N. 200 SENTENZA 23 - 26 maggio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Regione  Marche  -  Sanita' pubblica - Accesso alle strutture private
  accreditate  -  Preventiva  autorizzazione  -  Mantenimento  in via
  provvisoria fino alla definizione dei previsti accordi - Denunciato
  contrasto  con  i  principi  fondamentali dello Stato in materia di
  accreditamento  e  di  libera  scelta  della  struttura  sanitaria,
  lesione    del   canone   di   imparzialita'   e   buon   andamento
  dell'amministrazione - Non fondatezza della questione.
- Legge Regione Marche 17 luglio 1996, n. 26, art. 37, comma 3.
- Costituzione, artt. 97 e 117.
(GU n.22 del 1-6-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernanda CONTRI;
  Giudici:  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto CAPOTOSTI, Annibale
MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE
SIERVO,   Romano  VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,
Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 3,
della  legge della Regione Marche 17 luglio 1996, n. 26 (Riordino del
servizio  sanitario  regionale),  promosso con ordinanza del 17 marzo
2004  dal Tribunale amministrativo regionale delle Marche sul ricorso
proposto  da Vera Serroni - Laboratorio Analisi s.r.l. contro Azienda
USL  n. 11  di  Fermo  ed  altra,  iscritta  al  n. 581  del registro
ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 26, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visto l'atto di intervento della Regione Marche;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  22 febbraio  2005  il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
    Udito l'avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Tribunale  amministrativo  regionale delle Marche, con
ordinanza  del  17 marzo  2004,  ha  sollevato,  in  riferimento agli
artt. 97   e   117  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 37,  comma 3,  della  legge  della  Regione
Marche 17 luglio 1996, n. 26.
    2.   -   L'ordinanza   premette  che  la  ricorrente,  a  seguito
dell'entrata in vigore del regime dell'accreditamento delle strutture
sanitarie (art. 8, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 502),  ha  ottenuto  la  qualifica  di  «laboratorio accreditato».
Inoltre,  osserva  che  questo  regime prevede dei tetti di spesa per
l'erogazione delle prestazioni assistenziali e la Regione Marche, con
deliberazioni  della  Giunta  regionale  16 dicembre 1996, n. 3825, e
10 marzo  1997,  n. 625,  ha  provveduto  ad armonizzare i criteri di
rimborso delle prestazioni. L'Azienda unita' sanitaria locale (infra,
USL)  n. 11 di Fermo, con deliberazioni del Commissario straordinario
del 30 maggio 1997, n. 65 e del Direttore generale del 10 marzo 1997,
n. 875,  ha  fissato  il  budget  spettante  alla societa' ricorrente
relativo  all'anno 1996.  Il  direttore  generale dell'USL n. 11, con
provvedimento  del  6 febbraio  1998,  n. 2121,  ha disposto che, per
l'accesso al convenzionamento esterno, occorre fare riferimento «alle
modalita'  gia'  disciplinate» dalla norma regionale impugnata e che,
pertanto,  «dal  10 gennaio  1998,  saranno riconosciute ed ammesse a
rimborso solo quelle impegnative debitamente autorizzate dagli uffici
competenti» di questa USL.
    2.1.   -   Secondo  il  Tribunale  amministrativo  regionale,  il
provvedimento impugnato costituirebbe «pedissequa applicazione» della
norma  regionale  censurata  e,  in base alla disciplina vigente alla
data  della  sua  adozione,  le  convenzioni  tra  Servizio sanitario
nazionale  (SSN)  e strutture private erano state sostituite dal c.d.
accreditamento,  che avrebbe realizzato una situazione di parita' tra
strutture    pubbliche    e   private,   con   conseguente   facolta'
dell'assistito  di  scegliere  la  struttura  alla  quale rivolgersi,
indipendentemente  dagli  accordi  aventi  ad  oggetto  la  quantita'
presunta e la tipologia delle prestazioni erogabili (art. 2, comma 8,
della legge 28 dicembre 1995, n. 549).
    La  legge  della  Regione  Marche  n. 26  del 1996, ad avviso del
rimettente,  si  era inserita in questo quadro normativo, stabilendo,
con  la  norma censurata, che «fino alla definizione degli accordi di
cui  all'art. 5,  comma 4»,  e  cioe'  degli  accordi  concernenti la
negoziazione  dei servizi e delle prestazioni con i soggetti indicati
in  quest'ultima  disposizione, sulla base di tariffe e corrispettivi
definiti dalla Giunta regionale, nonche' sulla base del piano annuale
preventivo,  «restano valide le modalita' di accesso alle prestazioni
cosi'  come  disciplinate  dall'art. 19  della  legge  11 marzo 1988,
n. 67».
    La   norma   regionale  impugnata,  secondo  il  giudice  a  quo,
violerebbe l'art. 117 della Costituzione, in quanto, in contrasto con
i  principi  fondamentali  stabiliti nelle leggi dello Stato, avrebbe
reintrodotto,   sia   pure   in   via   provvisoria,   l'obbligo   di
un'autorizzazione    per    l'accesso    alle    strutture   private,
subordinandolo  all'insufficienza della struttura pubblica, mentre la
legge  statale avrebbe attribuito all'assistito la facolta' di libera
scelta,  non subordinandola all'accettazione del budget imposto dalla
USL alla singola struttura.
    Inoltre,   la   norma   regionale,   stabilendo  che,  una  volta
intervenuto l'accordo, sarebbe venuto meno il limite alla liberta' di
scelta,  permetteva  alla  amministrazione  di imporre alle strutture
private  le condizioni contrattuali ritenute opportune, attribuendole
in   tal   modo   l'arbitrario   potere   di   sospendere   di  fatto
l'accreditamento,  in  contrasto  con il canone di imparzialita' e di
buon andamento dell'amministrazione (art. 97 della Costituzione).
    2.2. - Il Tribunale amministrativo regionale ritiene la questione
rilevante,   nonostante   siano   sopravvenute   le   norme  indicate
nell'ordinanza  di questa Corte (n. 355 del 2001), che aveva disposto
la  restituzione degli atti in riferimento all'identica questione ora
riproposta dallo stesso giudice.
    Ad  avviso  del  rimettente,  la sopravvenuta legge della Regione
Marche  16 marzo  2000,  n. 20,  che ha disciplinato organicamente la
materia,  rimettendosi  in larga misura alle leggi dello Stato per la
disciplina  concernente  gli  accordi  o  procedure  negoziali per la
definizione  delle  prestazioni,  non  avrebbe  infatti modificato la
disposizione  impugnata  e,  quindi,  in  base  ad essa, il Direttore
generale  della USL n. 11 poteva adottare il provvedimento impugnato,
non  essendo  ipotizzabile  che  la  legge  ne  abbia  determinato la
«caducazione con efficacia retroattiva», sicche' la questione sarebbe
ancora rilevante.
    3.  - Nel giudizio si e' costituita la Regione Marche - parte nel
giudizio  principale  -,  in persona del Presidente pro tempore della
Giunta  regionale,  chiedendo  che  la  Corte  dichiari  la questione
infondata.
    La  resistente  premette  che  la tutela della salute costituisce
materia   attribuita  alla  potesta'  legislativa  concorrente  delle
Regioni,  ex  art. 117  della  Costituzione, gia' prima della riforma
realizzata  dalla  legge  costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3,  e
sostiene  altresi'  che  la  norma impugnata non contrasterebbe con i
principi fondamentali recati dalle leggi statali.
    Secondo   la   Regione  Marche,  dalla  legislazione  statale  si
ricaverebbe che la materia e' governata da due principi fondamentali:
l'accreditamento  e la libera scelta delle strutture accreditate, con
la  conseguenza  che la scelta dell'utente puo' cadere soltanto su di
una  struttura accreditata e convenzionata. Peraltro, il principio di
libera   scelta  non  avrebbe  l'estensione  ritenuta  dal  Tribunale
amministrativo regionale, in quanto il d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229,
ha   abrogato   l'art. 8,   comma 5,  del  d.lgs.  n. 502  del  1992,
introducendo   l'art. 8-bis,   che   ha  confermato  detto  principio
«nell'ambito  dei  soggetti  accreditati con cui siano stati definiti
appositi  accordi  contrattuali» (comma 2), che abbiano stipulato gli
accordi contrattuali di cui all'art. 8-quinquies (comma 3).
    A suo avviso, la norma sarebbe conforme anche ai principi vigenti
anteriormente alle innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 229 del 1999,
poiche'  nel  sistema  definito  dall'art. 8, commi 5 e 6, del d.lgs.
n. 502 del 1992 le Regioni e le USL dovevano adottare i provvedimenti
necessari  per  l'instaurazione  dei  nuovi  rapporti,  «fondati  sul
criterio  dell'accreditamento  delle  istituzioni, sulla modalita' di
pagamento  a  prestazione,  sull'adozione  del  sistema di verifica e
previsione  della  qualita'  delle  attivita'  svolte per prestazione
erogata».  Inoltre,  il  diritto  di  scelta,  secondo  un  principio
enunciato  da  questa  Corte, dovrebbe comunque essere bilanciato con
l'esigenza  di  realizzare  l'equilibrio nella gestione delle risorse
finanziarie pubbliche.
    La   norma   censurata,   conclude  infine  la  Regione,  neppure
violerebbe  l'art. 97  della  Costituzione,  in quanto l'interesse al
contenimento    delle    spese   sanitarie   giustifica   il   potere
dell'amministrazione  di  sospendere l'accesso alle strutture che non
accettino    i   limiti   di   compatibilita'   economica   stabiliti
dall'amministrazione,  occorrendo  peraltro  considerare che la norma
disciplina  l'accesso alle strutture accreditate in via transitoria e
nelle  more  della  definizione  degli accordi contrattuali. In altri
termini,  si  tratta  di  una  disciplina  di  carattere transitorio,
coerente    con    i   principi   di   programmazione   e   controllo
economico-finanziario  che le Regioni sono tenute ad attuare, che non
comprime il diritto alla salute del cittadino.
    3.1. - La Regione Marche, nella memoria depositata in prossimita'
dell'udienza pubblica, ha ribadito le argomentazioni svolte nell'atto
di costituzione, sottolineando, in particolare, che, secondo le norme
statali,  l'assistito  puo'  esercitare  la facolta' di libera scelta
esclusivamente  con  riferimento  alle  strutture  accreditate con le
quali  sono  stati  stipulati  gli  accordi contrattuali previsti dal
d.lgs. n. 229 del 1999.
    Inoltre,  a suo avviso, di pregnante rilievo, soprattutto al fine
di  escludere  il contrasto con l'art. 97 della Costituzione, sarebbe
la  circostanza,  sopra  gia'  indicata,  che la disciplina stabilita
dalla  norma  censurata  e'  applicabile  soltanto  nelle  more della
stipulazione degli accordi contrattuali con le strutture sanitarie.
    4.  -  All'udienza pubblica la Regione Marche ha insistito per la
dichiarazione di infondatezza della questione.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale amministrativo regionale delle Marche dubita
della  legittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 3, della legge
della  Regione  Marche  17 luglio  1996, n. 26 (Riordino del servizio
sanitario  regionale),  il  quale  dispone che, fino alla definizione
degli  accordi  di  cui  all'art. 5, comma 4, di detta legge, restano
valide   le   modalita'   di  accesso  alle  prestazioni  cosi'  come
disciplinate  dall'art. 19  della legge 11 marzo 1988, n. 67, e cioe'
che,  in  via  provvisoria,  resta  fermo  l'obbligo della preventiva
autorizzazione  per l'accesso alle strutture sanitarie non pubbliche,
entro i limiti ed i termini stabiliti da quest'ultima norma.
    Secondo il giudice a quo, la norma impugnata violerebbe anzitutto
l'art. 117  della Costituzione, dato che, in contrasto con i principi
fondamentali   stabiliti  nelle  leggi  dello  Stato  in  materia  di
accreditamento  e  di  libera  scelta  da  parte dell'assistito della
struttura   sanitaria   alla   quale  richiedere  l'erogazione  delle
prestazioni,  avrebbe reintrodotto l'obbligo di un'autorizzazione per
l'accesso  alle  strutture  private  accreditate, subordinando il suo
rilascio all'insufficienza della struttura pubblica.
    Inoltre,  a  suo  avviso, la norma regionale, stabilendo che, una
volta  intervenuto  l'accordo  previsto  dall'art. 5,  comma 4, della
stessa   legge,   viene  meno  il  limite  alla  liberta'  di  scelta
dell'assistito,   permetterebbe   alla  pubblica  amministrazione  di
imporre   a  dette  strutture  le  condizioni  contrattuali  ritenute
opportune,   attribuendole   in   tal  modo  l'arbitrario  potere  di
sospendere, di fatto, l'accreditamento, in contrasto con il canone di
imparzialita' e di buon andamento dell'amministrazione.
    2. - La questione non e' fondata.
    La  censura  in esame si incentra essenzialmente sulla violazione
dell'art. 117 della Costituzione, in quanto la disposizione regionale
impugnata  non  avrebbe  attribuito all'assistito, in contrasto con i
principi  fondamentali  della  legislazione  statale,  la facolta' di
«libera  scelta»  della  struttura  sanitaria, subordinandola invece,
nell'attesa di appositi accordi, al rilascio di un'autorizzazione per
l'accesso  alle  strutture private accreditate, che abbiano accettato
il budget imposto dalla USL territorialmente competente.
    Questa questione va esaminata tenendo conto dell'evoluzione della
disciplina  concernente il sistema di erogazione e retribuzione delle
prestazioni  specialistiche.  Ed  e'  proprio  alla stregua di questa
evoluzione  che,  nel  sistema  sanitario  nazionale, il principio di
libera  scelta  non  appare  affatto  assoluto, dovendo invece essere
contemperato   con   altri  interessi,  costituzionalmente  tutelati,
puntualmente  indicati  da  norme  di  principio  della  legislazione
statale.  Ed  invero,  gia'  nella prima fase della riforma sanitaria
l'accesso  alle  strutture  private  convenzionate  con  il  servizio
sanitario  nazionale era subordinato da varie norme statali - tra cui
proprio  l'art. 19  della legge 11 marzo 1988, n. 67, al quale rinvia
la  disposizione regionale impugnata - alla duplice condizione che il
servizio  pubblico  non  fosse in grado di soddisfare la richiesta di
prestazioni specialistiche entro quattro giorni dalla presentazione e
che    fosse    rilasciata    apposita   autorizzazione   dalla   USL
territorialmente competente.
    Anche   nel  successivo  regime  dell'accreditamento,  introdotto
dall'art. 8, comma 5, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, cosi' come
integrato dall'art. 6, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724,
il  quale  appare  improntato alla logica della parificazione e della
concorrenzialita'  tra  strutture  pubbliche  e strutture private, la
facolta'  di  libera  scelta  delle  strutture  e  dei professionisti
accreditati  e' esercitabile dall'assistito soltanto a condizione che
«risultino  effettivamente  in  possesso dei requisiti previsti dalla
normativa  vigente  e  accettino  il  sistema  della  remunerazione a
prestazione».
    Ulteriori  limiti  a  tale  facolta'  si hanno con l'art. 2 della
legge 28 dicembre 1995, n. 549, il quale al comma 8 stabilisce, nella
specificazione  dell'art. 1,  comma 32, della legge 23 dicembre 1996,
n. 662,  che  le  USL  competenti,  sulla  base  di  piani preventivi
regionali  che  fissano  anche il tetto massimo di spesa sostenibile,
contrattano  con  le  strutture  pubbliche  e  private  la  quantita'
presunta  e  la  tipologia delle prestazioni erogabili, anche al fine
degli oneri organizzativi e finanziari da sopportare. Successivamente
questo  indirizzo legislativo ha trovato altra conferma nell'art. 32,
comma 8,  della  legge  27 dicembre 1997, n. 449, che prevede che sia
una  delibera  regionale  a ripartire in via preventiva e contestuale
tra i soggetti accreditati il volume di prestazioni erogabili in base
alla programmazione.
    Appare  quindi  evidente  come  l'evoluzione  della  legislazione
sanitaria  fino a circa la meta' degli anni Novanta - per non dire di
quella   successiva  che  peraltro  non  rileva  nella  questione  di
costituzionalita'  in  esame  -  abbia messo in luce che, subito dopo
l'enunciazione  del principio della parificazione e concorrenzialita'
tra  strutture  pubbliche  e  strutture  private,  con la conseguente
facolta'   di   libera   scelta   da  parte  dell'assistito,  si  sia
progressivamente  imposto  nella  legislazione sanitaria il principio
della  programmazione, allo scopo di realizzare un contenimento della
spesa  pubblica  ed  una  razionalizzazione del sistema sanitario. In
questo  modo  si  e'  temperato  il  predetto  regime  concorrenziale
attraverso  i  poteri  di  programmazione  propri  delle Regioni e la
stipula di appositi «accordi contrattuali» tra le USL competenti e le
strutture interessate per la definizione di obiettivi, volume massimo
e  corrispettivo  delle  prestazioni erogabili (cfr. art. 8-quinquies
del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229).
    Le citate disposizioni si configurano dunque, secondo la costante
giurisprudenza   di   questa  Corte,  essenzialmente  come  norme  di
principio  della  legislazione  statale  dirette  a garantire ad ogni
persona  il  diritto  alla  salute  come  «un  diritto costituzionale
condizionato  dall'attuazione  che  il  legislatore  ordinario ne da'
attraverso  il  bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto
con  gli  altri  interessi costituzionalmente protetti», tenuto conto
dei  limiti  oggettivi  che  lo stesso legislatore incontra nella sua
opera  di  attuazione  in  relazione  alle  risorse  organizzative  e
finanziarie di cui dispone al momento (sentenze nn. 304 del 1994, 247
del     1992).    In    particolare,    dall'indicato    orientamento
giurisprudenziale si ricava che anche nel sistema dell'accreditamento
permangono  i poteri di controllo, indirizzo e verifica delle Regioni
e   delle  USL,  tanto  che  «la  liberta'  di  scegliere,  da  parte
dell'assistito,  chi  chiamare a fornire le prestazioni sanitarie non
comporta   affatto   una   liberta'  sull'an  e  sull'esigenza  delle
prestazioni»,  in  quanto  resta confermato il principio fondamentale
che  l'erogazione  delle prestazioni soggette a scelte dell'assistito
e'  subordinata  a formale prescrizione a cura del servizio sanitario
nazionale (sentenza n. 416 del 1995).
    Tutto  cio'  conferma  dunque  che  nella legislazione statale si
rinvengono le indicate disposizioni di principio, alla cui stregua le
Regioni,  nella  vigenza  sia del «vecchio» testo dell'art. 117 della
Costituzione sia del nuovo, debbono indirizzare la propria competenza
legislativa in materia. Sotto questo profilo, quindi, non sussiste la
violazione  dell'indicato  parametro costituzionale, poiche' la norma
censurata si conforma a quei principi. Oltre tutto la disposizione in
esame ha carattere transitorio e proprio nella stessa legge regionale
impugnata  si  prevedono forme di contrattazione - che sono alla base
di  diversi  piani  annuali  preventivi - che intercorrono tra Giunta
regionale e USL, da un lato, ed i vari soggetti accreditati, pubblici
e   privati,  erogatori  delle  prestazioni,  dall'altro.  La  natura
negoziale  di  questi accordi previsti dalla norma censurata esclude,
inoltre,  il preteso carattere di arbitrarieta' delle scelte poste in
essere  in questo settore dalle amministrazioni competenti, cosicche'
appare  insussistente  anche  la  censura formulata in riferimento ai
canoni  di  buon  andamento  e  imparzialita' prescritti dall'art. 97
della Costituzione.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 37,  comma 3,  della  legge  della Regione Marche 17 luglio
1996,  n. 26  (Riordino del servizio sanitario regionale), sollevata,
in  riferimento agli artt. 97 e 117 della Costituzione, dal Tribunale
amministrativo regionale delle Marche con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2005.
                        Il Presidente: Contri
                       Il redattore: Capotosti
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 26 maggio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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