N. 306 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 marzo 2005
Ordinanza emessa il 29 marzo 2005 dal tribunale di Genova nel procedimento penale a carico di Yatte Mbagnick Straniero e apolide - Espulsione amministrativa - Espulsione disposta per ingresso illegale - Reato di trattenimento, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento impartito dal questore - Nuova disciplina - Arresto da uno a quattro anni - Lesione del principio di ragionevolezza e di proporzionalita' della pena - Disparita' di trattamento rispetto a fattispecie analoghe di cui agli artt. 650 cod. pen. e 2 della legge n. 1423/1956 - Parita' di trattamento rispetto alle ipotesi piu' gravi di cui all'art. 13, comma 13-bis, del d.lgs. n. 286/1998 - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter, come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, della legge 12 novembre 2004, n. 271 [recte: decreto legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271]. - Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.(GU n.24 del 15-6-2005 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: Yatte Mbagnick, cittadino senegalese tratto in arresto il 29 novembre 2004, e' stato condotto dinanzi a questo giudice per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo in relazione al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/1998 e successive modifiche, perche', ricevuto in data 29 marzo 2004 l'ordine scritto del Questore di Genova di lasciare il territorio dello Stato italiano entro il termine di cinque giorni, ivi si tratteneva senza giustificato motivo in violazione dell'ordine predetto. All'udienza dell'11 marzo 2005 il p.m. ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/1998 e successive modifiche, per contrarieta' agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Cost. (v. memoria illustrativa). Dall'esame degli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento non pare possa profilarsi la sussistenza di un giustificato motivo all'inosservanza, da parte di Yatte Mbagnick dell'ordine impartitogli dal questore a seguito di decreto del Prefetto di Genova del 21 gennaio 2004; ordine personalmente notificato all'imputato in lingua francese in data 29 marzo 2004 ed in cui si da' atto dell'impossibilita' sia di eseguire l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera (per indisponibilita' del vettore o di altro mezzo idoneo), sia di trattenere l'imputato presso un centro di permanenza temporanea (per carenza di posti disponibili). In ordine all'istanza del pubblico ministero questo tribunale ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/1998 come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis della legge n. 271 del 12 novembre 2004 (che ha convertito in legge con modificazioni il d.l. n. 241 del 14 settembre 2004), nella parte in cui commina la pena della reclusione da uno a quattro anni, per sospetta violazione: a) dell'art. 3 Cost., sotto il duplice profilo dell'irragionevolezza della scelta legislativa in merito all'entita' della pena comminata e dell'ingiustificata disparita' di trattamento sanzionatorio rispetto a fattispecie analoghe; b) dell'art. 27, comma 3, Cost. perche' prevede una pena detentiva i cui limiti edittali appaiono, in quanto sproporzionati al disvalore dell'illecito, del tutto divergenti rispetto alla finalita' rieducativa del condannato. La questione assume rilevanza nel presente giudizio poiche', in caso di accoglimento della richiesta di condanna avanzata dal p.m., questo giudice dovrebbe infliggere una pena detentiva che pare in contrasto con le norme costituzionali sopra indicate. In merito al primo dei profili d'illegittimita' denunciati, si osserva che, sebbene dal controllo demandato alla Corte costituzionale sia escluso, ai sensi dell'art. 28 legge n. 87/1953, «ogni sindacato sull'uso del potere discrezionale del Parlamento», la stessa Corte ha piu' volte precisato che l'esercizio di detto potere «puo' essere censurato, sotto il profilo della legittimita' costituzionale, soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza» (cosi' Corte cost., sent. n. 409 del 1989; v., altresi' sentenza n. 62 del 1986; n. 84/1997; ordinanza n. 267 del 1999). Nel caso in esame, la scelta di inasprire la pena per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter del t.u. in tema di immigrazione (raddoppiando il minimo e quadriplicando il massimo originariamente previsti) appare arbitraria in quanto non sorretta da criteri logici e razionali, quale potrebbe essere un recente maggior allarme sociale determinato dalla presenza sul territorio dello Stato di stranieri clandestini. Ad avviso del giudicante, gli emendamenti apportati in sede di conversione del decreto-legge n. 241 del 14 settembre 2004 evidenziano come il rigore sanzionatorio introdotto, anziche' rispondere a mutate esigenze di politica criminale, abbia quale unica finalita' quella di surrettiziamente ripristinare l'arresto obbligatorio, la cui previsione, in relazione alla fattispecie incriminatrice in esame, e' stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 223 del 2004. Al riguardo pare opportuno ripercorrere brevemente l'iter che ha condotto alle modifiche da ultimo inserite nel testo unico in materia di immigrazione. Il decreto-legge n. 241 del 14 settembre 2004, come si legge dal preambolo, e' stato emanato sulla base della ritenuta «necessita' ed urgenza, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 15 luglio 2004, di modificare l'attuale disciplina in materia di espulsioni di immigrati clandestini, per assicurare piena efficacia alle garanzie previste dall'art. 13 della Costituzione anche per gli stranieri per i quali sia stato disposto l'accompagnamento alla frontiera e, contestualmente, prevedere adeguate misure per assicurare la massima celerita' dei provvedimenti di convalida e di esecuzione delle espulsioni». In attuazione di quanto deciso dalla Corte costituzionale con la sentenza su indicata, il decreto-legge n. 241/2004 ha infatti previsto, all'art. 1, comma 1, la sospensione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale sino alla decisione da parte del giudice di pace sulla convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera. Lo stesso art. 1 ha inoltre sostituito l'art. 14, comma 5-quinquies, del testo unico in materia di immigrazione (che prevedeva l'arresto obbligatorio ed il giudizio direttissimo sia in relazione al reato di inosservanza dell'ordine del questore di allontanarsi dal territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni, sia in relazione al reato di reingresso in Italia da parte dello straniero espulso), facendo venir meno la possibilita' di procedere ad arresto nei confronti degli stranieri inottemperanti al predetto ordine del questore (v. art. 1, comma 6, d.l. cit.). E' evidente che con tale ultima disposizione il legislatore ha inteso adeguarsi, non gia' alla sentenza n. 222 del 15 luglio 2004, bensi' a quella coeva con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita', per violazione degli artt. 3 e 13 Cost., dell'art. 14, comma 5-quinquies T.U. immigrazione «nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto» (v. sentenza n. 223 del 15. luglio 2004 ove il giudice delle leggi ha ritenuto la manifesta irragionevolezza della misura «precautelare» prevista dalla norma censurata, non essendo la stessa suscettibile di sfociare, in base al vigente ordinamento processuale, in alcun provvedimento coercitivo. Sul punto si veda la Relazione governativa al decreto-legge, in cui si precisa che «in relazione alla sentenza n. 223 del 2004 della Corte costituzionale ... il decreto provvede a rimodulare il testo della norma censurata, escludendo il reato di cui al comma 5-ter dalla disposizione che impone l'arresto»). In sede di conversione del decreto-legge n. 241/2004, il legislatore, tra le altre modifiche apportate, ha: 1) reintrodotto l'arresto obbligatorio per la violazione dell'ordine del questore di allontanarsi dal territorio nazionale (salva l'ipotesi in cui il provvedimento di espulsione dello straniero destinatario dell'intimazione del questore, sia stato emesso «perche' il permesso di soggiorno e' scaduto da piu' di sessanta giorni e non ne e' stato richiesto il rinnovo»); 2) modificato l'originario trattamento sanzionatorio per il reato suddetto, stabilendo la reclusione da uno a quattro anni, in luogo dell'originaria pena dell'arresto da sei mesi ad un anno, attualmente riservata al solo caso in cui l'espulsione sia stata decretata per scadenza del permesso di soggiorno di cui non e' stato richiesto il rinnovo (cfr. art. 1, comma 5-bis). Appare dunque evidente - nonostante nel corso dei lavori preparatori tali emendamenti siano stati presentati quale attuazione della pronuncia n. 223 della Corte costituzionale (cfr., ad esempio, relazione 1ª Commissione in sede referente del 26 ottobre 2004) - che solo mediante un adeguamento del limite edittale massimo per il reato di inosservanza dell'ordine del questore a quello previsto dall'art. 280 cod. proc. pen. ai fini dell'adozione di una misura cautelare coercitiva (e, in particolare, a quello previsto per la custodia cautelare in carcere), il legislatore ha potuto reintrodurre l'arresto obbligatorio dell'autore del fatto, che lo stesso decreto-legge oggetto di conversione, in ossequio - esso si' - alla pronuncia della Consulta, aveva eliminato dal previgente testo unico in materia di immigrazione. La misura della pena comminata per il reato in questione risulta in contrasto con l'art. 3 Cost., non solo perche' priva di una giustificazione realmente connessa ad un mutamento del fenomeno dell'immigrazione clandestina (che, attraverso la normativa contenuta nel testo unico n. 286/1998, s'intende contrastare), ma anche perche' non ragionevolmente rapportabile al tipo di illecito. La violazione sanzionata e' invero un reato di pericolo, la cui incriminazione ha lo scopo di «rendere effettivo il provvedimento di espulsione, rimuovendo situazioni di illiceita' o di pericolo correlate alla presenza dello straniero nel territorio dello Stato» (cosi': Corte cost., ordinanza n. 302/2004). E' pur vero che l'art. 14, comma 5-ter, prevede un'ampia cornice edittale, si' da astrattamente consentire l'irrogazione di una risposta punitiva modulata sulle singole concrete fattispecie. Cio' nonostante, il minimo di un anno di reclusione appare sproporzionato per eccesso rispetto ai casi in cui il soggetto attivo del reato non risulta in concreto socialmente pericoloso. Il principio di proporzionalita' tra pena e gravita' del fatto (recentemente recepito nella Carta costituzionale europea: v. art. II-109, comma 3), come piu' volte precisato dal Giudice delle leggi, e' espressione del piu' generale principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., la cui osservanza da parte del Legislatore fa si' «che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali» (cosi' Corte cost. n. 409/1989; si veda altresi' sentenza n. 84 del 1997, in cui la Corte, ribadendo che «la valutazione di adeguatezza delle sanzioni penali in relazione alla gravita' dell'illecito spetta alla ... discrezionalita' del legislatore, col limite della non irragionevolezza», ha ritenuto non fondata la questione di legittimita' dell'art. 93 del d.P.R. n. 570/1960, poiche' la norma impugnata commina pene determinate solo nel massimo e non nel minimo, consentendo, dunque, che fatti di minore gravita' siano puniti in concreto con le pene previste dagli articoli 23 e 24 cod. pen.). A dimostrazione dell'incongruenza del rapporto tra disvalore del fatto incriminato e sanzione penale comminata dall'art. 14, comma 5-ter, vale altresi' il raffronto tra detta disposizione e quella contenuta nell'art. 13, comma 13-bis, primo periodo d.lgs. n. 286/1998, che parimenti punisce con la reclusione da uno a quattro anni il trasgressore del divieto di reingresso nello Stato italiano conseguente ad un'espulsione disposta dal giudice e rispetto alla quale, singolarmente, il legislatore del 2004 non ha avvertito l'esigenza di inasprire il trattamento sanzionatorio. Eppure trattasi di una condotta criminosa piu' grave rispetto a quella delineata dall'art. 14, comma 5-ter, sia perche' implica un comportamento attivo da parte dello straniero gia' espulso, sia - soprattutto - perche' realizzata da un soggetto concretamente pericoloso per la collettivita' o che, comunque, e' gia' stato raggiunto da una sentenza di condanna. Ai sensi degli artt. 15 e 16, d.lgs. n. 286/1998, l'espulsione viene infatti disposta dall'autorita' giudiziaria: 1) a titolo di misura di sicurezza nei confronti dello straniero, socialmente pericoloso, condannato per uno dei delitti di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p.; 2) a titolo di sanzione sostitutiva di una pena detentiva non superiore a due anni, sempre che non sia possibile formulare nei confronti dello straniero condannato una prognosi di non recidiva; 3) a titolo di misura alternativa alla detenzione nei confronti dello straniero condannato e che debba scontare una pena, anche residua, non superiore a due anni. Appare arduo comprendere la ragione della scelta di riservare una pena identica a fatti criminosi che lo stesso legislatore, solo nel luglio 2002, aveva diversamente apprezzato sotto il profilo della lesione dell'interesse pubblico tutelato, tanto da configurare l'uno (il ritorno in Italia dello straniero coattivamente espulso a seguito di provvedimento giurisdizionale) un delitto, l'altro (l'inosservanza dell'intimazione del questore ad allontanarsi dal territorio nazionale) una fattispecie meramente contravvenzionale da punire con l'arresto da sei mesi ad un anno. Un'ulteriore violazione del principio costituzionale di uguaglianza (che impone un trattamento differenziato per situazioni non omogenee) e' ravvisabile ponendo a raffronto le pene comminate dalla norma impugnata e quelle comminate dall'art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, che punisce il reingresso in Italia dello straniero, gia' denunciato per il medesimo fatto e coattivamente espulso. In relazione a tale ultima fattispecie incriminatrice il legislatore del 2004 ha per vero inciso sulla pena, limitandosi tuttavia ad innalzare il solo limite massimo edittale (che e' passato da quattro a cinque anni di reclusione), lasciando invece invariato il limite minimo di un anno. La diversa gravita' delle condotte in esame, anche in questo caso, non era sfuggita al legislatore del 2002, che aveva infatti riservato alle stesse un trattamento sanzionatorio ben differenziato sotto il profilo qualitativo e quantitativo. Anche il lieve «ritocco» apportato, per rimarcare quella che il legislatore non puo' che continuare a considerare ipotesi piu' grave, non rispetta il rapporto tra i limiti (minimo e massimo) di pena, che in origine opportunamente distingueva le due fattispecie incriminatici. Ad avviso del tribunale, appare comunque del tutto irragionevole punire con lo stesso minimo edittale sia lo straniero inottemperante all'ordine del questore, sia lo straniero che, gia' denunciato per analogo reato (con cio' solo dimostrando una maggiore pericolosita' sociale), ritorna in Italia dopo esserne stato due volte espulso manu militari. L'entita' della pena comminata risulta irragionevolmente sproporzionata per eccesso non solo se rapportata alle scelte complessivamente operate dal legislatore in sede di conversione del decreto-legge n. 241/2004, ma anche se raffrontata a quella prevista in relazione a fattispecie criminose analoghe sotto il profilo oggettivo e del bene giuridico tutelato. Il richiamo va all'art. 650 c.p. che punisce l'inosservanza di un provvedimento dell'autorita'. Lo scarto sanzionatorio esistente tra le pene previste dall'art. 14, comma 5-ter e quelle comminate dall'art. 650 c.p. (arresto fino a tre mesi o ammenda) appare difficilmente giustificabile a fronte di una condotta illecita sostanzialmente omogenea: l'inosservanza di un provvedimento emesso dalla pubblica autorita' per motivi di sicurezza pubblica o di ordine pubblico (ragioni che, ai sensi dell'art. 13, comma 1, d.lgs. n. 286/1998, legittimano un decreto di espulsione dello straniero parte del Ministro dell'interno) e' infatti punita in maniera significativamente piu' severa se autore della violazione e' un cittadino extracomunitario illegalmente presente sul territorio nazionale. Ne' varrebbe obiettare, per escludere l'irragionevolezza della scelta legislativa, che le due norme poste a raffronto fanno parte di distinti contesti legislativi, posto che «il canone della ragionevolezza deve trovare applicazione non solo all'interno di singoli comparti normativi, ma anche con riguardo all'intero sistema» (v. in tal senso: Corte cost., sentenza cit. n. 84/1997). La denunciata violazione del principio di proporzionalita' lede altresi' il precetto costituzionale di cui all'art. 27, comma 3 Cost., poiche', come affermato dalla Corte costituzionale, «l'adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti - in termini di uguaglianza e/o differenziazione di trattamento - e' strumento per una determinazione della pena quanto piu' possibile "finalizzata", nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma, Cost.» (sentenza n. 50 del 1980). Invero, una sanzione non corrispondente al disvalore del fatto (nel caso di specie, sperequata per eccesso) sarebbe avvertita dall'autore del reato come non «meritata» e, dunque, lungi dal rieducarlo, lo indurrebbe ad ulteriori atteggiamenti di trasgressione alla legge.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 27, comma 3, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter del d.lgs. n. 286/1998, come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui commina la pena della reclusione da uno a quattro anni nei confronti dello straniero che, senza giustificato motivo, si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore. Manda la cancelleria affinche' gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale. Sospende il giudizio in corso. Manda la cancelleria affinche' notifichi al Presidente del Consiglio dei ministri e comunichi ai Presidenti delle due Camere del Parlamento l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Genova, addi' 29 marzo 2005. Il giudice: Bossi 05C0654