N. 192 SENTENZA 5 - 10 maggio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Lavoro  e  previdenza  (controversie  in  materia  di)  -  Lavoratori
  agricoli  - Elenchi nominativi - Mancata inclusione o cancellazione
  dagli  stessi  -  Esperimento  dell'azione giudiziaria - Termine di
  decadenza  di  centoventi  giorni  -  Denunciata irragionevolezza e
  disparita'   di   trattamento   rispetto   agli   altri  lavoratori
  subordinati,  lesione  del diritto alle prestazioni previdenziali -
  Non fondatezza della questione.
- D.L.  3 febbraio  1970,  n. 7 (convertito, con modificazioni, nella
  legge 11 marzo 1970, n. 83) art. 22, primo comma.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma.
(GU n.20 del 18-5-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
Giudici: Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco
BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano
VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA,
Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel    giudizio    di   legittimita'   costituzionale   dell'articolo
dell'art. 22,  primo  comma,  del decreto-legge 3 febbraio 1970, n. 7
(Norme  in  materia  di  collocamento  e  accertamento dei lavoratori
agricoli),  convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo 1970,
n. 83,  promosso  con  ordinanza  del 26 luglio 2002 dal Tribunale di
Lecce  nel  procedimento  civile  vertente  tra  Mighali Annunziata e
l'INPS,  iscritta  al n. 436 del registro ordinanze 2003 e pubblicata
nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258, 1ª serie speciale,
dell'anno 2003.
    Visti   l'atto   di  costituzione  dell'INPS  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2005 il giudice relatore
Alfio Finocchiaro;
    Udito  l'Avvocato  dello  Stato Giuseppe Nucaro per il Presidente
del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Tribunale  di Lecce, con ordinanza del 26 luglio 2002,
pervenuta a questa Corte il 28 maggio 2003 (r.o. n. 436 del 2003), ha
sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 22,
primo  comma,  del  decreto-legge  3 febbraio  1970,  n. 7  (Norme in
materia  di  collocamento  e  accertamento  dei lavoratori agricoli),
convertito,  con  modificazioni, nella legge 11 marzo 1970, n. 83, in
riferimento  agli articoli 3, primo comma, e 38, secondo comma, della
Costituzione.
    La  questione  e'  sorta  nel  corso  di  un giudizio promosso da
Annunziata  Mighali,  tendente ad ottenere l'accertamento del proprio
diritto  ad  essere  iscritta negli elenchi nominativi dei lavoratori
agricoli   di   cui  al  regio  decreto  24 settembre  1940,  n. 1949
(Modalita'  di accertamento dei contributi dovuti dagli agricoltori e
dai  lavoratori  dell'agricoltura  per le associazioni professionali,
per  l'assistenza  malattia, per l'invalidita' e la vecchiaia, per la
tubercolosi,  per  la  nuzialita'  e  natalita'  per  l'assicurazione
obbligatoria  degli  infortuni  sul  lavoro  in  agricoltura e per la
corresponsione    degli    assegni   familiari,   e   modalita'   per
l'accertamento   dei   lavoratori   dell'agricoltura),  e  successive
modificazioni,  per  aver  svolto  nel  1993 lavoro subordinato quale
bracciante  agricola a tempo determinato per un numero complessivo di
51  giornate.  Annunziata Mighali, dopo aver inutilmente richiesto al
Servizio   CAU   di  essere  inclusa  negli  elenchi  nominativi  dei
lavoratori  agricoli di cui al citato r.d. n. 1949 del 1940, ed avere
percio'  proposto  ricorso  amministrativo  alla Commissione centrale
preposta  al  CAU, aveva impugnato, con ricorso al Tribunale di Lecce
in  funzione di giudice del lavoro, il provvedimento di diniego della
inclusione  in  detti elenchi - provvedimento divenuto definitivo, ai
sensi  dell'art. 11  del  d.lgs.  11 agosto  1993, n. 375 (Attuazione
dell'art. 3,  comma 1,  lettera  aa,  della  legge  23 ottobre  1992,
n. 421),  per  effetto  del  silenzio  protrattosi per novanta giorni
dalla proposizione del predetto ricorso amministrativo - rivendicando
il proprio diritto di iscrizione negli elenchi, condicio sine qua non
per  il  conseguimento  di  benefici  previdenziali  da  parte  della
categoria di lavoratori cui apparteneva la ricorrente.
    Con riferimento alla rilevanza nel giudizio a quo della questione
sollevata,  il  Tribunale  ha osservato che il pacifico decorso di un
lasso  di  tempo superiore a centoventi giorni tra il perfezionamento
del  provvedimento amministrativo definitivo di rigetto della domanda
di  inclusione negli elenchi condurrebbe, in applicazione della norma
sospettata  di  illegittimita'  costituzionale,  ad  una pronuncia di
inammissibilita'   della   domanda   della   Mighali   per  decadenza
dall'azione  giudiziaria,  con conseguente, definitiva compromissione
della   tutela   giurisdizionale  del  diritto  all'iscrizione  negli
elenchi, presupposto imprescindibile per il conseguimento di benefici
previdenziali.
    In   ordine  alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione
sollevata,  il  rimettente ritiene che la previsione di un termine di
decadenza di soli centoventi giorni sia in contrasto con il principio
di  uguaglianza-ragionevolezza  di cui all'art. 3, primo comma, della
Costituzione, e con l'art. 38, secondo comma, Cost.
    Il   termine   di   paragone,  nel  raffronto  con  il  quale  si
evidenzierebbe  la  disparita'  di  trattamento,  sarebbe costituito,
anzitutto,  dalla situazione della generalita' degli altri lavoratori
subordinati, per i quali l'ordinamento previdenziale non pone analoga
preclusione,  se  si  eccettuano  i  termini  -  comuni ai lavoratori
agricoli  -  di decadenza, triennale ed annuale, sanciti dall'art. 47
del  d.P.R.  30 aprile  1970, n. 639, come modificato dall'art. 4 del
d.l.   19 settembre  1992,  n. 384,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1,  primo  comma,  della  legge  14 novembre  1992, n. 438,
rispettivamente   per  le  controversie  in  materia  di  trattamenti
pensionistici   e   per  quelle  aventi  ad  oggetto  le  prestazioni
previdenziali temporanee.
    Secondo   il   rimettente,   per   i  lavoratori  agricoli,  gia'
penalizzati dalla parziale deroga al principio di automaticita' delle
prestazioni  previdenziali per effetto della necessita' di iscrizione
negli  elenchi  ai  fini  della  fruizione  delle prestazioni stesse,
potrebbe di fatto verificarsi un'abbreviazione di tali ultimi termini
nella  ipotesi in cui durante la pendenza degli stessi sopravvenga un
provvedimento  di  cancellazione  del  lavoratore  dagli  elenchi  di
pertinenza,  cio' che imporrebbe, avuto riguardo alla sanzione di cui
all'art. 22  impugnato,  una  reazione  molto piu' tempestiva per non
perdere il diritto alla prestazione.
    Ritiene  il  giudice  a  quo  che,  anche  qualora  si  consideri
giustificato  il  sistema  degli elenchi nominativi in considerazione
della  obiettiva  difficolta' di rilevamento della effettivita' della
prestazione   in   un   settore  peculiare,  quale  quello  agricolo,
caratterizzato  dall'essere l'attivita' lavorativa spesso discontinua
e  prestata  in  favore di una pluralita' di diversi datori di lavoro
nel  corso  dell'anno,  e  si consideri legittima la previsione di un
termine decadenziale per contestare i provvedimenti amministrativi di
non  inclusione  o  di  cancellazione  in  ragione  di  una oggettiva
difficolta'  di  accertamento  dei  fatti,  resterebbe pur sempre una
ingiustificata disparita' di trattamento rispetto anche ai lavoratori
autonomi   del   settore   commerciale,  per  i  quali,  pur  essendo
condizionato  per  legge  il  diritto  di  conseguire  le prestazioni
previdenziali  all'iscrizione nei relativi elenchi, non sono tuttavia
previsti  dalla  legge  termini  di  decadenza  per adire l'autorita'
giurisdizionale  avverso  i  provvedimenti  amministrativi di rigetto
della domanda di iscrizione o di cancellazione.
    Il  rimettente  sottolinea,  infine,  le  gravi  conseguenze  che
potrebbero  derivare  dalla  preclusione  della  possibilita'  di far
valere  in  via  giudiziale  l'accertamento  della effettivita' della
prestazione di lavoro subordinato agricolo ed il correlato diritto di
iscrizione  negli  elenchi  anagrafici  dei  lavoratori agricoli, con
conseguente  perdita definitiva di accreditamenti contributivi spesso
decisivi per l'accesso ai benefici previdenziali, ivi compresi quelli
pensionistici.
    2. - Nel giudizio innanzi alla Corte si e' costituito l'INPS, che
ha   concluso   per  la  inammissibilita'  o  la  infondatezza  della
questione.   L'Istituto   cita   alcune   decisioni  della  Corte  di
cassazione,   che  hanno  vagliato  le  eccezioni  di  illegittimita'
costituzionale  dell'art. 22  del  d.l.  n. 7  del 1970, formulate in
riferimento  agli  artt. 3,  24,  35,  36,  113  della  Costituzione,
escludendo  la lesione dei citati parametri, e rileva che l'ordinanza
del  Tribunale  di  Lecce non aggiunge alcun profilo nuovo rispetto a
quelle   eccezioni  gia'  esaminate  dalla  Suprema  Corte.  Sarebbe,
inoltre,   erroneo  utilizzare,  quali  parametri  di  raffronto,  le
disposizioni    concernenti   le   prestazioni   previdenziali,   che
disciplinano fattispecie diverse da quella in esame. Le differenze di
disciplina   fra   lavoratori  autonomi,  commercianti  e  lavoratori
agricoli   subordinati  trovano  la  propria  ragion  d'essere  nella
circostanza  che  si  tratta  di  tipologie  differenti. Inconferente
sarebbe,  infine,  il  richiamo  al  secondo comma dell'art. 38 della
Costituzione,  in quanto il termine decadenziale di cui si tratta non
inciderebbe sui mezzi di tutela riservati al lavoratore.
    3.  - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  che  ha  concluso per la inammissibilita' della questione per
difetto   di   rilevanza,   ai  sensi  della  ordinanza  della  Corte
costituzionale  n. 88  del  1988,  o  per  la  sua  infondatezza.  Al
riguardo,   si  esclude  il  vulnus  all'art. 3  della  Costituzione,
rilevandosi che il legislatore puo' ben prevedere diversi trattamenti
pensionistici e previdenziali in funzione della diversa struttura del
rapporto,   ed  all'art. 38  della  Costituzione,  potendo  la  legge
prevedere diverse misure per assicurare l'adeguatezza del trattamento
pensionistico.  Per  quanto  riguarda,  in  particolare,  la rilevata
disparita'  di  trattamento  dei  lavoratori  agricoli  rispetto alla
generalita'  dei  lavoratori,  rileva  l'Avvocatura  che  nel settore
agricolo l'attivita', oltre ad essere discontinua nel corso dell'anno
solare,  puo'  essere  collegata  ad  una  pluralita' di rapporti con
datori  di  lavoro diversi, rendendo, cosi', necessaria una procedura
unificata  di  accertamento e di riscossione di contributi al fine di
rendere   possibile   la   puntuale   costituzione   della  posizione
assicurativa  di  ogni singolo lavoratore: di qui la iscrizione negli
elenchi  anagrafici.  Ne'  sembra  alla  difesa erariale che si possa
rinvenire  alcuna  disparita'  di trattamento, con riguardo ai rimedi
previsti  a  tutela  della  posizione  soggettiva  degli  interessati
avverso   provvedimenti   di   diniego   da   parte   degli  istituti
assicurativi,  rimedi  sottoposti  a  termini di decadenza, di cui si
esige  il  rispetto  per  la  certezza  dei  rapporti giuridici e per
necessita' di ordine tecnico assicurativo e di equilibrio finanziario
delle gestioni previdenziali.
    Quanto alla pretesa violazione dell'art. 38, secondo comma, della
Costituzione,  rileva  l'Avvocatura  che  le  prevalenti  esigenze di
certezza    del    diritto   e   tempestivita'   degli   accertamenti
escluderebbero  ogni  compressione  della  garanzia  del  diritto  di
azione,  trattandosi  di  normativa incidente solo sulle modalita' di
esercizio  della  tutela giurisdizionale. Del resto, si osserva nella
memoria,   l'ordinamento   previdenziale   ha  largamente  utilizzato
l'istituto della decadenza, in caso di necessita' di porre un termine
ultimativo all'esercizio di una facolta', allo scopo di dare certezza
ai rapporti assicurativi, impedendo di lasciare aperte situazioni che
richiedono tempestivita' di definizione per ragioni amministrative od
economiche.

                       Considerato in diritto

    1.   -   Il   Tribunale   di   Lecce  dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 22,  primo comma, del d.l. 3 febbraio 1970,
n. 7  (Norme in materia di collocamento e accertamento dei lavoratori
agricoli),  convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo 1970,
n. 83,  nella  parte  in  cui prevede un termine di decadenza di soli
centoventi  giorni  -  decorrenti  dalla notifica o dal momento della
conoscenza  del provvedimento - dall'azione giudiziaria nei confronti
dei  provvedimenti  definitivi relativi alla mancata inclusione negli
elenchi  nominativi  dei  lavoratori  agricoli  subordinati  a  tempo
determinato  di  cui al r.d. 24 settembre 1940, n. 1949 (Modalita' di
accertamento dei contributi dovuti dagli agricoltori e dai lavoratori
dell'agricoltura  per le associazioni professionali, per l'assistenza
malattia,  per  l'invalidita' e la vecchiaia, per la tubercolosi, per
la  nuzialita'  e  natalita'  per  l'assicurazione obbligatoria degli
infortuni  sul  lavoro  in  agricoltura e per la corresponsione degli
assegni  familiari,  e  modalita'  per  l'accertamento dei lavoratori
dell'agricoltura),    e   successive   modificazioni,   ovvero   alla
cancellazione dagli stessi, per violazione degli art. 3, primo comma,
e 38, secondo comma, della Costituzione.
    La   violazione  della  prima  norma  sarebbe  ravvisabile  nella
irragionevolezza  della  previsione del termine e nella disparita' di
trattamento   rispetto   alla   generalita'  degli  altri  lavoratori
subordinati, per i quali l'ordinamento previdenziale non pone analoga
preclusione,  fatti  salvi  i  termini,  comuni  anche  ai lavoratori
agricoli,  di decadenza triennale ed annuale sanciti dall'art. 47 del
d.P.R.  30 aprile 1970, n. 639 (Attuazione delle deleghe conferite al
Governo  con gli articoli 27 e 29 della legge 30 aprile 1969, n. 153,
concernente  la  revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in
materia  di  sicurezza  sociale),  come  modificato  dall'art. 4  del
decreto legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di
previdenza,  di  sanita'  e di pubblico impiego, nonche' disposizioni
fiscali)   convertito   nella   legge   14 novembre   1992,   n. 438,
rispettivamente   per  le  controversie  in  materia  di  trattamenti
pensionistici   e   per  quelle  aventi  ad  oggetto  le  prestazioni
previdenziali temporanee; nonche' rispetto ai lavoratori autonomi del
settore  commerciale, per i quali, pur essendo condizionato per legge
il  diritto di conseguire le prestazioni previdenziali all'iscrizione
nei relativi elenchi, non sono comunque previsti termini di decadenza
per la relativa azione giudiziaria.
    La  violazione  dell'art. 38,  secondo comma, della Costituzione,
sussisterebbe  in  quanto  il  termine decadenziale di cui si tratta,
avuto riguardo alla circostanza che il conseguimento del diritto alle
prestazioni  previste  dalla  invocata disposizione costituzionale in
favore  dei lavoratori agricoli e' subordinato alla condicio sine qua
non  della  iscrizione  negli  elenchi  nominativi,  vulnererebbe  il
diritto alle prestazioni stesse.
    2. - La questione e' infondata.
    2.1. - Il sistema di accertamento e di riscossione dei contributi
per  i  lavoratori  agricoli,  differenziato  da  quello generale, fu
istituito   con   regio   decreto-legge   28 novembre  1938,  n. 2138
(Unificazione e semplificazione dell'accertamento e della riscossione
dei   contributi   dovuti   dagli   agricoltori   e   dai  lavoratori
dell'agricoltura  per le associazioni professionali, per l'assistenza
malattia,  per  l'invalidita' e la vecchiaia, per la tubercolosi, per
l'assicurazione   obbligatoria   degli   infortuni   sul   lavoro  in
agricoltura  e  per  la  corresponsione degli assegni familiari), che
previde   che   detti   contributi   fossero   stabiliti  sulla  base
dell'impiego  di mano d'opera per ogni azienda agricola, delegando il
Governo   a   determinare   le  modalita'  per  l'accertamento  e  la
riscossione  dei  contributi.  Fu  cosi' prevista, con il citato r.d.
n. 1949  del  1940  (art. 12),  la  compilazione  per  ogni comune di
elenchi   nominativi  dei  lavoratori  subordinati  dell'agricoltura,
distinti  per qualifiche. Il compito dell'accertamento dei nominativi
da  inserire negli elenchi, affidato dapprima a commissioni comunali,
fu  successivamente attribuito agli Uffici provinciali SCAU (Servizio
per   i  contributi  agricoli  unificati).  La  disciplina  e'  stata
successivamente modificata con il d.l. n. 7 del 1970, convertito, con
modificazioni,  nella  legge  n. 83  del  1970,  che, tra l'altro, ha
affidato  la compilazione di detti elenchi a commissioni locali della
mano  d'opera  agricola,  appositamente  costituite presso gli uffici
locali  di  collocamento,  poi sostituite da altri organi per effetto
delle successive disposizioni che hanno apportato ulteriori modifiche
al   sistema   di   accertamento  e  riscossione  dei  contributi  in
agricoltura.   Immutata   e'   rimasta   peraltro  la  norma  di  cui
all'art. 22,  primo comma, del citato d.l. n. 7 del 1970, convertito,
con  modificazioni,  nella legge n. 83 del 1970, la quale dispone che
«contro  i  provvedimenti  definitivi  adottati  in  applicazione del
presente  decreto  da  cui  derivi una lesione di diritti soggettivi,
l'interessato  puo' proporre azione davanti al pretore nel termine di
centoventi  giorni dalla notifica o dal momento in cui ne abbia avuto
conoscenza». Da tale norma deriva dunque la imposizione del censurato
termine  di  decadenza  dall'azione  giudiziaria  nei  confronti  dei
provvedimenti  definitivi  relativi  alla mancata inclusione negli (o
alla  cancellazione dagli) elenchi nominativi dei lavoratori agricoli
subordinati a tempo determinato.
    2.2.   -   Questa  Corte  ha  gia'  scrutinato,  con  riferimento
all'art. 3  della  Costituzione,  la  norma impugnata con l'ordinanza
n. 88  del 1988, dichiarando la manifesta infondatezza della relativa
questione sulla base del diritto vivente, ricordato anche dal giudice
a  quo,  secondo  cui  «l'art. 8 della legge 11 agosto 1973, n. 533 e
l'art. 148  disp. att. cod. proc. civ. hanno rimosso sia i termini di
decadenza  contenuti  nelle procedure amministrative, sia quelli che,
pur  se  estranei allo stretto ambito delle medesime - come i termini
posti   per   l'inizio   dell'azione   giudiziaria  -  sono  ad  esse
strettamente   collegati,   in   quanto   diretti   a   conferire  al
provvedimento  amministrativo  conclusivo  di  dette procedure natura
definitiva...»;  con  la  conseguenza  che  si  doveva  ritenere  che
l'inutile  decorso  del  termine  previsto  nel  citato  art. 22  non
esplicasse   piu'  «effetto  preclusivo  della  proponibilita'  della
domanda giudiziale».
    Peraltro,  come  osservato  anche  dal rimettente nel motivare la
rilevanza  della  questione  sollevata,  tale  soluzione  non e' piu'
proponibile  -  malgrado  la  contraria  tesi  sostenuta dalla difesa
erariale  -  dopo che il diritto vivente tenuto presente dalla citata
ordinanza  della  Corte  costituzionale  e'  stato  superato da altre
pronunce  della  Corte  di  cassazione che hanno elaborato un diverso
costante  indirizzo secondo il quale «il termine di centoventi giorni
previsto  dall'art. 22  d.l.  3 febbraio  1970  n. 7,  convertito con
modifiche  nella  legge  11 marzo  1970  n. 83,  per  la proposizione
dell'azione  giudiziaria  a  seguito  della notifica o della presa di
conoscenza  del  provvedimento  definitivo  di  iscrizione  o mancata
iscrizione   negli   elenchi   dei  lavoratori  agricoli,  ovvero  di
cancellazione  dai  suddetti elenchi, si configura come un termine di
natura  sostanziale,  senza possibilita' di sanatoria ex art. 8 della
legge  n. 533  del  1973,  e senza che la disposizione in esame possa
ritenersi implicitamente abrogata dall'art. 148 disp. att. cod. proc.
civ.» (v. Cass. n. 9595 del 1997; Cass. n. 5942 del 2001).
    2.3.  -  Partendo  dalla  premessa  circa  l'attuale  vigenza del
termine  di  decadenza  di  cui  alla  norma  impugnata, questa Corte
ritiene  di  dover  affermare  la infondatezza della censura relativa
alla  violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, per la
presunta  irragionevolezza  e disparita' di trattamento rispetto alla
generalita'  degli  altri  lavoratori  subordinati,  sulla  base  del
principio  gia'  altre  volte  enunciato,  e  che in questa sede deve
essere   confermato,   relativo   alla  impossibilita'  di  istituire
confronti  tra  sistemi previdenziali diversi (v. sentenze n. 297 del
1999  e  n. 166 del 1996), in quanto i diversi sistemi hanno una loro
specificita',  e  la circostanza che le relative discipline non siano
uniformi  non  lede  di per se' il principio di uguaglianza, salvo il
caso,  nella specie non sussistente, di una evidente irragionevolezza
della differenza di disciplina (cfr. sentenze n. 26 del 1980 e n. 454
del 1993).
    Per  ritenere  che  la  previsione  di  un  termine  di decadenza
dall'azione  giudiziaria  per  conseguire  il  diritto all'iscrizione
negli  elenchi  nominativi dia luogo ad una illegittima disparita' di
trattamento,  non  basta  osservare  che  in altri casi tale onere e'
escluso,  ma  occorrerebbe  dimostrare  la manifesta arbitrarieta' di
tale  differenza;  a  meno che si tratti di un onere tale da incidere
sostanzialmente  sulla  garanzia costituzionale di effettivita' della
tutela  previdenziale  (v.  le gia' citate sentenze n. 166 del 1996 e
n. 454 del 1993).
    Ne',  al fine di affermare l'irragionevolezza della previsione di
termini  decadenziali per insorgere in sede giurisdizionale avverso i
provvedimenti   amministrativi   di  non  iscrizione  dei  lavoratori
agricoli  negli  elenchi nominativi, o di cancellazione dagli stessi,
e'  sufficiente il richiamo alla disciplina prevista per i lavoratori
autonomi   del   settore   commerciale,  per  i  quali,  pur  essendo
condizionato  per  legge (legge 27 novembre 1960, n. 1397) il diritto
di  conseguire  le  prestazioni  previdenziali  alla  iscrizione  nei
relativi elenchi, non sono tuttavia fissati termini decadenziali.
    Il  sistema  degli  elenchi  nominativi dei lavoratori dipendenti
dell'agricoltura  - come del resto rilevato dallo stesso remittente -
e'  giustificato  dalla  obiettiva  difficolta'  di rilevamento della
effettivita'  della  prestazione  in un settore peculiare come quello
agricolo,  caratterizzato  dall'essere  l'attivita' lavorativa spesso
discontinua  e prestata in favore di una pluralita' di diversi datori
di lavoro nel corso dell'anno, cosi' come e' parimenti giustificata e
ragionevole   la  previsione  di  un  termine  di  decadenza  per  la
contestazione dei provvedimenti di cancellazione o di non inclusione,
in ragione di una oggettiva difficolta' di accertamento dei fatti.
    Cio'  posto,  la  finalita'  della  decadenza  in questione e' da
rinvenire  nella esigenza di accertare nel piu' breve tempo possibile
la   sussistenza  del  diritto  all'iscrizione  ed  alle  conseguenti
prestazioni, avuto riguardo alla circostanza che l'atto di iscrizione
negli  elenchi costituisce presupposto per l'accesso alle prestazioni
previdenziali  collegate  al  solo  requisito  assicurativo, quali la
indennita' di malattia o di maternita', e titolo per l'accredito, per
ciascun  anno, dei contributi corrispondenti al numero di giornate di
iscrizione negli elenchi stessi.
    Le  suesposte  considerazioni  danno conto della irrilevanza, sul
piano costituzionale, della lamentata disparita' di trattamento anche
rispetto ai lavoratori autonomi.
    2.4. - Parimenti infondata e' la censura relativa alla violazione
dell'art. 38,  secondo comma, della Costituzione, che viene ravvisata
nella  circostanza  che, essendo, nel caso dei dipendenti del settore
agricolo,   tutte  le  indennita'  e  prestazioni  considerate  dalla
invocata  disposizione  costituzionale  subordinate  alla  iscrizione
negli   elenchi   nominativi,   la   prevista  decadenza  dall'azione
giudiziaria per la contestazione dei provvedimenti di cancellazione o
di mancata inclusione in detti elenchi impedirebbe il godimento della
tutela costituzionalmente garantita.
    Nella  interpretazione  della  citata  disposizione dell'art. 38,
secondo comma, della Costituzione, questa Corte ha precisato che essa
attiene  all'adeguamento  dei  mezzi  di carattere previdenziale alle
esigenze  di  vita  dell'interessato,  piuttosto  che  alle modalita'
necessarie  a  conseguirli,  a  meno  che  esse  non  siano  tali  da
comprometterne  il conseguimento, ed ha ritenuto pienamente legittime
le  regole con cui, nel rispetto degli altri precetti costituzionali,
viene   condizionata   l'insorgenza  di  tali  diritti  o  di  questi
disciplinato  l'esercizio  (v.,  sul  punto, tra le altre le sentenze
n. 345  del  1999,  n. 71  del 1993, n. 203 del 1985, n. 33 del 1977,
n. 33 del 1974 e n. 10 del 1970).
    In particolare, sul tema della decadenza, in materia di computo a
domanda di servizi e periodi ai fini pensionistici, e' stato chiarito
che «non e' in contraddizione con il carattere di imprescrittibilita'
della  pensione  il  fatto  che  le  vicende  volte  a  determinare i
presupposti  di  consistenza  quantitativa o addirittura di esistenza
del  diritto  a  pensione si svolgano entro limiti temporali, ne' che
l'azionamento di tali vicende sia rimesso dalla legge alla iniziativa
dell'interessato: e cio' vale in particolare nei casi in
    cui,  come  nell'ipotesi  di  computo dei servizi pregressi, tali
vicende  comportino  l'assunzione  di oneri per il destinatario delle
prestazioni  (versamento  di contributi) ovvero di rischio per l'ente
erogatore  (utilizzazione  di  contributi  pregressi)....»  (sentenza
n. 197  del  1987).  La  stessa  sentenza  ha  ribadito  altresi'  il
principio,  costante  nella  giurisprudenza  della  Corte, secondo il
quale   «l'esercizio   di   ogni  diritto,  anche  costituzionalmente
garantito,   puo'   essere   dalla  legge  regolato  e  sottoposto  a
limitazioni,  sempre  che  tali  limitazioni siano compatibili con la
funzione   del   diritto   di  cui  si  tratta  e  non  si  traducano
nell'esclusione della effettiva possibilita' dell'esercizio di esso».
    Con  successiva  decisione (sentenza n. 345 del 1999, cit.) si e'
ritenuto  che  il fatto che all'onere della domanda per conseguire il
trattamento  di  quiescenza  si  colleghi un termine di decadenza «e'
frutto  di  una scelta discrezionale del legislatore, coerente con il
sistema  prescelto,  e  giustificabile  se  non  altro per ragioni di
certezza   della   situazione  finanziaria  dell'ente  erogatore  del
trattamento».
    Quanto, poi, al profilo della irragionevolezza del termine di cui
si  tratta  per  la  sua  brevita',  va  ribadito  che,  in  tema  di
valutazione  di  congruita' dei termini di decadenza, la incongruita'
puo' ammettersi solo quando il termine sia determinato in modo da non
rendere  effettiva  la  possibilita'  di esercizio del diritto cui si
riferisce,  e, di conseguenza, inoperante la tutela che si sia inteso
accordare al cittadino leso (v. sentenza n. 10 del 1970, cit.).
    E'  stato  poi  chiarito  che  «la  congruita'  di  un termine di
decadenza  -  sia  pure con riguardo alla garanzia costituzionale del
diritto  alla  difesa  -  deve  essere  valutata non solo in rapporto
all'interesse  di chi ha l'onere di osservarlo, ma anche con riguardo
alla funzione ad esso assegnata nell'ordinamento giuridico» (sentenza
n. 284 del 1985).
    Alla  stregua  delle  suesposte  argomentazioni, la questione non
merita accoglimento.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 22,  primo  comma,  del decreto-legge 3 febbraio 1970, n. 7
(Norme  in  materia  di  collocamento  e  accertamento dei lavoratori
agricoli),  convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo 1970,
n. 83,  sollevata, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 38,
secondo  comma,  della  Costituzione,  dal  Tribunale  di  Lecce  con
l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta il 5 maggio 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                      Il redattore: Finocchiaro
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 10 maggio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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