N. 334 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 febbraio 2005

Ordinanza  emessa  il  24  febbraio  2005 dal tribunale di Torino nel
procedimento penale a carico di Rusu Catalin

Straniero e apolide - Espulsione amministrativa - Espulsione disposta
  per i motivi di cui alla lett. b) dell'art. 13, comma 2, del d.lgs.
  n. 286/1998   -   Trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel
  territorio  dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento
  impartito  dal questore - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da
  uno  a  quattro anni - Lesione del principio di ragionevolezza e di
  proporzionalita'  della pena - Disparita' di trattamento rispetto a
  fattispecie  analoghe  -  Lesione  del  principio  della  finalita'
  rieducativa della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter,
  prima  parte, come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, della legge
  12 novembre 2004, n. 271 [rectius: decreto-legge 14 settembre 2004,
  n. 241,  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 12 novembre
  2004, n. 271].
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.27 del 6-7-2005 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti  del procedimento penale n. 3577/2005 R.G. n. R.
Rusu  Catalin  imputato  del  reato  all'art. 14,  comma 5-ter, primo
periodo,  come  modificato  dalla  legge  12  novembre  2004,  n 271,
perche',  cittadino  straniero,  destinatario  di  provvedimento  del
Questore  di  Torino,  (notificatogli il 23 ottobre 2004 a seguito di
decreto  di  espu1sione  del  Prefetto fondato sui motivi di cui alla
lettera  b)  dell'art.13, comma 2, d.lgs. citato), con intimazione di
allontanarsi dal territorio entro cinque giorni, non ottemperava alla
stessa, trattenendosi nello Stato ove veniva reperito.
    Accertato in Torino il 22 febbraio 2005.

                            O s s e r v a

    L'imputato,  tratto  in  arresto  in  data  22  febbraio 2005 per
violazione  all'art. 14,  comma 5-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286,
modificato dall'art. 1, commi 5-bis e 6 della legge 12 novembre 2004,
n. 271,  veniva  presentato  dal pubblico ministero, per la convalida
dell'arresto ed il conseguente giudizio direttissimo, all'udienza del
24  febbraio  2005.  Convalidato  l'arresto  e  rigettata  la domanda
avanzata  dal  p.m. di adozione nei confronti del Rusu della custodia
in  carcere,  in  base  alla richiesta dell'imputato si procedeva con
rito  abbreviato. All'esito della discussione questo giudice riteneva
di   dover   sollevare   incidente   di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1,  comma 5-bis legge citata, nella parte in cui prevede la
pena  della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero che
senza  giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis,   in   riferimento  agli  artt. 3  e  27,  terzo  comma  della
Costituzione,  pena  edittale  che  consente  anche  l'adozione delle
misure cautelari di cui agli artt. 280 e segg. c.p.p.
    La  rilevanza  della  questione risiede nel fatto che, qualora si
dovesse  pervenire  ad  un giudizio di colpevolezza del Rusu, sarebbe
comminata  la  pena  prevista  dalla  norma  della  cui  legittimita'
costituzionale  si  dubita  ed al cui riguardo si svolgono i seguenti
rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo
originario dell'art. 14, d.lgs. 25 luglio 1998, n.286, era sprovvista
di  specifica sanzione, pur essendo controverso se fosse sanzionabile
penalmente col ricorso alla disposizione generale di cui all'art. 650
c.p.  La  legge 30 luglio 2002, n. 189, ha introdotto una fattispecie
contravvenzionale  ad  hoc  punibile  con l'arresto da sei mesi ad un
anno,  con  arresto  obbligatorio del contravventore e sua espulsione
eseguita  tramite  accompagnamento coattivo alla frontiera. Caduta la
porzione della norma che prevedeva l'arresto obbligatorio per effetto
della  sentenza  della  Corte  costituzionale in data 15 luglio 2004,
n. 223    che    ha    dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 14,  comma  5-quinqiuies per contrasto con gli articoli 3 e
13 Cost. «nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal
comma 5-ter   del   medesimo   art. 14   e'   obbligatorio  l'arresto
dell'autore  del  fatto»,  interveniva il legislatore con la legge 12
novembre  2004, n. 271, operando un ampio rimaneggiamento della norma
e   reintroducendo   l'arresto   obbligatorio   per   le  fattispecie
trasformate  in  delitto.  Tale  intervento ha determinato un effetto
pirotecnico  nel  magma indifferenziato della previgente fattispecie,
che  sanzionava  in  modo  identico  le permanenze ingiustificate nel
territorio  in  violazione  dei provvedimenti del questore che davano
esecuzione  a  provvedimenti di espulsione ministeriali o prefettizi.
Ora   la  stessa  condotta  diventa  un  delitto  ovvero  rimane  una
contravvenzione  ovvero  non  configura alcun illecito penale (esiste
soltanto   la   sanzione   amministrativa  dell'accompagnamento  alla
frontiera) a seconda della provenienza e della natura dell'espulsione
presupposta.  Pertanto,  permane  l'illiceita'  penale  nel  caso  di
espulsione  pronunciata  dal prefetto cui e' data esecuzione da parte
del  questore.  Se  essa  e' stata disposta per ingresso illegale sul
territorio  nazionale  «ai  sensi dell'art. 13, comma 2, lettere a) e
c)» ovvero per aver omesso di richiedere il permesso di soggiorno nel
termine  di  legge,  il  reato  di inottemperanza, senza giustificato
motivo,   all'ordine  del  questore  e'  un  delitto  punito  con  la
reclusione  da  uno  a  quattro anni; se il motivo che ha determinato
l'espulsione  e'  la  mancata  richiesta  del rinnovo del permesso di
soggiorno  scaduto  da  piu'  di  sessanta  giorni,  resta l'illecito
contravvenzionale  punito  con  l'arresto  da sei mesi ad un anno. Se
l'ingiunzione  del  questore  e' attuativa di una espulsione disposta
dal  Ministro  dell'interno  «per  motivi  di  ordine  pubblico  o di
sicurezza dello Stato» (es. espulsione per i motivi suddetti di donna
incinta   di   cui   si  ignora  la  nazionalita'  e,  pertanto,  non
suscettibile   di   esecuzione  immediata  con  accompagnamento  alla
frontiera),  la sua inosservanza non e' assistita dalla tutela penale
in  quanto  le  ragioni  dell'espulsione  avvengono per tipologie non
omologhe  a  quelle  per  le  quali  e'  dato  ricorrere da parte del
prefetto  (  cui nell'esempio citato sarebbe precluso il rinvio della
straniera  allo  stato  di  appartenenza),  ne'  e' dato avvalersi di
operazioni  ermeneutiche  basate  sull'analogia,  vietata  nel  campo
penale.
    Il reato per cui e' stato tratto in arresto Rusu Catalin e per il
quale  il  p.m  ha  proceduto con giudizio direttissimo configura, in
base  alla  nuova  normativa,  una delle ipotesi delittuose che hanno
avuto  un  notevole  inasprimento di pena e che, ad avviso di questo,
presenta  profili  di  incostituzionalita'  con riferimento ai citati
articoli della Costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti
con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il profilo dell'assoluta
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206
del  2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323
del  2002,  n. 110  del  2002,  n. 144  del  2001  e n. 58 del 1999).
Occorre,  in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata
disciplina     operi,    all'interno    del    tessuto    egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso
in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa
o  ragione  della  disciplina  introdotta  potra' dirsi realizzato un
vizio  di  legittimita'  costituzionale  della norma, proprio perche'
fondato  sulla  irragionevole  omologazione  di  situazioni  diverse»
(sentenze  n. 5  del  2000  e n. 89 del 1996). Il giudizio presuppone
l'individuazione   di  un  tertium  comparationis,  rappresentato  da
fattispecie   omologhe  a  quella  prevista  dalla  norma  censurata,
ricavabili  da  norme  incriminatici  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi  (individuati  nell'ordine  e  nella  sicurezza pubblica) e
strutturanti  con  modalita'  identiche  o,  quantomeno,  analoghe la
condotta  (sentenze  n. 409  del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in
argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura:
uno  ristretto  alle  fattispecie previste dall'art. 14, comma 5-ter,
d.lgs.  n. 286/1998,  altro  con  fattispecie  non  contemplate dalla
disciplina sull'imigrazione.
    Con riferimento al primo profilo si osserva che la norma in esame
non  mira  a  reprimere  la  semplice  clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero  nel  territorio  dello  stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria  penale, gia' non si comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi  di  ordine  pubblico  e  sicurezza pubblica), diversamente da
quanto  accadeva  in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non
solo,  altre condotte che parimenti si sostanziano in inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in  forma  differenziata nonostante ledano lo stesso interesse. Si e'
gia'   osservato   che   l'elemento   differenziatore  prescelto  dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento  di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante,
il  cui  permesso  sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo
nei  sessanta  giorni  successivi alla scadenza, fruisce di un doppio
trattamento  di  favore: la sua espulsione non viene in prima battuta
eseguita  coattivamente,  ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare
il territorio nazionale entro quindici giorni dalla notificazione del
provvedimento;  inoltre,  se  si  trattiene in spregio all'ordine del
questore  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato,  e'  punito con
l'arresto  da  sei  mesi  ad  un anno. Viceversa lo straniero che sia
stato  espulso  o perche' entrato in Italia sottraendosi ai controlli
di  frontiera e non e' stato respinto, o perche' si e' trattenuto nel
territorio  dello  Stato  senza aver chiesto il permesso di soggiorno
nel  termine  prescritto,  salvo  che  il ritardo sia dipeso da forza
maggiore,  ovvero quando il permesso di soggiorno e' stato revocato o
annullato  o  perche'  appartiene  a  taluna delle categorie indicate
nell'art.  1  della  legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito
dall'art.  2  della  legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell'art. 1 della
legge  31 maggio  1965,  n. 575,  come sostituito dall'art. 13, della
legge  13 settembre 1982, n. 646 e' punito con la reclusione da uno a
quattro   anni.   Ne   discende   che   condotte  analoghe  a  quella
contravvenzionale  in precedenza indicata sono sanzionate, non solo a
titolo  di  delitto,  ma con una pena il cui minimo e' parametrato al
massimo  dell'unica  fattispecie rimasta di natura contravvenzionale.
Ora,   se  il  principio  di  uguaglianza  esige  che  «la  pena  sia
proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso in modo che il
sistema  sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa
sociale  ed a quella di tutela delle posizioni individuali» (sentenza
n. 409  del 18 luglio 1989), tutte le condotte di trattenimento dello
straniero  nel  territorio  italiano  ledono  con modalita' oggettive
identiche lo stesso bene. E', infatti, dalla inosservanza dell'ordine
del  questore di lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale
che  prende  avvio l'aggressione al bene giuridico tutelato ed in cui
si  sostanzia  la  colpevolezza  dell'autore del fatto. Differenziare
identiche  fattispecie  (talune penalmente indifferenti, altre punite
in  modo  lieve,  altre  in  modo  estremamente  pesante)  in  base a
situazioni  che  precedono  la  condotta  e  non  rivelano  una reale
dannosita' sociale, significa disancorare il giudizio di offensivita'
(che  costituisce  la sintesi della relazione sussistente tra il bene
giuridico  protetto  dalla norma incriminatrice e il fatto) dal fatto
stesso;   significa,   in   ultima   analisi,   sanzionare   in  modo
differenziato,  e  percio',  arbitrario  ed irragionevole, situazioni
omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatici    presenti    in    campi    diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi'  appare  similare alla fattispecie in esame
quella prevista dall'art. 650 del c.p., laddove punisce con l'arresto
fino  a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento
legalmente  dato  dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o
d'ordine  pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del
provvedimento  di  rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2
della  legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e punita con l'arresto da uno
a  sei  mesi. Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata
in  vigore  del  d.l.  30 dicembre 1989, n. 416, la giurisprudenza si
fosse  posto  il  problema se l'inosservanza da parte dello straniero
della  intimazione  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato  fosse
rapportabile  alla  violazione  dell'art.  650  del c.p. e si dovesse
applicare  la  pena  prevista  da  tale  norma. La risposta era stata
negativa  sol  perche'  si  era  osservato  che per la violazione era
prevista  la  sanzione  amministrativa dell'immediato accompagnamento
alla  frontiera  ai  sensi  dell'art.  7,  comma 9,  del d.l. citato,
disposizione  speciale  rispetto  alla  generica  previsione  di  cui
all'art. 650  del  c.p. (Cass. pen., sez. I, 26 marzo 1998, n. 1229).
Tutto  cio'  dimostra  la  stretta  parentela  esistente tra la norma
contenuta  nel  codice  penale  e  quella speciale prevista nel campo
dell'immigrazione,  parentela  non  rinnegata  dalla  formulazione in
termini   di   «reato   di  flagranza»,  modulata  sulla  persistente
illiceita'   del  trattenersi  in  Italia,  situazione  che  comunque
consegue   ad   una  ingiustificata  non  attivazione  a  fronte  del
provvedimento  di  allontanamento  del questore. Si deve ancora tener
presente  che  l'espulsione  puo' essere disposta dal prefetto per le
stesse   categorie  di  persone  destinatarie  del  provvedimento  di
rimpatrio  con  una  comunanza  di esigenze di tutela della sicurezza
pubblica davvero eclatante. Eppure, a fronte delle stesse esigenze di
tutela  della  collettivita',  il  trattamento  sanzionatorio  appare
smaccatamente  differenziato  e ben piu' favorevole per il cittadino,
che,  per  quanto pericoloso egli sia, non pue essere allontanato dal
territorio  nazionale.  Non  solo,  come  tra  breve  si  vedra',  la
irragionevole  ed  arbitraria disparita' di trattamento di situazioni
omologhe  sfavorisce  lo  straniero e lo discrimina dal cittadino con
riferimento ad uno dei diritti fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della  pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa
della  sanzione  criminale  sancita  dall'art. 27, terzo comma Cost.,
finalita'  non  limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologica,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione
tra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione, da una parte, e offesa,
dall'altra»  ( sentenza n. 313 del 1990). Pertanto e' stato affermato
che  «1a palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva   rispetto  al  disvalore  dell'illecito  «produce...,  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'articolo  27,  comma  3  Costituzione,  che  di  quella liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione»  (sentenza  343  del  1993).  A  fronte  di cio', occorre
domandarsi:  a  due  anni  di  distanza  dall'emanazione  della legge
n. 189/2002 il sensibile inasprimento di pena per molte delle ipotesi
di inottemperanza da parte dello straniero all'ordine del questore e'
almeno  giustificato da finalita' generalpreventive? La risposta pare
essere   negativa   se   si  osserva  il  fenomeno  dell'immigrazione
clandestina  nella  sua  dimensione  storica  (e comunque i mutamenti
sanzionatori non paiono rapportabili all'eventuale modesto incremento
dei  flussi  migratori).  In  ogni  caso  non  va  dimenticato quando
osservato,  in  via  generale,  da  codesta  Corte  e  cioe'  che «il
principio  di  proporzionalita'...,  nel  campo  del  diritto  penale
equivale  a  negare  legittimita'  alle  incriminazioni che, anche se
presumibilmente   idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali  di
prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo (ai
suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela  dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni»
(sentenza   n. 409   del   1989).  Peraltro,  leggendo  la  relazione
all'emendamento  del  d.l.  n. 241/2004,  che ha introdotto una cosi'
elevata  sanzione,  si nota come i relatori giustifichino la modifica
legislativa  soltanto  con  riferimento  alla necessita' di adeguarsi
alla  sentenza  della  Corte costituzionale n. 223 del 2004 che aveva
ritenuto costituzionalmente illegittimo l'art. 14,, comma 5-quinquies
della  legge sull'immigrazione «nella parte in cui stabilisce che per
il   reato   previsto   dal   comma 5-ter  del  medesimo  art. 14  e'
obbligatorio  l'arresto  dell'autore  del  fatto»  per  la  manifesta
irragionevolezza  della  previsione  di  una  misura precautelare non
suscettibile  di  sfociare  in  alcuna  misura  cautelare  in base al
vigente  ordinamento  processuale. In altri termini la trasformazione
in  delitto  e  l'aumento  di pena e' stato dettato dal solo scopo di
ripristinare l'arresto obbligatorio ritenuto illegittimo dalla Corte;
non  a  caso  il  limite  edittale  massimo  della pena e' fissato in
quattro  anni di reclusione, presu~pposto minimo per l'adozione della
custodia  cautelare  in carcere (art. 280, comma 2, c.p.p.). Pertanto
la   risposta   sanzionatoria   e'  stata  scollegata  dal  grado  di
offensivita'  della  condotta  e  strumentalizzata  ad  una finalita'
meramente  processuale, quella di giustificare l'arresto obbligatorio
in  flagranza e di garantire lo svolgimento del giudizio direttissimo
in  tutte le ipotesi previste dal codice di procedura penale. Ora, se
si   ritorna  al  raffronto  tra  la  disciplina  dell'ingiustificato
trattenimento   in   Italia  dello  straniero  e  l'inosservanza  del
provvedimento    di   rimpatrio   si   osserva   un   differente   ed
incomprensibile  trattamento  del  bene  della liberta' personale nel
caso  in  cui  i  destinatari  siano  le  persone  pericolose  di cui
all'art. 1, legge n. 1243/1956, e cio' nonostante codesta Corte abbia
affermato  che  per  quanto  gli  interessi  pubblici incidenti sulla
materia  dell'immigrazione  siano  molteplici  e  per  quanto possano
essere  percepiti  come  gravi  problemi  di  sicurezza  e  di ordine
pubblico   connessi   a  flussi  migratori  incontrollati,  non  puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani» (sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale   affinche'   valuti   la  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 14,   comma  5-ter,  prima  parte,  d.lgs.
n. 286/1998,   come  sostituito  dall'art.1,  comma  5-bis  legge  12
novembre   2004,   n. 271   (che   ha   convertito   in   legge   con
modificazioni il  d.l. 14 settembre 2004, n. 241), nella parte in cui
prevede  la  pena  della  reclusione  da  uno  a  quattro anni per lo
straniero  che  senza giustificato motivo si trattiene nel territorio
dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi
del comma 5-bis, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della
Costituzione e sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti delle due Camere.
        Torino, addi' 24 febbraio 2005
                          Il giudice: Bosio
05C0718