N. 262 ORDINANZA 20 giugno - 1 luglio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Sicurezza  pubblica  - Turismo - Omessa o ritardata comunicazione dei
  nominativi  degli  ospiti  di  un  albergo - Previsione di sanzione
  penale    -   Denunciata   disparita'   di   trattamento   rispetto
  all'esercizio    dell'attivita'   senza   licenza,   senza   previa
  dichiarazione  all'autorita' di pubblica sicurezza o in spregio del
  divieto   del   questore,  punito  con  sanzione  amministrativa  -
  Manifesta infondatezza della questione.
- R.D.   18 giugno 1931,   n. 773,  art. 109,  nel  testo  sostituito
  dall'art. 8 della legge 29 marzo 2001, n. 135.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.27 del 6-7-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici: Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 109 del regio
decreto  18  giugno 1931,  n. 773 (Approvazione del testo unico delle
leggi  di pubblica sicurezza), nel testo sostituito dall'art. 8 della
legge  29 marzo  2001,  n. 135 (Riordino della legislazione nazionale
del  turismo),  promossi  con  tre  ordinanze  del  26 marzo 2004 dal
giudice  per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Livorno,
rispettivamente iscritte ai nn. 612, 613 e 699 del registro ordinanze
2004  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 27 e
35, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 maggio 2005 il giudice
relatore Paolo Maddalena.
    Ritenuto  che,  con  tre  distinte  ordinanze di simile contenuto
(tutte  emesse  il  26 marzo  2004 e rispettivamente iscritte al r.o.
nn. 612,  613 e 699 del 2004), il giudice per le indagini preliminari
del  Tribunale  di  Livorno  ha  sollevato, in riferimento all'art. 3
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 109  del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione
del  testo  unico delle leggi di pubblica sicurezza), «nella parte in
cui prevede la sanzione penale per l'omessa o ritardata comunicazione
dei  nominativi  degli ospiti di un albergo», la' dove gli artt. 86 e
108  del medesimo regio decreto n. 773 del 1931 (TULPS) «stabiliscono
la  mera  sanzione amministrativa in caso di esercizio dell'attivita'
senza  licenza,  senza previa dichiarazione all'autorita' di pubblica
sicurezza o in spregio del divieto del questore»;
        che  il remittente e' chiamato a pronunciarsi sulla richiesta
del pubblico ministero di emissione di decreti penali di condanna nei
confronti  di  tre  distinti gestori di strutture ricettive, imputati
del  reato di cui agli artt. 109 e 17 TULPS, per aver, nella suddetta
qualita',  omesso  di  comunicare  all'autorita'  locale  di pubblica
sicurezza,  entro le ventiquattro ore dal loro arrivo, le generalita'
di talune persone alloggiate;
        che,  come rileva il giudice a quo, la condotta ascritta agli
imputati,  della  quale  vi  sarebbe  concreto riscontro in base alle
risultanze  degli  atti,  integrerebbe  la  fattispecie descritta dal
citato art. 109, la cui sanzione, non indicata dal medesimo art. 109,
va  individuata,  «in  difetto di altri possibili riferimenti», nella
generale  statuizione  dell'art. 17  dello  stesso  TULPS, sicche' la
condotta   contestata   andrebbe   punita  con  la  pena  alternativa
dell'arresto sino a tre mesi o dell'ammenda sino ad euro 206,00;
        che,  tanto  premesso,  il  remittente evidenzia che il testo
della  norma denunciata e' stato piu' volte interessato da interventi
del  legislatore  e l'attuale formulazione e' quella risultante dalle
modifiche  apportate  dall'art. 8  della  legge 29 marzo 2001, n. 135
(Riordino della legislazione nazionale del turismo);
        che,   difatti,  gia'  punita  con  le  pene  dell'arresto  e
dell'ammenda,  la condotta prevista dall'art. 109 e' stata oggetto di
depenalizzazione  ad  opera  dell'art. 7  della legge n. 203 del 1995
(rectius: decreto-legge 29 marzo 1995, n. 97, recante «Riordino delle
funzioni  in materia di turismo, spettacolo e sport», convertito, con
modificazioni,   nella   legge   30 maggio   1995,  n. 203),  e  tale
previsione,  ad  avviso  del  remittente,  si  poneva in linea con la
scelta legislativa attuata con il decreto legislativo 13 luglio 1994,
n. 480  (Riforma  della  disciplina sanzionatoria contenuta nel testo
unico  delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto
18  giugno 1931,  n. 773),  che  aveva  sanzionato  soltanto  in  via
amministrativa  le  violazioni  degli  artt. 86 e 108 TULPS, i quali,
rispettivamente,  prevedono  l'obbligo  di  munirsi  di  licenza  per
l'esercizio  dell'attivita' alberghiera (art. 86), nonche' l'obbligo,
per  chi  intenda  esercitare attivita' di affittacamere e simili, di
provvedere  ad  una  preventiva dichiarazione all'autorita' locale di
pubblica  sicurezza (art. 108), la quale puo' vietare l'attivita' per
specifici motivi di ordine e sicurezza pubblica (art. 108, comma 3);
        che,   ad  avviso  del  GIP  del  Tribunale  di  Livorno,  la
depenalizzazione   della   condotta   prevista   dall'art. 109  TULPS
conseguiva  logicamente  alla  depenalizzazione delle condotte punite
dalle altre norme suddette, giacche' era stato ricondotto nell'ambito
dell'illecito   amministrativo  «addirittura  l'esercizio  irregolare
dell'intera attivita»;
        che,  pertanto,  argomenta  ancora  il  giudice  a  quo,  «la
modifica  operata  dall'art. 8 legge 29 marzo 2001, n. 135 ripristina
la  condizione  di  disequilibrio  che, conseguita all'intervento del
1994,  era  stata  prontamente  ovviata  nel  1995»,  con conseguente
violazione del principio di ragionevolezza, avendo il legislatore, da
un   lato,  mantenuto  la  sanzione  amministrativa  «per  l'illecito
esercizio  tout  court  di  un'attivita'  di  ricezione turistica» e,
dall'altro,  introdotto  la sanzione penale «per la violazione di una
delle  modalita'  sancite dalla legge per la sua corretta conduzione,
ovvero  la  tempestiva  comunicazione  all'autorita' di p.s. dei dati
personali  inerenti gli ospiti (con massima contraddizione laddove le
due violazioni vengano consumate congiuntamente)»;
        che  e'  intervenuto  in  tutti  i  giudizi il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che la questione venga dichiarata
inammissibile o comunque infondata;
        che,  nei giudizi iscritti al r.o. nn. 612 e 613 del 2004, la
difesa erariale osserva che le norme poste a confronto dal remittente
hanno ragioni e finalita' differenti;
        che,  in particolare, nell'ipotesi di cui all'art. 108 TULPS,
l'interesse  tutelato e' quello dell'amministrazione locale ad essere
informata  dell'inizio  dell'esercizio dell'attivita' alberghiera per
meglio  consentire  i  vari controlli attribuiti alla polizia locale,
senza  che, pero', detta attivita' possa essere impedita in un regime
di libera iniziativa economica;
        che,  dal  canto  suo, l'art. 109 denunciato tutela invece la
sicurezza  pubblica, nel cui interesse deve quindi leggersi l'obbligo
di  informativa all'autorita' di pubblica sicurezza della presenza in
strutture   ricettive,  caratterizzatesi  per  la  temporaneita'  del
soggiorno, nell'ottica di prevenzione dei reati;
        che, pertanto, ad avviso dell'Avvocatura, le situazioni poste
a  raffronto  dal  remittente sono diverse e che, dunque, ben puo' il
legislatore  calibrare  differentemente  la  risposta  sanzionatoria,
senza  incorrere  nella  violazione  del principio di ragionevolezza,
tanto   piu'   che   anche  sui  privati  grava  analogo  obbligo  di
comunicazione dell'ospitalita' resa a soggetti diversi dai componenti
il nucleo familiare;
        che,  nel  giudizio  di  cui  all'ordinanza  iscritta al r.o.
n. 699  del  2004,  l'Avvocatura erariale ha preliminarmente eccepito
l'inammissibilita'  della  questione,  assumendo che, semmai, avrebbe
dovuto  essere  sottoposto a scrutinio di costituzionalita' l'art. 17
TULPS che prevede la sanzione per la violazione dell'art. 109;
        che, quanto al merito, nella memoria si osserva che l'obbligo
imposto  dalla  disposizione censurata e' «opportunamente» soggetto a
pena  criminale,  «dovendosi  permettere  all'autorita'  di  p.s.  di
conoscere   concretamente   e  immediatamente  le  presenze  sul  suo
territorio»;  donde,  l'assenza  di  irrazionalita'  nella disciplina
denunciata.
    Considerato  che  il  giudice  per  le  indagini  preliminari del
Tribunale di Livorno, con tre distinte ordinanze, denuncia l'art. 109
del  regio  decreto  18  giugno 1931,  n. 773 (Approvazione del testo
unico  delle  leggi  di  pubblica  sicurezza),  nel  testo sostituito
dall'art. 8   della  legge  29 marzo  2001,  n. 135  (Riordino  della
legislazione  nazionale  del turismo), «nella parte in cui prevede la
sanzione penale per l'omessa o ritardata comunicazione dei nominativi
degli  ospiti  di  un  albergo,  laddove  gli  artt. 86  e  108 TULPS
stabiliscono  la  mera  sanzione  amministrativa in caso di esercizio
dell'attivita'    senza    licenza,    senza   previa   dichiarazione
all'autorita'  di  pubblica  sicurezza  o  in spregio del divieto del
questore»;
        che  il  remittente  deduce,  in  tutti i casi, la violazione
dell'art. 3  della  Costituzione,  in  quanto  contrasterebbe  con il
principio  di ragionevolezza il fatto che il legislatore, da un lato,
ha  mantenuto  la  sanzione  amministrativa «per l'illecito esercizio
tout  court di un'attivita' di ricezione turistica» e, dall'altro, ha
introdotto  la  sanzione  penale  «per  la  violazione  di  una delle
modalita'  sancite dalla legge per la sua corretta conduzione, ovvero
la  tempestiva comunicazione all'autorita' di p.s. dei dati personali
inerenti  gli  ospiti  (con  massima  contraddizione  laddove  le due
violazioni vengano consumate congiuntamente)»;
        che  tutte  le  ordinanze  di  remissione pongono, quindi, la
medesima  questione  di costituzionalita', sicche' i relativi giudizi
vanno riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia;
        che  la  censura del remittente si incentra sulle conseguenze
sanzionatorie   della   violazione  dell'art. 109  TULPS,  nel  testo
novellato  dall'art. 8  della  legge 29 marzo 2001, n. 135, la' dove,
segnatamente  nel  terzo  comma,  e' imposto, a carico dei gestori di
esercizi  alberghieri  e  di  altre strutture ricettive, l'obbligo di
comunicare  all'autorita' locale di pubblica sicurezza le generalita'
delle persone alloggiate entro le ventiquattro ore successive al loro
arrivo,  mediante  consegna  di  copia  della scheda di dichiarazione
delle   generalita'  conforme  al  modello  approvato  dal  Ministero
dell'interno  o,  in  alternativa,  mediante  invio,  entro lo stesso
termine,   alle   questure   territorialmente   competenti  dei  dati
nominativi delle predette schede con mezzi informatici o telematici o
mediante  fax secondo le modalita' stabilite con decreto del Ministro
dell'interno;
        che,   nel   prospettare  la  questione,  il  giudice  a  quo
puntualmente evidenzia che nella formulazione del citato art. 109 non
e'  presente  alcuna sanzione e che, pertanto, a tal fine, deve farsi
riferimento,  in  assenza  di  ulteriori  e  specifiche  disposizioni
punitive,  a  quanto stabilisce l'art. 17 dello stesso TULPS, e cioe'
alla  pena  alternativa  dell'arresto  sino a tre mesi o dell'ammenda
sino  ad  euro  206,00, cosi' esplicitando, con adeguata e plausibile
motivazione,  le  ragioni  per  cui  le  due predette disposizioni si
pongono  in  stretta  correlazione,  costituendo  l'una il precetto e
l'altra la rispettiva sanzione;
        che,  dunque,  non  puo'  trovare accoglimento l'eccezione di
inammissibilita'  dell'Avvocatura  generale dello Stato, avanzata sul
presupposto  che  il  remittente  avrebbe  dovuto denunciare non gia'
l'art. 109  bensi'  l'art. 17,  giacche', come evidenziato, i termini
della  questione  risultano  comunque chiaramente delineati, nel loro
complesso, dalle ordinanze di remissione;
        che, quanto al merito, va rammentato l'orientamento di questa
Corte  secondo cui rientra nella discrezionalita' del legislatore sia
l'individuazione   delle  condotte  punibili,  sia  la  scelta  e  la
quantificazione  delle  relative  sanzioni: discrezionalita' che puo'
essere oggetto di censura, in sede di scrutinio di costituzionalita',
soltanto  ove  il  suo  esercizio  ne  rappresenti  un uso distorto o
arbitrario,  cosi'  da  confliggere  in  modo manifesto con il canone
della ragionevolezza (da ultimo, si vedano: sentenza n. 144 del 2005;
ordinanze n. 212 del 2004, n. 139 del 2004 e n. 234 del 2003);
        che  la  scelta  del  legislatore del 2001 di ripristinare la
sanzione penale rispetto alla violazione del censurato art. 109, gia'
oggetto  di  depenalizzazione  in  forza  dell'art. 7,  comma 3,  del
decreto-legge  29 marzo  1995,  n. 97  (Riordino  delle  funzioni  in
materia   di   turismo,   spettacolo   e   sport),   convertito,  con
modificazioni,  nella legge 30 maggio 1995, n. 203, dopo che l'art. 4
del   decreto  legislativo  13 luglio  1994,  n. 480  (Riforma  della
disciplina  sanzionatoria  contenuta  nel  testo unico delle leggi di
pubblica  sicurezza,  approvato  con  regio  decreto  18 giugno 1931,
n. 773) aveva previsto specificamente la sanzione penale dell'arresto
o   dell'ammenda,   non   puo'  dirsi  manifestamente  irrazionale  o
arbitraria  sulla  scorta della mera valutazione del giudice a quo in
ordine  all'asserita  minore  o  pari  gravita'  della  condotta  ivi
descritta  rispetto  a  quelle  previste  dagli artt. 86 e 108 TULPS,
assunti  a  tertia  comparationis,  e la cui violazione e' punita con
sanzione amministrativa in base all'art. 17-bis TULPS;
        che,  difatti, il remittente omette anzitutto di considerare,
in  riferimento  al  citato  art. 108, che l'obbligo, per chi intenda
esercitare  attivita' di affittacamere e simili, di provvedere ad una
preventiva  dichiarazione  all'autorita' locale di pubblica sicurezza
e' venuto meno a seguito dell'abrogazione parziale recata dall'art. 6
del d.P.R. 28 maggio 2001, n. 311 (Regolamento per la semplificazione
dei  procedimenti  relativi  ad  autorizzazioni per lo svolgimento di
attivita'  disciplinate  dal  testo  unico  delle  leggi  di pubblica
sicurezza  nonche'  al  riconoscimento  della  qualifica di agente di
pubblica sicurezza);
        che,   inoltre,  quanto  all'art. 86,  l'attuale  disciplina,
dettata  dall'art. 9  della  legge  n. 135  del  2001,  riconfermando
sostanzialmente  il  previgente  assetto di competenze gia' delineato
dall'art. 19  del  d.P.R.  24 luglio  1977,  n. 616 (Attuazione della
delega  di  cui  all'art. 1  della  legge  22 luglio  1975,  n. 382),
prevede, ai fini dell'esercizio di attivita' alberghiera, non gia' la
licenza  rilasciata dal questore, ma l'autorizzazione del sindaco del
comune  nel  cui  territorio  e'  ubicato l'esercizio, precisando che
siffatta   autorizzazione   «e'  rilasciata  anche  ai  fini  di  cui
all'articolo 86  del  testo  unico delle leggi di pubblica sicurezza»
(comma 2 del citato art. 9);
        che  le  disposizioni evocate come termini di comparazione si
riferiscono,   quindi,   ai   presupposti   per   l'esercizio  stesso
dell'attivita'  alberghiera,  che e' espressione di libera iniziativa
economica,  mentre l'obbligo di comunicazione delle generalita' delle
persone  alloggiate  imposto  dall'art. 109, terzo comma, investe una
modalita'  di svolgimento di tale attivita' d'impresa che si correla,
con  immediatezza,  a  specifiche  esigenze  di  sicurezza  pubblica,
giacche'  il  predetto obbligo e' volto a consentire all'autorita' di
polizia  la  piu'  rapida  cognizione  dei  nominativi  degli  ospiti
dell'albergo  al  fine  di  garantire, appunto, la sicurezza pubblica
nell'ambito dei compiti d'istituto individuati dall'art. 1 TULPS;
        che,  pertanto,  risultando  evidente la disomogeneita' delle
fattispecie  poste  a  raffronto,  non  puo'  dirsi  frutto di scelta
arbitraria  o manifestamente irragionevole l'aver il legislatore, con
la   novella   recata   dall'art. 9  della  legge  n. 135  del  2001,
ristabilito,  in  vista  della  suddetta  esigenza  di  tutela  della
collettivita',    un   differente   e   piu'   rigoroso   trattamento
sanzionatorio  in  relazione  alla  violazione  dell'obbligo previsto
dalla norma censurata;
        che    la   questione,   dunque,   deve   essere   dichiarata
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 109   del   regio   decreto
18 giugno 1931,  n. 773  (Approvazione del testo unico delle leggi di
pubblica  sicurezza),  nel  testo  sostituito dall'art. 8 della legge
29 marzo  2001,  n. 135  (Riordino  della  legislazione nazionale del
turismo),  sollevata,  in  riferimento all'art. 3 della Costituzione,
dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno, con
le ordinanze in epigrafe indicate.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                       Il redattore: Maddalena
                      Il cancelliere:Fruscella
    Depositata in cancelleria il 1° luglio 2005.
                      Il cancelliere:Fruscella
05C0736