N. 155 ORDINANZA 4 - 12 aprile 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati   tributari  -  Condono  tributario  con  beneficio  della  non
  punibilita'  - Formale notizia dell'esercizio dell'azione penale in
  data  anteriore  alla  presentazione  della  dichiarazione  per  la
  definizione   automatica   -   Inapplicabilita'   del  beneficio  -
  Denunciata  irragionevolezza  e arbitrarieta' - Difetto di adeguata
  motivazione  sulla  rilevanza  -  Manifesta  inammissibilita' della
  questione.
- Legge  27 dicembre  2002, n. 289, art. 9, comma 14, come modificato
  dall'art. 5-bis  del d.l. 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con
  modificazioni, nella legge 21 febbraio 2003, n. 27.
- Costituzione, art. 3.
Reati   tributari  -  Condono  tributario  con  beneficio  della  non
  punibilita'  - Formale notizia dell'esercizio dell'azione penale in
  data  anteriore  alla  presentazione  della  dichiarazione  per  la
  definizione   automatica   -   Inapplicabilita'   del  beneficio  -
  Denunciata    irragionevolezza    e   arbitrarieta'   -   Manifesta
  infondatezza delle questioni.
- Legge  27 dicembre  2002,  n. 289,  art. 9, comma 10, lettera c), e
  comma 14, lettera b).
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.16 del 20-4-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Guido NEPPI MODONA;
  Giudici:  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA,
Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 9, comma 10,
lettera   c),  e  comma 14,  della  legge  27 dicembre  2002,  n. 289
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello    Stato   -   legge   finanziaria   2003),   come   modificato
dall'art. 5-bis    del   decreto-legge   24 dicembre   2002,   n. 282
(Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali,
di  riscossione  e  di  procedure  di  contabilita),  convertito, con
modificazioni,   in  legge  21 febbraio  2003,  n. 27,  promossi  con
ordinanze  del 2 luglio 2003 dal giudice dell'udienza preliminare del
Tribunale  di  Cagliari, dell'8 gennaio 2004 dal giudice dell'udienza
preliminare   del  Tribunale  di  Modena  e  del  23 giugno 2004  dal
Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, rispettivamente
iscritte  al  n. 750  del registro ordinanze 2003 ed ai nn. 236 e 833
del  registro  ordinanze  2004  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della  Repubblica n. 38, 1ª serie speciale, dell'anno 2003 e nn. 14 e
44, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 9 febbraio 2005 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che con l'ordinanza in epigrafe il giudice dell'udienza
preliminare  del  Tribunale  di Cagliari ha sollevato, in riferimento
all'art. 3    della    Costituzione,    questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 9,  comma 10,  lettera  c), ultimo periodo,
della  legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2003),  come modificato dall'art. 5-bis del decreto-legge 24 dicembre
2002,   n. 282   (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  adempimenti
comunitari  e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilita),
aggiunto dalla relativa legge di conversione 21 febbraio 2003, n. 27,
il  quale  stabilisce  che l'esclusione della punibilita' per i reati
indicati  nello  stesso art. 9, comma 10, lettera c) - conseguente al
perfezionamento  della  procedura  di  definizione  automatica  delle
imposte per gli anni pregressi - «non si applica in caso di esercizio
dell'azione  penale  della  quale  il  contribuente  ha avuto formale
conoscenza  entro la data di presentazione della dichiarazione per la
definizione automatica»;
        che  il  giudice  a  quo  riferisce  di  essere investito del
processo  penale nei confronti di due persone imputate del delitto di
cui  all'art. 2  del  decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova
disciplina  dei  reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto,   a  norma  dell'articolo 9  della  legge  25  giugno 1999,
n. 205),  per  avere  utilizzato, a fini di evasione dell'imposta sul
valore  aggiunto  -  quali  soci  accomandatari  di  una  societa' in
accomandita  semplice  -  fatture  per  operazioni  inesistenti nelle
dichiarazioni relative a tale imposta per gli esercizi 1998 e 1999;
        che  nel corso dell'udienza preliminare, gli imputati avevano
fornito  prova  documentale  di  essersi  avvalsi  della procedura di
«definizione  automatica  per  gli  anni  pregressi»  (c.d.  «condono
tombale»),   prevista   dall'art. 9  della  legge  n. 289  del  2002,
presentando  la  relativa  dichiarazione ed effettuando nei termini i
versamenti  prescritti: procedura il cui perfezionamento comporta, ai
sensi  del  comma 10,  lettera  c), del citato articolo, l'esclusione
della  punibilita'  per una serie di reati tributari - tra cui quello
ascritto  ai  giudicabili  -  nonche'  per  taluni reati previsti dal
codice  penale  e  dal  codice  civile,  ove commessi per eseguire od
occultare  i  predetti  reati  tributari,  ovvero  per conseguirne il
profitto;
        che gli imputati non potrebbero tuttavia godere del beneficio
per  il  disposto  della  norma  impugnata,  che configura come causa
ostativa  alla  sua fruizione l'avvenuto esercizio dell'azione penale
per  i  reati  in parola, di cui il contribuente abbia avuto «formale
conoscenza» entro la data di presentazione della dichiarazione per la
definizione automatica: nella specie, difatti, la richiesta di rinvio
a  giudizio era stata notificata ad entrambi gli imputati alcuni mesi
prima della presentazione di detta dichiarazione;
        che  ad  avviso  del  rimettente,  peraltro,  la disposizione
denunciata  si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., determinando
una ingiustificata disparita' di trattamento fra casi identici;
        che   la   data  della  «formale  conoscenza»  dell'esercizio
dell'azione  penale  dipenderebbe,  infatti,  da  una  pluralita'  di
fattori  casuali, comprendenti - oltre a situazioni obiettive, quali,
ad  esempio,  l'organizzazione  degli uffici del pubblico ministero e
del giudice per le indagini preliminari, le carenze di organico degli
ufficiali  giudiziari o le difficolta' di raggiungimento di localita'
isolate  -  anche le «insindacabili e legittime scelte discrezionali»
del  complesso  di soggetti (pubblico ministero, giudice dell'udienza
preliminare,   personale   di   cancelleria,  ufficiale  giudiziario,
impiegati   postali,   lo  stesso  imputato)  che  possono  incidere,
accelerandolo   o   rallentandolo,  sul  procedimento  finalizzato  a
realizzare tale conoscenza;
        che, con particolare riguardo all'imputato, d'altra parte, la
norma  censurata  verrebbe  a  premiare irrazionalmente le iniziative
dilatorie  di chi si renda irreperibile o si trasferisca all'estero -
lucrando,  cosi',  l'allungamento  dei tempi connesso alle necessarie
ricerche  o  all'esecuzione  delle notificazioni nelle forme previste
dall'art. 169  cod.  proc.  pen. - rispetto al comportamento leale di
chi, anche nell'ambito del medesimo procedimento penale, abbia invece
eletto domicilio presso un soggetto agevolmente raggiungibile;
        che  la  disposizione  impugnata  provocherebbe,  infine, una
irrazionale contrazione o, comunque, una indeterminatezza dei termini
per il perfezionamento della procedura di definizione automatica, nei
confronti  di coloro che siano sottoposti a procedimento penale e non
abbiano ancora avuto formale comunicazione dell'esercizio dell'azione
penale:  tali  soggetti,  infatti  -  in  previsione  della possibile
sopravvenienza,  in  qualunque  momento,  di detta comunicazione - si
troverebbero a disporre, per beneficiare della non punibilita', di un
termine   piu'   breve   rispetto   a  quello  accordato  agli  altri
contribuenti, e comunque incerto;
        che   con   l'ordinanza   indicata  in  epigrafe  il  giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di Modena ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3  e  24  della  Costituzione,  questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 9,  comma 10,  lettera  c), e
comma 14, lettera b), della legge n. 289 del 2002;
        che  il  giudice  a  quo  premette  di  essere  investito del
processo  penale nei confronti di persona imputata del reato previsto
dall'art. 4,  comma 1,  lettera f), del decreto-legge 10 luglio 1982,
n. 429 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte
sui  redditi  e  sul  valore  aggiunto e per agevolare la definizione
delle pendenze in materia tributaria), convertito, con modificazioni,
in legge 7 agosto 1982, n. 516, e dall'art. 2 del decreto legislativo
n. 74  del  2000,  per  aver  utilizzato, a fini di evasione fiscale,
fatture   per   operazioni   inesistenti   emesse   da   terzi  nella
dichiarazione dei redditi e IVA dell'anno 1998;
        che,  nel  corso  dell'udienza  preliminare, l'imputato aveva
dato  prova  di  aver  presentato la dichiarazione per la definizione
automatica  delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ai sensi
dell'art. 9  della  legge  n. 289 del 2002, effettuando nei termini i
versamenti prescritti;
        che  l'imputato  non  poteva  tuttavia fruire dell'esclusione
della  punibilita'  per  il  reato contestatogli - pure prevista come
conseguenza  del  perfezionamento  della  procedura  -  avendo  avuto
notizia   dell'esercizio  dell'azione  penale,  tramite  la  notifica
dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, in data anteriore
a quella di presentazione dell'anzidetta dichiarazione;
        che   secondo  il  rimettente,  peraltro,  il  meccanismo  di
operativita'  dell'effetto  premiale,  delineato  dalle  disposizioni
impugnate,   sarebbe   irragionevolmente  discriminatorio,  sotto  un
duplice profilo;
        che,  in  primo  luogo,  la causa ostativa alla produzione di
detto  effetto  risulterebbe  correlata  ad  una circostanza fattuale
«completamente   eccentrica  rispetto  al  nucleo  significativo  del
processo   penale»,   quale   il  perfezionamento  dell'attivita'  di
notificazione: quest'ultima, infatti, sarebbe soggetta alla variabile
incidenza  di  molteplici fattori, come il funzionamento degli uffici
del  pubblico  ministero  e  del giudice per le indagini preliminari,
l'attivita'  degli  ufficiali  giudiziari o del sistema postale, e la
stessa  condotta  dell'imputato,  il quale potrebbe trarre giovamento
dal  porsi  in  una situazione di irreperibilita' che gli consenta di
lucrare  l'intervallo  temporale  necessario  al  perfezionamento del
meccanismo di conoscenza legale di cui all'art. 159 cod. proc. pen.;
        che  in  secondo  luogo,  poi,  il  riferimento  ad  un  atto
processuale   di   parte  -  o,  meglio,  alla  conoscenza  o  legale
conoscibilita'  di  esso  -  finirebbe  per far dipendere gli effetti
favorevoli  del  condono non gia' da una valutazione di meritevolezza
del  contribuente,  ovvero  dalla  sua  maggiore  o  minore diligenza
nell'adempimento  degli  oneri previsti dalla procedura, ma dal fatto
di  un terzo (pubblico ministero o giudice dell'udienza preliminare),
che selezionerebbe in definitiva le condotte suscettibili di ottenere
il   beneficio   della   non   punibilita'   attraverso  l'avvio  del
procedimento di notifica dell'atto di esercizio dell'azione penale;
        che  con  l'ordinanza  indicata in epigrafe, emessa nel corso
del  processo  penale  nei confronti di persona imputata del reato di
cui  agli  artt. 4, comma 1, lettera f), del decreto-legge n. 429 del
1982  e  2  del  decreto  legislativo n. 74 del 2000, il Tribunale di
Venezia,   sezione  distaccata  di  Chioggia,  ha  sollevato  analoga
questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3
della  Costituzione,  dell'art. 9,  comma 14,  della legge n. 289 del
2002;
        che   l'ordinanza   riferisce  che,  con  memoria  depositata
all'udienza   dibattimentale,   il   difensore   dell'imputato  aveva
lamentato  che  -  pur  rientrando  il  reato  contestato  fra quelli
«condonabili» ai sensi dell'art. 9, comma 10, lettera c), della legge
n. 289  del  2002  - il proprio assistito non aveva potuto godere del
«beneficio  fiscale  con  effetti  estintivi  dell'illecito penale» a
fronte  del  termine  di decadenza previsto dal comma 14 dello stesso
art. 9,  ancorato  alla formale conoscenza dell'esercizio dell'azione
penale:   termine  del  quale  lo  stesso  difensore  aveva  eccepito
l'illegittimita'  costituzionale  in riferimento all'art. 3 Cost., in
quanto «iniquo e sperequativo»;
        che,  facendo  propri gli assunti della difesa, il rimettente
osserva  che  detto  termine  non corrisponderebbe, in effetti, ad un
criterio  oggettivo  ed uniforme - quale potrebbe essere, ad esempio,
la  data  di  consumazione  del reato - ma sarebbe condizionato dalla
solerzia   soggettiva,  e  dunque  variabile,  del  singolo  pubblico
ministero  nell'esercizio  dell'azione penale, nonche' dalla gravita'
del  reato  e dalla conseguente complessita' delle relative indagini:
con  la  conseguenza  paradossale che l'autore di un reato tributario
piu' grave, commesso anche in epoca piu' remota, potrebbe beneficiare
del   condono,   non  essendosi  concluse  le  relative  indagini,  a
differenza dell'autore di un reato meno grave, e magari piu' recente,
che  sia  gia'  stato  attinto dalla richiesta di rinvio a giudizio o
dalla citazione diretta;
        che,  in  tale  ottica,  il  meccanismo  denunciato  verrebbe
certamente  a  soddisfare  le  esigenze  di  cassa dell'erario, ma al
prezzo  di  sacrificare  l'interesse dello Stato a punire anzitutto i
fatti criminosi piu' gravi e di maggiore impatto sociale;
        che  nei  giudizi  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che le
questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.
    Considerato  che  le  ordinanze  di rimessione sollevano analoghe
questioni,  onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti
con un'unica decisione;
        che  i  rimettenti  dubitano  della  compatibilita'  con  gli
artt. 3  e 24 della Costituzione dell'art. 9, comma 10, lettera c), e
comma 14,  lettera  b),  della  legge  27 dicembre 2002, n. 289, come
modificato   dall'art. 5-bis   del  decreto-legge  24 dicembre  2002,
n. 282,  convertito,  con  modificazioni,  in legge 21 febbraio 2003,
n. 27,  il  quale  esclude che il condono tributario ivi disciplinato
(«definizione  automatica  per gli anni pregressi»: comma 14, lettera
b),  dell'art. 9) - e, conseguentemente, anche il beneficio della non
punibilita'    per    determinati   reati,   che   conseguirebbe   al
perfezionamento della procedura (ultimo periodo del comma 10, lettera
c)  - si applichino nel caso di avvenuto esercizio dell'azione penale
per  gli  anzidetti  reati,  «della  quale  il  contribuente ha avuto
formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione
per la definizione»;
        che  l'ordinanza  di  rimessione  del  Tribunale  di Venezia,
sezione  distaccata di Chioggia, risulta peraltro carente in punto di
descrizione  della  fattispecie  concreta  oggetto  di  giudizio, non
specificando  ne'  a  quale  periodo di imposta si riferisca il reato
contestato all'imputato e, in particolare, se esso rientri tra quelli
suscettibili di sanatoria in base al citato art. 9; ne' se l'imputato
abbia   in  concreto  presentato  la  dichiarazione  di  definizione,
perfezionando  nei  termini  la  procedura;  ne'  in quale data - se,
cioe',  prima  o  dopo la scadenza dei termini per la presentazione -
egli  abbia  avuto  «formale  conoscenza»  dell'esercizio dell'azione
penale;
        che,    conseguentemente,    la   questione   va   dichiarata
manifestamente  inammissibile  per  difetto  di  adeguata motivazione
sulla rilevanza;
        che,   quanto   alle   residue  ordinanze,  questa  Corte  ha
reiteratamente  affermato  che  rientra  nella  discrezionalita'  del
legislatore,  una  volta  individuata  una causa estintiva del reato,
stabilire  gli  effetti  ed  i limiti temporali di essa, in relazione
allo   stato  dell'azione  penale  (cfr.  sentenza  n. 85  del  1998;
ordinanze n. 219 del 1997; n. 137 e n. 294 del 1996);
        che il principio risulta evidentemente estensibile anche alle
cause  sopravvenute  di  non punibilita' legate a condotte lato sensu
riparatorie, ove si dovesse qualificare in tali termini - secondo una
diffusa  opinione - l'«esclusione della punibilita» contemplata dalla
norma  impugnata:  valendo anche in tal caso il rilievo che si tratta
di  una  non punibilita' dovuta a ragioni di politica criminale - per
di  piu', nel caso del condono, a carattere contingente - e non certo
conseguente  alla  caduta dell'antigiuridicita' per cause intrinseche
attinenti  al nucleo sostanziale dell'illecito (cfr. ordinanza n. 137
del 1996);
        che,   in   particolare,  la  scelta  di  porre  come  limite
preclusivo  l'esercizio  dell'azione  penale  - scelta attuata con la
norma  di modifica di cui all'art. 5-bis del decreto-legge n. 282 dal
2002,  aggiunto dalla legge di conversione n. 27 del 2003, essendo la
preclusione   originariamente   connessa   al  semplice  «avvio»  del
procedimento  penale  -  appare  espressiva dell'intento di negare la
possibilita'  di una sottrazione «a basso costo» alla responsabilita'
penale,  per  coloro  che  abbiano  commesso  reati non soltanto gia'
scoperti  dall'autorita'  giudiziaria,  ma  in  ordine ai quali siano
stati  altresi'  gia'  acquisiti  elementi sufficienti a giustificare
l'instaurazione  della  fase  processuale:  e  cio'  in  linea con la
concezione  del  condono tributario come beneficio applicabile solo a
contribuenti  che  non  versino  in situazioni gia' «compromesse» sul
piano dell'accertamento;
        che  tale  scelta, pertanto - a prescindere da valutazioni di
politica   criminale,   estranee   alla   sfera   del   sindacato  di
costituzionalita'  -  non  puo' ritenersi, di per se', manifestazione
irrazionale ed arbitraria;
        che  quanto,  poi,  all'ulteriore  elemento integrativo della
preclusione,  rappresentato dalla «formale conoscenza» dell'esercizio
dell'azione   penale   da   parte   del   contribuente   prima  della
presentazione  della  dichiarazione  per  la definizione, la relativa
ratio  risiede  essenzialmente - come rimarcato anche dall'Avvocatura
dello  Stato - in una esigenza di garanzia: quella, cioe', di evitare
che il contribuente, non avendo avuto notizia della causa ostativa in
atto, perfezioni un condono destinato all'inefficacia;
        che,  in tale ottica, le disparita' di trattamento denunciate
dai  giudici  rimettenti - legate al gioco dei molteplici fattori che
possono  rendere  piu'  o  meno  celere,  nei  singoli casi concreti,
l'esercizio  dell'azione  penale  e  la  sua rituale comunicazione al
contribuente  -  si  risolvono  in disparita' di mero fatto, inidonee
come  tali, per costante giurisprudenza di questa Corte, a fondare un
giudizio  di  violazione  del  principio  di  eguaglianza  (cfr.,  ex
plurimis, ordinanze n. 173 del 2003; n. 311 e n. 481 del 2002);
        che   quanto,  infine,  alla  violazione  dell'art. 24  Cost.
ventilata  dal  giudice  dell'udienza  preliminare  del  Tribunale di
Modena,  la  censura  si  presenta  sfornita  di  qualsiasi  supporto
argomentativo;
        che  le  questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente
infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
        a)  dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 9,  comma 14,  della  legge
27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato - legge finanziaria 2003), come
modificato dall'art. 5-bis del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282
(Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali,
di  riscossione  e  di  procedure  di  contabilita),  convertito, con
modificazioni,  in  legge  21 febbraio  2003,  n. 27,  sollevata,  in
riferimento  all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Venezia,
sezione distaccata di Chioggia, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
        b)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  delle questioni di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 9,  comma 10,  lettera  c), e
comma 14,  lettera b), della citata legge n. 289 del 2002, sollevate,
in  riferimento  agli  artt. 3  e  24 della Costituzione, dal giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di  Cagliari e dal giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di Modena con le ordinanze
indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2005.
                     Il Presidente: Neppi Modona
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 12 aprile 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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