N. 318 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 marzo 2005

Ordinanza  emessa  il  31  marzo  2005  dal  tribunale di Gorizia nel
procedimento penale a carico di Bularca Lucian Tase

Straniero  - Espulsione amministrativa - Rientro senza autorizzazione
  nel  territorio  dello  Stato dello straniero espulso - Trattamento
  sanzionatorio  -  Limite minimo edittale di un anno di reclusione -
  Irragionevolezza  -  Disparita'  di  trattamento  tra  cittadini  -
  Lesione  dei  diritti  inviolabili  dell'uomo, garantiti anche allo
  straniero - Lesione del principio della finalita' rieducativa della
  pena.
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 13, come
  sostituito  dalla  legge  12 novembre  2004,  n. 271 (rectius: come
  sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito,
  con modificazioni, dalla legge 12 novembre 2004, n. 271).
- Costituzione, artt. 2, 3, 10 e 27, comma terzo.
(GU n.26 del 29-6-2005 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Visti  gli atti del procedimento penale con rito direttissimo nei
confronti  di  Bularca Lucian Tase, cittadino rumeno, arrestato il 19
marzo   2005  per  violazione  dell'art. 13,  comma  13,  del  d.lgs.
n. 286/1998 come modificato dalla legge 12 novembre 2004, n. 271, per
il  reato  di  cui  all'art. 13,  comma  13, d.lgs. n. 286/1998, come
sostituito  dalla  legge  12 novembre 2004 n. 271 perche' espulso dal
territorio  nazionale  con provvedimento del Prefetto di Roma di data
16  maggio 2004 notificato in pari data, faceva rientro in territorio
italiano senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno,
accertato in Gorizia il 19 marzo 2005, con la recidiva.
    Rilevato   che  non  essendo  state  richieste  misure  cautelari
l'imputato  e'  in  stato di liberta' dopo la convalida dell'arresto,
che  prima  dell'apertura del dibattimento imputato e difensore hanno
chiesto  l'applicazione  di  pena  ex  art. 444  c.p.p.  nei seguenti
termini:  pena  base  un  anno  di  reclusione  attenuanti  generiche
equivalenti  alla  recidiva,  riduzione  per  il  rito a otto mesi di
reclusione, pena sospesa.
    Rilevato che il p.m. ha prestato il consenso.
    Ritenuto preliminarmente di dover escludere il proscioglimento ex
art. 129  c.p.p.  in  quanto  il  provvedimento  di espulsione appare
legittimo e risulta di fatto ottemperato, come pure provato appare il
rientro in Italia senza autorizzazione, va affrontata la valutazione,
sulla congruita' della pena proposta e da applicare.
    Appare  sotto  questo profilo rilevante il dubbio di legittimita'
costituzionale,  che  viene  sollevato  d'ufficio, della norma di cui
all'art. 13,  comma  13,  d.lgs.  n. 286/1998 - come sostituito dalla
legge 12 novembre 2004, n. 271 - nella parte in cui prevede il limite
minimo edittale di un anno di reclusione per lo straniero espulso che
rientri  nel  territorio dello Stato senza la speciale autorizzazione
del   Ministro  dell'interno,  norma  in  concreto  applicabile  alla
fattispecie per cui si procede.
    Infatti  tale  norma  e'  rilevante  per  la  decisione  del caso
concreto in quanto e' proposta la pena ex art. 444 c.p.p. proprio nel
minimo  edittale, a seguito di giudizio di bilanciamento tra recidiva
e  attenuanti,  bilanciamento condivisibile, come pure la valutazione
di  minima  gravita'  del  fatto,  trattandosi  del primo episodio di
questo tipo commesso dall'imputato.
    Dunque  se  la  norma  e'  conforme ai principi costituzionali la
richiesta di pena deve essere accolta ma se la norma venisse ritenuta
costituzionalmente  illegittima  laddove determina il minimo edittale
in  un anno di reclusione il giudice potrebbe rigettare l'istanza per
eccessivita' della pena rispetto alla concreta offensivita' sociale e
alla modesta gravita' della condotta.
    La norma da applicare appare invero contrastare con i principi di
cui  agli  articoli  2,  3,  10 e 27 comma 3 della Costituzione per i
motivi che di seguito si esporranno.
    I  dubbi di costituzionalita' in ordine alla norma di cui all'art
13,  comma  13,  d.lgs.  n. 286/1998  (nella  parte in cui prevede il
limite  minimo  edittale di un anno di reclusione), paiono trovare in
primo  luogo fondamento nei principi giurisprudenziali costituzionali
elaborati  in materia di limiti alla discrezionalita' del legislatore
nella  determinazione  della  quantita'  e  qualita'  della  sanzione
penale.
    In  particolare  la  Corte  costituzionale,  in  diverse pronunce
richiamate   e   ribadite   nella  sentenza  n. 341/1994,  dopo  aver
riaffermato il principio secondo cui appartiene alla discrezionalita'
del  legislatore  la  determinazione della quantita' e qualita' della
sanzione  penale  e non spetta quindi alla Corte stessa rimodulare le
scelte   punitive   effettuate   dal   legislatore,   ne'   stabilire
quantificazioni  sanzionatorie, ha pero' evidenziato come «alla Corte
rimane  il  compito  di  verificare  che l'uso della discrezionalita'
legislativa in materia rispetti il limite della ragionevolezza.».
    Detto   principio  e'  stato  cosi'  testualmente  esplicitato  e
ricostruito nella sentenza n. 341/1994:
        «Con  la sentenza n. 409 del 1989 la Corte ha definitivamente
chiarito  che  "il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo
comma,  Cost.,  esige  che la pena sia proporzionata al disvalore del
fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia
nel  contempo  alla  funzione di difesa sociale ed a quella di tutela
delle  posizioni  individuali; ... le valutazioni all'uopo necessarie
rientrano  nell'ambito  del  potere discrezionale del legislatore, il
cui   esercizio   puo'  essere  censurato,  sotto  il  profilo  della
legittimita'  costituzionale,  soltanto nei casi in cui non sia stato
rispettato  il  limite  della  ragionevolezza"  (v. pure nello stesso
senso sentenze numeri 343 e 422 del 1993). Infatti, piu' in generale,
"il  principio  di  proporzionalita' ... nel campo del diritto penale
equivale  a  negare  legittimita'  alle incriminazioni che, anche se,
presumibilmente   idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali  di
prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo (ai
suoi   diritti   fondamentali)  ed  alla  societa'  sprorzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela  dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni"
(sentenza n. 409 del 1989).».
    In  altre  recenti  decisioni,  inoltre,  la Corte ha maturato la
convinzione  che la finalita' rieducativa della pena non sia limitata
alla  sola  fase  dell'esecuzione, ma costituisca «una delle qualita'
essenziali  e  generali  che caratterizzano la pena nel suo contenuto
ontologico,   e   l'accompagnano   da   quando  nasce,  nell'astratta
previsione  normativa,  fino  a quando in concreto si estingue»: tale
finalita'  rieducativa  implica  pertanto  un  costante «principio di
proporzione» tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e
offesa, dall'altra (sentenza n. 313 del 1990; v. pure sentenza n. 343
del 1993, confermata dalla sentenza n. 422 del 1993).
    In   applicazione  di  questi  principi  le  sentenze  da  ultimo
ricordate  sono  giunte  a dichiarare costituzionalmente illegittime,
come palesemente irragionevoli, diverse previsioni di sanzioni penali
giudicando   che  la  loro  manifesta  mancanza  di  proporzionalita'
rispetto  ai  fatti-reato si traduceva in arbitrarie e ingiustificate
disparita' di trattamento, o in violazioni dell'art. 27, terzo comma,
Cost. In particolare la sentenza n. 343 del 1993 ha affermato che «la
palese   sproporzione   del   sacrificio  della  liberta'  personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva  rispetto  al  disvalore  dell'illecito  «produce  ...  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, che di quella liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione.».
    Tutto  cio'  premesso,  va  osservato  che  -  nella  specie - la
discrezionalita'   del  legislatore  non  pare  esplicata  secondo  i
parametri sopra richiamati.
    Premesso  che  l'inasprimento  della sanzione penale in questione
nel   novembre   2004,benche'  abbia  riguardato  norme  sostanziali,
direttamente  incidenti  sulla liberta' personale, appare ispirato da
valutazioni ed esigenze di natura essenzialmente processuale.
    Infatti  emerge dai lavori preparatori della legge n. 271/2004 la
mancanza  di  riferimenti  a  particolari  fenomeni  nuovi o gravi da
contrastare  attraverso  un  inasprimento di pene quanto piuttosto la
dichiarata  necessita'  di  superare  le  censure  mosse  dalla Corte
costituzionale  con  le  sentenze  n. 222  e  223 del 2004 alla legge
n. 189/2002: si legge infatti «... Sul cammino della Bossi-Fini si e'
abbattuta  la  mannaia della Corte costituzionale ... Ritengo che con
il  d.l.,  in  esame  il  Governo  ed il Parlamento siano intervenuti
correttamente  per rispondere ai rilievi della Corte ... » (A.C. 5369
discussione  dd  2  novembre 2004 sul testo approvato in Senato il 20
ottobre 2004, repliche del relatore alla legge).
    Va   in   proposito   rammentato  che  le  sentenze  della  Corte
costituzionale  n. 222  e  223  del 2004 hanno avuto ad oggetto norme
diverse  -  rispettivamente:  l'art. 13, comma 5-bis e l'art 14 comma
5-quinquies del d.lgs. n. 286/1998.
    In particolare, la sentenza n. 223 ha dichiarato l'art. 14, comma
5-quinquies,  d.lgs.  n. 286/1998  (nel  testo  integrato dalla legge
n. 189/2002)  illegittimo  nella  parte  in  cui  stabiliva l'arresto
obbligatorio  per  la  contravvenzione  prevista al comma 5-ter dello
stesso articolo.
    A  seguito  di  cio',  il legislatore del novembre 2004 ha inteso
intervenire  a modifica del presupposto su cui si fondava la sentenza
n. 223/2004,  rendendo  possibile  con la trasformazione in delitto e
l'inasprimento delle pene - in astratto - l'applicazione delle misure
coercitive  secondo  i  limiti  previsti dall'art. 280, secondo comma
c.p.p.  sia  al  reato  di cui all'art. 14, comma 5-ter, che a quello
dell'art. 13, comma 13, oggetto della presente valutazione.
    La  previsione  di  un  minimo edittale cosi' elevato: un anno di
reclusione,   innanzitutto  non  pare  ragionevole  neppure  ai  fini
dichiarati  del  legislatore: l'esigenza di rendere la fattispecie in
esame  compatibile  con  il  sistema  generale  di applicazione delle
misure  coercitive: infatti a tali fini e' rilevante il parametro dei
massimi  edittali inderogabili (cfr. 274 lett. c) e 280 secondo comma
c.p.p),  non  essendo invece di nessun interesse i minimi edittali di
pena.  Inoltre  giustificare una scelta di diritto penale sostanziale
con  una  esigenza  processuale  non  pare rispondente ai principi di
ragionevolezza   e   proporzionalita'   della   pena   rispetto  alla
offensivita'  della condotta con conseguente violazione degli artt. 3
e 27, III comma Cost.
    Appare  poi  nella sostanza evidente la disparita' di trattamento
in  tal  modo  attuata  tra  cittadini  extracomunitari  e  cittadini
comunitari  che  violino  ordini amministrativi dati per finalita' di
sicurezza  o  ordine  pubblico: mentre i cittadini comunitari vengono
sanzionati  per  tale condotta solo con una contravvenzione (art. 650
c.p.)  addirittura oblabile o definibile con una condanna a pena solo
pecuniaria,   anche   se   socialmente  pericolosi,  (contravvenzione
prevista  dall'art. 2,  legge  27 dicembre 1956/1423: inosservanza di
provvedimenti del questore da parte di persone pericolose, sanzionata
con l'arresto da uno a sei mesi), i cittadini extracomunitari, per lo
stesso  tipo  di  violazione vengono puniti con una pena minima di un
anno di reclusione.
    E'  dunque  evidente  che il legislatore nel bilanciare la tutela
degli  interessi dell'ordine e sicurezza pubblica da un lato e quello
della  liberta'  personale  del  soggetto agente dall'altra non abbia
rispettato  il  criterio  della  parita' di trattamento di situazioni
analoghe-eguali, sancito dall'art. 3 della Costituzione.
    Otto mesi di reclusione appaiono pertanto una pena sproporzionata
in  eccesso  per  non  aver  rispettato  l'ordine di non rientrare in
Italia  in  confronto  alla sanzione massima possibile di tre mesi di
arresto   per   un  cittadino  italiano  che  ad  esempio  non  abbia
ottemperato   all'ordine  di  demolizione  di  edificio  pericolante,
condotta  oggettivamente  piu' pericolosa per la pubblica incolumita'
di quella oggetto del presente giudizio.
    La  norma  di  cui  all'art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998 non
pare pertanto neppure conforme ai principi di ragionevolezza, sotto i
profili  della  proporzione  tra  la pena e il disvalore per il fatto
illecito  commesso  ex  artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. impedendo al
giudice  di  determinare la pena ex art. 133 c.p. anche al disotto di
tale limite minimo per i casi di gravita' minima come il presente con
proporzionalita' rispetto alla gravita' concreta del fatto.
    La  norma  appare dunque in contrasto, nella parte in cui prevede
un  minimo edittale di un anno di reclusione, con gli articoli 3 e 2,
in   relazione   all'art. 10  della  Costituzione  che  sanciscono  e
delineano i principi fondamentali di uguaglianza davanti alla legge e
pari  dignita'  sociale,  nonche' di garanzia dei diritti inviolabili
dell'uomo  tra i quali rientra evidentemente il diritto alla liberta'
individuale, e non pare dubitabile che, in ragione dell'art. 10 della
Costituzione,  tali  principi  fondamentali  spieghino  piena vigenza
anche  nei  confronti  degli  stranieri presenti sul territorio della
Repubblica.
    La  norma  citata appare infine in contrasto con l'art. 27, terzo
comma  Cost.  anche  sotto il profilo della mancanza di soggettivita'
criminale  da  rieducare,  in  relazione  a  condotte determinate con
evidenza  da  pressanti  esigenze economiche nel Paese di origine che
spingono  alla emigrazione, senza dolo criminale o volonta' di creare
danno a terzi, sia sotto il profilo della impossibilita' materiale di
attuazione  della  finalita' rieducativa della pena per una categoria
di  soggetti  come  gli  extracomunitari presenti clandestinamente in
Italia  e gia' oggetto di legittima espulsione, infatti, tenuto conto
delle  finalita'  e  della intera disciplina legislativa di contrasto
alla  immigrazione  clandestina,  queste  persone  non  potranno  mai
rimanere   in  Italia,  dunque  non  ha  senso  parlare  di  un  loro
inserimento   sociale   in   Italia-Europa,   l'unico  rilevante  per
l'ordinamento.
    La  questione  della  illegittimita' costituzionale dell'art. 13,
comma  13,  d.lgs.  n. 286/1998  come  sopra illustrata appare quindi
rilevante  per  la  decisione e non manifestamente infondata e induce
pertanto la giudicante a rimettere gli atti alla Corte costituzionale
per le valutazioni di competenza.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuto   ai  fini  della  presente  decisione  che  non  appare
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 13,  comma  13,  d.lgs. n. 286/1998 - come sostituito dalla
legge 12 novembre 2004, n. 271 - nella parte in cui prevede il limite
minimo edittale di un anno di reclusione per lo straniero espulso che
rientri  nel  territorio dello Stato senza la speciale autorizzazione
del  Ministro dell'interno, per contrasto con gli articoli 2, 3, 10 e
27,  comma  3,  della  Costituzione,  secondo  quanto  esposto  nella
motivazione;
    Ritenuto che la stessa sia rilevante ai fini del decidere;
    Sospende  il procedimento in corso per giudizio direttissimo, nei
confronti di Bularca Lucian Tase;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale;
    Ordina  altresi'  che,  a  cura  della  cancelleria,  la presente
ordinanza  sia  notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e
che  la  stessa  venga  comunicata ai Presidenti delle due Camere del
Parlamento.
    La lettura in udienza equivale a notifica alle parti presenti.
        Gorizia, addi' 31 marzo 2005
                      Il giudice: Bigattin Nagm
05C0695