N. 332 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 febbraio 2005

Ordinanza  emessa  il  24  febbraio  2005 dal tribunale di Torino nel
procedimento penale a carico di Jesuorob Osagioduwa

Straniero e apolide - Espulsione amministrativa - Espulsione disposta
  per i motivi di cui alla lett. b) dell'art. 13, comma 2, del d.lgs.
  n. 286/1998   -   Trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel
  territorio  dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento
  impartito  dal questore - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da
  uno  a  quattro anni - Lesione del principio di ragionevolezza e di
  proporzionalita'  della pena - Disparita' di trattamento rispetto a
  fattispecie  analoghe  -  Lesione  del  principio  della  finalita'
  rieducativa della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter,
  prima  parte, come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, della legge
  12 novembre 2004, n. 271 [rectius: decreto-legge 14 settembre 2004,
  n. 241,  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 12 novembre
  2004, n. 271].
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.27 del 6-7-2005 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti  de1  procedimento  penale n. 3566/05 R.G. n. R.
contro  Jesuorobo  Osagioduwa,  nata  a  Benin  City  (Nigeria) il 13
settembre  1979,  imputata del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter,
primo  periodo, come modificato dalla legge 12 novembre 2004, n. 271,
perche',  cittadina  straniera,  destinataria  di  provvedimento  del
Questore  di  Torino,  (notificatole  il  16 maggio 2003 a seguito di
decreto  di  epulsione  del  Prefetto  fondato sui motivi di cui alla
lettera b) dell'art. 13, comma 2), d.lgs. citato), con intimazione di
allontanarsi dal territorio entro cinque giorni, non ottemperava alla
stessa, trattenendosi nello Stato ove veniva reperita.
  Accertato in Torino il 22 febbraio 2005.

                            O s s e r v a

    L'imputata,  tratta  in  arresto  in  data  22  febbraio 2005 per
violazione  all'art. 14,  comma 5-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286,
modificato  dall'art. 1,  commi,  5-bis  e  6 della legge 12 novembre
2004,  n. 271,  veniva  presentata  dal  pubbIico  ministero,  per la
convalida  dell'arresto  ed  il  conseguente  giudizio  direttissimo,
all'udienza  del  24 febbraio 2005. Convalidato l'arresto e rigettata
la  domanda  del  p.m.  di applicazione nei confronti della Jesuorobo
della   custodia  in  carcere,  la  medesima  presentava  istanza  di
applicazione pena ex art. 444 c.p.p. cui seguiva il consenso del p.m.
    All'esito  della  discussione  questo  giudice  riteneva di dover
sollevare incidente di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
5-bis,  legge  citata,  nella  parte  in  cui  prevede  la pena della
reclusione  da  uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero  che  senza
giustificato  motivo  si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis   in   riferimento  agli  artt. 3  e  27,  terzo  comma,  della
Costituzione,  pena  edittale  che  consente  anche  l'adozione delle
misure cautelari di cui agli artt. 280 e segg. c.p.p.
    La  rilevanza  della  questione risiede nel fatto che, qualora si
dovesse pervenire alla applicazione della pena proposta concordemente
dalle  parti,  alla  Jesuorobo sarebbe comminata la sanzione prevista
dalla norma della cui legittimita' costituzionale si dubita ed al cui
riguardo si svolgono i seguenti rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo
originario   dell'art. 14,   d.lgs.   25  luglio  1998,  n. 286,  era
sprovvista  di  specifica  sanzione, pur essendo controverso se fosse
sanzionabile penalmente col ricorso alla disposizione generale di cui
all'art. 650  c.p. La legge 30 luglio 2002, n. 189, ha introdotto una
fattispecie  contravvenzionale  ad  hoc punibile con l'arresto da sei
mesi  ad  un  anno, con arresto obbligatorio del contravventore e sua
espulsione  eseguita tramite accompagnamento coattivo alla frontiera.
Caduta  la porzione della norma che prevedeva l'arresto, obbligatorio
per  effetto  della  sentenza  della  Corte costituzionale in data 15
luglio    2004,    n. 223,   che   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 14, comma 5-quinquies per contrasto con gli
articoli 3 e 13 Cost. «nella parte in cui stabilisce che per il reato
previsto  dal  comma  5-ter  del  medesimo  art. 14  e'  obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del  fatto» interveniva il legislatore con la
legge  12 novembre  2004,  n. 271,  operando un ampio rimaneggiamento
della   norma   e   reintroducendo   l'arresto  obbligatorio  per  le
fattispecie trasformate in delitto. Tale intervento ha determinato un
effetto   pirotecnico  nel  magma  indifferenziato  della  previgente
fattispecie,   che   sanzionava   in   modo  identico  le  permanenze
ingiustificate  nel  territorio  in  violazione dei provvedimenti del
questore   che   davano  esecuzione  a  provvedimenti  di  espulsione
ministeriali  o prefettizi. Ora la stessa condotta diventa un delitto
ovvero rimane una contravvenzione ovvero non configura alcun illecito
penale     (esiste     soltanto     la     sanzione    amministrativa
dell'accompagnamento  alla  frontiera)  a seconda della provenienza e
della   natura   dell'espulsione   presupposta.   Pertanto,   permane
l'illiceita'  penale  nel caso di espulsione pronunciata dal prefetto
cui  e'  data  esecuzione  da  parte  del  questore. Se essa e' stata
disposta  per  ingresso  illegale  sul territorio nazionale «ai sensi
dell'art. 13,  comma  2,  lettere  a) e c)» ovvero per aver omesso di
richiedere il permesso di soggiorno nel termine di legge, il reato di
inottemperanza, senza giustificato motivo, all'ordine del questore e'
un  delitto  punito  con  la  reclusione da uno a quattro anni; se il
motivo  che  ha  determinato l'espulsione e' la mancata richiesta del
rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da piu' di sessanta giorni,
resta  l'illecito  contravvenzionale punito con l'arresto da sei mesi
ad  un  anno.  Se  l'ingiunzione  del  questore  e'  attuativa di una
espulsione  disposta dal Ministro dell'interno, «per motivi di ordine
pubblico  o  di  sicurezza  dello Stato» (es. espulsione per i motivi
suddetti  di  donna  incinta  di  cui  si  ignora  la nazionalita' e,
pertanto,    non    suscettibile    di   esecuzione   immediata   con
accompagnamento alla frontiera), la sua inosservanza non e' assistita
dalla  tutela  penale  in quanto le ragioni dell'espulsione avvengono
per tipologie non omologhe a quelle per le quali e' dato ricorrere da
parte  del  prefetto  (cui  nell'esempio  citato  sarebbe precluso il
rinvio  della  straniera  allo  Stato  di  appartenenza), ne' e' dato
avvalersi  di  operazioni  ermeneutiche basate sull'analogia, vietata
nel campo penale.
    Il  reato per cui e' stata tratta in arresto Jesuorobo Osagioduwa
e  per  il  quale  il  p.m.  ha  proceduto  con giudizio direttissimo
configura,   in   base  alla  nuova,  normativa,  una  delle  ipotesi
delittuose che hanno avuto un notevole inasprimento di pena e che, ad
avviso di questo giudice, presenta profili di incostituzionalita' con
riferimento ai citati articoli della costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti
con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il profilo dell'assoluta
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206
del  2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323
del  2002,  n. 110  del  2002,  n. 144  del  2001  e n. 58 del 1999).
Occorre,  in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata
disciplina     operi,    all'interno    del    tessuto    egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso
in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa
o  ragione  della  disciplina  introdotta  potra' dirsi realizzato un
vizio  di  legittimita'  costituzionale  della norma, proprio perche'
fondato  sulla  irragionevole  omologazione  di  situazioni  diverse»
(sentenze  n. 5  del  2000  e n. 89 del 1996). Il giudizio presuppone
l'individuazione   di   un  tertium  comparationis  rappresentato  da
fattispecie   omologhe  a  quella  prevista  dalla  norma  censurata,
ricavabili  da  norme  incriminatici  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi  (individuati  nell'ordine  e  nella  sicurezza pubblica) e
strutturanti  con  modalita'  identiche  o,  quantomeno,  analoghe la
condotta  (sentenze  n. 409  del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in
argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura:
uno  ristretto  alle  fattispecie previste dall'art. 14, comma 5-ter,
d.lgs.  286/1998,  l'altro  con  fattispecie  non  contemplate  dalla
disciplina sull'immigrazione.
      Con  riferimento  al  primo  profilo si osserva che la norma in
esame non mira a reprimere la semplice clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero'  nel  territorio  dello Stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria penale, gia' non si' comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi  di  ordine  pubblico  e  sicurezza pubblica), diversamente da
quanto  accadeva  in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non
solo,  altre condotte che parimenti si sostanziano in inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in  forma  differenziata nonostante ledano lo stesso interesse. Si e'
gia'   osservato   che   l'elemento   differenziatore  prescelto  dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento  di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante,
il  cui  permesso  sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo
nei  60  giorni  successivi  alla  scadenza,  fruisce  di  un  doppio
trattamento  di  favore: la sua espulsione non viene in prima battuta
eseguita  coattivamente,  ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare
il  territorio  nazionale  entro  15  giorni  dalla notificazione del
provvedimento;  inoltre,  se  si  trattiene in spregio all'ordine del
questore  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato,  e'  punito con
l'arresto da sei mesi ad un anno.
    Viceversa lo straniero che sia stato espulso o perche' entrato in
Italia  sottraendosi  ai  controlli  di  frontiera  e  non  e'  stato
respinto, o perche' si e' trattenuto nel territorio dello Stato senza
aver  chiesto  il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo
che  il  ritardo  sia  dipeso  da  forza  maggiore,  ovvero quando il
permesso  di  soggiorno  e'  stato  revocato  o  annullato  o perche'
appartiene  a taluna delle categorie indicate nell'art. 1 della legge
27  dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'art. 2 della legge 3
agosto 1988 n. 327, o nell'art. 1 della legge 31 maggio 1965) n. 575,
come sostituito dall'art. 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646 e'
punito  con  la  reclusione  da  uno  a quattro anni. Ne discende che
condotte  analoghe  a quella contravvenzionale in precedenza indicata
sono sanzionate, non solo a titolo di delitto, ma con una pena il cui
minimo  e'  parametrato  al massimo dell'unica fattispecie rimasta di
natura  contravvenzionale.  Ora, se il principio di uguaglianza esige
che  «la  pena  sia  proporzionata  al  disvalore  del fatto illecito
commesso  in modo che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo,
alla  funzione  di  difesa  sociale,  ed  a  quella  di  tutela delle
posizioni individuali» (sentenza n. 409 del 18 luglio 1989), tutte le
condotte  di  trattenimento  dello  straniero nel territorio italiano
ledono con modalita' oggettive identiche lo stesso bene. E', infatti,
dalla  inosservanza dell'ordine del questore di lasciare entro cinque
giorni il territorio nazionale che prende avvio l'aggressione al bene
giuridico tutelato ed in cui si sostanzia la colpevolezza dell'autore
del  fatto.  Differenziare  identiche  fattispecie (talune penalmente
indifferenti,  altre punite in modo lieve, altre in modo estremamente
pesante)  in  base  a  situazioni  che  precedono  la  condotta e non
rivelano  una  reale  dannosita'  sociale,  significa  disancorare il
giudizio  di offensivita' (che costituisce la sintesi della relazione
sussistente tra il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice
e   il  fatto)  dal  fatto  stesso;  significa,  in  ultima  analisi,
sanzionare   in   modo   differenziato,   e  percio',  arbitrario  ed
irragionevole, situazioni omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatici    presenti    in    campi    diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi'  appare  similare alla fattispecie in esame
quella  prevista  dall'art. 650  c.p.,  laddove punisce con l'arresto
fino  a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento
legalmente  dato  dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o
d'ordine  pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del
provvedimento  di  rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2
della  legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e punita con l'arresto da uno
a  sei  mesi. Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata
in  vigore  del  d.l.  30 dicembre 1989, n. 416, la giurisprudenza si
fosse  posto  il  problema se l'inosservanza da parte dello straniero
della  intimazione  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato  fosse
rapportabile   alla   violazione  dell'art. 650  c.p.  e  si  dovesse
applicare  la  pena  prevista  da  tale  norma. La risposta era stata
negativa  sol  perche'  si  era  osservato  che per la violazione era
prevista  la  sanzione  amministrativa dell'immediato accompagnamento
alla  frontiera  ai  sensi  dell'art. 7,  comma  9  del  d.l. citato,
disposizione  speciale,  rispetto  alla  generica  previsione  di cui
all'art. 650 c.p. (Cass. pen., sez. I, 26 marzo 1998, n. 1229). Tutto
cio'  dimostra  la stretta parentela esistente tra la norma contenuta
nel   codice   penale   e   quella   speciale   prevista   nel  campo
dell'immigrazione,  parentela  non  rinnegata  dalla  formulazione in
termini   di   «reato   di  flagranza»,  modulata  sulla  persistente
illiceita'   del  trattenersi  in  Italia,  situazione  che  comunque
consegue   ad   una  ingiustificata  non  attivazione  a  fronte  del
provvedimento  di  allontanamento  del questore. Si deve ancora tener
presente  che  l'espulsione  puo' essere disposta dal prefetto per le
stesse   categorie  di  persone  destinatarie  del  provvedimento  di
rimpatrio  con  una  comunanza  di esigenze di tutela della sicurezza
pubblica davvero eclatante. Eppure, a fronte delle stesse esigenze di
tutela  della  collettivita',  il  trattamento  sanzionatorio  appare
smaccatamente  differenziato  e ben piu' favorevole per il cittadino,
che,  per quanto pericoloso egli sia, non puo' essere allontanato dal
territorio  nazionale.  Non  solo,  come  tra  breve  si  vedra',  la
irragionevole  ed  arbitraria disparita' di trattamento di situazioni
omologhe  sfavorisce  lo  straniero e lo discrimina dal cittadino con
riferimento ad uno dei diritti fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della  pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa
della   sanzione  criminale  sancita  dall'art. 27,  comma  3  Cost.,
finalita'  non  limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione
tra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione, da una parte, e offesa,
dall'altra»  (sentenza  n. 313 del 1990). Pertanto e' stato affermato
che  «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva   rispetto   al  disvalore  dell'illecito  «produce...  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'art. 27,  terzo comma della Costituzione, che di quella liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione»  (sentenza  343  del  1993).  A  fronte  di cio', occorre
domandarsi:  a  due  anni  di  distanza  dall'emanazione  della legge
189/2002 il sensibile inasprimento di pena per molte delle ipotesi di
inottemperanza  da  parte  dello straniero all'ordine del questore e'
almeno  giustificato da finalita' generalpreventive? La risposta pare
essere   negativa   se   si  osserva  il  fenomeno  dell'immigrazione
clandestina  nella  sua  dimensione  storica  (e comunque i mutamenti
sanzionatori non paiono rapportabili all'eventuale modesto incremento
dei  flussi  migratori).  In  ogni  caso  non  va  dimenticato quando
osservato, in via generale, da codesta Corte e cioe' che il principio
di  proporzionalita'  ...  nel  campo  del  diritto penale equivale a
negare legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente
idonee  a  raggiungere  finalita' statuali di prevenzione, producono,
attraverso   la   pena,   danni   all'individuo   (ai   suoi  diritti
fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente  maggiori  dei
vantaggi  ottenuti  (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei
beni  e valori offesi dalle predette incriminazioni» (sentenza n. 409
del 1989).
    Peraltro,   leggendo   la   relazione  all'emendamento  del  d.l.
241/2004,  che ha introdotto una cosi' elevata sanzione, si nota come
i   relatori  giustifichino  la  modifica  legislativa  soltanto  con
riferimento  alla  necessita'  di adeguarsi alla sentenza della Corte
costituzionale  n. 223 del 2004 che aveva ritenuto costituzionalmente
illegittimo     l'art. 14,     comma    5-quinquies    della    legge
sull'immigrazione  «nella  parte  in  cui stabilisce che per il reato
previsto  dal  comma  5-ter  del  medesimo  art. 14  e'  obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del  fatto» per la manifesta irragionevolezza
della  previsione  di  una  misura  precautelare  non suscettibile di
sfociare  in  alcuna  misura cautelare in base al vigente ordinamento
processuale.   In  altri  termini  la  trasformazione  in  delitto  e
l'aumento  di  pena  e'  stato dettato dal solo scopo di ripristinare
l'arresto  obbligatorio  ritenuto illegittimo dalla Corte; non a caso
il  limite  edittale massimo della pena e' fissato in quattro anni di
reclusione,   presupposto   minimo   per  l'adozione  della  custodia
cautelare in carcere (art. 280, comma 2 c.p.p.). Pertanto la risposta
sanzionatoria  e'  stata  scollegata  dal grado di offensivita' della
condotta  e  strumentalizzata ad una finalita' meramente processuale,
quella  di  giustificare  l'arresto  obbligatorio  in  flagranza e di
garantire  lo  svolgimento  del  giudizio  direttissimo  in  tutte le
ipotesi  previste  dal codice di procedura penale. Ora, se si ritorna
al  raffronto  tra la disciplina dell'ingiustificato trattenimento in
Italia   dello   straniero  e  l'inosservanza  del  provvedimento  di
rimpatrio si osserva un differente ed incomprensibile trattamento del
bene  della liberta' personale nel caso in cui i destinatari siano le
persone  pericolose  di  cui  all'art. 1,  legge  1243/1956,  e  cio'
nonostante  codesta Corte abbia affermato cheper quanto gli interessi
pubblici incidenti sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e
per  quanto possano essere percepiti come gravi problemi di sicurezza
e  di  ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non
puo'  risultarne  minimamente  scalfito il carattere universale della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani» ( sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale   affinche'   (valuti  la  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art.  14,  comma  5-ter,  prima  parte,  d.lgs.
286/1998  come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, legge 12 novembre
2004, n. 271, che ha convertito in legge con modificazioni il d.l. 14
settembre  2004,  n. 241)  nella  parte  in cui prevede la pena della
reclusione  da  uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero  che  senza
giustificato  motivo  si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis,   in  riferimento  agli  artt. 3  e  27,  terzo  comma,  della
Costituzione e sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti delle due camere.
        Torino, addi' 24 febbraio 2005
                          Il giudice: Bosio
05C0716