N. 204 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 gennaio 2005

Ordinanza emessa il 5 gennaio 2005 dal G.U.P. del Tribunale di Ragusa
nel procedimento penale a carico di Migliorisi Salvatore ed altro

Reati  e  pene  -  Abuso  di ufficio - Esclusione, secondo il diritto
  vivente,  della  punibilita'  della condotta diretta a procurare un
  danno  ingiusto  o  un  ingiusto  vantaggio  patrimoniale,  qualora
  l'agente  abbia  perseguito  contestualmente  l'interesse  pubblico
  affidatogli - Disparita' di trattamento nei confronti della persona
  offesa  da  un  ingiusto  danno  -  Contrasto  con  i  principi  di
  imparzialita' e di buona amministrazione.
- Codice penale, art. 323.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 97, primo comma.
(GU n.16 del 20-4-2005 )
                            IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del  proc.  pen.  nn. 82/04  e  2350/04 a c/ di
Migliorisi Salvatore e Cappuzzello Carmelo imputati per il delitto p.
e p. dagli artt. 110 e 323 c.p. perche', in concorso tra loro e nella
qualita'  rispettivamente  di  ispettore  e  di  agente della Polizia
municipale   di   Ragusa,  disponendo  il  fermo  amministrativo  del
ciclomotore  Scarabeo  Aprilia  tg. 8GGL5 condotto dalla minore C. E.
contravvenzionata ai sensi degli artt. 171 e l92 C.d.S. e affidandolo
in  custodia  alla  ditta  Salonia anziche' alla stessa in violazione
dell'art. 396, comma 3 regol. C.d.S., intenzionalmente procuravano al
padre  della minore e proprietario del veicolo C.L. un ingiusto danno
relativamente  alle  spese  della  custodia;  in Ragusa, il 9 ottobre
2003.
    Considerato   che  all'udienza  prelminare  odierna  il  p.m.  ha
concluso  per  il  rinvio  a  giudizio,  mentre la difesa ha concluso
l'insussistenza del fatto, in sub.ne per il difetto del dolo;
    1.  -  Premesso  che  secondo  la denuncia del 2 gennaio 2004 dal
Criscione  (fogli 9-10) gli imputati avrebbero omesso di consegnargli
in  custodia il ciclomotore nonostante fosse presente sul luogo della
contestazione  per  art. 171  C.d.S.: presenza confermata da Majolino
Renato  (v. s.i.t. 27 febbraio 2004: foglio 17), Munafo' Giuseppe (v.
s.i.t. 25 giugno 2004: foglio 37) e dagli stessi imputati (v. memoria
difensiva  1°  aprile  2004: foglio 24); gli imputati, nel respingere
l'addebito,  hanno  giustificato  la custodia in capo al terzo per la
probabile  violazione  da  parte della minore - dell'art. 214 comma 8
C.d.S.  (v.  memoria  1°  aprile  2004  citata,  nonche' i rispettivi
interrogatori: fogli 29-32);
    Premesso  ancora  che  all'udienza  odierna il p.m. ha modificato
l'imputazione indicando il precetto extrapenale violato nell'art. 396
comma  3  regol.  Cd.S.  (che  concerne  la  fase  del  sequestro del
ciclomotore  e  individua  di regola il custode nel conducente) e non
invece  nell'art. 214  comma  2  C.d.S. (che disciplina la fase della
restituzione del ciclomotore sequestrato al minorenne);
    2. - Considerato che secondo l'attuale giurisprudenza soprattutto
di   legittimita'  l'elemento  soggettivo  -  nella  forma  del  dolo
intenzionale  -  della  fattispecie  dell'art. 323 c.p. ricorre se la
condotta abusiva sia diretta in via immediata e esclusiva a procurare
a  se'  o  ad  altri  un  ingiusto  vantaggio  patrimoniale ovvero ad
arrecare  ad  altri  un  ingiusto  danno,  e  purche'  non risulti il
contestuale  perseguimento - accanto al fine illecito privato - di un
concorrente  e  legittimo  interesse  pubblicistico:  in  tal caso la
condotta  e'  penalmente  irrilevante  (Cass. 5 agosto 2003 n. 33068,
Cangini,  in  Cass.  pen. 2004, 127; Cass. 18 novembre 2002 n. 42839,
Casuscelli  in  Cass.  pen. 2003,  740; Cass. 11 marzo 2003 n. 11413,
Allegra  Cass.  11  novembre 2002 n. 38498, Lenoci in Riv. pen. 2003,
1003;  Cass. 2 febbraio 2001 n. 21947, Bertolini; Cass. 7 luglio 2000
n. 10448,  Bellino  Cass.  1 giugno 2000 n. 8745, Spitella, in Cass.,
pen 2001, 1283; per la giurisprudenza di merito, v. GUP Trib. Perugia
18  aprile  2003,  Fantucci in Rass. giur. umbra, 2003, n. 1, p. 186;
GUP  Trib.  Perugia 29 marzo 2003, Primi, ib, p. 157; C. App. Perugia
12 gennaio 2000, Spitella, ib., 2000, n. 1, p. 166).
    Questa   esegesi   sulla   coincidenza   fra   intenzionalita'  e
esclusivita'  della  finalita' tipica costituisce diritto vivente non
tanto  per  il  numero  -  limitato  -  delle  pronunce  (in  termini
espliciti:  Cass.  33068/03 cit., Cass. 42839/02 cit., Cass. 38498/02
cit.),   quanto   per   il  suo  svolgimento  logico-temporale  cosi'
riassumibile:
        a)  con  riguardo  alla  fattispecie  riformata  dalla  legge
n. 86/1990,  la Suprema Corte, con sentenza 16 febbraio 1996 n. 5507,
Scopinaro  in  Riv.  pen. 1996,  1100,  annulla  (con rinvio) C. App.
Cagliari 29, secondo cui «... l'abuso commesso dal pubblico ufficiale
non  sara'  mai  punibile  con la sanzione penale tutte le volte che,
mediante  l'esercizio  illegittimo del potere si persegua il pubblico
interesse,  ancorche'  a  questo  venga  associato dall'agente, quale
finalita'  della  sua  condotta,  il  soddisfacimento di un interesse
privato...».
    Il  giudice di legittimita', rimarcata la struttura dell'elemento
soggettivo (dolo specifico) del delitto, statuisce invece che il fine
dell'ingiusto  vantaggio  e'  compatibile  con il conseguimento di un
interesse pubblico, che gli si sovrapponga o gli si affianchi;
        b)  con  riguardo  alla  fattispecie  riformata  dalla  legge
n. 234/1997,   dapprima  la  Suprema  Corte  argomenta  dall'avverbio
«intenzionalmente» l'incompatibilita' - oltre al dolo eventuale - del
dolo  diretto  (Sez.  VI  12 ottobre 1997 n. 9357, Angelo; Sez. VI 29
gennaio  1998  n. 1197,  Urso;  Sez.  VI  23  febbraio  1998 n. 2328,
Branciforte;  Sez.  VI  4 giugno 1998 n. 6563, Scaccianoce; Sez. V 16
novembre  1998  n. 11847,  Panariello;  Sez. V 11 giugno 1999 n.7581,
Graci;   Sez.   VI  19  novembre  1999  n. 13331,  Selvini;  Sez.  VI
n. 8745/2000  cit.;  Sez.  VI  20  settembre 2002 n. 34264, Cadenzo);
conferma  pero'  che  la  configurazione  del  reato  non richiede il
perseguimento  in  via  esclusiva  del  fine privato (ingiusto danno,
ingiusto  vantaggio  patrimoniale)  (Sez.  VI  2 aprile 1998 n. 7487,
Sanguedolce);
        c)  nel prosieguo, dall'assunto - ineccepibile - che l'evento
del   delitto   deve  essere  conseguenza  immediata  e  diretta  del
comportamento  dell'agente e quindi da lui voluto quale obiettivo del
suo operato (Cass. 11413/03 cit.), viene argomentata l'unicita' dello
stesso  e quindi l'irrilevanza dell'abuso per effetto dell'intento di
realizzare un interesse pubblico (v. pronunce citate in apertura).
    Pertanto quest'ultimo approdo non solo non e' estemporaneo, ma si
inquadra  in  una  linea  ermeneutica di non breve durata temporale e
soprattutto  di  prudenti e progressivi passaggi, per cui - quale che
sia  l'opzione  giuridico-filosofica  per la definizione del sintagma
«diritto vivente» - e' difficile negare che la conclusione sub c), in
quanto  enucleata  in nomofilachia, costituisce regula iuris costante
(sul rapporto fra «diritto vivente» e pronunce della Corte Suprema si
richiamano  -  senza  pretesa  di completezza - Corte cost. sentt. 22
ottobre  1996 n. 355, 29 dicembre 1982 n. 244, 21 luglio 1983 n. 230,
20  marzo 1985 n. 73, fermo che il controllo di costituzionalita' non
puo' concretarsi nella revisione delle interpretazioni della Corte di
cassazione:  sent.  456/1989,  ord.  44/1994,  ord.  410/1994,  sent.
188/1995).
    L'eventuale  obiezione  che  questo orientamento non emerge dallo
scrutinio  della giurisprudenza di merito edita, non sarebbe decisiva
per   la   scarsa  diffusione  delle  relative  sentenze,  mentre  e'
verosimile  ammettere  -  sia  pur  in  mancanza di dati statistici -
l'incidenza di questa interpretazione nell'ambito delle archiviazioni
(stante il combinato degli artt. 408 c.p.p. e 125 disp. att. c.p.p.).
    Considerato  che  questa  interpretazione  di diritto vivente non
persuade per i seguenti motivi:
        a) sul piano sistematico: viene enfatizzato il dato letterale
(l'avverbio  «intenzionalmente»),  la  cui  equivocita' e' risolta di
netto  nel  senso  evidenziato,  senza  tener  conto delle molteplici
fattispecie in cui l'unicita' dello scopo e' espressa con formula ben
altrimenti limpida:
          «...al  solo  scopo  di...» di cui agli artt. 314, comma 2,
334, comma 1, 424, comma 1, 427, comma 1, 429, comma 1, 431, comma 1,
578, comma 2, 626, comma 1, n. 1);
          «...col  solo  scopo di...» di cui agli artt. 502, comma 1,
508, comma 1;
        b)  sul  piano  storico: dalla lettura dei lavori preparatori
della  legge  di  riforma  n. 234/1997  emerge  che  il  legislatore,
coerentemente  al proposito di circoscrivere il sindacato del giudice
penale  riguardo le condotte del pubblico ufficiale o dell'incaricato
di  pubblico  servizio, ha inserito l'avverbio «intenzionalmente» per
restringere l'area della punibilita' escludendo il dolo eventuale, ma
senza  la  consapevolezza  dei  futuri risultati applicativi e quindi
lasciando  l'interprete  di  fronte  a  un  problema  di non semplice
soluzione. Si riportano qui di seguito i passaggi salienti sul punto,
in ordine cronologico dei lavori parlamentari della XIII legislatura:
          Senato  -  Atti 508, 740, 741, 826, 910, 934, 981, 1007) II
Commissione - Seduta dell'11 settembre 1996. Il sottosegretario Ayala
«Formula  ... alcuni rilievi in merito al testo proposto dal Comitato
ristretto    a   cominciare   dall'osservazione   che   l'espressione
«intenzionalmente»   non   e'   mai   utilizzata  tecnicamente  nella
legislazione   penale   poiche'  appare  -  come  in  questo  caso  -
assolutamente pleonastica».
          Senato  -  II  Commissione  - Seduta del 2 ottobre 1996. Il
relatore  sen. Calvi  afferma, «per quanto riguarda ... l'espressione
«intenzionalmente», inserita nella nuova norma elaborata ... che essa
si  giustifica  con  l'intenzione  di  evitare  ogni  interpretazione
riguardante il dolo eventuale».
          Camera - Atti 110, 924, 1613, 1812, 1849, 5, 508, 740, 741,
826,  910,  934,  981,  1007 - II Commissione - Seduta del 28 gennaio
1997.  Il  relatore  Siniscalchi  presentando  il suo testo unificato
precisa    che    «Quanto    all'elemento    psicologico   l'avverbio
«intenzionalmente»,  pur  necessario,  lasci  (a)  qualche margine di
ambiguita' in relazione al tipo di dolo richiesto».
          Camera  -  II  Commissione  -  Seduta  del 28 gennaio 1997.
L'on. Marotta,  subito  dopo il precedente intervento, afferma che la
previsione  del testo non contempla il dolo specifico per il quale e'
necessario che il soggetto persegua una finalita' estranea tanto alla
condotta  quanto  all'evento»  e  afferma  inoltre  che l'espressione
intenzionalmente  «puo'  essere solo quella di escludere la rilevanza
del  cosiddetto dolo eventuale». In replica, subito dopo, il relatore
Siniscalchi «concorda con il deputato Marotta, ma e' convinto che sul
punto potranno manifestarsi dubbi interpretativi».
          Camera  -  II  Commissione  -  Seduta  del  5  marzo 1997 -
l'on. Carotti,  illustrando  l'emendamento  1.11, si dichiara «Quanto
all'elemento   soggettivo   ...,  contrario  a  mantenere  l'avverbio
«intenzionalmente»  cui troppo frettolosamente e' stata attribuita la
funzione di evitare la punibilita' a titolo di dolo eventuale.
    L'ipotesi  di dolo eventuale nel reato di abuso di ufficio, oltre
ad  essere  poco  verosimile,  sarebbe comunque una manifestazione di
dolo  e  come  tale  verrebbe  punita,  si mantenga o meno l'avverbio
«intenzionalmente».  Subito dopo l'on. Marotta rileva che «... ne' il
ieto   del   Senato,   ne'  l'emendamento  Carotti  1.11  individuano
l'elemento  psicologico  del  reato  nel dolo specifico che, ricorda,
presuppone  il  perseguimento  di  una  finalita' estranea tanto alla
condotta  quanto all' evento. Pertanto, l'avverbio «intenzionalmente»
e'  tutt'altro  che superfluo, poiche' al contrario mira ad escludere
la  punibilita'  a  titolo  di  dolo eventuale o indiretto, che e' un
concetto  dottrinale  contrapposto  a  quello  di dolo intenzionale o
diretto».
          Camera   -   II   Commissione   -  Seduta  12  marzo  1997.
L'on. Giuliano  osserva  che l'avverbio «intenzionalmente» per quanto
criticabile  dal  punto di vista formale, assolve ad una funzione ben
precisa  che  e'  quella di escludere la punibilita' a titolo di dolo
eventuale.
          Camera  -  II  Commissione  -  Seduta  del  12 marzo. Viene
respinto    l'emendamento    Carotti    (1.11,   sulla   soppressione
dell'avverbio intenzionalmente).
          Camera  - Aula - Resoconto sommario 180, del 15 aprile 1997
- L'on. Simeone «Esprime perplessita' sull'opportunita' di prevedere,
per  la  configurabilita'  del  reato in esame, il requisito del dolo
generico. Ritiene preferibile la previsione di un dolo specifico e di
una   condotta   finalisticamente  rivolta  al  conseguimento  di  un
vantaggio  o  alla  produzione  di  un  danno,  e  cio'  in  funzione
garantistica nei confronti del pubblico ufficiale».
          Camera  - Aula - Resoconto sommario 221, del 1° luglio 1997
-  La  Camera  approva il testo nell'attuale formulazione. - Senato -
Atti  508,  740,  741,  826, 910, 934, 981, 1007 B - II Commissione -
seduta  del  10  luglio  1997.  Il  Senato  approva  il  testo  senza
modifiche.
    Per  quanto  precede si deve affermare che l'attuale orientamento
giurisprudenziale   sull'incompatibilita'   -   in   punto   di  dolo
intenzionale  -  tra il fine privato richiesto dalla fattispecie e il
fine   pubblico  perseguito  dall'agente,  non  ha  il  conforto  del
legislatore   storico,   al   quale   e'   mancata   addirittura   la
consapevolezza dell' inammissibilita' del dolo diretto;
        c)  sul  piano  teorico  logico-giuridico:  non  e' possibile
negare,  in  punto  di  dolo intenzionale, la concorrenza e quindi la
compatibilita'  fra  due  o  piu'  fini,  implicita  negli arresti di
legittimita'  citati,  i  quali ne deducono la recessivita' di quello
privato per effetto di quello pubblicistico;
        d) sul piano della ratio: che la postulazione di un qualsiasi
interesse  pubblicistico  possa neutralizzare la valenza penale della
condotta  incentrata  sull'evento  privatistico dell'ingiusto danno o
dell'ingiusto  vantaggio  patrimoniale,  che  viene cosi' degradato a
conseguenza  accessoria, e' esegesi che frustra la scelta legislativa
di presidiare penalmente l'art. 97 comma 1 Cost.
    Si  trascura  -  secondo la limpida sintesi di una dottrina - che
fulcro della Carta e' il primato della persona umana, al cui sviluppo
e'    finalizzata    l'azione    della    Repubblica   e   per   essa
dell'amministrazione,  la  quale  «... (come soggetto, come funzione,
come  complesso  di  mezzi  e  di  beni  o  come  persone)  alla luce
dell'art. 97  e  dei  principi  fondamentali della Costituzione, deve
essere  organizzata  in  modo  che  possa raggiungere l'obiettivo del
pieno  sviluppo  della  persona  umana e per essa gli obiettivi-mezzo
della   piena  attuazione  dell'eguaglianza,  della  liberta',  della
solidarieta'  e della salvaguardia e sviluppo dell'interesse generale
...  Non  quindi  efficienza, efficacia economicita' (espressione del
buon    andamento)    astrattamente    considerate    e/o    riferite
all'amministrazione   come   realta'   in  se';  bensi'  come  valori
strettamente   collegati   alla   dimensione   personale   implicante
necessariamente  -  in  virtu'  del  vincolo di solidarieta' - quella
sociale.  In  sintesi,  l'ordito  costituzionale,  nell'immaginare un
nuovo rapporto cittadino - p.A., supera definitivamente la dialettica
contrapposizione      autorita-liberta',     proponendo     l'endiadi
efficienza-garanzia,  della  quale  l'art. 97  Cost.  costituisce  il
riflesso costituzionale...».
    In secondo luogo, si trascura che quando lo scopo lecito non puo'
essere conseguito senza cagionare l'evento ingiusto, la sua emergenza
quale  movente  serve  a  dimostrare  anche l'intenzione di procurare
l'evento  stesso  (illecito)  ...  (Cass.  17 novembre 1999 n. 14183,
Pinto).
    Merita  infine  attenta  riflessione  il fatto che nella concreta
esperienza  giudiziaria  il soggetto attivo dell'art. 323 c.p. ben di
rado  agisce  per  un fine esclusivamente privato e comunque estraneo
alla  funzione  amministrativa  espletata,  ma  al  contrario  la sua
condotta  e'  di regola contrassegnata da una finalita' pubblicistica
di  non  problematica  deduzione essendo l'abuso d'ufficio un delitto
appunto funzionale.
    4.  -  Per  tutto  quanto precede l'orientamento ermeneutico oggi
prevalso  appone  alla  fattispecie  dell'art. 323 c. p. limiti cosi'
gravi che rischiano di vanificarla e quindi incide sul bene giuridico
che si vuole tutelare.
    Esso contrasta con:
        a)  l'art. 97,  comma 1 Cost.: non e' conforme ai principi di
imparzialita'  e  di  buona  amministrazione che il soggetto pubblico
possa   impunemente  perseguire  l'evento  vietato  (ingiusto  danno,
ingiusto  vantaggio patrimoniale) in vista e unitamente all'interesse
pubblico di cui e' titolare: interesse, quest'ultimo, che cosi sembra
assurgere   a   «esimente   tacita»   e  -  per  quanto  osservato  -
effettualmente frequente della responsabilita' penale;
    E'  vero  che  «...  le  esigenze costituzionali di tutela non si
esauriscono  ...  nella (eventuale) tutela penale, ben potendo invece
essere  soddisfatte  con  diverse forme di precetti e di sanzioni ...
che  anzi  l'incriminazione  costituisce una extrema ratio ... cui il
legislatore  ricorre  quando, nel suo discrezionale apprezzamento, lo
ritenga necessario per l'assenza o l'insufficienza o la inadeguatezza
di  altri mezzi di tutela ...» (Corte cost. sent. n. 447/1998), ma il
punto  e' qui l'incongruenza interpretativa di escludere la rilevanza
penale  dell'abuso  (violazione  di  legge  o di regolamento + evento
ingiusto) per effetto dell'interesse pubblico esponenziale e cioe' di
quell'interesse  a garanzia del quale l'attivita' amministrativa deve
essere regolata dai principi suddetti.
    E'  palese  l'aporia  di  attribuire  all'interesse  pubblico  un
duplice  e  contraddittorio  ruolo,  ma  soprattutto e' difficilmente
contestabile   il   ritorno   alla  contrapposizione  ontologica  fra
l'interesse  dell'amministrazione  e l'interesse del cittadino, che -
come rilevato (1/2.3 .d) - e' smentita dalla Costituzione; ne' esiste
disposizione  o  norma  del  diritto  amministrativo che legittimi il
soggetto pubblico alla violazione delle regole per il soddisfacimento
dell'interesse istituzionale;
        b)  l'art. 3,  comma  1 Cost.: v'e' disparita' di trattamento
riguardo  la  parte  offesa  da  ingiusto  danno, la cui posizione e'
identica  e  quindi  meritevole  di  tutela  sia  che  l'agente abbia
perseguito  soltanto il fine privato sia che abbia mirato anche ad un
fine  pubblico,  tra  l'altro  in  un  momento  storico  di  profonda
revisione  del rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, che
ha  dovuto  registrare  la  progressiva costante riduzione dei propri
privilegi  (sulla  plurioffensivita'  della fattispecie v., ex multis
Cass.  21  ottobre  2003  n. 39751  Mancini;  Cass.  25  giugno  2003
n. 27422,  Orlandi;  Cass. 8 maggio 2003 n. 20496, Grimaldi; Cass. 22
aprile 2003 n. 19019, Bracci).
    Valgono  anche  qui le superiori osservazioni sulla centralita' e
sullo  sviluppo  della persona umana; considerato che sulla questione
de  qua  e'  ininfluente  la  sentenza  costituzionale  447/1998,  di
inammissibilita' delle eccezioni inerenti all'astratta fattispecie (o
enunciato   legislativo  o  «disposizione»  nel  senso  di  una  nota
autorevole  dottrina)  dell'art. 323  innovata  dalla legge 234/1997:
inammissibilita'  sancita  sia per le scelte discrezionali del Potere
legislativo, sia per l'impossibilita' di pronuncia additiva nel senso
dell' ampliamento dell'incriminazione.
    Qui  si  discute  della  norma  elaborata  (o  creata, che dir si
voglia)  dalla  giurisprudenza,  della  sua implausibilita' sul piano
storico-sistematico,   della   sua   non   conformita'   ai  precetti
costituzionali  dedotti;  considerata  la  rilevanza  del  dubbio  di
costituzionalita' nell'ambito del presente procedimento.
    Gli  imputati  hanno disatteso il precetto dell'art. 396, comma 3
regol. C.d.S. che, in deroga al precedente 394, prescrive di affidare
al  conducente  la custodia del ciclomotore nel luogo da lui indicato
salva  l'impossibilita' della designazione: in tal caso il veicolo e'
custodito  dall'organo  accertatore  o  da  un  terzo autorizzato: la
disgiuntiva  «ovvero»  non  puo' che essere collegata all'alternativa
dell'organo  e  non  invece - come asserito dalla difesa - al diritto
alla custodia del conducente.
    E che questa sia l'unica deroga alla deroga, e in particolare che
motivi  di  sicurezza non consentano di affidare il ciclomotore ad un
terzo,  e'  conclusione  che  si  ricava  dalla  seconda  parte della
disposizione  riguardo  la  facolta'  del conducente di raggiungere -
nonostante  la  contestata  infrazione  -  il  luogo  di ricovero del
motoveicolo salvi appunto motivi di tutela pubblica.
    Orbene,  per la valutazione dell'assunto difensivo degli imputati
sull'asserito   proposito   della   minore   di   violare   il  fermo
amministrativo,   e   quindi  di  avere  nominato  custode  il  terzo
all'implicito  scopo  di  garantire  il  fermo, non puo' prescindersi
dalla  indagine  sull'elemento  soggettivo del delitto, alla luce - e
cio'  rafforza  la  rilevanza  del dubbio di costituzionalita' di cui
sopra  -  della  regola di giudizio dell'art. 425, comma 3 c.p.p. sui
proscioglimento   per  insufficienza  contraddittorieta'  inidoneita'
delle   risultanze   accusatorie:   ferme   le  note  difficolta'  di
accertamento del dolo; provvedendo d'ufficio.
                              P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale - per contrasto con gli artt. 3, comma 1
e  97,  comma  1 Cost. ai sensi di cui in motivazione - dell'art. 323
c.p.  nella  parte  in cui viene dal diritto vivente interpretato nel
senso  di escludere la punibilita' della condotta diretta a procurare
un  danno  ingiusto  o  un  ingiusto vantaggio patrimoniale ogni qual
volta  l'agente abbia perseguito contestualmente l'interesse pubblico
affidatogli;
    Spende  il processo e dispone la trasmissione di tutti gli atti -
in fotocopia autentica - alla Corte costituzionale;
    Dispone  che  la  presente ordinanza sia notificata al Presidente
del  Consiglio  dei  ministri e comunicata ai Presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica.
        Ragusa, addi' 5 gennaio 2005
                          Il g.u.p.: Saito
05C0448