N. 186 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 dicembre 2004
Ordinanza emessa il 14 dicembre 2004 dal tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Benelkhadir Lachen Reati e pene - Violenza sessuale di gruppo - Applicabilita' dell'attenuante dei «casi di minore gravita» di cui all'art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen. - Mancata previsione - Identita' di trattamento di situazioni di differente gravita' e diversita' di trattamento di situazioni di pari offensivita' - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena. - Codice penale, art. 609-octies. - Costituzione, artt. 3 e 27.(GU n.15 del 13-4-2005 )
IL TRIBUNALE Alla pubblica udienza del 14 dicembre 2004 ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di Benelkhadir Lachen, nato a Sali' (Marocco) il 20 gennaio 1972; imputato del reato di cui agli artt. 690-octies c.p., commesso in Milano il 21 marzo 2004 in danno di Capilli Irene e Pugliese Antonia. Il 21 marzo 2004 Capilli Irene sporgeva querela nei confronti di due cittadini extracomunitari, non meglio identificati, lamentando che, intorno alle 4,15 dello stesso giorno, mentre percorreva a piedi la via Farmi di Milano in compagnia della sua amica, Pugliese Antonia, era stata avvicinata da due stranieri, in evidente stato di ubriachezza, i quali, dopo avere rivolto a lei ed all'amica dei pesanti apprezzamenti, erano passati alle vie di fatto, palpeggiando loro i glutei. A seguito degli accertamenti esperiti dal personale della Volante Duomo, intervenuta sul posto su richiesta della Capilli, uno degli autori del fatto veniva identificato in Benelkhadir Lachen, che veniva tratto in arresto, mentre l'altro complice riusciva a darsi alla fuga. A carico del predetto veniva elevata imputazione ex art. 609-octies c.p., in ordine alla quale veniva emesso decreto di giudizio immediato davanti questo Tribunale, in composizione collegiale. Il Collegio giudicante, ritenuta l'irritualita' della notifica di tale decreto e la conseguente tempestivita' della richiesta di giudizio abbreviato, formulata dall'imputato, disponeva la trasformazione del rito. All'udienza dell'8 luglio 2004 il p.m. concludeva con richiesta di condanna dell'imputato ad anni uno mesi due di reclusione, previo riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 609-bis ultimo comma. La difesa si associava a tale richiesta. Ritiene il Collegio che le modalita' del fatto varrebbero a connotare lo stesso in termini di «minore gravita», e quindi a rendere configurabile in concreto l'attenuante prevista dall'art. 609-bis ultimo comma. Tuttavia, la richiesta formulata dalle parti in tal senso non appare sostenuta dal dettato normativo, il quale, sul punto, presenta una lacuna che non puo' essere colmata con meri criteri ermeneutici. Di tale vuoto normativo hanno, peraltro, dato atto le stesse parti processuali, che hanno, per questo, chiesto di ravvisare nei fatti un'ipotesi di concorso eventuale nel reato, ex art. 110 c.p., in luogo di quella contestata. A tal fine, la difesa si e' richiamata ad una pronuncia di merito (Tribunale Reggio-Emilia, 2 luglio 1997, Pisano), avente ad oggetto una vicenda in tutto simile a quella in esame, nella quale, modificata l'originaria qualificazione dei fatti ex art. 609-octies in quella ex artt. 110, 609-bis c.p., era stata concessa l'attenuante della minore gravita'. Una siffatta prospettazione non e', ad avviso del Collegio, condivisibile. Osta in tal senso il tenore letterale della norma, che definisce come violenza sessuale di gruppo la «partecipazione, da parte di piu' persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis c.p.», accezione che la giurisprudenza di legittimita', ormai consolidata, ha dilatato a tal punto da ricomprendere nella fattispecie art. 609-octies tutti i casi di compartecipazione anche solo di due persone al fatto, indipendentemente dalla riferibilita' degli atti di violenza ad un solo autore materiale. Secondo l'orientamento della suprema Corte, dunque, ad integrare la fattispecie in esame basta l'apporto, da parte di due o piu' persone, di un qualsiasi contributo causale, ravvisabile perfino nella mera presenza nel luogo e nel momento in cui gli atti sessuali vengono posti in essere in funzione di rafforzamento della determinazione dell'agente (Cass. III, 1° giugno 2000, n. 6464; Cass. III, 29 gennaio 2004, n. 3348; Cass. III, 9 settembre 1996, n. 2851; Cass. III, 11 ottobre 1999, n. 11541). In tal modo si rende pressoche' inapplicabile in concreto l'istituto del concorso eventuale di persone nel reato di violenza sessuale. Il legislatore del 1996, nel configurare la violenza di gruppo come ipotesi autonoma di reato, ha, con evidenza, inteso tracciare un netto discrimine fra le condotte lesive della liberta' sessuale che siano poste in essere da una pluralita' di agenti e quelle monosoggettive omologhe. Trattasi di una presunzione di maggiore offensivita' fondata sulla valorizzazione del surplus di sofferenza indotto, in misura esponenziale, nella vittima di abusi sessuali - che vede violata la sfera piu' intima del proprio essere - dall'aumento del numero degli agenti. Cio' e' tanto vero che la norma incriminatrice non riproduce lo schema dei reati a concorso necessario, nei quali il venir meno della plurisoggettivita' esclude l'antigiuridicita' della condotta, ma, introducendo nel sistema un'eccezione alla disciplina ordinaria del concorso di persone ex art. 110, configura un'ipotesi di reato plurisoggettivo che mutua - con testuale richiamo all'art. 609-bis c.p. - i suoi elementi costitutivi dall'omologa ipotesi monosoggettiva, nella quale finisce col risolversi ove venga meno la pluralita' dei partecipi. Il prodotto normativo tradisce, tuttavia, in parte, la ratio che lo sottende. Il maggiore rigore sanzionatorio, infatti, e' ancorato al solo profilo plurisoggettivo, come e' confermato dall'introduzione nello stesso articolo di una diminuente correlata alla minima partecipazione, che, superando la previsione dell'art. 114 c.p., e' resa obbligatoria. Questa, proprio per il suo carattere cogente, rivela l'intento del legislatore di apportare un correttivo all'estremo rigore della norma. L'intervento mitigatore spiega, pero', i suoi effetti solo sul piano soggettivo, limitandosi ad attribuire rilevanza unicamente all'apporto dato alla preparazione ed esecuzione del reato. Viene, cosi', del tutto pretermessa una valutazione complessiva del fatto in relazione a profili oggettivi che pure incidono in misura assai rilevante sul grado di compromissione della sfera della liberta' sessuale della vittima e sul livello di sofferenza che ne consegue. Posto, invero, che, a parita' di condotta, le fattispecie a carattere plurisoggettivo sono ontologicamente piu' gravi di quelle monosoggettive, non puo' disconoscersi che nell'ambito delle prime possono collocarsi ipotesi tanto diversificate in termini di offensivita' da non essere, il divario fra minimo e massimo edittale, sufficiente a consentire al giudice di determinare la pena da infliggere in concreto in misura tale da essere adeguata all'effettivo disvalore del fatto e rispondente ai principi rieducativi cui il trattamento sanzionatorio deve ispirarsi a norma dell'art. 27 Cost. E' evidente, infatti, che tale trattamento non puo' prescindere dalla previsione normativa, in funzione non solo di prevenzione generale quanto anche e soprattutto speciale, di sanzioni adeguate all'entita' del fatto ed alla capacita' criminale in concreto palesata dall'agente. L'onnicomprensivita' insita nell'art. 609-octies assume particolare rilievo in considerazione del fatto che, nella nuova disciplina dei reati sessuali, da un lato, non e' piu' prevista la distinzione fra «violenza carnale» ed «atti di libidine violenti», contemplata dagli artt. 519 e 521 del codice Rocco; dall'altro, non e' stata introdotta alcuna ipotesi di reato avente ad oggetto le molestie sessuali, con la conseguenza che l'interpretazione giurisprudenziale dell'espressione «atti sessuali» si e' spinta fino ad includere nella stessa gesti integranti mere molestie, seppure sempre a sfondo sessuale. A fronte di tale scelta legislativa - certo insindacabile - va evidenziato che nell'art. 609-bis c.p. lo stesso legislatore ha tenuto conto del possibile verificarsi di ipotesi concrete di differente gravita', introducendo l'attenuante di cui all'ultimo comma, della quale, sempre nell'ottica di una necessaria graduazione della risposta punitiva in rapporto al grado di offensivita' del fatto, ha esteso l'applicabilita' perfino alle ipotesi aggravate ex art. 609-ter (oltre che a quella autonoma prevista dall'art. 609-quater). Si delineano, dunque, due profili di irragionevolezza nella disciplina della violenza di gruppo: l'uno, intrinseco alla fattispecie prevista dall'art. 609-octies nei limiti in cui tale norma non consente di differenziare sul piano sanzionatorio ed in relazione ad aspetti oggettivi, fatti incidenti in misura notevolmente diversa sull'interesse giuridico da tutelare; l'altro, estrinseco, correlato alla previsione di un diverso trattamento sanzionatorio per condotte che, nel giudizio stesso del legislatore, sono di pari gravita'. Si osserva, a tale ultimo riguardo, che, in base agli artt. 609-bis e 609-ter c.p., la violenza sessuale monosoggettiva su persona in stato di minorata difesa (in ragione dell'eta', dello status libertatis del rapporto con l'agente, dell'impiego di mezzi insidiosi o di coazione) e' punita con pena pari a quella comminata per la violenza di gruppo. Pur tuttavia, all'apparente omogenea valutazione della gravita' dei due reati - coerente, in entrambi i casi, con una comune ratio di maggiore penalizzazione di condotte che, da un lato agevolano il raggiungimento del fine antigiuridico, dall'altro amplificano il danno e la risonanza dei fatti in termini di allarme sociale - non corrisponde una pari risposta punitiva. La diversa costruzione delle due ipotesi di reato - circostanziata l'una, autonoma, l'altra - preclude, infatti, al giudice, la possibilita' di utilizzare le attenuanti comuni per adeguare la sanzione agli abusi di minima rilevanza riferibili a due o piu' persone; laddove tale possibilita' sussiste per tutte le ipotesi di violenza aggravata ex art. 609-ter, riconducibili, attraverso il sistema di comparazione previsto dall'art. 69 c.p., al reato base. Una siffatta divaricazione appare maggiormente irragionevole in assenza della previsione, rispetto alla violenza di gruppo, dell'attenuante dei «casi di minore gravita», applicabile, invece, come si e' detto, con riguardo alle ipotesi di violenza aggravata ai sensi dell'art. 609-ter. Ne' il vuoto normativo puo' essere colmato attraverso il ricorso all'interpretazione analogica - pure consentita in astratto, trattandosi di norma favorevole all'imputato -, in quanto la giurisprudenza di legittimita', con argomentazioni in tutto condivise da questo Collegio, si e' orientata nel senso di escludere tale possibilita' (v. Cass. III, 10 ottobre 2003, n. 502, Raffi ed altri; Cass. III, 9 settembre 1996, n. 2851, Hodca). Trova, pertanto, sazio il dubbio che l'art. 609-octies c.p.; nei limiti in cui non prevede l'applicabilita' dell'attenuante dei casi di minore gravita' contemplata dall'art. 609-bis ultimo comma c.p., violi il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, sotto il duplice profilo dell'identita' di trattamento di situazioni di differente gravita' e della diversita' di trattamento di situazioni di pari offensivita'.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 609-octies c.p. in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non prevede l'applicabilita' dell'attenuante di cui all'art. 609-bis ultimo comma c.p. ai casi di minore gravita'. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Sospende il giudizio a carico di Benelkhadir Lachen. Dispone che la presente ordinanza - pubblicata in udienza mediante integrale lettura - sia notificata, a cura della cancelleria, al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Milano, addi' 14 dicembre 2004 Il Presidente: Conforti 05C0413