N. 191 SENTENZA 5 - 10 maggio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Eccezioni  di  inammissibilita' - Denunciato difetto di motivazione -
  Reiezione.
Infortuni  sul lavoro e malattie professionali - INAIL - Attribuzione
  di  rendita  -  Facolta'  di  rettifica per errore entro il termine
  decadenziale di dieci anni - Mancato esercizio - Consolidamento del
  diritto  del beneficiario pur in difetto dei presupposti di legge -
  Assunto contrasto con il principio previdenziale e con il principio
  di  buon  andamento  dei  pubblici  uffici  -  Non fondatezza della
  questione.
- D.Lgs.  23 febbraio 2000, n. 38, artt. 9, commi 1, secondo periodo,
  e 3.
- Costituzione, artt. 38 e 97.
Infortuni  sul lavoro e malattie professionali - INAIL - Attribuzione
  di  rendita - Facolta' di rettifica per errore - Introduzione di un
  termine  decadenziale  di  dieci  anni  - Efficacia retroattiva del
  termine  anche  con  riguardo ai rapporti esauriti nel vigore della
  previgente   disciplina   -   Irragionevolezza   -   Illegittimita'
  costituzionale.
- D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 9, commi 5, 6 e 7.
(GU n.20 del 18-5-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici:  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA, Annibale MARINI,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA,
Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 9, commi 1,
secondo  periodo,  3,  5,  6 e 7, del decreto legislativo 23 febbraio
2000,  n. 38  (Disposizioni  in  materia  di assicurazione contro gli
infortuni   sul   lavoro   e   le  malattie  professionali,  a  norma
dell'articolo 55,  comma 1,  della  legge  17 maggio  1999,  n. 144),
promosso  con  ordinanza  del  12 novembre 2003 dal giudice unico del
lavoro  del  Tribunale  di  Treviso  nei  procedimenti civili riuniti
vertenti  tra  Albano  Cavallin  ed  altri e l'Istituto nazionale per
l'assicurazione  contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), iscritta al
n. 3   del  registro  ordinanze  2004  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 7, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di Albano Cavallin ed altri e
dell'INAIL  nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 5 aprile 2005 il giudice relatore
Annibale Marini;
    Uditi  gli  avvocati  G.  Sante  Assennato per Albano Cavallin ed
altri,  Luigi  La Peccerella e Rita Raspanti per l'INAIL e l'Avvocato
dello  Stato  Francesco  Lettera  per il Presidente del Consiglio dei
ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  giudice unico del lavoro del Tribunale di Treviso, con
ordinanza  del  12 novembre  2003,  ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  38  e  97  della  Costituzione,  questione  di legittimita'
costituzionale  dell'art. 9,  commi 1,  secondo periodo, 3, 5, 6 e 7,
del  decreto  legislativo  23 febbraio  2000,  n. 38 (Disposizioni in
materia  di  assicurazione  contro  gli  infortuni  sul  lavoro  e le
malattie  professionali,  a  norma  dell'articolo 55,  comma 1, della
legge 17 maggio 1999, n. 144).
    Le   norme   impugnate,   innovando   la  previgente  disciplina,
dispongono  che  la  rettifica  per  errore delle prestazioni erogate
dall'Istituto  nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro  (INAIL)  puo'  intervenire solamente entro i dieci anni dalla
comunicazione  dell'originario  provvedimento  di  attribuzione della
rendita  (comma  1);  che  l'errore  non  rettificabile  comporta  il
mantenimento  delle  prestazioni godute (comma 3); che tale normativa
trova applicazione anche in riferimento ai provvedimenti di rettifica
adottati nel vigore della precedente disciplina, ancorche' coperti da
prescrizione o giudicato (commi 5, 6 e 7).
    Nel  giudizio  a  quo  sono  oggetto  di ricorso, da parte di tre
assicurati,  altrettanti  provvedimenti  di  rettifica  (tali essendo
qualificati  dal  giudicante)  di rendite per ipoacusia professionale
adottati,  nel  vigore  della disciplina previgente, oltre dieci anni
dopo  la  comunicazione  dell'originario provvedimento di concessione
della rendita.
    La   pacifica   efficacia  retroattiva  dell'art. 9  del  decreto
legislativo   n. 38   del  2000  comporterebbe  l'accoglimento  delle
domande,  con il conseguente ripristino, in capo ai ricorrenti, delle
rendite godute al momento della rettifica.
    Tanto  premesso  in  punto  di  rilevanza,  ritiene  tuttavia  il
giudicante  che  la  nuova  disciplina, comportando il riconoscimento
definitivo   della  prestazione  previdenziale  a  prescindere  dalla
sussistenza  dei  requisiti,  previsti  per  legge, che ne sorreggono
l'erogazione,  si  ponga  in  contrasto  «con  i principi di base che
caratterizzano  l'intero  assetto previdenziale ed in particolar modo
con quelli inerenti alla liberazione dal bisogno».
    Ad   avviso   del   rimettente,  infatti,  qualsiasi  prestazione
previdenziale  erogata  in assenza dei requisiti di legge si porrebbe
per  cio'  solo  in  contrasto  con l'art. 38 della Costituzione, non
realizzando le finalita' di tutela previste dalla Costituzione.
    Il   consolidamento  di  una  prestazione  economica  non  dovuta
comporterebbe d'altro canto un ingiustificato aggravio delle spese di
gestione  di  un ente appartenente alla pubblica amministrazione, con
violazione,  sotto  tale aspetto, del principio di buon andamento dei
pubblici uffici, sancito dall'art. 97 della Costituzione.
    La  retroattivita'  della  normativa,  suscettibile  di  incidere
addirittura  su  situazioni  gia'  prescritte o coperte da giudicato,
contrasterebbe  infine  con  il  principio  di  certezza  del diritto
garantito  dall'art. 3  della  Costituzione,  venendo  sanzionata  la
violazione  del  termine  decennale  introdotto dalla norma anche con
riguardo  a fattispecie concluse nel vigore di una diversa disciplina
che  non  prevedeva  alcun limite temporale al potere di accertamento
dell'errore da parte dell'INAIL.
    2.  -  Si  sono  costituiti  in  giudizio  Albano Cavallin, Loris
Favaron   e   Graziella   Toppan,  ricorrenti  nel  giudizio  a  quo,
concludendo per la declaratoria di inammissibilita' della questione.
    Ad  avviso  delle  parti  suddette,  la questione di legittimita'
costituzionale  sarebbe  priva  di  rilevanza  nella fattispecie, non
venendo  in  questione  l'esistenza  di  un giudicato, ma trattandosi
soltanto  di  applicare  un  istituto, quale la decadenza, di portata
generale,   riguardo   al  quale  non  sono  prospettabili  dubbi  di
costituzionalita'.
    L'applicazione  -  quale si verificherebbe nella fattispecie - di
una disciplina sopravvenuta ai processi in corso rappresenterebbe del
resto  una  tecnica  abitualmente utilizzata dal legislatore, anche a
fini di certezza del diritto, cosi' da escludere qualsiasi censura di
legittimita' costituzionale.
    3.  - Si e' altresi' costituito l'INAIL, convenuto nel giudizio a
quo,  chiedendo  che  la questione sia dichiarata inammissibile o, in
subordine, infondata.
    In  proposito,  la  difesa dell'Istituto sottolinea come l'art. 9
del  decreto  legislativo  n. 38  del  2000  sia  qualificabile  come
disciplina  eccezionale,  in  conseguenza  della  quale l'ordinamento
limita   gli   effetti   negativi  dell'accertata  insussistenza  dei
presupposti patologici per il riconoscimento del diritto alla rendita
goduta,  garantendo  al  beneficiario  la continuita' dell'erogazione
delle somme sino a quel momento percepite in buona fede.
    L'art. 9  sopra  richiamato  avrebbe nel contempo natura di norma
transitoria,  per regolare il passaggio dal regime dell'art. 55 della
legge  9 marzo  1989, n. 88 (Ristrutturazione dell'Istituto nazionale
della    previdenza    sociale    e   dell'Istituto   nazionale   per
l'assicurazione   contro   gli  infortuni  sul  lavoro),  alla  nuova
disciplina; in questa prospettiva, non sarebbero vulnerati i principi
in  tema  di  prescrizione  o giudicato, in quanto la norma censurata
prevede  un rigoroso termine di decadenza per la richiesta di riesame
dei  casi  prescritti  o  definiti con sentenza passata in giudicato,
nonche'  la  riattribuzione  della  prestazione «cristallizzata» solo
dalla data della domanda e senza restituzione di somme arretrate.
    Non sussisterebbe - secondo l'Istituto - la denunciata violazione
dell'art. 38,  secondo  comma,  della  Costituzione, anche in ragione
della  specifica  struttura  e funzione dell'assicurazione contro gli
infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie  professionali  e  della  sua
specialita'  rispetto  alla  tutela  pensionistica.  E d'altro canto,
quanto  all'asserita  violazione  dell'art. 3  della Costituzione, la
stessa  giurisprudenza  costituzionale  afferma  che  il  divieto  di
retroattivita'  della legge non ha dignita' costituzionale, cosicche'
al  legislatore ordinario, fuori dalla materia penale, non e' inibito
emanare  norme  con  efficacia retroattiva, purche' queste ultime non
contrastino  con  il  principio  di ragionevolezza ed altri valori ed
interessi costituzionalmente protetti.
    4.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
comunque infondata.
    Ad    avviso    dell'Avvocatura    l'ordinanza    di   rimessione
presenterebbe,  anzitutto, profili di inammissibilita' per violazione
del  principio di autosufficienza, non essendo adeguatamente motivata
l'adesione del giudice alle risultanze della CTU, secondo cui sarebbe
da  escludere  che  nella fattispecie ricorra - come sostenuto invece
dall'Istituto  -  la diversa ipotesi di miglioramento delle patologie
invalidanti, disciplinata da altra norma.
    Nel merito, premesso che l'abrogato art. 55 della legge n. 88 del
1989 non puo' assumersi a tertium comparationis, l'Avvocatura osserva
che  la  norma  impugnata  e'  frutto  del consapevole bilanciamento,
operato  dal  legislatore,  tra  gli  aggravi  di spesa e gli effetti
positivi  derivanti  dal contenimento del contenzioso previdenziale e
dalla certezza dei rapporti.
    Il  potere di stabilire la misura e le variazioni dei trattamenti
previdenziali e di comparare l'onere della spesa previdenziale con le
esigenze  dello  stato  sociale, del resto, rientrerebbe certamente -
secondo  l'Avvocatura  -  nell'ambito della discrezionalita' politica
del  legislatore,  in quanto tale insindacabile, salva l'ipotesi, che
nella  specie  sarebbe  da  escludere,  della  arbitrarieta' o palese
irragionevolezza.
    Non   sussisterebbe,  dunque,  violazione  ne'  dell'art. 97  ne'
dell'art. 38   della   Costituzione,   considerato   anche   che   il
legislatore,  escludendo  dalla  nuova  disciplina  i casi di rendite
conseguite con dolo e colpa grave, ha inteso limitare il beneficio ai
soli  casi  in  cui  il  procedimento  di accertamento della malattia
invalidante risulti privo di vizi.
    5.--  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  le  parti  private
Cavallin,  Favaron e Toppan hanno depositato una memoria illustrativa
insistendo  per  la  declaratoria di manifesta inammissibilita' della
questione,  in  quanto  il  giudice a quo non avrebbe sperimentato la
possibilita'  di  un'interpretazione  adeguatrice  della disposizione
impugnata ne' motivato circa l'impossibilita' della stessa.
    La  questione  stessa  sarebbe  inoltre priva di rilevanza quanto
all'ipotesi  di  casi definiti con sentenza passata in giudicato, non
sussistendo   nella  fattispecie  alcun  accertamento  con  forza  di
giudicato.  In  ogni  caso  ben  potrebbe  la legge, in riferimento a
situazioni durevoli, incidere sulla disciplina del periodo successivo
al  giudicato,  secondo i consueti principi in tema di successioni di
leggi nel tempo.

                       Considerato in diritto

    1.  - Il giudice unico del lavoro del Tribunale di Treviso dubita
della   legittimita'  costituzionale  dell'art. 9,  commi 1,  secondo
periodo, 3, 5, 6 e 7, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38
(Disposizioni  in  materia  di assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro   e  le  malattie  professionali,  a  norma  dell'articolo 55,
comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144).
    I   commi 1  e  3  -  prevedendo  che  l'Istituto  nazionale  per
l'assicurazione   contro  gli  infortuni  sul  lavoro  (INAIL)  possa
esercitare  la  facolta'  di  rettifica  per errore delle prestazioni
erogate  entro  dieci  anni  dalla comunicazione del provvedimento di
attribuzione  della  rendita e che, decorso inutilmente tale termine,
si  consolidi  il  diritto  del  beneficiario  al  mantenimento delle
prestazioni  in  godimento, pur in difetto dei presupposti di legge -
violerebbero  gli  artt. 38  e  97  della  Costituzione, ponendosi in
contrasto   sia   con   i   principi  su  cui  si  fonda  il  sistema
previdenziale,  sia,  per i maggiori oneri che ne conseguono a carico
dell'INAIL, con il principio di buon andamento dei pubblici uffici.
    I  commi 5,  6  e 7, che attribuiscono efficacia retroattiva alla
suddetta  disciplina, anche con riguardo a rapporti ormai esauriti in
quanto prescritti o coperti da giudicato, sarebbero dal canto loro in
contrasto  con  il  principio  di  certezza  del  diritto enucleabile
dall'art. 3   della   Costituzione,   disponendo  l'applicazione  del
suddetto termine decadenziale anche in riferimento a provvedimenti di
rettifica  adottati  nel  vigore  di  una  diversa disciplina che non
prevedeva alcun termine di decadenza.
    2.  -  Le  eccezioni  di  inammissibilita'  sollevate dalle parti
costituite ed intervenute sono prive di fondamento.
    Affermando  che  «le conclusioni delle CTU non lasciano dubbi sul
fatto  che  in  tutti  e  tre i casi le originarie determinazioni dei
gradi  di  invalidita' fossero sovrastimate per errore», il giudice a
quo  ha infatti adeguatamente motivato il proprio convincimento circa
l'insussistenza  dei  presupposti  per  la procedura di revisione per
miglioramento,  attivata  dall'INAIL, e la conseguente qualificazione
dei  provvedimenti  impugnati  dagli  assicurati  come rettifiche per
errore.
    La  descrizione  della fattispecie e' d'altro canto sufficiente a
dare conto della rilevanza della questione mentre e' infine del tutto
plausibile - e del resto conforme alla giurisprudenza di legittimita'
- l'interpretazione della norma sulla cui base la questione stessa e'
prospettata.
    3.  -  Nel  merito  la  questione,  quanto ai commi 1 e 3, non e'
fondata.
    3.1.  -  La  norma  impugnata introduce un termine decadenziale -
peraltro   di   peculiare   ampiezza  -  per  l'esercizio,  da  parte
dell'INAIL,  dei  poteri  amministrativi  di accertamento e rettifica
dell'errore   commesso   in   sede   di  attribuzione,  erogazione  o
riliquidazione  delle prestazioni, salvi i casi di dolo o colpa grave
dell'assicurato.
    La  previsione  di  un  tale  termine - diversamente da quanto il
rimettente  assume - non si pone in contrasto con la funzione propria
del   sistema   previdenziale,  quale  delineata  dall'art. 38  della
Costituzione,  ma  rappresenta una non irragionevole misura di tutela
dell'assicurato  in  buona  fede,  quale  controinteressato, rispetto
all'esercizio di quei poteri.
    Da  un lato, infatti, e' lecito presumere che, dopo il decorso di
un  congruo  periodo  di  tempo  dall'accertamento  dell'invalidita',
l'assicurato   possa   non   essere  piu'  in  grado  di  far  valere
adeguatamente  i  propri  interessi nella procedura amministrativa di
rettifica  (ad esempio a causa della difficolta' di reperimento della
documentazione  medica dell'epoca), cosicche', sotto tale profilo, il
termine  decadenziale  si  configura  quale strumento - del resto ben
noto  all'ordinamento - di garanzia del cittadino nei confronti della
pubblica amministrazione.
    Dall'altro  lato  non vi e' dubbio che l'esigenza di certezza nei
rapporti  giuridici  puo'  tradursi,  nella specifica materia, in una
legittima  aspettativa,  da  parte  dell'assicurato in buona fede, di
stabilita' della prestazione previdenziale attribuita a seguito di un
regolare  procedimento accertativo e non rettificata entro un termine
ragionevole,   cosicche'  per  tale  aspetto  la  norma  realizza  un
contemperamento di interessi entrambi meritevoli di tutela.
        che,   poi,   l'inutile   decorso  del  termine  decadenziale
determini  -  come espressamente dispone il comma 3 - il mantenimento
di  una  prestazione  economica  astrattamente non dovuta costituisce
conseguenza  indiretta del meccanismo proprio della decadenza, di per
se' non incompatibile con il citato art. 38 della Costituzione.
    3.2.  -  E'  poi  da  escludersi,  sotto  altro  profilo,  che la
disciplina  in  esame  violi  il  principio  di  buon andamento della
pubblica amministrazione.
    Premesso,  infatti,  che  la  comparazione  tra  i maggiori oneri
presumibilmente derivanti dalla introduzione del termine decadenziale
ed i risparmi conseguenti alla probabile riduzione del contenzioso e'
senz'altro  riservata  alla discrezionale valutazione del legislatore
e,   quindi,  censurabile  solamente  nei  limiti  di  una  manifesta
irragionevolezza   che  nella  specie  non  e'  sicuramente  dato  di
ravvisare,  giova  comunque osservare che il pur ampio termine di cui
si  tratta  assolve  una  obiettiva  funzione  acceleratoria riguardo
all'esercizio   dei   poteri   attribuiti   all'INAIL   e,  pertanto,
rappresenta   uno   strumento  volto,  sia  pure  indirettamente,  ad
accrescere  l'efficienza  dell'Istituto  e  dunque a favorire il buon
andamento  della  sua azione, senza incidere, ovviamente, nel caso di
errore    non    tempestivamente    rettificato,    sulle   eventuali
responsabilita' individuali.
    4. - La questione di legittimita' costituzionale dei commi 5, 6 e
7  dello  stesso  art. 9,  sollevata  in riferimento all'art. 3 della
Costituzione, e' invece fondata.
    Tali  norme  -  come  si  e'  detto  -  consentono di impugnare i
provvedimenti di rettifica adottati nel vigore dell'art. 55, comma 5,
della  legge  9 marzo  1989,  n. 88  (Ristrutturazione  dell'Istituto
nazionale  della  previdenza  sociale  e  dell'Istituto nazionale per
l'assicurazione  contro  gli infortuni sul lavoro), che ne consentiva
l'adozione   senza   limiti   di   tempo,   al  fine  di  far  valere
retroattivamente  la  violazione  del termine decadenziale introdotto
dalla nuova disciplina.
    E'  senza  dubbio vero - come ricorda la difesa dell'INAIL - che,
secondo  la  costante  giurisprudenza  di questa Corte, il divieto di
retroattivita'   della   legge   non  e'  stato  elevato  a  precetto
costituzionale,   salva,   per   la  materia  penale,  la  previsione
dell'art. 25 della Costituzione.
    Questa  stessa  Corte  ha tuttavia costantemente precisato che la
retroattivita'  deve comunque trovare giustificazione sul piano della
ragionevolezza  e  non  puo' trasmodare in regolamento irrazionale di
situazioni  sostanziali fondate su leggi anteriori (si vedano, tra le
tante, la sentenza n. 446 del 2002 e la sentenza n. 416 del 1999).
    Nel  caso  di specie, l'irragionevolezza della disposizione - sia
per  quanto  si riferisce ai «casi prescritti o definiti con sentenza
passata  in giudicato», sia per quanto riguarda i casi non prescritti
o  non  definiti  da  giudicato  - e' di tutta evidenza, in quanto e'
l'istituto  stesso  della  decadenza  che  per sua natura non tollera
applicazioni  retroattive,  non  potendo logicamente configurarsi una
ipotesi  di estinzione del diritto (o, come nella specie, del potere)
per mancato esercizio da parte del titolare, in assenza di una previa
determinazione  del  termine  entro il quale il diritto (o il potere)
debba essere esercitato.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    a) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 5,
6  e 7, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni
in  materia  di  assicurazione  contro  gli infortuni sul lavoro e le
malattie  professionali,  a  norma  dell'articolo 55,  comma 1, della
legge 17 maggio 1999, n. 144);
    b)   dichiara   non   fondata   la   questione   di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 9,  commi 1,  secondo  periodo,  e  3 dello
stesso decreto legislativo, sollevata, in riferimento agli artt. 38 e
97  della Costituzione, dal giudice unico del lavoro del Tribunale di
Treviso con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                        Il redattore: Marini
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 10 maggio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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