N. 206 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 novembre 2004
Ordinanza emessa il 19 novembre 2004 dal giudice tutelare del tribunale di Venezia sez. distaccata di Chioggia atti relativi a A. L. Capacita' giuridica e di agire - Amministrazione di sostegno - Presupposti di applicabilita' ed effetti - Potenziale coincidenza con quelli dell'interdizione e dell'inabilitazione (tuttora vigenti) - Mancanza di chiari criteri di discriminazione del nuovo istituto da quelli tradizionali - Irragionevolezza - Devoluzione all'arbitrio del giudice della scelta della misura di protezione da applicare all'incapace - Incidenza sulla sfera dei rapporti economici e dei traffici giuridici. - Cod. civ., artt. 404, 405, nn. 3 e 4, e 409. - Costituzione, artt. 2, 3, 4, 41, primo comma, e 42. Capacita' giuridica e di agire - Amministrazione di sostegno - Disciplina - Modalita' di risoluzione delle eventuali divergenze fra giudice dell'interdizione e giudice tutelare in ordine all'applicabilita' dell'amministrazione di sostegno ovvero dell'interdizione - Mancata previsione - Irragionevolezza - Contrasto con il principio di soggezione del giudice alla legge. - Cod. civ., artt. 413, ultimo comma, e 418, ultimo comma. - Costituzione, artt. 2, 3, 4, 41, primo comma, 42 e 101, comma secondo.(GU n.16 del 20-4-2005 )
IL TRIBUNALE Letta la sentenza n. 1841/04, con la quale il Tribunale di Venezia ha revocato lo stato di interdizione in cui versava A. L., nata a Fiesso d'Artico in data 1° gennaio 1958, attualmente residente in Sottomarina di Chioggia, cosi' in particolare sul presupposto che nel corso dell'esame la stessa «ha reso dichiarazioni di per se' evidenzianti il suo rilevantissimo miglioramento relazionale, comprovato dall'inserimento della stessa nell'attivita' della indicata struttura alberghiera di Sottomarina (cfr. anche dichiarazioni del marito P. N., nominato tutore dal g.t. di Dolo il 2 ottobre 2003)», ed ha contestualmente rigettato la richiesta, avanzata dal p.m. ricorrente, di inabilitare la prevenuta, disponendo invece la trasmissione degli atti al g.t. per l'apertura del procedimento ex art. 404 c.c., e un tanto previa nomina di un amministratore provvisorio di sostegno, pronuncia la seguente ordinanza: Il giudice rimettente argomenta la rimessione in parola sostenendo che «non sia opportuno sostituire l'istituto dell'interdizione con un altro strumento di protezione rigido quale l'inabilitazione, dovendosi valutare il caso di specie alla luce dei principi della legge n. 6/2004 che (all'art. 414 c.c., richiamato dall'art. 415 c.c.) evidenziano la preferenza normativa accordata allo strumento duttile e flessibile, personalizzabile sulla base delle esperienze del beneficiario, della amministrazione di sostegno». In sintesi, nel pensiero del giudice rimettente e' implicita la conclusione che ai fini della tutela della A. e in particolare sulla base delle riferite premesse, sia in punto di fatto sia esegetiche, non sia opportuna una misura inabilitativa, all'opposto essendo sufficiente il sostegno di un amministratore di pubblica nomina, secondo le modalita' e con gli effetti del nuovo istituto di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, siccome introdotto, a modifica del c.c., dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6. Il giudice rimettente, peraltro, sembra fare discendere la propria decisione di non inabilitare la A. da un mero giudizio di opportunita' collegato a una supposta preferenza legislativa desunta in sede interpretativa, non gia' da una valutazione in concreto della qualita' e gravita' della malattia psichica della prevenuta, e della misura della sua incidenza sulla capacita' di cura degli interessi personali. Dal dispositivo del provvedimento di rimessione, con il quale si assegna all'amministratore provvisorio il potere assistere medio tempore la A. in tutti gli atti di straordinaria amministrazione, emerge altresi' la tesi implicita che gli effetti di tutela patrimoniale garantiti dall'amministrazione di sostegno possono coincidere, ove necessario, con quelli assicurati dall'inabilitazione. E' del resto proprio questa la conclusione esegetica che viene accolta presso questo foro e in sede di formazione decentrata (cfr. relazione incontro di studio 10 maggio 2004 presso Tribunale di Venezia, pag. 11). In effetti, la norma che regola l'inabilitazione (e l'interdizione) e quella che regola l'amministrazione di sostegno, sembrano in certa misura sovrapporsi, fino al punto da poter coincidere, e un tanto sia dal lato della fattispecie condizionante, sia dal lato della statuizione condizionata: a) Dal lato della fattispecie: l'esegesi dell'art. 404 c.c. consente de plano di affermare che l'amministrazione di sostegno e' applicabile (non solo, ma) anche nel caso di incapacita' totale e permanente del beneficiario di provvedere ai propri interessi per infermita' o menomazione psichica, secondo una formulazione che di fatto coincide con quella della incapacita' di provvedere ai propri interessi indotta da abituale infermita' di mente richiesta dall'art. 414 c.c. per l'interdizione. In particolare, posto che l'incapacita' psichica del beneficiario dell'amministrazione di sostegno puo' anche essere totale, proprio come per l'interdetto, la maggiore o minore gravita' dell'infermita' psichica non discrimina necessariamente tra questi primi due istituti. Inoltre, una incapacita' psichica parziale o sicuramente transeunte, e per questo meno grave, puo' dare ingresso, non venendo in rilievo all'interno di questa categoria una ulteriore scala di gravita', sia all'amministrazione di sostegno sia (ex art. 415 c.c.) all'inabilitazione, sulla base, come nel caso di specie, di un mero giudizio di opportunita' svincolato dal riferimento a dati obiettivi. b) Dal lato degli effetti: la nuova disciplina delle «misure di protezione» fa salvo il potere del beneficiario di compiere: 1) gli atti (giuridici e non?) necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana, 2) gli atti (giuridici) che non richiedono l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva dell'amministratore di sostegno, ma secondo l'interpretazione corrente degli artt. 405, n. 3 e 4, e 409 c.c., interpretazione della quale il provvedimento di rimessione costituisce sintomo punto isolato, la «protezione» puo' essere cosi' estesa da imporre, ove necessario, la presenza dell'amministratore di sostegno, vuoi come rappresentante vuoi in funzione di integrazione della volonta' dell'assistito, in pressoche' tutti gli atti sub 2). Nel caso di specie, in particolare, il provvedimento di rimessione si limita ad attribuire all'amministratore provvisorio il potere di integrare con la propria volonta' tutti gli atti di straordinaria amministrazione eventualmente compiuti dalla beneficiaria, atti che in difetto di tale integrazione sarebbero pertanto invalidi. Proprio questo dimostra che gli effetti di due distinti istituti di protezione - in questo caso: A. di S. e inabilitazione - possono di fatto coincidere, posto che anche il giudice tutelare, in presenza di una infermita' psichica non grave in capo al beneficiario, puo', come il giudice dell'inabilitazione, limitarsi a individuare una maxi-tipologia di atti, ossia quelli di straordinaria amministrazione, per i quali e' sufficiente l'assistenza dell'amministratore di sostegno, lasciando per il resto intatta l'autonomia giuridica del soggetto bisognoso di tutela. In definitiva, le disposizioni sopra richiamate danno luogo, in assenza di criteri discriminanti espressi e chiaramente desumibili, a tre fattispecie normative che, nella misura e nei termini sopra precisati, irragionevolmente coincidono. E' ben vero, peraltro, che in forza dell'art. 414, cosi' come modificato dalla legge n. 6/2004, la misura dell'interdizione (e si deve presumere anche quella della inabilitazione) deve essere applicata solo quando cio' e' necessario ad assicurare all'infermo adeguata protezione, ma si tratta di un criterio discriminante muto. Cosi' muto che il giudice rimettente lo ha tradotto in un giudizio di opportunita' non ancorato a una valutazione in concreto della residuale capacita' del soggetto bisognoso di tutela. In effetti, la necessita' di una misura di protezione si deve valutare apprezzando la congruita' del mezzo (l'ampiezza tipologica degli atti che richiedono l'assistenza o la rappresentanza) rispetto alla situazione (la gravita' dell'incapacita' del soggetto di provvedere ai propri interessi, ossia di compiere in modo consapevole e ponderato quegli atti) cui deve sopperire. Nondimeno, se il presupposto della amministrazione di sostegno, ove consista nella totale e permanente incapacita' psichica del beneficiario, e i relativi effetti, ove al beneficiario venga precluso il compimento da se solo di qualunque atto di ordinaria e straordinaria amministrazione, di fatto coincidono con quelli dell'interdizione, si deve allora concludere che l'interdizione non e' mai necessaria. Mutatis mutandis (incapacita' psichica meno grave, amministrazione di sostegno meno invasiva nei suoi effetti preclusivi), si deve pervenire alla medesima conclusione per l'istituto dell'inabilitazione. In sostanza, ed e' proprio questa una tesi che e' stata autorevolmente sostenuta in dottrina, la novella, piu' che una parziale duplicazione di fattispecie, conterrebbe di fatto una sorta di abrogazione non dichiarata dell'interdizione e dell'inabilitazione, a cui sarebbe assegnato una funzione assolutamente marginale e residuale, dovendo essere il giudice a riempire di contenuti il muto criterio della «necessita». Quella stessa dottrina ha in particolare suggerito la tesi che l'interdizione (e l'inabilitazione?) sarebbe necessaria, in presenza ovviamente degli ulteriori presupposti, solo nel caso in cui l'incapace risultasse titolare di un ingente patrimonio. Rileva in proposito questo giudice che la dietrologia (il legislatore non ha avuto il coraggio di andar fino in fondo, non si e' sentito di abrogare formalmente i vecchi istituti di tutela) non puo' costituire il filo conduttore dell'opera interpretativa, necessariamente in chiave sistematica, del nuovo piu' articolato sistema di protezione degli incapaci (e di tutela della buona fede dei terzi che vengono in relazione giuridica con gli stessi); e che a tal fine, non gli e' consentito fare finta che gli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione siano stati praticamente espulsi dal nostro ordinamento. Lo vieta infatti il principio istituzionale di legalita', che nel nostro ordinamento costituzionalizzato regge come una architrave la funzione giurisdizionale. Peraltro, se la soggezione del giudice alla legge impone all'organo giudicante di tener conto, in concorso dei relativi presupposti, di tutti gli istituti di protezione degli incapaci privi di autonomia introdotti, mantenuti o modificati dal legislatore, cio' richiede che la scelta dello strumento di «tutela» da applicare non sia di fatto lasciato, in assenza di chiari confini tra le diverse fattispecie, al libero arbitrio dell'organo giurisdizionale, in particolare in una materia potenzialmente lesiva, e in sommo grado, della sfera di liberta' e di autodeterminazione dei singoli. Ne possono infatti risultare compromessi supremi valori costituzionali quali quelli fissati negli art. 2, 3 e 4 della Costituzione nonche' violati gli ulteriori parametri di principio con i quali di seguito la Carta garantisce il pieno dispiegarsi della personalita' nella sfera dei rapporti economici e dei traffici giuridici: art. 41, primo comma, e 42, secondo comma. E cosi' tanto piu' in quanto il nuovo istituto di protezione, dagli effetti potenzialmente simili a quelli dell'inabilitazione o della stessa interdizione, in entrambi i casi anche in concorso di una limitata incapacita' psichica, sono stati affidati a un giudice unico (g.t.) e a un provvedimento che non si consolida mai in giudicato, essendo sempre modificabile (anche in peius sotto il profilo degli effetti preclusivi) e meramente reclamabile, cosi' privando il «beneficiario», con un risultato paradossalmente inverso a quello di maggior tutela prefissosi dal legislatore della novella, delle maggiori garanzie, sia pure non di rango costituzionale, insite nella collegialita' e nell'appellabilita' che caratterizzano i procedimenti di interdizione e inabilitazione. La mancata indicazione di chiari criteri selettivi ha dato luogo pertanto a una duplicazione irragionevole di fattispecie che risultano parzialmente fungibili, e rendono piu' precaria e incerta, di fronte al potere dell'organo giurisdizionale che e' tenuto a somministrare la misura, la condizione del soggetto incapace privo di autonomia. E' evidente peraltro che la denunciata irragionevolezza verrebbe meno in radice, ove fosse possibile interpretare l'istituto in parola, ed in particolare gli artt. 404, 405, n. 3 e 4, e 409 c.c., nel senso della sua applicabilita' alle sole ipotesi di infermita' psichica meno gravi di quelle che giustificano l'interdizione e la stessa inabilitazione, derivandone, conseguentemente, l'adottabilita', da parte del g.t., di misure limitative della autonomia giuridica del soggetto incapace non gia' ad ampio spettro, come devono considerarsi anche quelle che si riflettono indistintamente come nel caso di specie su tutti gli atti di straordinaria amministrazione, all'opposto davvero mirate a specifiche categorie di atti se non ad atti singoli. L'indirizzo interpretativo corrente, di cui il provvedimento di trasmissione degli atti in parola e' sintomatico, non consente pero' questa soluzione esegetica, e rende rilevante nel caso di specie, gia' in astratto, la sollevata questione di costituzionalita' delle disposizioni in parola. Detta rilevanza puo', peraltro, essere apprezzata anche in concreto: posto che dalla documentazione medica allegata alla richiesta di riesame dell'originario provvedimento di interdizione, documentazione nella quale, tra l'altro, si legge che la Angi «appare oggi senz'altro in grado di curare i propri interessi attinenti all'ordinaria amministrazione», emerge comunque un quadro clinico sufficientemente grave da indurre il g.i. rimettente, come si e' gia' rilevato, a precluderle il valido compimento da se' sola pressoche' di ogni atto di straordinaria amministrazione. Su questa base, chi scrive deve dunque decidere se ricorrono in punto di fatto i presupposti richiesti per l'A. di S. o, in alternativa, se una interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto in parola, e cosi' nei termini sopra precisati, gli imponga di utilizzare in via immediata e preventiva i poteri di sollecitazione del giudizio (in questo caso di un nuovo giudizio) inabilitativo attribuitigli dall'ultimo comma dell'art. 413 c.c. Vi sono peraltro, a parere di questo giudice, ulteriori profili di irragionevolezza, potenzialmente perniciosi per la liberta' del soggetto «incapace», e dunque per i valori e i parametri sopra richiamati, nella disciplina introdotta dalla novella. In particolare: a) in base al novellato art. 418, c.c., se il giudice dell'interdizione e dell'inabilitazione ritiene, nel corso del relativo procedimento, che non esistono i presupposti per applicare la relativa misura di protezione, ma gli appare opportuno che sia applicata l'amministrazione di sostegno, dispone, come nel caso di specie, la trasmissione del procedimento al giudice tutelare e puo' nominare medio tempore un'amministrazione di sostegno indicando gli atti che e' autorizzato a compiere; b) in base all'ultimo comma del novellato art. 413 cc., il giudice tutelare provvede, anche d'ufficio, alla dichiarazione di cessazione della materia dell'amministrazione di sostegno quando questa a suo parere si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario, e in tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere giudizio di interdizione o di inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinche' vi provveda. In sostanza, il nuovo sistema di protezione e' affidato a due distinti organi giudiziari (il giudice dell'interdizione/inabilitazione e il giudice tutelare) che sono chiamati a gestire lo stesso caso umano, ciascuno sulla base della propria idea riguardo ai criteri selettivi (quando e' necessaria l'interdizione o l'inabilitazione?; quando l'amministrazione di sostegno non e' adeguata?) che contraddistinguono le fattispecie e relative misure rispettivamente e autonomamente amministrate. Le disposizioni in esame non indicano pero' quale dei due soggetti, in caso di divergenza, debba prevalere. Il giudice dell'interdizione/inabilitazione non puo' infatti obbligare il giudice tutelare a nominare un amministratore di sostegno (ove il g.t. reputi che tale misura sia inadeguata); a sua volta il giudice tutelare non puo' imporre al giudice dell'interdizione e dell'inabilitazione l'adozione di tali misure (che il Presidente o il g.i. o il Collegio reputino non necessarie). Per ovviare al corto circuito giudiziario che tale situazione puo' produrre, innescato dalla mancanza di una disposizione processuale di coordinamento ad hoc ed esasperata dall'assenza di chiari criteri selettivi, si e' non a caso suggerito di introdurre la prassi, che non trova peraltro appiglio in nessuna specifica disposizione processuale, che uno dei due giudici in parola (nel caso di specie ad es. il g.i.) acquisisca preventivamente il parere dell'altro organo (nel caso di specie il g.t.) in ordine alla sussistenza, secondo quest'ultimo, dei presupposti richiesti per l'adozione delta misura che gli compete di somministrare (nel caso di specie l'A. di S.). Come dire: una concertazione preventiva che da' luogo ad un inammissibile anticipazione di giudizio. Tale suggerimento e' tuttavia il sintomo di un reale problema di coordinamento, atteso che in questo vuoto omissivo (il g.t. non nomina l'amministratore di sostegno, il giudice dell'interdizione/inabilitazione non interdice ne' inabilita, etc.), puo' finire come in tritacarne lo stesso «beneficiario!», sballottato da un organo giudicante all'altro in attesa di una decisione (relativamente definitiva) sul suo caso. Ne' d'altra parte si vede per quale ragionevole motivo, salvo un improponibile stare decisis, il g.t. a cui siano stati trasmessi gli atti, come nel caso di specie ai sensi dell'ultmo comma dell'art. 418 c.c., e che fin da subito reputi non adeguata la misura dell'amministrazione di sostegno, e cosi' sulla base del quadro diagnostico dagli stessi emergente ictu oculi, debba adottare per intanto una misura particolarmente incisiva, praticamente identica negli effetti a quelli derivanti dall'interdizione o dalla inabilitazione, una misura che proprio per questo egli reputi di non poter legittimamente adottare, salvo poi avviare in un momento immediatamente successivo il procedimento sollecitatorio previsto dall'ultimo comma dell'art. 413 c.c. L'autorevole dottrina, che pure suggerisce, tale bizzarro modus procedendi, non tiene innanzi tutto conto del fatto che detta procedura e' pensata in funzione di un giudizio sopravvenuto e sperimentato (si sia rilevata inidonea a realizzare la piena tutela) sulla congruita' della misura gia' adottata, in allora ricorrendovi i presupposti. Di piu'. Non tiene conto del fatto che una amministrazione di sostegno che produca sul piano degli effetti giuridici la stessa situazione dell'interdizione o dell'inabilitazione precludendo al beneficiario il valido compimento da se' solo di qualunque atto di ordinaria e/o di straordinaria amministrazione, rende quelle misure per definizione non necessarie. Infine, la trasmissione degli atti al p.m. e il successivo riesame del caso umano da parte del giudice dell'interdizione e dell'inabilitazione, e cosi' ai sensi della disposizione per ultima citata, non necessariamente da' luogo al risultato auspicato dal g.t.: che si vede infine costretto a tenere ferma una misura di protezione a suo parere illegittima. In definitiva, anche le disposizioni ex art. 413, ultimo comma, e 418, ultimo comma c.c. appaiono irragionevoli, nella misura in cui, una volta operata la scelta organizzativa di non concentrare in un unico organo la gestione del medesimo caso umano, non prevedono tuttavia, in caso di divergenza tra i due giudici, le modalita' di risoluzione di eventuali divergenze: sia sull'interpretazione da dare degli istituti in parola, dei relativi presupposti e dell'ampiezza dei relativi effetti, sia sulla gravita' della deficienza psichica del soggetto incapace. La questione appare rilevante nel caso di specie, in quanto l'interpretazione che il giudice rimettente da' dell'istituto dell'A. di S., tale da ricomprendere anche deficienze psichiche sufficientemente gravi da richiedere provvedimenti con effetti limitativi della autonomia giuridica dell'incapace estesi all'intera categoria degli atti di straordinaria amministrazione, pur apparendo a questo giudice tutelare in contrasto con i parametri costituzionali sopra evidenziati, non integra ancora una fattispecie di diritto vivente ma neppure difetta di plausibilita' esegetica, vuoi per la fonte dottrinale e giurisprudenziale da cui promana vuoi per la consistenza dell'argomento letterale sui cui poggia, e non gli lascerebbe pertanto altra strada che l'adozione di una misura a cui il codice civile, o meglio la sua interpretazione costituzionalmente orientata, tuttavia non sembra abilitarlo. Ne deriva pertanto un pericolo concreto e attuale di violazione dello stesso principio costituzionale di soggezione del giudice alla legge (art. 101, secondo comma, della Carta). Il principio di legalita' in senso lato va infatti coordinato con quello di legalita' costituzionale, ma al giudice di Civil Law non e' consentito disapplicare direttamente l'interpretazione normativa corrente che egli reputi di dubbia legittimita' costituzionale, puo' solo sollevare la relativa questione in quanto a suo dire non manifestamente infondata nonche' rilevante. Come di fatto la solleva.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n 87; Dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale: a) degli artt. 404, 405, n. 3 e 4, e 409 del c.c. in relazione agli artt. 2, 3, 4, 41, primo comma, e 42 della Carta costituzionale; b) degti artt. 413, ultimo commma, e 418, ultimo comma, del c.c. in relazione agli artt. 2, 3, 4, 41, primo comma, 42 e 101, secondo comma, della Carta costituzionale. Sospende, pertanto, il presente giudizio, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, e ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. Manda alla cancelleria per tutte le comunicazioni e le notificazioni di rito. Chioggia, addi' 18 novembre 2004 Il giudice tutelare: Ciampaglia 05C0450