alla stessa disciplina occorrerebbe aver riguardo anche ai fini della decorrenza del relativo trattamento, sicche', evidentemente, si dovrebbe far riferimento non al disposto di cui all'art. 13 legge n. 1646/1962, relativo alle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza - che, dopo aver previsto, al secondo comma, che in caso di morte di iscritto o di titolare di pensione diretta, ai fini' del conferimento del trattamento di' quiescenza indiretto o di riversibilita', la domanda deve essere presentata entro il decennio dalla data di morte dell'iscritto o del titolare di pensione diretta, ha disposto, al terzo comma, che quando la domanda venga presentata successivamente, il trattamento di quiescenza decorra soltanto dalla data di presentazione della domanda - ne', tam poco, all'omologa disposizione di cui all'art. 191, secondo comma, (rectius art. 191, terzo comma) d.P.R. n. 1092/1973 - relativa al trattamento di quiescenza dei dipendenti dello Stato - invocata dal ricorrente, ma all'art. 5 d.lgs. lgt. 18 gennaio 1945 n. 39 che, con riferimento all'assicurazione generale obbligatoria, prevede che la pensione ai superstiti decorra, in ogni caso, «dal primo giorno del mese successivo a quello in cui e' avvenuto il decesso dell'assicurato o del pensionato», e, pertanto, a prescindere dalla data della presentazione della domanda. Cio' che, costituisce ulteriore riprova che l'applicazione dell'art. 1, comma 41, legge n. 335/1995, con conseguente estensione della disciplina del trattamento pensionistico in favore dei superstiti dell'assicurato e del pensionato vigente nell'ambito del regime dell'assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme esclusive e sostitutive di detto regime, per quanto attiene all'individuazione dei superstiti aventi titolo al trattamento di riversibilita' e, piu' in generale, in relazione ai profili genetici del trattamento stesso, postula che la data del decesso del dante causa, che costituisce il fatto generatore del rapporto, sia successiva all'entrata in vigore della stessa legge. Considerato, infatti, che, tale estensione imporrebbe l'applicazione della disciplina dell'assicurazione generale obbligatoria anche per quanto attiene alla prevista decorrenza del trattamento ai superstiti dalla data del decesso dell'assicurato e del pensionato, e' evidente che, ammettere l'estensione stessa alle ipotesi in cui il decesso del dante causa sia anteriore all'entrata in vigore della legge n. 335/1995, significherebbe annettere alla disposizione di cui all'art. 1, comma 41, legge n. 335/1995 un'efficacia retroattiva, in difetto non solo di un'espressa previsione normativa in tal senso ma anche di qualsiasi elemento donde possa desumersi la volonta' del legislatore di derogare al principio di irretroattivita' della legge di cui all'art. 11, primo comma, disp. prel. cod. civ. Alla luce delle suesposte considerazioni, reputa sezione che, ai fini della determinazione della cerchia dei superstiti aventi titolo alla riversibilita' de qua occorra aver riguardo alla surriportata normativa di cui agli artt. 17, comma 3, della legge 8 agosto 1991 n. 274 e 7, primo comma, legge 22 novembre 1962 n. 1646 che, alla data della morte del dante causa, disciplinava la riversibilita' delle pensioni erogate dalla C.P.D.E.L. e che, come rilevato, al contrario della disciplina dettata per l'assicurazione generale obbligatoria gestita dall'I.N.P.S., non contemplava, fra i soggetti equiparati ai figli e, pertanto, beneficiari della riversibilita', i figli nati da precedente matrimonio del coniuge dell'assicurato e del pensionato, mentre comune ad entrambe le suddette discipline e l'esclusione dei nipoti ex fratre. Sicche' evidentemente, secondo la censurata disciplina di cui agli artt. 17, comma 3, legge 8 agosto 1991 n. 274 e 7, primo comma, legge 22 novembre 1962 n. 1646, applicabile ratione temporis, la ricorrente, nella qualita' di figlia nata da precedente matrimonio del coniuge del pensionato, oltreche' nipote ex fratre di quest'ultimo, non avrebbe titolo all'invocato trattamento di riversibilita', quand'anche convivente con il dante causa ed a suo carico sino alla data del decesso ed in possesso, sin dalla suddetta data, degli ulteriori requisiti soggettivi (inabilita' assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro, nullatenenza) richiesti dalla legge per la riversibilita' della pensione in favore degli orfani ed equiparati maggiorenni (art. 40 cpv. legge n. 379/1995, art. 17, comma 1, legge n. 274/1991). E', d'altro canto, appena il caso di osservare che l'invocata sentenza della Corte costituzionale n. 180/1999, con la quale il giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 38 d.P.R. 26 aprile 1957 n. 818 nella parte in cui non include fra i soggetti ivi elencati anche i minori dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti, non e' evidentemente applicabile al caso di specie sia perche' ha ad oggetto non la normativa delle Casse pensioni amministrate dagli Istituti di Previdenza, cui, come innanzi rilevato, occorre far riferimento per la disciplina della fattispecie che ne occupa, ma la disciplina del diritto alle prestazioni dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed superstiti, per la tubercolosi e per la disoccupazione, sia perche', comunque, ha riguardo ai nipoti ex filio (parenti in linea retta) e non ai nipoti ex fratre (parenti in linea collaterale), come nel caso che ne occupa. Premesso quanto innanzi, si osserva che, giusto l'insegnamento del giudice delle leggi, «la pensione di riversibilita' appartenente al piu' ampio genus delle pensioni ai superstiti e' una forma di tutela previdenziale nella quale l'evento protetto e' la morte, cioe' un fatto naturale che, secondo una presunzione legislativa crea una situazione di bisogno per i familiari del defunto, i quali sono i soggetti protetti» e la relativa disciplina, in un primo momento diversa per i dipendenti pubblici e per i lavoratori del settore privato, ha ormai un fondamento sostanzialmente identico per i due settori, pubblico e privato, costituendo una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario pei il perseguimento dell'interesse della collettivita' alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l'effettivo godimento dei diritti civili e politici, realizzando la garanzia della continuita' del sostentamento ai superstiti, gia' viventi a carico del lavoratore deceduto, e, pertanto, riconducibile all'art. 38 Cost. (cfr. sentenza Corte, cost. n. 286/1987). In relazione al primo profilo della prospettata questione di legittimita' costituzionale, reputa la sezione che, stante il comune fondamento del trattamento in favore dei superstiti, nell'ambito del sistema pensionistico pubblico e privato - il quale ultimo, pertanto, ben puo' essere assunto quale tertium comparationis - evidentemente irragionevole ed ingiustificato e, pertanto, in contrasto con l'art.3 Cost., si appalesa il deteriore trattamento riservato al figlio nato da precedente matrimonio del coniuge di dipendente pubblico iscritto alle Casse facenti parte degli Istituti di previdenza - escluso dal novero dei soggetti aventi titolo alla riversibilita' - rispetto al figlio nato da precedente matrimonio del coniuge del dipendente privato, per contro incluso fra i soggetti aventi titolo alla pensione ai superstiti, secondo il sistema dell'assicurazione generale obbligatoria, considerato, altresi', che trattasi di profilo attinente «ai riflessi sociali dei vari sistemi pensionistici che, relativamente ad essi, non possono non essere assoggettati alla medesima disciplina, ove identiche risultino le situazioni poste a raffronto» (cfr. Corte cost., sentenza n. 397/1988). Come vieppiu' palesato all'evidenza dal rilievo che, con sentenza n. 181 del 10 febbraio 1988, il giudice delle leggi, investito della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, primo comma, del d.lgs. lgt. 21 novembre 1945 n. 722, in quanto - al contrario dell'art. 3 del d.P.R. 30 maggio 1955 n. 797, recante la disciplina degli assegni familiari spettanti ai dipendenti del settore privato - non contemplava, nel novero delle persone considerate a carico ai fini dell'attribuzione, in favore dei dipendenti pubblici, delle quote di aggiunta di famiglia, anche i figli nati dal precedente matrimonio del coniuge, ne ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale «nella parte in cui non comprende anche i figli nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge che ne sia affidatario», appunto sulla base dell'osservazione che «nella sfera di connotazioni che tuttora sorreggono il riconoscimento di una persistente diversita' fra i rapporti di impiego o di lavoro pubblico e privato, non rientra la regolamentazione delle categorie di persone per le quali e' prevista la corresponsione dell'aggiunta di famiglia o degli assegni familiari, istituti che peraltro non differiscono ne' nella ratio ne' nei fini» per cui «nessuna razionale giustificazione puo' ravvisarsi a sostegno della disparita' di trattamento». Considerato, infatti, che, giusto l'insegnamento della Corte, costituzionale (cfr. sentenza n. 397/1988), «la pensione di riversibilita' costituisce una delle manifestazioni del carattere proprio di retribuzione differita propria delle pensioni» nel senso che «se il lavoratore provvedeva al sostentamento proprio e di altri soggetti con luiconviventi, con l'istituto della riversibilita' si e' preso atto di questa realta', proiettando sui soggetti da lui assistiti in vita, i benefici di quella retribuzione, finche' perdurano, dopo la sua morte, determinati requisiti di assistibilita», e' evidente che, cosi' come e' stata ritenuta in contrasto con la Carta fondamentale, con la summenzionata pronuncia n. 181/1988, la suddetta disparita' di trattamento fra dipendenti pubblici e privati, in relazione all'omessa contemplazione dei figli nati da precedente matrimonio del coniuge (c.d. «figliastri») nel novero dei familiari viventi a carico del lavoratore ai fini dell'attribuzione delle quote di aggiunta di famiglia - aventi la funzione di assicurare (o concorrere ad assicurare) la sufficienza della retribuzione e della pensione ai bisogni della famiglia, secondo il paradigma di cui all'art. 36 Cost. e, pertanto, in definitiva il mantenimento dei familiari a carico - del pari e specularmente deve ritenersi ingiustificato il censurato deteriore trattamento riservato ai figliastri, secondo l'ordinamento delle Casse pensioni facenti parte degli II.PP., con la loro esclusione dal novero dei superstiti aventi titolo alla riversibilita' della pensione, attesa la rilevata funzione di quest'ultima di assicurare, dopo la morte del lavoratore (o pensionato), la continuita' del sostentamento dei familiari gia' viventi a suo carico. D'altro canto, considerato che, giusto l'insegnamento di cui alla cit. sentenza della Corte costituzionale n. 181/1988, «gli obblighi che incombono su entrambi i coniugi verso la famiglia ai sensi dell'art. 143 c.c. non possono non comprendere anche i figli nati dal precedente matrimonio di un coniuge (sciolto per divorzio) ove questi ne sia affidatario» - ed analogamente, se non a fortiori, deve ritenersi con riferimento ai figli nati dal precedente matrimonio di un coniuge quando, come nel caso all'esame della sezione, siano orfani dell'altro genitore, quando, cioe', il precedente matrimonio si sia sciolto per morte del primo coniuge - e che la ratio della riversibilita' dei trattamenti pensionistici consiste nel farne proseguire, almeno parzialmente, anche dopo la morte del loro titolare, il godimento da parte dei soggetti a lui legati da determinati vincoli familiari, realizzando, in tal modo, anche sul piano previdenziale, una «forma di ultrattivita' della solidarieta' familiare» (cfr. sentenza Corte, cost. n. 180/1999), evidentemente irragionevole e, pertanto, in contrasto con l'art. 3 Cost., si palesa l'esclusione, da tale forma di ultrattivita' della solidarieta' familiare, dei figli nati da precedente matrimonio del coniuge del pensionato, conviventi a carico del pensionato stesso. E' d'altro canto, evidente, considerato il fondamento costituzionale del trattamento di riversibilita', inteso a garantire la continuita' del sostentamento ai superstiti, come evidenziato dal Giudice delle Leggi con la summenzionata pronuncia n. 286/1987, che la censurata esclusione dei figliastri dal novero dei superstiti aventi titolo alla riversibilita' della pensione, si palesa, altresi', in contrasto con l'art. 38 Cost. In relazione al secondo profilo della prospettata questione di legittimita' costituzionale, si osserva che mentre secondo lo stesso ordinamento delle Casse pensioni facenti parte degli II.PP., ha titolo alla pensione di riversibilita', qualora non vi siano figli legittimi o legittimati aventi diritto al trattamento di quiescenza, l'affiliato, non ha titolo alla riversibilita' il nipote ex fratre del dante causa, di cui risulti provata la vivenza a carico dello stesso. In proposito, si osserva che l'istituto dell'affiliazione, gia' disciplinato dagli artt. 404 e segg. cod. civ (abrogati dall'art. 77 legge n. 184/1983) aveva - come ritenuto dal Giudice delle Leggi - carattere prevalentemente assistenziale, in quanto con esso il legislatore ha inteso mettere in moto quell'attivita' privata capace per il suo apporto di «alleviare la grave situazione di bisogno di un considerevole numero di minori dei quali non si conoscono i genitori, ovvero figli riconosciuti dalla sola madre impossibilitata a provvedere al loro allevamento, o in stato di abbandono, o ricoverati in un istituto di pubblica assistenza» cosicche' «funzione primaria dell'affiliazione e' quindi il conseguimento di un fine assistenziale nei confronti dei minori, moralmente e materialmente abbandonati» mentre «non da' luogo ad urapporto di natura familiare, sebbene attribuisca al'affiliante i poteri inerenti alla patria potesta» (cfr. sentenza Corte costituzionale 9 aprile 1970 n. 57). Per quanto la nozione di famiglia presa in considerazione dal regime previdenziale «non e' quella ristretta alla famiglia che si costituisce con il matrimonio, con i vincoli di consanguineita' e di affinita» per cui «la tutela previdenziale riguarda anche quei rapporti assistenziali che si atteggiano in modo simile a quelli familiari a condizione che il lavoratore defunto provvedesse in vita in via non occasionale, al sostentamento di soggetti classificabili come «familiari» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 286/1987 cit.), nondimeno, non puo non apparire irragionevole l'esclusione, dal novero dei soggetti aventi titolo alla riversibilita' della pensione, dei nipoti ex fratre del dante causa (che rientrano nella nozione di famiglia, quale societa' naturale fondata sul matrimonio, con i conseguenti vincoli di consanguineita' ed affinita', essendo appunto, rispetto al dante causa, parenti in linea collaterale di terzo grado) a fronte dell'inclusione degli affiliati, e cioe' di soggetti beneficiari di «rapporti assistenziali che si atteggiano in modo simile a quelli familiari». Con la surrichiamata pronuncia n. 180/1999, la Corte costituzionale rilevato che «il rapporto di parentela fra ascendenti e discendenti ha - non solo nella realta' concreta ma anche sotto il profilo giuridico - un carattere peculiare e piu' intenso rispetto a quello che puo' instaurarsi fra un soggetto ed i minori affidatigli dagli organi competenti» in quanto «tale rapporto e' particolarmente disciplinato e privilegiato dal legislatore, sia sul piano dei diritti che su quello degli obblighi connessi: basti pensare al dovere di mantenimento, istruzione ed educazione sancito dall'art. 148 cod.civ. a carico degli ascendenti quando i genitori non hanno i mezzi sufficienti; all'obbligo di prestare gli alimenti, che puo' essere assolto anche accogliendo e mantenendo nella propria casa gli aventi diritto (art. 433 e 443 cod. civ., alla tutela penale di tale doveri ed obblighi (art. 570 e 591 c.p.)» ha ritenuto che «risulta dunque irragionevole che mentre i minori formalmente affidati dagli organi competenti - legati da vincoli meno stretti di quelli familiari in linea retta - possono continuare a godere del trattamento pensionistico del de cuius, i minori che vivono a carico dell'ascendente ne siano esclusi, per cui ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della censurata norma di cui all'art. 38 d.P.R. 818/1957 nella parte in cui non include fra i destinatari diretti ed immediati della pensione di riversibilita' anche i minori dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti. Non sfugge alla sezione che il rapporto fra il dante causa ed i propri nipoti ex fratre non sia assimilabile, sul piano giuridico, a quella fra gli ascendenti ed i rispettivi nipoti ex filio, atteso che - contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente con il ricorso introduttivo - solo a carico degli ascendenti, e non anche dei collaterali, l'art. 148 cod.civ. pone l'obbligazione sussidiaria di mantenere, istruire ed educare i minori, per l'ipotesi che i genitori di questi ultimi non abbiano i mezzi sufficienti, e che l'art. 433 cod. civ. non contempla obblighi di alimenti fra zii e rispettivi nipoti ex fratre. Occorre, peraltro, osservare che i suddetti rapporti, sono nondimeno presi in considerazione dall'ordinamento, sulla base del solo presupposto di fatto della vivenza a carico ed a prescindere da un provvedimento di affidamento. L'art. 3 del 3 d.P.R. 30 maggio 1955 n. 797 (recante «approvazione del t.u. delle norme concernenti gli assegni familiari»), infatti, dopo aver previsto, al secondo comma, che «si considerano, altresi', capi famiglia: a) i prestatori di lavoro che abbiano a carico fratelli o sorelle o nipoti per la morte o l'abbandono o l'invalidita' permanente al lavoro del loro padre, sempreche' la madre non fruisca di assegni familiari; b) i prestatori di lavoro cui sono regolarmente affidati minori dagli organi competenti ha stabilito, al successivo terzo comma, che «sono equiparati ai figli legittimi o legittimati i figli adottivi e gli affiliati, quelli naturali legalmente riconosciuti, nonche' quelli nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge e, per i casi di cui al secondo comma, i fratelli o sorelle o nipoti ed i minori regolarmente affidati dagli organi competenti ai sensi di legge». D'altro canto, la legge n. 184/1983, recante la disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, non modificata, sul punto, dalla novella di cui alla legge n. 149/2001 dopo aver previsto, all'art. 8, primo comma, che «sono dichiarati anche d'ufficio in stato di adottabilita' dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori in situazioni di abbandono perche' privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi....», dispone, al successivo art. 9, che «chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l'accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al giudice tutelare che trasmette gli atti al tribunale per i minorenni con relazione informativa» (sesto comma) e che «nello stesso termine di cui al comma precedente uguale segnalazione deve essere effettuata dal genitore che affidi stabilmente a chi non sia parente entro il quarto grado il figlio minore per un periodo non inferiore a sei mesi». Dalla coordinata lettura delle surriportate disposizioni e' dato evincere, da un lato, la rilevanza giuridica della vivenza a carico di nipoti ex frate e, dall'altro, che non ricorre l'ipotesi dell'abbandono quando sussista un'idonea assistenza prestata da parenti entro il quarto grado - a prescindere dalla circostanza che agli stessi faccia o non faccia carico l'obbligo alimentare - atteso che, in tale ipotesi, non scattano gli obblighi di segnalazione e di intervento previsti con riferimento alle ipotesi di minori abbandonati. In proposito, si osserva che, con la summenzionata pronuncia n. 180/1999, l'Alta Corte ha spiegato l'esenzione di cui all'art. 9 legge n. 184/1983, degli ascendenti che accolgano stabilmente nella propria abitazione un minore dal dovere di darne segnalazione al giudice tutelare, con il rilievo che «i nipoti fanno gia' parte della loro famiglia, di modo che non occorre alcun affidamento formale da parte delle pubbliche autorita' e', peraltro, evidente che tale conclusione deve ritenersi parimenti valida per la generalita' dei parenti (siano essi in linea retta o in linea collaterale) entro il quarto grado, cui - come innanzi rilevato - e' estesa l'esenzione stessa. L'assistenza continuativa (ossia la vivenza a carico) dei minori viene, pertanto, ricondotta dall'ordinamento alla solidarieta' familiare in quanto si esplichi nell'ambito dei rapporti di parentela entro il quarto grado. Considerato che, come innanzi rilevato, la ratio della riversibilita' dei trattamenti pensionistici consiste nel farne proseguire almeno parzialmente, anche dopo la morte del loro titolare il godimento da parte dei soggetti a lui legati da determinati vincoli familiari, realizzando, in tal modo, anche sul piano previdenziale, una «forma di ultrattivita' della solidarieta' familiare» (cfr. sentenza Corte cost. n. 180/1999), evidentemente irragionevole e, pertanto, in contrasto con l'art. 3 Cost., oltreche' con l'art. 38 Cost., cui come innanzi rilevato, e' riconducibile la tutela dei superstiti, si palesa l'esclusione, da tale forma di ultrattivita' della solidarieta' familiare, dei familiari legati da vincoli di parentela entro il quarto grado con il dante causa e conviventi a suo carico, a fronte dell'espressa contemplazione, nel novero dei superstiti aventi titolo alla riversibilita', degli affiliati, e cioe' di soggetti non legati da vincoli di sangue con il dante causa ma solo da un rapporto di natura assistenziale che, come ritenuto dal giudice delle leggi, non da' luogo ad un rapporto di natura familiare. Non puo', d'altro canto, revocarsi in dubbio la rilevanza delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale, che si appalesano, pertanto, pregiudiziali, considerato che l'eventuale dichiarazione d'illegittimita' costituzionale, delle censurate disposizioni di cui agli artt. 17, terzo comma, della legge 8 agosto 1991 n. 274 e 7, comma 1, legge 22 novembre 1962 n. 1646, in relazione all'uno o all'altro dei profili prospettati, con la conseguente equiparazione agli orfani, ai fini della riversibilita' della pensione, dei figli nati da precedente matrimonio del coniuge del pensionato conviventi a carico di quest'ultimo e/o dei nipoti ex fratre «conviventi a carico del dante causa, comporterebbe il superamento dell'unico motivo addotto, con il provvedimento gravato, a fondamento della determinazione di non dare ulteriore corso all'istanza pensionistica della ricorrente (ossia la circostanza che «allo stato degli atti non risulta essere orfana di Barba Antonio dante causa della pensione iscrizione n. 6339101/R»). Ricorrono, pertanto, i presupposti per sollevare la questione di legittimita' costituzionale nei termini innanzi esposti.
P. Q. M. Sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 13 maggio 2004; Dichiara rilevante e non manifesirnente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.: degli artt. 17, comma 3, legge 8 agosto 1991 n. 274 e 7, primo comma, legge 22 novembre 1962 n. 1646, nella parte in cui non contemplano e, quindi, implicitamente escludono dal novero dei superstiti aventi diritto alla riversibilita' della pensione, i figli nati da precedente matrimonio del coniuge del pensionato di cui risulti provata la convivenza a carico dello stesso dante causa; degli artt. 17, comma 3, della legge 8 agosto 1991 n. 274 e 7, primo comma, legge 22 novembre 1962 n. 1646, nella parte in cui non contemplano e, quindi, implicitamente escludono dal novero dei superstiti aventi diritto alla riversibilita' della pensione, i nipoti ex fratre del pensionato di cui risulti provata la convivenza a carico dello stesso dante causa; e, per l'effetto; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente giudio ed Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Bari, addi' 11 novembre 2004 Il giudice: Martina 05C0260