N. 22 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 27 giugno 2005

Ricorso  per  conflitto  tra enti depositato il 27 giugno 2005 (della
Regione Veneto)

Leggi regionali - Legge della Regione Veneto n. 27/1993 in materia di
  prevenzione  dei danni derivanti da campi elettromagnetici generati
  da  elettrodotti  -  Previsione  di  limiti  di induzione magnetica
  inferiore  ai valori successivamente fissati dal d.P.C.m. attuativo
  della   legge   quadro   statale   n. 36/2001   -   Conseguenze   -
  Dichiarazione,  con sentenza del Tribunale amministrativo regionale
  Veneto  n. 1735/2005,  dell'avvenuta  abrogazione  implicita  della
  normativa  regionale  da  parte  di  quella  statale - Conflitto di
  attribuzione  proposto  dalla  Regione  Veneto  avverso la predetta
  sentenza  Denunciata non spettanza al giudice amministrativo (e per
  esso   allo  Stato)  del  potere  esercitato  -  Esorbitanza  della
  giurisdizione   -   Lesione   dell'autonomia  regionale  -  Erronea
  applicazione   dell'art. 10   della  legge  n. 62/1953  -  Asserita
  inapplicabilita'  di  tale  articolo,  in quanto abrogato a seguito
  della  riforma  del Titolo V della Costituzione, ovvero per effetto
  della  legge  attuativa  n. 131/2003  -  Richiesta  di annullamento
  dell'atto invasivo.
- Sentenza  del  Tribunale  amministrativo regionale Veneto 21 aprile
  2005, n. 1735.
- Costituzione  artt. 5,  101,  114,  117 e 134; legge costituzionale
  18 ottobre  2001,  n. 3;  legge  10 febbraio  1953, n. 62, art. 10;
  legge   22 febbraio  2001,  n. 36,  art. 16;  legge  5 giugno 2003,
  n. 131; d.P.C.m. 8 luglio 2003.
In subordine:  Conflitto  di  attribuzione  tra  Stato  e  Regioni  -
  Richiesta  alla  Corte  costituzionale  di  sollevare davanti a se'
  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge
  n. 62/1953,  ove  quest'ultima  venga  ritenuta  non  abrogata  per
  effetto della riforma del Titolo V della Costituzione o della legge
  attuativa n. 131/2003.
- Legge 10 febbraio 1953, n. 62, art. 10.
- Costituzione artt. 5, 114 e 117.
(GU n.30 del 27-7-2005 )
    Ricorso  promosso  dalla  Regione  del  Veneto,  in  persona  del
Presidente  pro  tempore  della Giunta regionale autorizzato mediante
deliberazione   della   Giunta   stessa   14  giugno  2005,  n. 1400,
rappresentata  e  difesa,  come  da  procura  speciale  a margine del
presente  atto,  dagli  avv.ti  prof.  Mario  Bertolissi  del Foro di
Padova,  Romano  Morra del Foro di Venezia e Andrea Manzi del Foro di
Roma,  presso  quest'ultimo  domiciliata in Roma, via F. Confalonieri
n. 5;

    contro  la  Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente  del  Consiglio pro tempore rappresentato e difeso ex lege
dall'Avvocatura  generale  dello Stato, via dei Portogesi, 12 - Roma,
avverso  la sentenza del Tribunale amministrativo regionale Veneto 21
aprile 2005, n. 1735, per la dichiarazione che non spetta allo Stato,
e  nello  specifico  al  Tribunale  amministrativo  regionale Veneto,
affermare  che  e'  implicitamente abrogata la legge regionale Veneto
n. 27 del 1993.

                           Fatto e diritto

    1.  -  Con  la  sentenza  21  aprile  2005,  n. 1735 il Tribunale
amministrativo  regionale  del  Veneto  decideva due distinti ricorsi
proposti  dalla  societa'  Panizzon Bruno & Figli per l'annullamento,
con   il   primo,   del  provvedimento  dirigenziale  di  diniego  di
concessione  edilizia  e  della delibera consiliare di adozione della
variante  generale  al P.R.G. del comune di Schio (Vicenza) e, con il
secondo,  del  provvedimento  dirigenziale  di diniego di permesso di
costruire:  nell'accogliere  il  secondo  dei  due  sopra  menzionati
ricorsi,  il  Tribunale  amministrativo  regionale,  assumendo di far
applicazione  del  disposto  di cui all'art. 10 della legge n. 62 del
1953,  dichiarava  che  «a seguito dell'entrata in vigore della legge
quadro  n. 36  del  2001  completata  a  regime  con l'emanazione del
d.P.C.m.  8  luglio  2003  per quanto riguarda i valori soglia per le
emissioni  elettromagnetiche, la normativa da applicare doveva essere
quella  nazionale, non residuando alcuna possibilita' di applicazione
per  la  pregressa  normativa  regionale, come tale, per il principio
sopra richiamato, da ritenersi implicitamente abrogata».
    Nel   dichiarare  l'abrogazione  della  normativa  regionale,  il
Tribunale  amministrativo regionale ha leso l'autonomia della Regione
del  Veneto, operando uno sconfinamento assoluto dalla giurisdizione,
in violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione.
    2.  - Al fine di comprendere la questione posta dalla Regione del
Veneto con il presente ricorso si rende indispensabile ripercorrere i
termini  della  vicenda  svoltasi davanti al Tribunale amministrativo
regionale.
    La  societa'  ricorrente  affermava  di essere proprietaria di un
lotto  di  terreno edificabile nel comune di Schio, appartenente alla
lottizzazione  residenziale  e  di  aver  presentato  istanza  per il
rilascio   della   concessione   edilizia.   Essendo   l'area   della
lottizzazione  attraversata  da  un  elettrodotto  con  cavo aereo di
tensione  pari  a 132 kv, il Comune disponeva l'accertamento da parte
dell'ARPAV  di  Vicenza  dell'entita'  dei  campi magnetici provocati
dall'elettrodotto  insistente sull'area di proprieta'. Nel frattempo,
il  comune  approvava  la  variante  generale  al P.R.G. con la quale
venivano   introdotte   fasce  di  rispetto  degli  elettrodotti  con
inedificabilita'  assoluta  di  ml. 50, con l'esplicito richiamo alle
prescrizioni vigenti in materia di valori di emissione.
    Il   dirigente   del  Servizio  Edilizia  Privata  respingeva  la
richiesta  della  concessione  a  costruire dato che, a seguito degli
accertamenti  effettuati,  l'area  sulla  quale  era stato chiesto il
rilascio   del  provvedimento  risultava  compresa  nella  fascia  di
rispetto,  cosi'  come  individuata  dalla  cartografia  di  cui alla
variante  generale,  e  risultavano  superati  i  limiti di induzione
magnetica, stabiliti dalla legge regionale Veneto n. 27 del 1993.
    Il  primo  ricorso,  dunque, veniva proposto avverso quest'ultimo
provvedimento  adducendo,  tra  l'altro,  la  violazione di legge con
riguardo  all'art. 16  della legge statale n. 36 del 2001 e l'eccesso
di potere per difetto di presupposto.
    La   societa'  ricorrente  sosteneva,  infatti,  che  laddove  si
ritenesse  che  il  diniego  comunale derivi direttamente dalla legge
regionale  n. 27  del  1993, la quale ha stabilito determinati valori
limite   per   le   emissioni   elettromagnetiche  nell'ambito  della
prevenzione  dei  danni derivanti dai campi elettromagnetici generati
dagli  elettrodotti,  il provvedimento comunale si porrebbe in palese
contrasto con la nuova disciplina introdotta dalla legge-quadro n. 36
del   2001  sulla  protezione  dall'esposizione  a  campi  elettrici,
magnetici ed elettromagnetici.
    Nelle  more dell'entrata in vigore del decreto del Presidente del
Consiglio  dei  ministri  di  cui all'art. 4, comma 2, lett. a) della
legge-quadro,  con  cui  dovevano  essere  introdotti i parametri, la
legge  statale,  infatti, prevede l'applicabilita' delle disposizioni
contenute  nel  decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del
23  aprile  1992,  che stabiliva dei limiti di campo elettromagnetico
superiori a quelli fissati dalla normativa regionale.
    La  ricorrente  riteneva che non potessero trovare applicazione i
valori  limite  piu' restrittivi contenuti nella normativa regionale:
per  effetto  dell'entrata  in vigore della legge statale a carattere
generale,   accompagnata  da  normative  di  attuazione,  si  sarebbe
prodotta   l'implicita   abrogazione  della  normativa  regionale  di
dettaglio previgente.
    Nell'ipotesi in cui le disposizioni della legge della Regione del
Veneto  non  si fossero ritenute abrogate, la difesa della ricorrente
eccepiva  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della
legge  regionale  n. 27  del  1993 per violazione dell'art. 117 della
Costituzione, conseguente al contrasto con i principi fondamentali di
cui alla legge n. 36 del 2001.
    Con   il  secondo  ricorso  la  societa'  proprietaria  dell'area
impugnava  anche  il  successivo provvedimento di diniego, rilevando,
tra l'altro, la violazione e falsa applicazione della legge n. 36 del
2001  e degli artt. 3 e 4 del d.P.C.m. dell'8 luglio 2003 con cui, in
applicazione  della  stessa  legge  n. 36,  vengono  fissati i valori
limite.
    La  difesa  della ricorrente richiamava le osservazioni fatte con
il  primo  ricorso  in  riferimento  all'avvenuta  abrogazione  della
legislazione  regionale,  dai  limiti  piu'  restrittivi,  a  seguito
dell'intervento  del  legislatore  nazionale,  ai  sensi dell'art. 10
della legge n. 62 del 1953.
    Il  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Veneto, come si e'
anticipato supra, con la sentenza 21 aprile 2005, n. 1735 ha respinto
il  primo  e  accolto  il secondo dei ricorsi proposti, risolvendo la
questione  dell'applicabilita'  dei  valori  soglia individuati dalla
legislazione  regionale  ovvero  quelli  individuati  dal legislatore
nazionale per effetto della disposizione contenuta nell'art. 16 della
legge n. 36 del 2001.
    Quanto  al periodo antecedente l'entrata in vigore del d.P.C.m. 8
luglio  2003,  il  Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto che
l'operativita'   della  nuova  disciplina  statale  dovesse  avvenire
soltanto  a seguito del completamento dell'impianto normativo avviato
dalla  legge  n. 36  del  2001 e cioe' proprio con l'approvazione del
decreto richiamato dall'art. 4, comma 2, della stessa legge.
    All'epoca  dell'adozione  del  primo  diniego, - si osserva nella
sentenza  in  oggetto - non essendosi ancora completata la disciplina
introdotta  dalla  legge  quadro statale con l'introduzione dei nuovi
limiti,  basati  sui  valori  di  emissione  e  valevoli per tutto il
territorio  nazionale,  la  legislazione  regionale  doveva ritenersi
ancora vigente, operando al fine del perseguimento degli obiettivi di
tutela  della  salute  umana,  al  pari  di  quella statale (con cio'
richiamando la pronuncia n. 328 del 1999 di codesta ecc.ma Corte).
    Come  si  e'  anticipato,  il  tribunale amministrativo regionale
veneto  ha  accolto,  invece,  il  secondo  ricorso  presentato dalla
ricorrente  avverso  il diniego nuovamente espresso dopo l'entrata in
vigore del d.P.C.m. 8 luglio 2003.
    Il  Tribunale  amministrativo  regionale, richiamando la sentenza
n. 307   del  2003  di  codesto  ecc.no  Collegio,  ha  rilevato  che
nell'ambito  della  fissazione  dei  valori  soglia dell'inquinamento
elettromagnetico  la  potesta'  legislativa  delle Regioni e' di tipo
concorrente,   come   tale   subordinata  al  rispetto  dei  principi
fondamentali  stabiliti  dal  legislatore  statale  e  ne  ha dedotto
l'inapplicabilita' della legge regionale veneta n. 27 del 1993.
    Tale   legge   -   si   afferma  nella  pronuncia  del  Tribunale
amministrativo  regionale  -  «deve,  pertanto  ritenersi superata ed
automaticamente  abrogata  nei  limiti in cui essa si pone in termini
incompatibili  con  quanto  ha disposto il legislatore statale», cio'
«in  applicazione  del  principio  generale  di cui all'art. 10 della
legge  n. 62/1953»,  per cui il sopravvenire della disciplina statale
di  principio  comporta  l'abrogazione  delle  disposizioni regionali
incompatibili».
    Il  Tribunale amministrativo regionale Veneto, dunque, risolve la
questione  concludendo  che  «a  seguito dell'entrata in vigore della
legge  quadro  n. 36/2001  completata  a  regime con l'emanazione del
d.P.C.m.  8  luglio  2003  per quanto riguarda i valori soglia per le
emissioni  elettromagnetiche, la normativa da applicare doveva essere
quella  nazionale, non residuando alcuna possibilita' di applicazione
per  la  pregressa  normativa  regionale, come tale, per il principio
sopra richiamato, da ritenersi implicitamente abrogata».
    3.  - Con la pronuncia che si e' ora richiamata nei suoi passaggi
piu' significativi il Tribunale amministrativo regionale, dichiarando
l'avvenuta  abrogazione  della normativa regionale, in tutta evidenza
ha   posto   in  essere  uno  sconfinamento  dalla  giurisdizione  in
violazione  degli  artt.  5,  101, 114, 117 e 134 della Costituzione,
cosi' ledendo l'autonomia regionale.
    Il   giudice   amministrativo,   dubitando   della   legittimita'
costituzionale della legge regionale n. 27 del 1993, contrastante con
la  legge-quadro  statale,  avrebbe  dovuto  sollevare  la  questione
davanti  a  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  - e sospendere il
giudizio   -   non   decidere  i  ricorsi  semplicemente  dichiarando
l'abrogazione, come invece ha fatto.
    Nel quadro dei principi del nostro sistema costituzionale risulta
assolutamente  paradossale  che un Tribunale amministrativo regionale
possa  dichiarare  abrogata  una  legge regionale in vigore a seguito
dell'emanazione  di  un  d.P.C.m.,  atto di natura regolamentare, per
quanto attuativo della legge quadro della materia.
    La  legge n. 36 del 2001, del resto, all'art. 4, comma 5, prevede
che  le  Regioni  «adeguino  la  propria  legislazione  ai  limiti di
esposizione» previsti dai decreti di cui al comma 2 dello stesso art.
4,  con  cio' semplicemente imponendo alle Regioni di porre in essere
una  normativa  conforme  al  dettato  statale,  il  che, ovviamente,
esclude  che  l'antinomia  creatasi  tra  fonti  possa risolversi con
l'implicita abrogazione della legislazione regionale.
    Anche  a  non  voler  considerare  le  osservazioni  critiche ora
formulate  - che appaiono difficilmente superabili e' utile chiedersi
se  la legge Scelba, applicata dal giudice amministrativo veneto, sia
ancora in vigore.
    Infatti,   nella   sentenza   n. 1735   del  2005  del  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Veneto  che,  violando  la  sfera  di
autonomia  regionale costituzionalmente garantita, ha dato origine al
presente  conflitto  l'abrogazione  della  normativa  regionale viene
fatta  operare  richiamandosi all'art. 10 della legge n. 62 del 1953,
in  forza  del  quale, come e' noto, «le leggi della Repubblica», che
modificano  i  principi  fondamentali  nelle  materie  di  competenza
legislativa  concorrente,  «abrogano  le norme regionali che siano in
contrasto con esse».
    Pur  sottolineando  come  anche la legge Scelba faccia discendere
l'abrogazione  della  normativa  regionale  unicamente all'entrata in
vigore di disposizioni di rango legislativo e non gia' regolamentare,
si  impongono  alcune considerazioni in ordine alla compatibilita' di
questa disciplina con l'attuale quadro costituzionale.
    L'art. 10 della legge n. 62 del 1953, della cui costituzionalita'
si era a lungo dubitato in passato, appare certo in diretto contrasto
con  le disposizioni contenute nel Titolo V della nostra Costituzione
a  seguito  delle  modifiche operate con la legge costituzionale n. 3
del 2001. e con la normativa ordinaria di adeguamento.
    La   novella  costituzionale  ha  indubbiamente  voluto  ampliare
l'autonomia legislativa riconosciuta alle Regioni, ridisegnando tutto
l'ambito  e  la  natura delle competenze statali e regionali e i loro
rispettivi rapporti.
    Non   e'  necessario,  naturalmente,  ricordare  quali  siano  le
significative  novita' poste dalla legge costituzionale n. 3 del 2001
in   materia   di   potesta'  legislativa  regionale  anche  di  tipo
concorrente;  la  difesa  della  Regione del Veneto ricorda solo come
codesta ecc.ma Corte, nell'interpretare il nuovo testo dell'art. 117,
comma  3,  della  Costituzione,  abbia  avuto modo di chiarire come i
principi  fondamentali  della  materia  possano essere ricavati dalla
legislazione  statale  gia' in vigore, qualora non ne vengano dettati
di  nuovi  (cfr. sentenze n. 282 del 2002, n. 201 e 353 del 2003 - in
conformita',   sotto  questo  profilo,  alla  propria  giurisprudenza
elaborata  in  sede  di  prima  attuazione dell'ordinamento regionale
previsto  dal  Titolo  V  della  Costituzione  nella  sua  originaria
formulazione   -,   fermo   restando   che   la   nuova  formulazione
dell'art. 117,  terzo  comma,  rispetto  a quella previgente dell'art
117, primo comma, esprime l'intento di una piu' netta distinzione fra
la   competenza  regionale  a  legiferare  in  queste  materie  e  la
competenza   statale,   limitata  alla  determinazione  dei  principi
fondamentali della disciplina».
    Anche  la  potesta'  legislativa  concorrente  delle  Regioni va,
dunque,  intesa in modo tale da valorizzare il mutato rapporto con la
potesta'  legislativa statale, dovendo entrambe essere esercitate, ai
sensi dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, «nel rispetto della
Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti  dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali».
    A tal fine e' utile ricordare che l'entrata in vigore del novella
costituzionale  ha  determinato la necessita' di adottare una legge -
la  n. 131 del 2003, c.d. legge La Loggia - che dettasse disposizioni
per  l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge cost.
n. 3 del 2001.
    In  particolare,  l'art.  1  della  legge La Loggia ha ad oggetto
proprio  l'«attuazione  dell'art. 117,  primo  e  terzo  comma  della
Costituzione, in materia di legislazione regionale.».
    Si  tratta,  dunque,  di  una  disciplina  di  carattere generale
necessariamente  destinata  a  sostituirsi alla vecchia disciplina, -
quale  la  legge  Scelba  - dettata nei primi tentativi di attuazione
dell'ordinamento  regionale.  La  legge  n. 131  del  2003 si occupa,
infatti,  proprio  del  passaggio  dal sistema di competenze previsto
dall'originario testo costituzionale all'attuale.
    Il  comma  secondo  della  legge ora citata stabilisce, nel primo
periodo,  che «le disposizioni normative statali vigenti alla data di
entrata  in  vigore  della  presente legge nelle materie appartenenti
alla  legislazione  regionale  continuano  ad applicarsi, in ciascuna
Regione,  fino  alla  data  di  entrata  in vigore delle disposizioni
regionali  in  materia, fermo quanto previsto al comma 3, fatti salvi
gli  effetti  di eventuali pronunce della Corte costituzionale» e nel
secondo periodo che «le disposizioni normative regionali vigenti alla
data  di  entrata  in  vigore  della  presente  legge  nelle  materie
appartenenti   alla  legislazione  esclusiva  statale  continuano  ad
applicarsi  fino  alla  data  di entrata in vigore delle disposizioni
statali  in  materia,  fatti  salvi gli effetti di eventuali pronunce
della Corte costituzionale».
    Particolarmente  significativa,  in questa sede, risulta anche la
disposizione  dell'art.  1,  comma  3, della legge La Loggia, che, in
conformita'   all'orientamento  di,  codesta  ecc.ma  Corte,  prevede
testualmente:   «nelle   materie   appartenenti   alla   legislazione
concorrente,   le   Regioni   esercitano   la   potesta'  legislativa
nell'ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo
Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti».
    Come   si  puo'  agevolmente  notare,  nessuna  delle  norme  ora
richiamate  ha  riprodotto il testo dell'art. 10 della legge Scelba o
vi ha fatto rinvio.
    Al contrario, quando la legge n. 131 del 2003 ha voluto stabilire
limiti   all'applicazione   della   normativa   regionale  a  seguito
dell'entrata  in  vigore  della competente legislazione statale lo ha
fatto  esplicitamente, come nella seconda parte del comma 2, dedicato
alle  materie  appartenenti alla potesta' legislativa esclusiva dello
Stato.
    L'art. 10  della  legge n. 62 del l953 - per quanto si e' detto -
e'  da  ritenersi  abrogato,  dunque, a seguito dell'introduzione del
nuovo  testo  del Titolo V della Costituzione o, a tutto concedere, a
partire dall'entrata in vigore della legge 5 giugno 2003, n. 131, che
ha ridisciplinato la materia.
    La  conseguenza  necessaria  di  questo  ragionamento  e'  che il
Tribunale  amministrativo  regionale  veneto  non  aveva il potere di
ritenere  abrogata  la  normativa regionale relativa ai valori soglia
per   le   emissioni  elettromagnetiche,  e  che,  come  si  e'  gia'
anticipato,  il  giudice amministrativo avrebbe al limite solo potuto
sollevare la questione di legittimita' costituzionale.
    Dichiarando   abrogata   la   disciplina  regionale,  dunque,  il
Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha esercitato un potere
che  non  gli  spettava  -  essendosi  determinato  uno sconfinamento
assoluto  di  giurisdizione  -,  cosi'  ledendo l'autonomia regionale
riconosciuta dagli artt. 5, 114 e 117 della Costituzione.
    Qualora,  per  altro, l"ecc.ma Corte costituzionale non ritenesse
operata  l'abrogazione  della  disposizione  di cui all'art. 10 della
legge  n. 62  del 1953 ne' a seguito della novella costituzionale del
2001  ne'  a  seguito  dell'entrata  in vigore della legge n. 131 del
2003,  la  difesa della Regione del Veneto chiede che Ella sollevi la
questione  di  legittimita' costituzionale del medesimo art. 10 della
legge Scelba avanti a se' stessa per contrasto con gli artt. 5, 114 e
117 della Costituzione.
                              P. Q. M.
    La Regione del Veneto chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale:
        dichiari  che  non spetta allo Stato, e nel caso al Tribunale
amministrativo  regionale Veneto, ritenere implicitamente abrogata la
legge regionale Veneto n. 27 del 1993;
        e,  di  conseguenza,  annulli  la  sentenza  21  aprile 2005,
n. 1735  della  Sez.  II  del  Tribunale amministrativo regionale del
Veneto   per   violazione  degli  artt.  5,  101,  114  e  134  della
Costituzione.
          Padova-Roma, addi' 16 giugno 2005
 Avv. prof. Mario Bertolissi - Avv. Romano Morra - Avv. Andrea Manzi
05C0722