N. 235 SENTENZA 8 - 16 giugno 2005

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Legittimazione  a  proporre un conflitto di attribuzione tra poteri -
  Giudice dell'appello - Conflitto non sollevato dal giudice di primo
  grado - Eccezione di inammissibilita' - Reiezione.
Configurabilita'  di  un  interesse  attuale  e  concreto - Efficacia
  esecutiva  della  sentenza  appellata  -  Omesso  chiarimento sulla
  eventuale sospensione - Eccezione di inammissibilita' - Reiezione.
Sopravvenienza  della  legge  n. 140  del  2003 - Ritenuta necessita'
  della  restituzione  degli  atti  al  ricorrente per la valutazione
  della  perdurante  sussistenza dei presupposti per l'elevazione del
  conflitto - Eccezione di inammissibilita' - Reiezione.
Parlamento   -  Immunita'  parlamentare  -  Procedimento  civile  nei
  confronti   di   un   deputato   per   dichiarazioni  asseritamente
  diffamatorie   -  Delibera  di  insindacabilita'  della  Camera  di
  appartenenza - Ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla
  Corte d'appello di Roma, sezione I civile - Insussistenza del nesso
  tra le opinioni espresse e la funzione parlamentare - Non spettanza
  alla  Camera  dei  deputati del potere di adottare la deliberazione
  impugnata e conseguente annullamento della stessa.
- Deliberazione della Camera dei deputati del 29 settembre 1998 (doc.
  IV-quater, n. 36).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.25 del 22-6-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici:  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA, Annibale MARINI,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA,
Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
29 settembre    1998    relativa   all'insindacabilita',   ai   sensi
dell'art. 68,   primo   comma,  della  Costituzione,  delle  opinioni
espresse  dall'on.  Roberto  Maroni  nei confronti di Roberto Napoli,
promosso  con  ricorso  della  Corte  di  appello di Roma - sezione I
civile,  notificato  il  24 luglio 2004, depositato in Cancelleria il
4 agosto 2003 ed iscritto al n. 29 del registro conflitti 2003.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito nell'udienza pubblica del 5 aprile 2005 il giudice relatore
Franco Gallo;
    Udito l'avvocato Paolo Saitta per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Nel corso di un procedimento civile per risarcimento danni,
instaurato  da  Roberto  Napoli  contro  il deputato Roberto Maroni a
causa  di  dichiarazioni  asseritamente  diffamatorie  pronunciate da
quest'ultimo  nei  riguardi  del  primo,  la Corte d'appello di Roma,
sezione  I  civile,  con  atto  depositato  il  17 dicembre  2002, ha
sollevato  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato nei
confronti  della  Camera  dei  deputati,  in  relazione alla delibera
adottata   nella   seduta   del   29 settembre  1998,  con  la  quale
l'Assemblea,   approvando   la   proposta   della   Giunta   per   le
autorizzazioni a procedere in giudizio, ha dichiarato che i fatti per
i  quali  e'  in  corso  il  procedimento  civile concernono opinioni
espresse    da    un   membro   del   Parlamento,   con   conseguente
insindacabilita',   a   norma   dell'art. 68,   primo   comma,  della
Costituzione.
    La  ricorrente  premette  di  essere stata investita dell'appello
avverso  la decisione di primo grado del Tribunale di Roma, che aveva
ritenuto  improcedibile  la  domanda  di  risarcimento in forza della
richiamata delibera dell'Assemblea, ed espone che i fatti oggetto del
giudizio di merito sono costituiti da dichiarazioni rese dal deputato
nel  corso  di  interviste  a  diversi quotidiani, nel contesto delle
quali  il parlamentare, commentando una precedente intervista resa da
Roberto  Napoli  (il  quale  aveva  fatto riferimento ad «un incontro
dell'ex  Ministro  dell'interno  Maroni  presso la sede del SISDE nel
Natale  1995  con il capo del SISDE generale Marino in un roof garden
costato sette miliardi»), aveva affermato:
        che   i   giudici  «avrebbero  dovuto  fare  attenzione  alle
stupidaggini  di  questo  mediocre  cialtrone Napoli» e che lo stesso
«stava  spargendo fesserie, spazzatura, forse per rientrare al SISDE,
forse  per  rastrellare  qualche soldo» (intervista a «Il Messaggero»
del 5 gennaio 1996);
    «quel  Napoli e' un cialtrone, racconta frottole»; «state attenti
all'attendibilita'   delle  notizie  che  questo  mediocre  cialtrone
propina  su  di  me  e  su Di Pietro» (intervista a «Il Giornale» del
5 gennaio 1996);
    «non vedete che ha uno stile inconfondibile? Quello dei Malpica e
dei  Broccoletti»,  «il  pattume  dei  vecchi  servizi  [...] il vero
problema   non   mi   pare   il   cialtrone   Napoli»  (intervista  a
«L'Indipendente» del 14 e 15 gennaio 1996);
    Si trattava di frasi poi ripetute dal deputato nel corso di altri
interventi  effettuati  presso  varie reti televisive (RAI, Mediaset,
TMC).
    La  ricorrente, non condividendo l'orientamento seguito dal primo
giudice di merito, solleva conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato  nei  confronti  della  Camera  dei deputati, in relazione alla
citata delibera, ritenendo che l'Assemblea, mal esercitando il potere
a essa conferito dall'art. 68, primo comma, della Costituzione, abbia
leso   le   prerogative  costituzionali  dell'autorita'  giudiziaria,
previste  e  garantite dall'art. 102 della Costituzione, in quanto le
dichiarazioni  in  questione,  rese  a organi di stampa e a strutture
televisive  al  di  fuori  della  sede parlamentare, non sarebbero in
alcun modo collegate allo svolgimento dell'attivita' parlamentare del
deputato,  non  risultando  che  «della  questione il deputato Maroni
abbia mai trattato nella sede parlamentare, neanche a livello di mero
argomento».
    La  Corte  d'appello sottolinea come non possa dirsi sussistente,
nel   caso   di   specie,   alcun   collegamento  funzionale  tra  le
dichiarazioni   rese   dall'on.   Maroni   e   la  sua  attivita'  di
parlamentare,  e  osserva  che  tali  frasi costituiscono, piuttosto,
l'esercizio  della  comune  liberta'  di  pensiero, nel quadro di una
«polemica  diretta  e  personale  con il Napoli», e non «svolgimento,
anche generico, di attivita' politica».
    Ritenendo  arbitrario,  in  conclusione,  il riconoscimento della
prerogativa  dell'insindacabilita',  la  Corte  d'appello ricorrente,
«vertendosi  in  materia  di  interferenza  dell'esercizio del potere
conferito  alla  Camera dei deputati dall'art. 68, primo comma, della
Costituzione,  nelle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria previste
e  garantite  dall'art. 102 della Costituzione», solleva conflitto di
attribuzione,   chiedendo   l'annullamento   della   delibera   sopra
richiamata.
    2.  -  Con ordinanza 30 giugno - 15 luglio 2003, n. 252, la Corte
costituzionale ha dichiarato ammissibile il conflitto.
    3.  -  Con  atto depositato il 4 agosto 2003, si e' costituita la
Camera  dei  deputati, eccependo preliminarmente l'inammissibilita' o
improcedibilita' del ricorso.
    3.1.  -  In  punto  di  inammissibilita',  la Camera osserva che,
poiche' il giudice di primo grado «si e' puntualmente conformato alla
delibera camerale di insindacabilita', addivenendo per conseguenza ad
una   sentenza   dichiarativa   dell'improcedibilita'  della  domanda
risarcitoria  avanzata  nei  confronti  del  parlamentare»,  si  deve
ritenere  «che il potere di attivare un conflitto di attribuzione nei
confronti  della  delibera  menzionata  non  sia piu' esercitabile da
parte  dell'autorita'  giurisdizionale.  In  altre  parole,  si  deve
ritenere che il potere di elevare il conflitto si sia definitivamente
consumato  a  seguito  della  decisione del giudice di primo grado di
conformarsi  alla  delibera d'insindacabilita' intervenuta nelle more
di tale giudizio».
    La  Camera  sottolinea  che,  anche  se  non  esistono termini di
decadenza per il promuovimento del conflitto fra poteri, «e' altresi'
vero che nella raffigurazione della giurisprudenza di questa Corte il
potere  giurisdizionale  si delinea quale potere "diffuso", almeno ai
fini del riconoscimento a ciascun giudice della legittimazione attiva
e passiva nei .giudizi per conflitto d'attribuzioni». Ne consegue che
il  potere di sollevare il conflitto «si concentra in capo al giudice
che  abbia  subito  ab  initio  la  (pretesa)  lesione  e  che la sua
determinazione di soprassedere comunque all'elevazione del conflitto,
incarnando   la  volonta'  dell'intero  potere  di  appartenenza,  si
riverberi  con  effetto  preclusivo  in  tutti  i successivi gradi di
giudizio».
    A  sostegno  di  tale  prospettazione, la Camera precisa che «nel
nostro ordinamento costituzionale sussiste un principio che impone di
"favorire  al  massimo",  attraverso  la  cooperazione tra gli organi
interessati  al  conflitto,  la  composizione  extragiudiziaria delle
relative  controversie;  con  la conseguenza che ove la situazione di
conflittualita'  sia  "oramai  palesata",  sorge la necessita' che il
contrasto  si  concluda  entro  limiti  temporali  certi». Ne deriva,
sempre  ad  avviso  della  Camera che, poiche' il principio affermato
dalla  giurisprudenza  costituzionale,  per  cui  e' inammissibile la
riproposizione di un medesimo conflitto gia' dichiarato inammissibile
dalla Corte, e' ispirato ad un'esigenza di tempestiva definizione del
conflitto  tra  poteri,  anche  nel  caso  di  specie  «non  e' [...]
pensabile  che  la  facolta'  di  reazione  nei  confronti  dell'atto
parlamentare  da  parte degli organi giudiziari possa tranquillamente
protrarsi per tutti i gradi di giudizio (sino all'ipotesi estrema, ma
potenzialmente operativa, della revocazione), mantenendo aperta cosi'
per  un  lungo arco di tempo, pressoche' imponderabile, la situazione
di incertezza».
    Un  secondo  motivo  di  inammissibilita'  o  improcedibilita' e'
insito,  ad  avviso  della  Camera,  nel fatto che la Corte d'appello
ricorrente  abbia  omesso  di  chiarire  se  sia stata o meno sospesa
l'efficacia della sentenza di primo grado. Infatti, sempre secondo la
Camera,  «ove  l'efficacia  della  predetta  sentenza  fosse  tuttora
perdurante,   in   punto   di  accertamento  della  esimente  di  cui
all'art. 68,   primo   comma,  Cost.,  ne  risulterebbe  preclusa  la
configurabilita'  di  un interesse attuale e concreto alla elevazione
del conflitto».
    Sempre   con   riferimento   all'eccepita   inammissibilita'  del
conflitto,  la  Camera  richiama,  infine, l'entrata in vigore, nelle
more  del  giudizio, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni
per  l'attuazione  dell'articolo 68  della  Costituzione  nonche'  in
materia  di  processi  penali  nei confronti delle alte cariche dello
Stato),  che dovrebbe ritenersi di immediata applicazione nel caso in
esame  «in  quanto,  a  parte  il suo profilo "piu' favorevole", essa
costituisce   normativa   di  attuazione  di  disposizioni  di  rango
costituzionale,  introducendo inoltre nuovi fattori di valutazione in
ordine  alla  estensione  della garanzia dell'insindacabilita' e alla
ponderazione  del collegamento tra dichiarazioni esterne ed attivita'
parlamentare».   Sussiste   pertanto,  ad  avviso  della  Camera,  la
necessita'  che  sia  consentita  al  giudice una rivalutazione della
perdurante   sussistenza   dei   presupposti   per  l'elevazione  del
conflitto, alla luce della nuova normativa.
    3.2.  -  In  via subordinata, la Camera rileva l'infondatezza del
ricorso  nel merito, osservando, in primo luogo, che le dichiarazioni
oggetto  del  giudizio civile non costituiscono, come sostenuto dalla
Corte  d'appello  ricorrente,  l'esplicazione  di  opinioni personali
nell'ambito di una vicenda di carattere privato.
    Secondo  la  Camera,  «le  dichiarazioni  di  cui si tratta vanno
ricondotte,  anche  per  calibrarne  correttamente il "tenore", ad un
contesto che - come si ha cura di puntualizzare nella relazione della
Giunta  per  le  autorizzazioni  -  aveva riguardato il Napoli "un ex
agente  del  SISDE  il cui nome era venuto alla ribalta della cronaca
con   riferimento  alla  cosiddetta  inchiesta  segreta  sull'attuale
senatore  Antonio  Di  Pietro e al cosiddetto dossier Achille, la cui
esistenza  sarebbe  stata  -  secondo  quanto affermato dall'attore -
disconosciuta  dal  Viminale  (e, tra gli altri, dal generale Gaetano
Marino,  allora  direttore  del  SISDE,  accusato  dal Napoli di aver
mentito  su Di Pietro anche al Comitato parlamentare di controllo sui
servizi)"».  La  Camera  menziona,  a tale proposito, l'interpellanza
n. 2/00281  in  data  5 novembre  1996, dell'on. Veltri, «dove si fa,
appunto,  esplicito  riferimento  al  cosiddetto "dossier Achille"» e
richiama  la relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere
in  giudizio,  secondo la quale le dichiarazioni dell'on. Maroni sono
correlate «a una vicenda di forte attualita' politica che aveva visto
coinvolto   l'onorevole  Maroni  nella  sua  precedente  qualita'  di
Ministro dell'interno».
    A  sostegno  della  riconducibilita'  delle affermazioni dell'on.
Maroni  alla  funzione  parlamentare,  la Camera cita poi i resoconti
delle  sedute del Comitato parlamentare per i servizi di informazione
e  sicurezza  e  per  il  segreto  di  Stato  e «i numerosissimi atti
ispettivi  che  hanno  investito  l'argomento, ma anche le specifiche
fattispecie   evocate   dall'on.   Maroni   (cfr.,   tra   i   tanti,
interrogazione,  n. 4/08298  del  28 febbraio  1996, presentatore on.
Boso;  interrogazione  n. 4/15890 del 1° luglio 1993, pres. on. Dosi;
interpellanza,  n. 2/01182,  del  3 dicembre  1993,  pres. on. Tassi;
interpellanza,  n. 2/01232  del  13 gennaio  1994,  pres.  on. Tassi;
interrogazione,  n. 3/00911  del  3 novembre 1993, pres. sen. Brutti;
interrogazione, n. 3/01571 del 2 novembre 1993, pres. on. Crippa)».
    Osserva  inoltre  la  Camera  che  Napoli  aveva  partecipato  ad
audizioni  di  fronte  al  Comitato  parlamentare  per  i  servizi di
informazione  e  sicurezza  e  per  il  segreto  di Stato, su diversi
aspetti  dell'attivita',  dell'organizzazione  e  della  gestione del
SISDE,  prima  sotto  la presidenza dell'on. Brutti in data 25 maggio
1995  e poi sotto la Presidenza dell'on. Frattini, in data 21 gennaio
1997,   con  interventi  di  chiarimento  e  informazione  di  alcuni
componenti  del  Comitato  stesso,  tra  cui alcuni appartenenti allo
stesso partito dell'on. Maroni.
    Il fatto che quest'ultimo non abbia direttamente partecipato alle
attivita'  del  Comitato,  non  essendone componente, non esclude, ad
avviso  della  Camera,  la  sussistenza  di  un  collegamento  tra le
dichiarazioni oggetto del giudizio civile e l'attivita' parlamentare.
Infatti,   le   funzioni   parlamentari   devono  essere  considerate
unitariamente  e  non  con  esclusivo  riferimento  all'attivita'  di
singoli  componenti,  proprio  in  base  alla «ratio di tutela di cui
all'art. 68  primo  comma  Cost. inteso anche ad assicurare il libero
esercizio della complessiva funzione parlamentare».
    Da  ultimo,  la  Camera  ricorda  che  la  «questione dei dossier
riservati  e  comunque  delle  deviazioni  da  una corretta attivita'
informativa  e'  stata  al centro delle dichiarazioni rese nelle sedi
parlamentari  dall'on.  Maroni, nella qualita' all'epoca rivestita di
Ministro dell'interno (cfr. in particolare l'interpellanza n. 2/00116
del 14 luglio 1994, presentatore on. Dorigo, nella quale si da' atto,
appunto,  delle  notizie fornite al riguardo dal Ministro agli organi
parlamentari)».
    4.  -  Con  memoria per l'udienza depositata il 22 marzo 2005, la
Camera  dei  deputati  ribadisce  le  argomentazioni  gia'  svolte ed
osserva  che in ogni caso il tenore delle dichiarazioni rese dall'on.
Maroni  non puo' valere «quale criterio ai fini della ponderazione in
ordine  alla  sussistenza  o  meno  della  garanzia  costituzionale»,
poiche'  il  sindacato  sulla  lesivita'  delle  stesse e' rimesso al
giudice   di   merito.  Precisa  inoltre  la  Camera  che  «la  parte
lessicalmente   piu'  aspra  delle  dichiarazioni  in  esame  risulta
inscindibile  dalla  complessiva argomentazione polemica proposta dal
deputato» e che cio' porta ad escludere che si tratti di meri insulti
personali.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte  d'appello  di  Roma  ha  sollevato conflitto di
attribuzione  tra  poteri  dello Stato nei confronti della Camera dei
deputati,  in  relazione  alla  delibera  adottata  nella  seduta del
29 settembre  1998 (doc. IV-quater, n. 36), con la quale l'Assemblea,
approvando la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere
in  giudizio,  ha  dichiarato  che  le affermazioni rese dal deputato
Roberto  Maroni,  per  le  quali  Roberto  Napoli  aveva promosso nei
confronti del parlamentare un procedimento civile per il risarcimento
dei  danni, costituiscono opinioni espresse in qualita' di membro del
Parlamento  e  ricadono,  pertanto,  nell'ipotesi di cui all'art. 68,
primo comma, della Costituzione.
    La  Corte  d'appello premette che nelle dichiarazioni oggetto del
giudizio  risarcitorio  -  rese  dal  deputato al di fuori della sede
parlamentare,  in  interviste  rilasciate  a  diversi quotidiani («Il
Messaggero»;   «Il   Giornale»;   «L'Indipendente»)   e  ripetute  in
interventi  effettuati  in  varie  trasmissioni televisive (presso le
reti  RAI,  Mediaset  e  TMC)  -  l'on.  Maroni,  nel  commentare una
precedente  intervista  rilasciata  da Roberto Napoli (il quale aveva
fatto  riferimento  ad  «un  incontro  dell'ex  Ministro dell'interno
Maroni presso la sede del SISDE nel Natale 1995 con il capo del SISDE
generale  Marino  in  un  roof garden costato sette miliardi»), aveva
testualmente   affermato:   a)   i  giudici  «avrebbero  dovuto  fare
attenzione  alle  stupidaggini  di questo mediocre cialtrone Napoli»;
questo  «stava spargendo fesserie, spazzatura, forse per rientrare al
SISDE,  forse  per  rastrellare  qualche  soldo» («Il Messaggero» del
5 gennaio 1996); b) «quel Napoli e' un cialtrone, racconta frottole»;
«state  attenti  all'attendibilita' delle notizie che questo mediocre
cialtrone  propina  su  di  me  e  su  Di  Pietro» («Il Giornale» del
5 gennaio  1996);  c)  «non  vedete  che ha uno stile inconfondibile?
Quello dei Malpica e dei Broccoletti», «il pattume dei vecchi servizi
[...]   il   vero   problema   non   mi  pare  il  cialtrone  Napoli»
(«L'Indipendente»  del  14  e 15 gennaio 1996). Ad avviso della Corte
d'appello,  tali  affermazioni  non sarebbero in alcun modo collegate
allo  svolgimento  dell'attivita'  parlamentare,  non  risultando che
«della  questione  il  deputato  Maroni abbia mai trattato nella sede
parlamentare,   neanche   a   livello  di  mero  argomento»;  con  la
conseguenza  che  la  Camera  dei deputati, con la citata delibera di
insindacabilita',  avrebbe  mal esercitato il potere a essa conferito
dall'art. 68,  primo  comma,  della  Costituzione  ed avrebbe leso le
prerogative  costituzionali  dell'autorita'  giudiziaria,  previste e
garantite  dall'art. 102  della Costituzione. Pertanto, il giudice di
appello,  non  condividendo l'orientamento seguito in primo grado dal
Tribunale  di  Roma  (che, con l'impugnata sentenza, aveva dichiarato
improcedibile  la  domanda di risarcimento, in forza della richiamata
delibera  dell'Assemblea),  ha  proposto  il  menzionato conflitto di
attribuzioni,  chiedendo  l'annullamento  dell'indicata  delibera  di
insindacabilita'.
    2.  -  Preliminarmente,  devono  essere  dichiarate  infondate le
eccezioni   di   inammissibilita'  e  improcedibilita'  del  ricorso,
proposte  nell'atto  di  costituzione  in  giudizio  dalla Camera dei
deputati.
    2.1.  - In primo luogo, la Camera osserva che, poiche' il giudice
di  primo grado «si e' puntualmente conformato alla delibera camerale
di  insindacabilita',  addivenendo  per  conseguenza  ad una sentenza
dichiarativa   dell'improcedibilita'   della   domanda   risarcitoria
avanzata  nei  confronti  del parlamentare», si deve ritenere «che il
potere  di  attivare un conflitto di attribuzione nei confronti della
delibera menzionata non sia piu' esercitabile da parte dell'autorita'
giurisdizionale»,  perche' «definitivamente consumato a seguito della
decisione  del  giudice  di  primo grado di conformarsi alla delibera
d'insindacabilita' intervenuta nelle more di tale giudizio».
    L'eccezione  deve  essere  respinta  perche'  muove  dall'erroneo
presupposto  che  il  potere  di  sollevare il conflitto da parte del
giudice ove non esercitato, si consumi in primo grado. Questo assunto
contrasta con il principio secondo cui il giudice d'appello, in forza
dell'effetto  devolutivo  dell'impugnazione,  ha  rilevanti poteri di
cognizione  e  di  decisione  e,  quindi,  ha il potere di porsi ogni
questione non preclusa che ritenga rilevante ai fini del decidere. Da
tale  principio  e  dall'assenza,  nella  legge  11 marzo 1953, n. 87
(Norme   sulla   costituzione   e   sul   funzionamento  della  Corte
costituzionale),  di  un termine decadenziale per la proposizione dei
conflitti  interorganici  consegue  che anche il giudice d'appello e'
competente  a  esprimere in via definitiva la volonta' del potere cui
appartiene  (v., in generale, sulla legittimazione dei singoli organi
giurisdizionali  a  sollevare  conflitto,  tra  le molte, le sentenze
n. 129  del 1981 e n. 231 del 1975 e le ordinanze n. 228 e n. 229 del
1975)  ed  e'  legittimato  a proporre un conflitto non sollevato dal
giudice di primo grado.
    Ne',   a   sostegno   dell'eccezione,   la  Camera  puo'  addurre
l'argomento   secondo   cui  nel  nostro  ordinamento  costituzionale
sussisterebbe  il  principio «di "favorire al massimo", attraverso la
cooperazione tra gli organi interessati al conflitto, la composizione
extragiudiziaria  delle relative controversie; con la conseguenza che
ove  la situazione di conflittualita' sia "oramai palesata", sorge la
necessita'  che  il  contrasto  si  concluda  entro  limiti temporali
certi»,  cosi' che non sarebbe «pensabile che la facolta' di reazione
nei confronti dell'atto parlamentare da parte degli organi giudiziari
possa tranquillamente protrarsi per tutti i gradi di giudizio».
    E'  sufficiente  al  riguardo rilevare, da una parte, che la gia'
evidenziata  mancata  previsione,  nella  legge n. 87 del 1953, di un
termine  di  decadenza per la proposizione dinanzi a questa Corte dei
conflitti  di  attribuzione  tra  poteri  dello Stato e' giustificata
dalla    natura    «precipuamente    politico-costituzionale    della
controversia  da  risolvere»  (cosi'  la sentenza n. 116 del 2003) e,
dall'altra,  che anteriormente all'instaurazione del giudizio dinanzi
alla Corte i tempi processuali sono solo quelli scanditi dalle regole
proprie del processo nel quale il conflitto insorge.
    2.2.  -  In  secondo  luogo,  la  Camera  eccepisce  che la Corte
d'appello  ricorrente  ha  omesso  di  chiarire  se sia stata sospesa
l'efficacia  della  sentenza  di  primo  grado.  Cio' avrebbe rilievo
perche',  «ove  l'efficacia  della  predetta  sentenza  fosse tuttora
perdurante,   in   punto   di  accertamento  della  esimente  di  cui
all'art. 68,   primo   comma,  Cost.,  ne  risulterebbe  preclusa  la
configurabilita'  di  un interesse attuale e concreto alla elevazione
del conflitto».
    Anche  tale eccezione e' infondata, perche' l'eventuale efficacia
esecutiva interinale della sentenza appellata non incide sul giudizio
di  impugnazione  (v. articoli 282, 283, 337, 351 cod. proc. civ.) e,
di  conseguenza, non preclude l'esame della controversia da parte del
giudice d'appello.
    2.3.  -  La  Camera eccepisce, infine, l'immediata applicabilita'
della  legge  20  giugno 2003,  n. 140 (Disposizioni per l'attuazione
dell'articolo 68  della  Costituzione  nonche' in materia di processi
penali  nei  confronti  delle  alte  cariche dello Stato), entrata in
vigore  in  pendenza  di  giudizio  e costituente, secondo la Camera,
«normativa  di  attuazione  di disposizioni di rango costituzionale».
L'art. 3,  comma 1,  di  tale  legge  introdurrebbe «nuovi fattori di
valutazione    in    ordine    alla    estensione    della   garanzia
dell'insindacabilita»,  con conseguente necessita' della restituzione
degli   atti  al  giudice  ricorrente  per  una  rivalutazione  della
perdurante   sussistenza   dei   presupposti   per  l'elevazione  del
conflitto.
    L'eccezione e' infondata.
    Questa  Corte  ha gia' chiarito che la sopravvenienza, nelle more
del  giudizio, del citato art. 3, comma 1, non comporta la necessita'
di  una rivalutazione da parte del giudice ricorrente della effettiva
sussistenza  dei  presupposti per l'elevazione del conflitto, perche'
la   norma   sopravvenuta,  nonostante  la  piu'  ampia  formulazione
lessicale,  non  innova  rispetto  all'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione,  ma  si limita a rendere esplicito il contenuto di tale
disposizione  (sentenze  numeri 120  e 246 del 2004; ordinanza n. 136
del 2005).
    3. - Nel merito il ricorso e' fondato.
    Va  qui  ribadita  la  costante  giurisprudenza  di questa Corte,
secondo   cui,   per  l'esistenza  di  un  nesso  funzionale  tra  le
dichiarazioni  rese  extra moenia da un parlamentare e l'espletamento
delle  sue  funzioni di membro del Parlamento, e' necessario che tali
dichiarazioni    possano   essere   identificate   come   espressione
dell'esercizio  di  attivita' parlamentari (v., ex plurimis, sentenze
numeri  164 e 28 del 2005, 298 e 120 del 2004, 521 e 79 del 2002, 321
del 2000). Indipendentemente dall'eventuale contenuto diffamatorio di
tali  dichiarazioni,  il  compito  di  questa  Corte e' limitato alla
verifica   se   esse,   ancorche'   rese   al  di  fuori  della  sede
istituzionale, siano collegate ad attivita' proprie del parlamentare;
costituiscano cioe' espressione della sua funzione o ne rappresentino
il  momento  di  divulgazione  all'esterno (v., ex plurimis, sentenza
n. 508 del 2002).
    Nel  caso  in esame, neppure nella delibera di insindacabilita' e
nella  proposta  della  Giunta  per  le autorizzazioni a procedere e'
possibile  rinvenire  un riferimento ad atti tipici del parlamentare.
In particolare, la proposta della Giunta, a cui rinvia la delibera di
insindacabilita',  contiene solo un generico richiamo al collegamento
fra  le  dichiarazioni  dell'on.  Maroni  e  una non meglio precisata
«vicenda  di  forte attualita' politica» che lo aveva visto coinvolto
nella  sua  precedente  qualita'  di Ministro dell'interno. La difesa
della  Camera,  senza citare ne' produrre alcun atto dell'on. Maroni,
si  e' limitata a sostenere che le dichiarazioni oggetto del giudizio
civile  «vanno  ricondotte  [...]  ad  un  contesto  che  [...] aveva
riguardato  il  Napoli  un ex agente del SISDE il cui nome era venuto
alla  ribalta della cronaca con riferimento alla cosiddetta inchiesta
segreta  sull'attuale  senatore  Antonio  Di  Pietro  e al cosiddetto
dossier Achille».
    In  proposito, la Camera ha menzionato e prodotto solo i seguenti
documenti:  a)  l'interpellanza  n. 2/00281  in data 5 novembre 1996,
presentatore on. Veltri; b) i resoconti del Comitato parlamentare per
i  servizi  di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato del
25 maggio   1995,  del  15 gennaio  1997,  del  21 gennaio  1997;  c)
l'interrogazione  n. 4/08298  del 28 febbraio 1996, presentatore sen.
Boso; d) l'interrogazione n. 4/15890 del 1° luglio 1993, presentatore
on.   Dosi;   e)  l'interpellanza  n. 2/01182  del  3 dicembre  1993,
presentatore  on. Tassi; f) l'interpellanza n. 2/01232 del 13 gennaio
1994,  presentatore  on.  Tassi;  g)  l'interrogazione n. 3/00911 del
3 novembre   1993,  presentatore  sen.  Brutti;  h)  l'interrogazione
n. 3/01571   del   2 novembre   1993,  presentatore  on.  Crippa;  i)
l'interpellanza  n. 2/2000116  del  14 luglio  1994, presentatore on.
Dorigo.
    Tuttavia,  di tali atti, due non sono ascrivibili alla Camera dei
deputati  (doc.  c, g); gli altri non hanno alcuna connessione con le
dichiarazioni  oggetto  del giudizio civile, in quanto: non sono atti
imputabili  o  indirizzati all'on. Maroni, neanche nella sua funzione
di  Ministro  dell'interno; non contengono qualsivoglia apprezzamento
critico  a  proposito del Napoli. Alcuni di essi (doc. a, d, e, f, h,
i),  tutt'al  piu',  fanno generico riferimento al SISDE o a supposti
illeciti  commessi  da  suoi funzionari, fra i quali il Napoli non e'
menzionato.
    Dai resoconti sub b), risulta poi che il Napoli aveva partecipato
ad  audizioni  di  fronte  al  Comitato parlamentare per i servizi di
informazione  e  sicurezza  e  per  il  segreto  di Stato, su diversi
aspetti  dell'attivita',  dell'organizzazione  e  della  gestione del
SISDE  e  che, nel corso delle audizioni, c'erano stati interventi di
componenti  del  Comitato  stesso,  tra  cui alcuni appartenenti allo
stesso  partito dell'on. Maroni. Ad avviso della Camera, il fatto che
l'on.  Maroni  non  abbia direttamente partecipato alle attivita' del
Comitato  non  escluderebbe  la sussistenza di un collegamento tra le
dichiarazioni oggetto del giudizio civile e l'attivita' parlamentare,
perche'   le  funzioni  parlamentari  dovrebbero  essere  considerate
unitariamente  e  non  con  esclusivo  riferimento  all'attivita'  di
singoli  componenti.  La  difesa  della  Camera  prospetta  cioe', in
sostanza,  la  questione se un deputato possa giovarsi, ai fini della
insindacabilita' di sue dichiarazioni, dell'attivita' posta in essere
da  altri  parlamentari.  In  ogni  caso,  la  questione e' del tutto
irrilevante  in  questa  sede,  giacche'  i resoconti relativi a tali
audizioni  non riportano il contenuto degli interventi dei componenti
del  Comitato e, di conseguenza, non consentono di accertare se siano
state rese dichiarazioni corrispondenti a quelle oggetto del giudizio
risarcitorio (v. sentenze nn. 193 e 28 del 2005). Detti atti non sono
pertanto idonei a giustificare l'insindacabilita'.
    4.  -  Deve  quindi  concludersi  che la Camera dei deputati, nel
deliberare  l'insindacabilita'  delle dichiarazioni di cui si tratta,
ha  violato  l'art. 68,  primo comma, della Costituzione e ha leso in
tal modo le attribuzioni dell'autorita' giudiziaria ricorrente.
    La delibera di insindacabilita' deve essere, pertanto, annullata.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara che non spetta alla Camera dei deputati deliberare che i
fatti  per  i  quali  e'  in corso il procedimento civile promosso da
Roberto  Napoli  nei confronti del deputato Roberto Maroni, di cui al
ricorso  in  epigrafe,  riguardano opinioni espresse da un membro del
Parlamento  nell'esercizio  delle  sue funzioni parlamentari ai sensi
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
    Annulla,  per  l'effetto,  la  deliberazione  di insindacabilita'
adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 29 settembre 1998
(doc. IV-quater, n. 36).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                         Il redattore: Gallo
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 16 giugno 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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