N. 221 SENTENZA 6 - 8 giugno 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Oggetto  del  giudizio - Clausola negoziale meramente ricognitiva del
  vincolo imposto dalla legge - Eccezione di irrilevanza - Reiezione.
Arbitrato  -  Acquedotto  del Monferrato - Controversie relative alla
  costruzione  o  all'esercizio  -  Arbitrato  rituale obbligatorio -
  Preclusione  alle  parti  della  possibilita'  di  adire il giudice
  statuale - Illegittimita' costituzionale.
- R.D.L.  28 agosto  1930,  n. 1345 (convertito nella legge 6 gennaio
  1931, n. 80), art. 13.
- Costituzione,  artt. 24,  primo comma, 25, primo comma e 102, primo
  comma.
(GU n.24 del 15-6-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici:  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA, Annibale MARINI,
Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 13 del regio
decreto-legge  28 agosto  1930,  n. 1345  (Norme per la costruzione e
l'esercizio  dell'acquedotto  del Monferrato), convertito nella legge
6 gennaio 1931, n. 80, promosso con ordinanza del 4 febbraio 2004 dal
Tribunale  amministrativo regionale del Piemonte sul ricorso proposto
dal  Consorzio  dei  comuni  per  l'Acquedotto  del Monferrato contro
l'Acquedotto  Monferrato  S.p.A.,  iscritta  al  n. 512  del registro
ordinanze  del  2004  e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale della
Repubblica n. 23, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  costituzione  del  Consorzio dei comuni per
l'Acquedotto del Monferrato e dell'Acquedotto Monferrato S.p.A.;
    Udito nell'udienza pubblica del 3 maggio 2005 il giudice relatore
Romano Vaccarella;
    Uditi  gli avvocati Alberto Romano e Paolo Monti per il Consorzio
dei  comuni  per  l'Acquedotto del Monferrato e Mario Alberto Quaglia
per l'Acquedotto Monferrato S.p.A.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel  corso  di  un giudizio, promosso davanti al Tribunale
amministrativo  regionale  del  Piemonte dal Consorzio dei comuni per
l'Acquedotto  del  Monferrato nei confronti della Societa' Acquedotto
Monferrato  S.p.A.  per l'accertamento di crediti risarcitori vantati
dal Consorzio in conseguenza del mancato rilascio degli impianti alla
scadenza   della  concessione  per  l'esercizio  dell'acquedotto  del
Monferrato,  l'adito Tribunale, con ordinanza del 4 febbraio 2004, ha
sollevato,  in  riferimento  agli articoli 24, primo comma, 25, primo
comma,   e 102,   primo   comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 13  del  regio  decreto-legge
28 agosto  1930,  n. 1345  (Norme  per  la  costruzione e l'esercizio
dell'acquedotto  del  Monferrato),  convertito  nella legge 6 gennaio
1931,  n. 80, in quanto detta norma prevede un arbitrato obbligatorio
per  la  risoluzione  delle  controversie relative alla costruzione o
all'esercizio dell'acquedotto del Monferrato e all'applicazione dello
stesso decreto-legge.
    1.1.  -  In  punto di fatto, il giudice rimettente riferisce che,
essendo stata accertata con sentenza passata in giudicato la scadenza
(nel  1994)  della  concessione  per  l'esercizio dell'acquedotto del
Monferrato, la societa' concessionaria aveva manifestato l'intenzione
di  adire  il  collegio  arbitrale,  previsto dall'art. 13 del r.d.l.
n. 1345 del 1930, perche' fossero decise le questioni (e, tra queste,
le  pretese  risarcitorie  avanzate  dal  Consorzio)  pendenti tra le
parti;  sicche'  il  Consorzio aveva proposto ricorso giurisdizionale
per  l'accertamento  delle  sue  pretese  creditorie,  facendo valere
preliminarmente  l'incostituzionalita'  della  citata norma, a tenore
della quale «ogni controversia relativa alla costruzione od esercizio
dell'acquedotto  e  alla  applicazione del presente decreto, comprese
quelle  dipendenti dal riscatto ed escluse quelle di cui all'articolo
precedente, sara' decisa da un Collegio di tre arbitri, dei quali uno
scelto  dal  Consorzio,  altro  scelto  dalla  Societa'  ed  il terzo
nominato  dal  Ministro  per  l'interno di concerto con quello per le
finanze;  gli arbitri giudicheranno secondo le regole di diritto e la
sentenza  non  sara'  soggetta  ne'  ad  appello,  ne'  a  ricorso in
cassazione».
    1.2.  -  Quanto  alla rilevanza della questione, il giudice a quo
osserva  che  l'applicazione  della  norma  denunciata  precluderebbe
qualsiasi  pronuncia  in  rito  e  in  merito  dello stesso Tribunale
riguardo  alla controversia portata al suo esame, sicche' il giudizio
non  puo'  essere  definito,  prescindendo  dalla  risoluzione  della
sollevata questione di costituzionalita'.
    Osserva,  altresi',  che  l'obiezione  della  convenuta  Societa'
Acquedotto   Monferrato   S.p.A.,   secondo   cui   la   disposizione
dell'art. 13  del  r.d.l.  n. 1345 del 1930 sarebbe stata superata da
una  successiva manifestazione di volonta' delle parti, e' destituita
di  fondamento,  dal  momento  che  la  convenzione, stipulata fra il
Consorzio dei comuni e la societa' concessionaria il 14 ottobre 1935,
ha,  in  punto di arbitrato, semplicemente riprodotto, precisandone i
termini,  il  precetto  contenuto nella norma denunciata, cui ha dato
concreta esecuzione.
    Osserva, ancora, che non puo' ritenersi esistente un principio di
abrogazione   implicita  di  norme  anteriori  alla  Costituzione  in
contrasto   con  questa,  giacche',  come  e'  stato  chiarito  dalla
giurisprudenza  costituzionale  fin  dalla sentenza n. 1 del 1956, il
«nuovo»  istituto  della «illegittimita' costituzionale» si riferisce
non  solo  alle leggi posteriori alla Costituzione, ma anche a quelle
anteriori,  «sia  perche',  dal lato testuale, tanto l'art. 134 della
Costituzione  quanto  l'art. 1  della legge costituzionale 9 febbraio
1948, n. 1, parlano di questioni di legittimita' costituzionale delle
leggi,  senza  fare alcuna distinzione, sia perche', dal lato logico,
e'   innegabile   che   il  rapporto  tra  leggi  ordinarie  e  leggi
costituzionali  e  il  grado che ad esse rispettivamente spetta nella
gerarchia  delle  fonti  non mutano affatto, siano le leggi ordinarie
anteriori, siano posteriori a quelle costituzionali».
    Ne  consegue  che  e'  riservato  alla  Corte  costituzionale  il
giudizio  di  legittimita' costituzionale anche delle leggi anteriori
all'entrata in vigore della Costituzione.
    1.3. - Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il
giudice   rimettente  osserva  che  la  norma  denunciata  appare  in
contrasto  con  l'art. 24, primo comma, Cost., che garantisce a tutti
la  possibilita' di ricorrere al «sistema giudiziario» a tutela delle
proprie  ragioni;  con  l'art. 25,  primo  comma,  Cost., che pone la
garanzia dell'individuazione del «giudice naturale» in base a criteri
prederminati;  con  l'art. 102, primo comma, Cost., che stabilisce il
principio della unitarieta' della giurisdizione.
    Richiama,  al  riguardo,  il  costante  insegnamento  della Corte
costituzionale, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittime
specifiche  norme  di  legge  contenenti  la  previsione  di forme di
arbitrato obbligatorio per la risoluzione di controversie.
    2.  -  Si  e' ritualmente costituito in giudizio il Consorzio dei
comuni  per  l'Acquedotto  del Monferrato per sostenere la fondatezza
della questione di legittimita' costituzionale.
    Afferma  il  deducente che sembra del tutto scontato il contrasto
dell'art. 13  del  r.d.l.  n. 1345  del  1930 con gli artt. 24, primo
comma,  25,  primo  comma, e 102, primo comma, Cost., alla luce della
giurisprudenza  della  Corte costituzionale, la quale ha chiarito che
l'arbitrato  e'  legittimo  solo  se  fondato sulla concorde volonta'
delle   parti,  sicche'  sono  incostituzionali  le  norme  che,  non
consentendo  alle  parti di derogarvi con atto unilaterale, prevedono
arbitrati obbligatori.
    3.  -  Si  e'  ritualmente  costituita  in giudizio, altresi', la
Societa'  Acquedotto  Monferrato  S.p.A.,  che  ha  concluso  per  la
declaratoria di inammissibilita' o di infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale.
    Osserva   la  deducente  che  fra  le  parti  e'  intercorsa  una
convenzione, stipulata in data 14 ottobre 1935, con la quale e' stata
pattiziamente  regolata - al punto V - la competenza arbitrale per le
controversie,   che   potessero  insorgere  fra  le  parti  medesime,
precisando   quali   controversie   sarebbero  state  sottratte  alla
decisione  degli  arbitrie  quali altre, invece, sarebbero state loro
deferite.  Siffatta regolazione convenzionale vale a conferire natura
negoziale   e  pattizia  all'arbitrato  in  questione,  sicche',  non
versandosi,   nel   caso   in   esame,   nell'ipotesi  dell'arbitrato
obbligatorio,  la  questione  -  a  suo  avviso  -  e'  irrilevante e
infondata.
    Al   riguardo,   la  deducente  evidenzia  che  le  parti,  nella
convenzione,  non  si  sono  limitate  a  un mero richiamo, puramente
ripetitivo,  della  norma denunciata, ma, intendendo la previsione di
legge  come  una  norma dispositiva, hanno operato una libera opzione
negoziale,  scegliendo di rimettere al collegio arbitrale determinate
controversie.
    A   sostegno   della   sua   tesi,   la   deducente  richiama  la
giurisprudenza  della  Corte di cassazione, la quale, con riferimento
al  capitolato  generale  per  le  opere  pubbliche  e  all'arbitrato
obbligatorio   in  esso  previsto,  dichiarato  incostituzionale  dal
giudice delle leggi con la sentenza n. 152 del 1996, ha costantemente
ritenuto   sussistente   la  competenza  arbitrale  relativamente  ai
rapporti,  per  i quali detto capitolato fosse stato richiamato dalle
parti  in termini non meramente riproduttivi, ma volontaristici (cio'
in  particolare  per  gli enti locali, non tenuti normativamente alla
applicazione del medesimo capitolato).
    4.  -  In  prossimita' dell'udienza, entrambe le parti costituite
hanno presentato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.
    4.1.  - Il Consorzio dei comuni per l'Acquedotto del Monferrato -
richiamata  la  giurisprudenza  di  questa Corte in tema di arbitrato
obbligatorio   -   sostiene  che  l'incostituzionalita'  della  norma
denunciata discenderebbe altresi' da due suoi profili, implicitamente
dedotti dall'ordinanza di rimessione, relativi, rispettivamente, alla
sottrazione  alle  parti  del potere di designare il terzo arbitro ed
alla  esclusione  di  ogni  gravame nei confronti della pronuncia del
collegio arbitrale.
    4.2.  -  La  Societa'  Acquedotto Monferrato S.p.A. - ribadite le
ragioni  per  le  quali  la  questione di legittimita' costituzionale
sarebbe  irrilevante  -  ne  deduce, in subordine, l'infondatezza, in
quanto  la  norma  impugnata sarebbe suscettibile di interpretazione,
costituzionalmente   corretta,   nel   senso   della   facoltativita'
dell'arbitrato da essa previsto.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale amministrativo regionale del Piemonte dubita
della  legittimita'  costituzionale, in riferimento agli articoli 24,
comma  primo,  25 comma primo e 102, comma primo, della Costituzione,
dell'art. 13  del  regio decreto-legge 28 agosto 1930, n. 1345 (Norme
per  la  costruzione  e  l'esercizio dell'acquedotto del Monferrato),
convertito  nella  legge  6 gennaio 1931, n. 80, in quanto prevede un
arbitrato obbligatorio per la risoluzione delle controversie relative
alla  costruzione  o  all'esercizio  dell'acquedotto del Monferrato e
all'applicazione dello stesso decreto-legge.
    2.   -  Preliminarmente,  deve  essere  respinta  l'eccezione  di
irrilevanza   della  questione  proposta  dalla  Societa'  Acquedotto
Monferrato  S.p.A.  sulla  base  del rilievo che, nel caso di specie,
l'arbitrato  non  troverebbe  il  suo  fondamento nella legge, bensi'
nella  convenzione,  stipulata  nel  1935,  con  la  quale  le  parti
avrebbero  liberamente  disposto - sottraendovi talune controversie -
in   ordine   all'arbitrato,   quale   modo  di  risolvere  le  altre
controversie che sarebbero potute insorgere tra di esse.
    E' appena il caso di rilevare, in proposito, che la questione del
fondamento  -  legislativo  ovvero  negoziale  -  dell'arbitrato puo'
essere  esaminata  da  questa  Corte  esclusivamente sotto il profilo
dell'adeguatezza  della  motivazione  dell'ordinanza di rimessione in
punto  di  rilevanza  della  questione di legittimita' costituzionale
(sentenze  n. 47  del  2003,  n. 195 del 1999): e certamente non puo'
dirsi implausibile ovvero contraddetta dagli atti la conclusione, cui
perviene  il  giudice  a  quo, secondo la quale la clausola contenuta
nella  convenzione  e' meramente ricognitiva del vincolo imposto alle
parti dalla legge.
    3. - Passando al merito, la questione e' fondata.
    3.1. - Non e' contestabile che la norma denunciata disciplina una
ipotesi  di arbitrato rituale: cio' che e' reso evidente sia dall'uso
di  qualificazioni  tipiche  di  tale  istituto  (in  particolare, il
ricorso  al  termine  «giudicare» per designare il modo di formazione
della  «sentenza»  resa  dagli  «arbitri»,  «secondo  le  regole  del
diritto»)  sia  dal  chiaro  riferimento alla disciplina che l'allora
vigente  codice di procedura civile (del 1865) dedicava all'arbitrato
rituale  prevedendo  la possibilita' di proporre appello (art. 28) e,
poi,   ricorso   per   cassazione  (art. 31)  avverso  la  «sentenza»
arbitrale.
    Altrettanto  indubbio  e' che la formulazione della norma e' tale
da  escludere,  come  osserva  il  rimettente, ogni possibilita', per
entrambe  le parti, di adire i giudici statuali per la risoluzione di
qualsiasi controversia tra di esse potesse insorgere: e cioe' prevede
un  arbitrato  rituale  obbligatorio,  il  cui  lodo  -  emesso da un
collegio  di  tre  arbitri,  uno dei quali «nominato dal Ministro per
l'interno di concerto con quello per le finanze» - non e' impugnabile
per  violazione delle norme di diritto che gli arbitri sono tenuti ad
applicare.
    3.2.  -  Questa  Corte  fin  dalla  sentenza  n. 127 del 1977 (in
realta'  anche in precedenza; ma, nei casi allora sottopostile, aveva
escluso  che  si fosse in presenza di un vero arbitrato obbligatorio:
sentenze n. 62 del 1968 e n. 50 del 1966 ), ha osservato che, poiche'
la  Costituzione  garantisce  ad ogni soggetto il diritto di agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, «il
fondamento  di  qualsiasi  arbitrato  e'  da  rinvenirsi nella libera
scelta  delle parti: perche' solo la scelta dei soggetti (intesa come
uno  dei  possibili  modi  di  disporre, anche in senso negativo, del
diritto  di  cui  all'art. 24,  comma  primo, Cost.) puo' derogare al
precetto  contenuto  nell'art. 102, comma primo, Cost. [...], sicche'
la  «fonte»  dell'arbitrato  non  puo' piu' ricercarsi e porsi in una
legge ordinaria o, piu' generalmente, in una volonta' autoritativa».
    Tale  principio  e'  stato costantemente ribadito da questa Corte
con  le  sentenze  n. 325  del 1998, n. 381 del 1997, n. 54 del 1996,
numeri 232, 206 e 49 del 1994, n. 488 del 1991, e precisato nel senso
che,  anche qualora sia richiesto «l'accordo delle parti per derogare
alla  competenza arbitrale, si rimette pur sempre alla volonta' della
sola  parte  che  non  voglia  tale accordo derogatorio, l'effetto di
rendere  l'arbitrato  concretamente obbligatorio per l'altro soggetto
che non l'aveva voluto», essendo «sufficiente la mancata intesa sulla
deroga   della   competenza   arbitrale  per  vanificare  l'apparente
facoltativita' bilaterale dell'opzione» (sentenza n. 152 del 1996).
    3.3.  -  L'illegittimita'  costituzionale  della norma censurata,
pertanto,  risiede  nella circostanza che essa preclude alle parti la
possibilita'   di  adire  il  giudice  statuale,  essendo  totalmente
irrilevanti, viceversa, i profili relativi sia al regime del lodo sia
alla  composizione  del  collegio: purche' a ciascuna delle parti sia
assicurata  la  liberta'  di  sottrarsi  all'arbitrato previsto dalla
legge  o  da  una  fonte  eteronoma,  ben puo' essere prevista la non
impugnabilita'  del  lodo  per  errores in iudicando ovvero una certa
composizione  (purche'  rispettosa del principio di eguaglianza delle
parti:  cfr.  sentenza  n. 33  del  1995)  del collegio arbitrale, in
quanto  la  garanzia  costituzionale  attiene alla liberta' di scelta
dello  strumento  dell'arbitrato  e non gia', assicurata che sia tale
consapevole  e  libera  scelta,  a peculiari modalita' di svolgimento
dell'arbitrato stesso.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 13 del regio
decreto-legge  28 agosto  1930,  n. 1345  (Norme per la costruzione e
l'esercizio  dell'acquedotto  del Monferrato), convertito nella legge
6 gennaio 1931, n. 80.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                      Il redattore: Vaccarella
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria l'8 giugno 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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